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Autore: m a y h e m    02/05/2014    3 recensioni
Con questa shot, ho voluto immaginare come - o meglio, da chi - Alex Turner avesse tratto ispirazione per scrivere la canzone "Arabella" dell'album AM.
→ Alex Turner x OC
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Arielle Vandenberg, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle entità realmente esistenti citate, né offenderle in alcun modo. Tutti i fatti narrati sono puramente inventati o sola fonte d’ispirazione.

 

 

 

Aprile – agosto 2012
Non era la prima volta che Alex evadeva dalla casa che condivideva con Arielle in cerca d’ispirazione.
Non che la sua ragazza non fosse una fonte d’ispirazione per lui, naturalmente, ma era già capitato altre volte che semplicemente prendesse la giacca di pelle, un taccuino e una matita e le indispensabili chiavi dell’auto e semplicemente andasse.
Il più delle volte finiva in un parcheggio di quei supermercati aperti ventiquattr’ore su ventiquattro – e Alex ancora si chiedeva il perché, di quella cosa… Chi andava a fare spesa alle quattro del mattino? – e si sdraiava sulla capotte dell’auto, contemplando le stelle che riusciva a intravedere, a seconda del tempo. Se particolarmente ispirato scriveva delle frasi, spesso e volentieri per nulla legate tra loro, o ancora improvvisava uno spartito e disegnava qualche nota, che prontamente gli risuonava nella testa.
Qualche volta finiva per inciampare in qualche lercio pub di Downtown Los Angeles, un pub di quelli che ad Alex ricordavano i ritrovi dei mafiosi nei film: sporco, puzzolente di whisky, nascosto in una stradina laterale e frequentato da individui loschi.
Quello che aveva trovato quella sera era sì imboscato e abbastanza sconosciuto, ma gli avventori non parevano così sospettosi gli uni nei confronti degli altri, anzi; qualche ragazzo giocava a biliardo, altri giocavano a freccette e altri ancora erano semplicemente seduti ai tavoli, bevendosi delle birre fresche.
Non appena fu entrato Alex si diresse verso il bancone, togliendo la giacca: nel locale la temperatura era davvero alta, soprattutto se paragonata alla fresca brezza di fine aprile. Si sedette su uno sgabello e abbandonò su quello accanto a lui la giacca, posando poi gli avambracci sul bancone, le dita a picchiettare sul piano di legno. Le casse sparse per il locale passavano Heart in a cage dei The Strokes, ed Alex sorrise tra sé e sé; era da loro che era partito tutto: la sua passione per la musica, suonare nei locali come cover band, i primi testi che si creavano senza tregua nel suo cervello e le prime melodie originali, tutte loro, tutte sue, che gli toglievano il sonno.
«Hey, ciao. Cosa posso portarti?»
Alex alzò la testa, osservando la ragazza davanti a sé: capelli mori con una frangia per nascondere, all’occorrenza, grandi e pesantemente truccati occhi scuri, naso delicato, volto tondo. Era una ragazza molto carina, quello che una volta era il suo tipo di ragazza – del tutto differente da Alexa, nonostante lei fosse una ragazza molto semplice, o da Arielle.
«Una pinta di Guinness, per favore.»
«Arriva subito.»
Alex attese con pazienza, e la sua birra arrivò velocemente quanto lei aveva promesso. Quando le chiese il conto, la ragazza sorrise.
«La offro io, Turner. Prometto di tacere sulla tua identità, non vorrei che qui ci fosse qualche fan.»
