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Autore: Angie Mars Halen    02/05/2014    6 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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32) GRACE

Trascorsi il viaggio verso l’ospedale con gli occhi fissi su un punto a caso davanti a me mentre le ultime parole di Vince riecheggiavano nella mia testa. Nikki non ce l’aveva fatta. Non c’era più. L’avevamo perso.

Ripensai al giorno in cui avevo scavalcato il muro di casa sua, convinta di aver combinato l’ennesima cazzata della mia vita, e invece in quel modo avevo trovato un amico. E adesso non c’era più e desideravo abbracciarlo più che mai, ma non potevo. Mi voltai verso Vince, che guidava con un’espressione sconvolta dipinta sul viso. Se era stata dura per me che lo conoscevo da poco tempo, non osavo immaginare come doveva averla presa lui, che era suo amico da parecchi anni. Non ci rivolgemmo la parola per tutto il viaggio e mi limitai a lanciargli occhiate di nascosto e, puntualmente, potevo vedere chiaramente una lacrima che scivolava lenta lungo la guancia, sulla pelle abbronzata.

“Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Gli abbiamo detto mille volte di smetterla, ma non ci ha mai dato ascolto,” mormorò Vince mentre correvamo attraverso il parcheggio dell’ospedale. Stava cominciando a piovigginare e l’umidità era così intensa che sembrava insinuarsi attraverso la pelle e infiltrarsi nelle ossa. Salimmo le scale di corsa e, quando raggiungemmo il reparto, trovammo Mick e Doc nella sala d’attesa. Mars era accasciato in un angolo del pavimento e teneva gli occhi fissi sulle punte dei suoi stivali neri, scuotendo il capo e borbottando. Più che afflitto, sembrava indignato. Vince e io ci scambiammo un’occhiata interrogatoria perché non capivamo il motivo di quel suo modo di comportarsi, ma il gonfiore che si era impossessato della sua faccia e delle sue mani lasciò intendere che fosse ancora sotto l’effetto di qualche bicchiere di troppo.

“Dov’è?” domandò Vince tutto d’un fiato. Subito dopo gli occhi degli altri due ci fulminarono e solo allora notai che mancava Tommy.

Il manager si avvicinò a grandi passi e prese a picchiettare un dito sulla spalla di Vince. “Quel deficiente di Sixx ne ha combinata di nuovo una delle sue.”

Vince lo guardò di sbieco e mormorò, con ancora la voce rotta dal pianto, che gli aveva telefonato mezz’ora prima per dirglielo. Non appena terminò la frase, Mick si alzò lentamente dal pavimento, scansò Doc con un gesto delicato e congiunse le mani. “Nikki è vivo.”

“Cosa?” sbottammo all’unisono, poi io continuai. “Sei sicuro di quello che dici?”

“Durante l’intervento di soccorso il suo cuore ha smesso di battere per alcuni minuti e i medici lo hanno dichiarato clinicamente deceduto. Non si sa come, ma il cuore ha ripreso la sua attività molto debolmente e hanno dovuto ritrattare. Aggiungerei anche un ‘grazie al cielo’,” spiegò prima di tornarsi ad accasciare nel suo angolino.

Doc si asciugò la fronte dal sudore tamponandola con un fazzoletto di stoffa blu perfettamente stirata. “Adesso si trova nella sua stanza. Non si è ancora svegliato, però se volete potete vederlo dalla vetrata.”

Senza farcelo ripetere una seconda volta, Vince e io ci fiondammo nella direzione che ci era stata indicata, ritrovandoci in un corridoio lungo e dall’odore asettico tipico degli ospedali. Riconoscemmo la sua stanza perché davanti alla vetrata, immobile come una statua, Tommy lo osservava con la fronte e le mani appoggiate al vetro. Non si accorse di noi finché Vince non gli passò una mano sulla schiena per rincuorarlo.

“Avete visto questo bastardo che scherzi ci fa?” biascicò Tommy con la voce ancora tremante per la miriade di emozioni che aveva provato tutte insieme nel giro di poche ore.

“Cosa dicono i dottori?” indagò Vince.

“Non sanno ancora se sia fuori pericolo o no,” rispose Tommy, poi frugò in una tasca ed estrasse alcune monete. “Fammi un piacere e renditi utile: va’ a prendermi un caffè. Ne ho bisogno per superare questa nottata di merda.”