Alex spalancò appena gli occhi, trovando quelli grandi e divertiti della ragazza dietro il bancone a guardarlo. La canottiera nera che indossava evidenziava il seno non troppo prosperoso, coperto certamente da un reggiseno dello stesso colore, e lasciava scoperta, oltre alle braccia, una porzione di chiarissima pelle del suo addome.
«Mi hai riconosciuto anche se ho tagliato i capelli» fu tutto ciò che riuscì a dire lui, parlando dal di sotto del ciuffo di capelli, reso pesante dal troppo gel con cui l’aveva acconciato.
«Non passi inosservato, Turner, soprattutto tra i tuoi fan» ribatté quindi lei, continuando a sorridere.
L’aveva nuovamente chiamato per cognome. Non si prendeva la confidenza di chiamarlo per nome, nonostante ormai lo facesse chiunque lo conoscesse – e niente più di quello l’aveva infastidito dell’essere famoso, doveva ammetterlo a se stesso –, ma usava il cognome: più formale, più diretto, più personale e, nel suo caso, probabilmente anche divertito.
Dubitava di non passare inosservato, nonostante il cambiamento d’immagine che aveva deciso di fare quando aveva trovato alcune delle nuove sonorità dell’album che stava scrivendo.
«E quale sarebbe il nome di questa fan?» domandò sfacciatamente, allungando una mano verso il boccale e bevendo un sorso della birra.
«Arabella» rispose quindi la ragazza, con una leggera smorfia. «È orrendo, lo so. Mi chiamano tutti Bella.»
Alex, però, non la stava più ascoltando. Il nome della ragazza gli vorticava nella mente come una spirale ovale da cui già sentiva non sarebbe riuscito a uscire. «Arabella» mormorò quindi, più parlando con se stesso che realmente interagendo con la diretta interessata.
«Sì, Arabella.»
«Lo trovo veramente bello» disse quindi lui, stupendola appena. Lei stessa mal sopportava il suo nome, e la maggior parte dei suoi conoscenti – esclusi i suoi genitori, ovviamente, che erano stati gli artefici del nome che si ritrovava – lo trovava a dir poco ridicolo. Tra sé e sé, si era sempre detta che le ricordava il nome di una vecchia: “Forza, bambini, andiamo a trovare nonna Arabella!”.
«Beh, grazie» piacevolmente spiazzata si ritrovò a sorridere appena al complimento di Alex.
Ancora non credeva di avere davanti uno dei cantanti che maggiormente apprezzava e di essere riuscita a mantenere la calma più totale, anzi; aveva parlato in modo spigliato, tranquillo, esattamente come se lui fosse stato uno qualsiasi – e probabilmente era così che voleva essere trattato lui: come l’impacciato Alex Turner di Sheffield, non come Alex Turner degli Arctic Monkeys.
Il ragazzo sorrise, continuando a sorseggiare in silenzio la sua birra. Mentre si allontanava e serviva altri clienti, Arabella l’osservava con la coda dell’occhio: lo vide prendere dalla tasca interna della sua giacca un vecchio taccuino e una matita mangiucchiata per poi scarabocchiare qualche parola sulla carta, alzare lo sguardo e fissare il vuoto, scrivere di nuovo e bersi un altro sorso della Guinness.
Quando Alex fece per alzarsi lei si avvicinò a dov’era seduto, allungando sul bancone un foglietto di carta piegato in due. Si strinse nelle spalle.
«Non vorrei risultare sfacciata, ma c’è il mio numero di cellulare sul biglietto. Sei libero di usarlo, come di non usarlo» fece una pausa, e poi si lasciò andare a un timido sorriso. «Ricordati di me, se avrei voglia di evadere.»
Alexander sorrise, infilò la giacca e afferrò il biglietto, infilandolo nel taccuino. «Me ne ricorderò, Arabella.»
E così fece.

In modo assurdo e ridicolo, all’insaputa di Arielle, nei mesi successivi Alex divenne dipendente dalla presenza di Arabella – e la stessa cosa accadde a lei.
Per quel poco che il cantante aveva compreso di lei – e la giovane aveva un intero mondo dentro di sé, e Alex era convinto che non sarebbe bastata una vita per conoscere ogni lato di lei –, Arabella aveva un costante bisogno di evadere dalla realtà, di ripararsi dal mondo che la circondava, e aveva trovato in lui un ottimo compagno per le sue fughe.
Alex ricordava con un sorriso la notte in cui lei gli aveva scritto un sms, semplice e d’effetto. “Sono sotto casa tua.”, questo diceva. Alex l’aveva letto e aveva imprecato, temendo che Arielle venisse a conoscenza delle sue fughe notturne; si alzò, si vestì e lasciò un biglietto ad Arielle, spiegandole che usciva per combattere l’insonnia frequente di quei giorni.
In realtà Arabella aveva disturbato un beato sonno – il primo dopo giorni che non riusciva ad addormentarsi serenamente, le melodie e i testi del nuovo album che tenevano il suo cervello costantemente in modalità on – e Alex avrebbe voluto ignorarla, ma la realtà era che lui aveva bisogno di lei quanto lei ne aveva di lui.
Quando uscì di casa e la trovò lì, davanti al suo portone, ogni pezzo del puzzle tornò al suo posto.
«Che ci fai qui?»
Per tutta risposta, Arabella aprì la zip della felpa a stampa leopardata che indossava, mostrando il reggiseno di un bikini color argento, che rifletteva la luce dei lampioni di Los Angeles. «Andiamo a nuotare.»
Senza dargli la possibilità di ribattere l’aveva preso per mano e portato a un paio di isolati da lì, fermandosi davanti all’imponente cancellata di una villa padronale.
«I padroni sono fuori, e ho un amico hacker che ha disattivato le telecamere di sorveglianza» disse lei a bassa voce, con fare cospiratorio.
Alex la guardò stralunato. «Che razza di amici hai?» domandò nel suo strano accento di Sheffield.
La ragazza ammiccò appena e sorrise. «Gli amici giusti per le cose giuste. Vieni, facciamo il giro ed entriamo dal muretto sul retro, è più basso e decisamente meno in vista.»
Quando, non senza difficoltà, riuscirono a entrare nella proprietà, Arabella aprì di nuovo la zip della felpa e questa volta la tolse definitivamente, lanciandola poi sul prato. A seguire la felpa furono le scarpe, le calze e i jeans: sotto gli abiti, in previsione dell’ennesima follia che voleva compiere, aveva indossato il costume.
Quando si accorse che Alex era immobile lo guardò. «Beh? Che aspetti?» domandò, sciogliendo i capelli dalla pratica coda di cavallo e allacciandosi l’elastico al polso.
«Non ho il costume.»
Lei rise. «E quindi? Chi se ne frega! Togliti quei vestiti e buttati in mutande – o nudo, se preferisci, ma muoviti
Davanti a quell’ordine Alex non poté che ubbidire, mentre lei prendeva la rincorsa e si gettava nell’enorme piscina davanti a loro, una luce artificiale che rendeva l’acqua azzurro cielo. Restando con i soli boxer addosso, e un po’ vergognandosi del suo fisico piuttosto esile, Alex con un tuffo raggiunse Arabella in acqua.
I due nuotarono, scherzarono e giocarono per un tempo che a loro parve indefinibile; quando si stancarono d’inseguirsi nell’acqua poggiarono le braccia al bordo, restando a galla l’uno davanti all’altra, e si baciarono.
Non ebbero bisogno di parole, di spiegazioni, di motivazioni: semplicemente accadde. Arabella si era avvicinata ad Alex, più di quanto fossero mai stati vicini, e per lui era stato naturale annullare la poca distanza rimasta e posare le labbra sottili sulle sue. Lei gli aveva allacciato le labbra al collo, e lui le aveva circondato la vita con il braccio sotto la superficie dell’acqua, tenendosi aggrappato al bordo con l’altra mano.
Altrettanto naturale era stato uscire dalla piscina e stendersi sul prato, spogliarsi dei pochi indumenti rimasti e amarsi come poche persone avevano avuto l’occasione di fare nella loro vita.
Mentre teneva Arabella stretta tra le braccia, le labbra prepotentemente incollate alle sue e i loro corpi uniti nella sincronia perfetta dell’amplesso, Alex si disse che aveva trovato il suo silver lining, il risvolto positivo che per nessuna ragione avrebbe separato da sé. Il suo bacio era il colore di una costellazione che trovava il suo posto nel cielo, le sue labbra la vetta di una galassia, perché lei sembrava essere composta da spazio: particelle libere che vagavano nell’universo, senza una destinazione precisa, che fuggivano dalla realtà.
Si erano addormentati abbracciati, le loro felpe a coprire appena i loro corpi per ripararli dalle temperature notturne non troppo dolci di giugno, e si erano risvegliati un paio d’ore dopo l’alba.
Si erano rivestiti in silenzio, dei sorrisi divertiti e impacciati sui volti, e si erano salutati con un veloce bacio sulle labbra, un’ultima traccia del proprio sapore che si lasciavano a vicenda.
Alex era rientrato a casa camminando lentamente, la felicità che la presenza di Arabella gli portava che svaniva a ogni passo che compiva, lasciando spazio al senso di colpa dei confronti di Arielle, la ragazza che una volta aveva considerato il suo silver lining: come poteva considerarla ancora tale quando era Arabella tutto ciò che aveva sempre cercato?
La modella era già sveglia, seduta al tavolo della cucina a fare colazione.
«Alex» disse quando lo vide, addentando la fetta biscottata e parlando poi con la bocca piena. «Ho letto il biglietto, stai bene? Di solito rientri prima dell’alba, mi hai fatto preoccupare…»
Il ragazzo le si avvicinò e la rassicurò. «Non preoccuparti, sono stato in giro. Vado a farmi una dormita» disse, lasciandole un bacio sulla fronte.
«Hai uno strano profumo. Sei stato in un parco?» domandò Arielle, curiosa, quando lui si separò da lei. «Profumi di… erba. E di cloro, anche.»
«Cloro? Erba?» Alexander indossò la sua migliore espressione da poker, sorridendo dolcemente e prendendola in giro. «Devi farti visitare, amore, sono stato in un pub per tutta la notte.»
E con quella giustificazione se ne andò in camera loro, trascinando con sé i suoi sensi di colpa, pesanti quanto un’ancora legata a una nave, che rischiavano di trascinarlo nel fondo assieme a loro.