Vince roteò gli occhi, ma alla fine obbedì. Lo osservai finché non girò l’angolo strisciando i piedi poi spostai lo sguardo all’interno della stanza, dove un’infermiera stava ripulendo accuratamente il viso di Nikki dagli ultimi residui di trucco, rimboccandogli le coperte di tanto in tanto.

Mi avvicinai a Tommy prendendo il posto che Vince aveva occupato fino a poco prima e gli domandai come stesse.

“Come vuoi che stia?” ribatté passandosi un palmo sulla faccia e tirando bene la pelle. “Come una merda. E tu?”

“Potrebbe andare meglio,” mormorai, poi mi accorsi che qualcuno mancava all’appello. “Dov’è Elisabeth?”

Tommy sbuffò scuotendo il capo, visibilmente esausto. “Abbiamo litigato per l’ennesima cazzata, ma sapevo che prima o poi sarebbe successo. Se n’è andata sbattendo la porta. Abbiamo mandato all’aria qualcosa che forse non c’è nemmeno mai stato, poi un quarto d’ora dopo ho ricevuto quella maledetta telefonata,” le sue dita lunghe si contorsero sul vetro fino a chiudersi in un pugno. “Credo di aver perso dieci anni di vita.”

“Adesso però è tutto finito. Nikki è ancora con noi e–” mi interruppi all’improvviso appena mi accorsi che l’infermiera aveva preso a correre intorno alle apparecchiature mentre un suo collega, chino sul corpo immobile di Nikki, sembrava parlargli.

Tommy alzò lo sguardo da terra e spalancò gli occhi arrossati. “Dici che si è svegliato?”

Cercai di vedere oltre il corpo tarchiato dell’uomo nel camice bianco. “Parrebbe di sì.”

L’infermiera si avvicinò al vetro e per un attimo credemmo che volesse comunicarci qualcosa, invece si limitò ad abbassare una persiana grigia per poi uscire di corsa chiudendo la porta e ritornare insieme a due medici. Una dottoressa sulla cinquantina uscì dalla stanza sorridendo e richiamò la nostra attenzione con voce pacata.

“Voi siete parenti del signor...” avvicinò e allontanò diverse volte la cartella clinica dagli occhi per mettere a fuoco le lettere scribacchiate di quel nome che alle sue orecchie suonava fin troppo bizzarro. “...Sixx?

“Siamo suoi amici,” la correggemmo.

Il medico sospirò e annuì. “Ci tenevo a informarvi che si è svegliato, ma non posso far entrare nessuno eccetto i parenti stretti, almeno per ora.”

Tommy avanzò di qualche passo quasi strisciando. “I suoi parenti non sono qui e, onestamente, non so se si presenteranno. Se non le dispiace, vorrei entrare io. Sono il suo migliore amico.”

La dottoressa roteò gli occhi e riposizionò gli occhiali sul naso. “D’accordo, ma solo lei. La signorina dovrà attendere fuori.”

Scomparirono entrambi dietro la porta bianca e nello stesso istante scorsi Vince arrivare dalla parte opposta rispetto a quella dalla quale era andato, con un bicchiere di caffè in mano e la testa leggermente alzata per guardarsi intorno.

“Scusa se ci ho messo così tanto, ma non trovavo più la strada per tornare indietro. Questo posto sembra un cazzo di labirinto,” spiegò stizzito mentre teneva il bicchiere del caffè per il bordo per non scottarsi.

“Nikki si è svegliato,” annunciai senza prestare attenzione a ciò che aveva appena detto.

Il volto stanco di Vince si rilassò. “Questa è una bellissima notizia! Cosa dicono i medici?”

“Ancora niente. Tommy è entrato, ma con lui hanno fatto un’eccezione perché Nikki non ha parenti. Forse tra poco faranno passare anche voi.”

Vince sorrise poi guardò il bicchiere di carta pieno di caffè bollente. “E questo chi lo beve, adesso? Quando Tommy uscirà si sarà già raffreddato.”

“Quanto zucchero ci hai messo?”

“Tre bustine perché a Lee piace amaro,” rispose sogghignando.

“A volte sei proprio un bamboccio,” ribattei mentre prendevo il bicchiere dalle sue mani. Per fortuna a me piaceva molto dolce e decisi di non lasciare che andasse sprecato. Lo bevvi tutto e lanciai il bicchiere vuoto in una pattumiera, poi tornammo a sederci in sala d’attesa insieme a Mick e Doc finché non ci diedero il permesso di visitare Nikki. Lasciai passare gli altri e restai per quasi un’ora fuori nel corridoio, con le loro voci alterate che giungevano alle mie orecchie. Li vidi uscire tutti e quattro a passo sostenuto e Vince mi fece cenno che avevo finalmente via libera. Aprii lentamente la porta e trovai Nikki sdraiato sul letto, gli occhi chiusi e una mano aperta sulla fronte. Chiamai il suo nome a bassa voce e lui scattò a sedere, ma fu costretto a tornare giù per non strappare i tubi e i fili che uscivano dal suo largo camice bianco.

“Come ti senti?” domandai prendendogli una mano, che lui ritirò per nascondere gli ultimi buchi.

“Di merda,” rispose a bassa voce, poi si decise a estrarre la mano da sotto il lenzuolo e cercò la mia. “Sei qui anche tu per darmi del coglione?”

Non dissi nulla e mi chinai delicatamente per cercare di abbracciarlo senza fargli male. “Non farlo mai più, ti prego.”

“Spero di riuscirci,” mormorò, lo sguardo fisso sul soffitto.

Mi allontanai da lui e asciugai una lacrima che gli scendeva lungo il volto. “Sono sicura che ci riuscirai perché tu ce la fai sempre.”

“Merda, Grace, io ero morto,” disse mentre si portava le mani sugli occhi per reprimere le lacrime.

“Ma adesso sei vivo ed è questo l’importante.”

“Me l’ha detto anche Tommy,” borbottò.

“Come vedi, non sono l’unica a pensarlo,” risposi mentre gli sistemavo con cura i capelli stopposi.

Batté debolmente un pugno sul materasso della barella rischiando di urtare l’ago della flebo. “Ho davvero paura di non farcela. Sono un fallito di merda, è questo il problema!”

Lo zittii prendendogli entrambe le mani per evitare che le muovesse troppo. “Sei riuscito a fare tante cose: prendi quei tre che suonano con te. Insieme avete dato vita a un gruppo che sta avendo tutto il successo che si merita.”

“Le ultime canzoni che ho scritto sono oscene.”

“Allora vorrà dire che ne scriverete di migliori. Avete talento e amate ciò che fate.”

Nikki scosse il capo e le mani chiuse tra le mie presero a tremare. “Non riesco più nemmeno a godere di un applauso o un complimento per come è andato il concerto. La mia testa è tutta concentrata su qualcos’altro.”

Lo guardai dritto negli occhi spenti. “Ne verrai fuori, basta solo che tu ci metta la stessa volontà con cui scrivi una nuova canzone. Almeno provaci.”

“Ci ho già provato e ho fallito. Mi hai visto? Ero morto e mi hanno spedito indietro a calci nel culo perché non mi vogliono neanche dall’altra parte.”

“Oppure ti hanno spedito indietro a calci nel culo perché hai ancora tante cose belle da fare e da vedere,” lo corressi. “Prova a vedere le cose da una prospettiva diversa, ogni tanto.”

Nikki si corrucciò e tentò vanamente di incrociare le braccia sul petto. “Non ci riesco.”

“Questo lo dice mio fratello quando non riesce a risolvere il problema di ‘quante mele ho se compro sei cassette da quindici?’. Però lui ha sette anni.”

Stavolta sbuffò sonoramente. “Sentiamo la tua soluzione.”

“Dipende da te,” risposi senza distogliere lo sguardo dal suo. “Devi essere tu a farti forza e a saltarne fuori. Il massimo che io e gli altri possiamo fare è accertarci che tu stia seguendo le cure con una telefonata, ma per il resto siamo molto limitati. A te la scelta.”

Nikki chinò il capo e si fissò le mani rovinate dalle iniezioni mentre le intrecciava nervosamente, scostando di tanto in tanto un qualche filo con nervosismo, poi si grattò la testa. “Ho paura di non farcela.”

“C’è anche la possibilità che tu ci riesca,” ribattei prontamente.

“Non voglio deludere tutti una seconda volta,” disse, poi continuò prima che potessi rispondergli. “Però ci proverò lo stesso. Forse avete ragione voi.”