Per il resto dell’estate continuarono a incontrarsi, a inseguirsi, a condividere respiri e amarsi nei luoghi più improbabili.
Spesso e volentieri finivano nella zona desertica appena fuori Los Angeles, Arabella seduta al posto del passeggero, uno spinello tra le dita e il sole che le lambiva la pelle mentre scendeva oltre l’orizzonte alle sue spalle.
In quei momenti, leggermente stordito dalla cannabis, Alexander si soffermava a guardarla, notando quanto fosse meravigliosa, piena di difetti com’era: insicura, imprevedibile, sprezzante del pericolo, eppure così esuberante, frizzante, così se stessa, sempre e comunque.
Il sole che tramontava alle sue spalle era uno spettacolo meraviglioso, si diceva Alex mentre osservava la stella eclissarsi dietro la linea dell’orizzonte, ma non avrebbe mai retto il paragone con la bellezza di Arabella.

*

Settembre 2013
Arabella era in piedi davanti allo stand del negozio, nei suoi stivaletti neri e la sua giacca dalla trama leopardata, che osservava il cartello davanti a sé. “AM – l’ultimo attesissimo album degli Arctic Monkeys a soli 14.99$”.
Si rosicchiava nervosamente l’unghia dell’indice sinistro, indecisa sul da farsi: allungare una mano, prenderlo e comprarlo, o lasciarlo esattamente dove si trovava? Tornare a rivivere le vecchie memorie o lasciare i ricordi chiusi nel cassetto?
Le cose tra Alex e lei non erano finite esattamente come entrambi si erano aspettati. Il loro rapporto era fantastico, se non fosse stato per il – nemmeno tanto piccolo – dettaglio che lui era una star – una star impegnata.
Arabella non l’aveva mai ammesso ad alta voce, nemmeno quando era sola con se stessa: quei pochi mesi erano stati sufficienti a farla innamorare di Alex, e in qualche bizzarro modo era certa che anche lui provasse lo stesso per lei. Non l’aveva mai ammesso ad alta voce, ma ciò non stava a significare che il sentimento fosse meno forte o meno reale di quanto non lo fosse per le persone che dispensavano “Ti amo” come i pusher dispensavano pasticche.
Dopo un anno, ancora non le era chiaro il preciso motivo che li aveva fatti allontanare.
Alex aveva cominciato a registrare l’album in studio, passando molto tempo lontano da Los Angeles e andando in posti in cui lei, per ovvi motivi, non poteva seguirlo. Avevano passato sempre meno tempo insieme, e in quei minuti in cui riuscivano a incontrarsi spendevano i loro minuti in silenzio o a fare l’amore, ogni volta come se fosse stata l’ultima.
Il trasferimento di Arabella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Alex aveva sempre saputo quanto lei fosse insicura, incostante e imprevedibile, e quando aveva percepito che lui stava per compiere la sua scelta lei l’aveva semplicemente preceduto, dicendogli che si sarebbe trasferita a Miami in cerca di fortuna, intraprendendo – per ironia della sorte – la carriera di modella.
Dal canto suo, il ragazzo non avrebbe mai potuto far ricadere la sua scelta su Arabella; nonostante fosse il suo silver lining era troppo eccentrica, troppo stravagante ed incostante nel suo modo di essere, e sentiva che se non si fosse allontanato da lei avrebbe perso ogni interesse per la musica, concentrandosi solamente sulla sua persona. A convincerlo che scegliere Arielle fosse la scelta giusta, inoltre, sulla bilancia si trovava l’enorme peso dei sensi di colpa che la sua relazione clandestina – l’essere un fedifrago era qualcosa che lo disgustava, che lo faceva sentire sporco dentro –, che aveva minacciato l’idillio che stava vivendo con Arielle.
Arabella, dopo un anno, si era convinta che era stata la scelta migliore per entrambi.
Velocemente, come una ladra che non vuole essere colta sul fatto, arraffò una copia dell’album: ne osservò attentamente la copertina, e poi lo voltò.