Tornai ad abbracciarlo e intanto diedi un’occhiata fuori dalla finestra: stava sorgendo il sole ma le colline lo coprivano, e controluce avevano assunto una tinta verde scuro in forte contrasto con il cielo ormai chiaro.

“Guarda, è l’alba,” sussurrai indicando la vetrata.

“Già. Potresti aprire del tutto le tende? Ho voglia di un po’ di luce,” obbedii con piacere e tornai vicino a lui, che sbadigliò vistosamente prima di parlare. “Forse tra poco devi essere a casa?”

Annuii. “Se però vuoi che venga a trovarti basta che mi chiami. Se vuoi, posso portare anche Vince.”

Arricciò il naso. “A proposito, come va con lui?”

Sorrisi. “Bene, grazie.”

“Dio, che schifo... siete zuccherosi da far cariare i denti. E i medici hanno anche detto che devo stare attento alla glicemia!” esclamò. Per un attimo mi sembrò serio, ma dovetti ricredermi quando si voltò verso di me ghignando. “Sta’ attenta anche tu, però.”

“Stai diventando peggio di Mick,” sussurrai.

“Guarda che dico sul serio!” esclamò Nikki, poi tese una mano verso di me e io la presi. Era fredda e umida, allora la scaldai con mie. “Fa’ piano, quei dannati buchi sono infettati. Pensa che lo sono tutti quelli che ho nel corpo. Hanno detto che ci metteranno un po’ a guarire.”

“Non te ne farai più, vero?”

Nikki scosse il capo e puntò gli occhi verdi dritti nei miei. “No. Adesso basta, è ora di smettere con questa merda. La prima cosa che farò non appena mi avranno dimesso sarà ripulire casa da tutta quella roba, o forse vendere direttamente quella cazzo di villa degli orrori. Ci sono troppi brutti ricordi perché possa resistere lì dentro per ancora molto tempo.”

“Se vuoi che ti aiuti basta chiedere. Questo lo sai, vero?”

“Certo, anche se credo che aspetterò di essermi totalmente ripreso prima di comprare una casa e sistemarla. Ti ci vedo bene come consulente d’arredo, sai? E, già che ci sei, porta con te Neil, così gli faccio ripulire il giardino. Me lo immagino già in mezzo all’erba tagliata mentre si lamenta per la fatica e gli insetti,” disse Nikki sogghignando, poi si lasciò scivolare sotto il lenzuolo e lo tirò fino al mento. “Adesso vorrei riposarmi un po’. Ne ho bisogno dopo questa immane stronzata.”

Gli passai una mano tra i capelli e gli rivolsi un sorriso comprensivo. “Va bene, allora torno a casa.”

Stavo per allontanarmi quando sentii le sue dita intrecciarsi alle mie. La sua mano grande e pallida teneva stretta la mia in una morsa debole, i suoi occhi mi fissavano lucidi e le sue labbra secche erano socchiuse, pronte a parlare.

“Grace Murray,” sussurrò. “Ti voglio bene.”

“Anch’io ti voglio bene, Nikki,” risposi senza cambiare tono di voce.

“Grazie per quello che hai fatto per me. Sei stata uno dei pochi che non mi ha abbandonato. Fino a poco tempo fa cercavo di trovare il coraggio per dirti di stare lontana da tutti noi, ma adesso ho trovato quello per chiederti di restare per sempre. Sei una buona amica, Grace.”

Mi chinai sul suo viso per dargli un leggero bacio sulla guancia: odorava di prodotti antibatterici, probabilmente quelli che l’infermiera aveva utilizzato per ripulirlo dal trucco.

“Stasera tornerò a trovarti,” dissi. “Adesso però cerca di riposarti.”

Me ne andai in silenzio mentre Nikki mi salutava con la mano e gli occhi che faticavano a restare aperti, poi chiusi attentamente la porta e mi ritrovai nel lungo corridoio dalle tinte bianche e celesti. Alla mia destra, seduto su una delle poltroncine di plastica, Vince mi aspettava con le braccia conserte e il mento appoggiato al petto, forse addormentato. Mi lasciai sfuggire un sorriso e gli appoggiai una mano sulla spalla, facendolo sobbalzare appena.

“Già fatto?” domandò mentre si stropicciava gli occhi.

Scossi il capo. “No, sei tu che ti sei addormentato.”

Si morse il labbro inferiore, leggermente imbarazzato per essersi appisolato su una poltroncina dell’ospedale, poi sorrise. “Com’è andata?”

“Ha detto che stavolta si è deciso a smettere,” raccontai mentre lo osservavo alzarsi e stiracchiarsi.

“L’ha detto anche a noi. Speriamo che mantenga la parola,” borbottò corrucciato. “Dopo due volte che ci ha quasi lasciato la pelle, mi auguro che non cambi idea.”

Sospirai e, accorgendomi che eravamo rimasti soli, cambiai argomento. “Dove sono andati tutti? Erano qui fino a quando sono entrata.”

“Sono andati a casa visto che non ci siamo ancora riposati da dopo il concerto.”

Neanche io mi ero ancora riposata, per cui potevo comprendere alla perfezione come si dovevano sentire. Vince mi cinse la vita con un braccio e io appoggiai la testa alla sua spalla, sulla quale, date le mie condizioni, avrei anche potuto addormentarmi.

“Vuoi che ti accompagni a casa tua?” domandò Vince a malincuore, poi aggiunse. “Dopo una giornata del genere, un bel sonno è quello che ci vuole.”

“No. Torniamo a casa tua. Voglio stare con te.”

“Sono d’accordo,” approvò Vince dopo un lungo sbadiglio.

Detto questo, ci avviamo verso la sua auto barcollando, attraversammo il parcheggio dove l’asfalto trasudava umidità e odore di pioggia, e salimmo in macchina, diretti a North Hollywood.








FINE








ANGOLO DELL’AUTRICE

Cari lettori,

dopo otto lunghi mesi siamo giunti alla conclusione di I’m Afraid That I’ll Be Alone, so Just Hold Me. Non sapete quanto mi dispiaccia dover cliccare sull’opzione “sì” alla richiesta “completa”. Mi ha fatto davvero molto piacere condividere con voi questo mio primo racconto che ho terminato di caricare quasi esattamente un anno dopo la pubblicazione della mia prima One-Shot nel fandom Guns N’ Roses, Where Are You, My Friend, When I Really Need You?.
Vorrei ringraziarvi tutti quanti con tutto il cuore per aver seguito, preferito, recensito o anche solo letto in silenzio questo racconto! Siete dei grandi, belli, davvero! Siete una soddisfazione... ♥♥♥
Un ringraziamento particolare va a (vi metto in ordine alfabetico, cari recensori, perché non ho veramente preferenze!) IamNotPrinceHamlet, Nikka Neil, Nikki_Lee_666, rose_, sarahrose (e la sua “nave di folli”, Nosfy compreso) e satelliteOFfireballs. E ringrazio rose_ (a.k.a. Rosette) per aver coniato il soprannome “Gracie” per Grace: è grazie a lei se da un certo capitolo in poi ho iniziato a chiamarla in questo modo.
Ancora grazie per tutto: recensioni, preferenze che non tardano ad arrivare neanche al penultimo capitolo, complimenti e tutto il resto!
A questo punto non mi resta che dirvi che ne sarà di me. In passato ho avuto una mezza idea per un possibile seguito di questo racconto ma, qualsiasi cosa pensassi, si cadeva sempre nello scontato, quindi ho deciso di abbandonare l’impresa che, se proprio devo essere sincera, non ho neanche mai iniziato, fatta eccezione per un pezzetto di carta su cui avevo abbozzato una possibile trama. In compenso, però, è in preparazione una nuova storia, sempre destinata alla pubblicazione nella sezione Mötley Crüe. Se siete interessati, potrete leggerla entro l’inizio di giugno, dopo la chiusura delle scuole (yeah!), e dopo che avrò terminato di revisionarla con cura. Vi terrò comunque aggiornati sulla data di pubblicazione e sul titolo aggiungendo un avviso sotto questa recensione.
Ciò detto, non mi resta che lasciarvi la mia solita sfilza di glam kisses con tanto di gloss fucsia ed elargirvi migliaia di abbracci virtuali perché ve li meritate tutti.
Non so se nel frattempo riuscirò a terminare e a caricare qualche One Shot su altri fandom, ma la cosa certa è che mi rifarò viva, sperando che gradirete il mio prossimo lavoro.
Un abbraccio e alla prossima,

Angie




AVVISO: Da mercoledì 11 giugno, per chi fosse interessato, inizierò a caricare i capitoli di Crazy in Paradise, il mio nuovo racconto sui Mötley Crüe. :)


   
 
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