Arctic Monkeys
Do I wanna know?
R U mine?
One for the road
Arabella
I want it all
No. 1 party anthem
Mad sounds
Fireside
Whyd’ you only call me when you’re high?
Snap out of it
Knee socks
I wanna be yours

Le ci volle qualche istante per elaborare la tracklist, e qualche minuto in più per accorgersi del titolo della quarta traccia e soffermarsi su di esso, quasi inebetita.
Senza indugio camminò spedita verso la cassa, pagò per l’album, tornò a casa maledicendo ogni autista imbranato e corse su per le scale, diretta al suo appartamento. Aprì la serratura febbrilmente, facendo cadere le chiavi per l’agitazione, entrò e gettò tutto in terra, alla rinfusa – tutto, fatta eccezione per AM.
Tolse la pellicola trasparente all’album con dita tremanti, lo aprì e lo infilò nel vano del lettore. Afferrò il telecomando e si sedette sul piccolo divano del suo soggiorno, facendolo poi avviare.
Ascoltò tutto l’album, per intero, per una sola volta. Quando terminò rimase per un istante in silenzio, pensando e ripensando, e poi con il telecomando andò alla quarta traccia, impostò il loop e la fece partire.
Le note di Arabella risuonarono più e più volte nella stanza, finché la ragazza non ebbe imparato a memoria il testo, la melodia, ogni particolare inflessione nella voce di Alex.

Sulle sue labbra si dipinse un dolce sorriso all’ennesima volta che la canzone cominciava, mentre con il dorso della mano si asciugava le guance coperte di lacrime.
Quella canzone era la piccola ma importante certezza di essere rimasta nel cuore di Alex, così come lui aveva lasciato il segno nel suo impedendole di trovare, a distanza di un anno, qualcuno che potesse stare al suo fianco, tenere il suo passo, assecondare le sue idee folli.
Quella canzone era la sua vittoria.

 

 

 

 

 

 

Note
Esordisco dicendo che me la sto facendo sotto. Concedetemi il francesismo, ma questo fandom è pieno zeppo di storie fantastiche – che io ho letto – e ha ormai i suoi frequentatori abituali; mi sento la freshman della situazione, ecco, e temo il giudizio di chi conosce il fandom meglio di me.
Dopo questa premessa, vorrei fare un paio di puntualizzazioni.
Come già scritto nei disclaimer, con questo scritto non pretendo assolutamente di disegnare la personalità di Alex né tantomeno quella di Arielle, anche se citata brevemente. I tratti di Alex sono usciti spontaneamente dalle mie parole, senza che io mi soffermassi a pensare più di tanto a come realmente immaginassi Alex Turner. L’unico tratto cui ho cercato di restare fedele è il suo essere silenzioso e impacciato, diciamo, una sorta di lascito dai ‘vecchi’ Arctic Monkeys.
Conosco il gruppo e Alex solo quando mi sono decisa ad ascoltarli qualche mese fa, tre mesi dopo l’unica di AM, quindi non conosco in toto l’evoluzione del gruppo – e di Alex – se non per il poco di cui mi sono informata in giro.
Ho cercato di rendere però la storia piuttosto verosimile: la registrazione di AM è stata effettuata da agosto 2012 a giugno 2013, e ho immaginato che poco prima Alex fosse ancora in “fase scrittoria” dell’album – ecco da cos’è nata questa shot, oltre che, naturalmente, la canzone da cui ha preso il titolo –; ignoro se all’epoca Alex Turner fosse già impegnato con Arielle Vandenberg, e in caso non lo fosse, mi prendo una licenza poetica xD
Nella storia troverete disseminati diversi riferimenti al testo di Arabella e il famoso silver lining, il risvolto positivo, che Alex cita in R U mine?. Se a qualcuno interessasse, ad Arabella do il volto di Daisy Lowe - che, ironia della sorte, è una cara amica di Alexa Chung.
Bene, credo di aver terminato. Spero che nel testo non siano presenti errori – mi riservo il diritto di poterlo rileggere tra qualche giorno, quando la trama non sarà più fissa nella mia mente – e che questa shot possa piacervi e appassionarvi quanto ha appassionato me mentre la scrivevo.
Un bacio a chiunque decida di soffermarsi a leggere e/o recensire, siete anche voi che spingete noi autrici a scrivere!
Rigmarole

   
 
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