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Autore: Stars Trail    02/05/2014    2 recensioni
Non si sente a casa senza Tetsu. Ed è quello il problema più grande.
Prompt del Nanodayolooo: "Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero" - Paulo Coelho
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Tetsuya Kuroko
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Poteva essere meglio.
Ma in fondo, poteva essere anche peggio. Enjoy :3 (a href="nanodayolooo.tumblr.com">Vuoi promptare qualcosa anche tu?)


Ha perso il conto dei giorni che sono passati da quando non ha più visto Tetsu presentarsi agli allenamenti, o a scuola a riposare inosservato sul banco. Ha perso il conto dei giorni in cui ha smesso di essere sempre al suo fianco, in cui ha smesso di mantenere fede a una promessa che aveva fatto più a se stesso che all’altro, e adesso non sa cosa senta nel petto, se il fastidio per aver perso l’unica cosa che contava davvero lì dentro - perché il basket ha smesso di contare ormai troppo tempo fa - o un vuoto che, in ogni caso, è incapace di colmare.
Scarabocchia omini stecchetto con due cerchi assimetrici al posto delle tette, poi la penna scivola sopra i tratti imperfetti e cancella tutto con rabbia. Affianco, disegna due occhi senza espressione, e sopra un divieto grosso come una casa.
Tetsu è sparito dalla sua vita allo stesso modo in cui ci è entrato. All’improvviso.
Non ha idea di che cosa possa farci.

A volte sogna. Dice a volte perché capita fin troppo spesso che si svegli col cervello annebbiato, e quel poco che ricorda dei suoi sogni svanisca in una nuvola di niente. Se ricorda è per colpa del suo corpo che gli lascia un ricordo, solitamente quando si tratta di Mako-chan o Mai-chan, dipende dalla giornata. A volte però è difficile non ricordare quegli occhi azzurri e tristi che lo fissano come se avessero ucciso qualcuno.
Forse ha ucciso Tetsu, forse è la sua punizione. Forse il fantasma della palestra in realtà esiste davvero, e adesso lo tormenta perché in fondo è colpa sua. Non sa perché, ma è colpa sua.
“Aomine-kun.”
Sognare Tetsu lo lascia sempre con una stretta allo stomaco che gli fa compagnia finché non dorme di nuovo. A volte è così forte che non serve a niente; resta lì a fargli compagnia anche nei sogni, e di nuovo lo vede, e di nuovo il nodo si stringe, e a volte entra in un circolo vizioso da cui riesce a uscire solo quando prende in mano una palla e sfonda un canestro.
Ha quasi finito i canestri da distruggere nel circondario. Se distrugge pure quelli della scuola, suo padre gli farà un culo tanto e non è quello che vuole.
Vorrebbe dimenticarsi di Tetsu, ma quando pensa all’eventualità che possa accadere si sente un traditore, si sente l’assassino che Tetsu giudica nei suoi sogni.
“Aomine-kun.”
Fanculo.

Il rumore del suo cuore non esiste più. Al suo posto c’è lo strisciare delle scarpe sul parquet della palestra, c’è il rumore della palla che rimbalza violenta sul pavimento e arriva dalle mani di Tetsu alle sue. Ride, mentre dribbla ragazzi senza volto e segna due punti, quattro punti, mille punti. Tetsu sorride, e il suo petto si stringe, e gli viene da sorridere e piangere insieme.
Tetsu è inarrivabile, e non sa perché. Allunga il pugno verso di lui, e anche se l’altro risponde, lui non sente niente.
“Tetsu?”
“Aomine-kun. Sto scomparendo.”
E poi sparisce, e lui si sveglia e vorrebbe gridare.

Tetsu è lontano diverse file davanti a lui, il giorno della festa del diploma. Sente la bocca seccarsi, quando i suoi occhi scorgono alcune ciocche azzurro cielo tra una marea di noioso nero e castano. Vorrebbe affondarci le dita, tra quei capelli, ma con che diritto? Lo ha lasciato andare così senza combattere che non si stupirebbe se adesso lo odiasse.
Tetsu non odia mai nessuno, ma c’è sempre una prima volta.
“Sto scomparendo,” rimbomba nella sua testa, e la sua mano stringe la camicia della divisa scolastica che tra poco abbandonerà all’altezza dello stomaco, dove fa male da così tanti giorni che se di colpo il dolore sparisse comincerebbe a preoccuparsi davvero.
Ha voglia di piangere. Ha voglia di rompere qualcosa.
Rivuole Tetsu.

“Aomine-kun.”
Vorrebbe non lo chiamasse. Vorrebbe lo chiamasse con più forza. Non ha idea di dove siano sparite le sue mani, perché la divisa della Teikou le copre, nasconde ciò che non può vedere. Affonda i denti su quel collo bianco, succhia con una forza che non pensava di avere. Se per giorni il suo stomaco è rimasto attorcigliato come l’edera ai muri, adesso è sicuro che stia per strapparsi, dilaniato dalla sensazione nuova. L’odore di Tetsu è quasi nauseabondo, dolce come l’odore degli Umaibo che Murasakibara non smette di mangiare; il suo sapore è lo stesso dei gorigori-kun che amava mangiare con lui tornando da scuola. Pizzica un capezzolo e la voce di Tetsu si piega in una nota nuova e calda, che gli manda scariche di un piacere insopportabile verso il basso ventre. Lo fissa, chiude gli occhi, e quando li riapre Tetsu è sdraiato sulla panchina totalmente nudo e con le gambe appena aperte, il viso pallido chiazzato di rosso che lo fa diventare così tenero, così appetibile.
“Aomine-kun.”
Qualcosa nel suo cervello si rompe, sente distintamente il rumore di qualcosa che si strappa e che già gli preannuncia l’impossibilità di poter rimediare. Si piega su di lui come un lupo sulla sua preda, lo riempie di baci dove i suoi occhi incontrano pelle nuova per la prima volta, e il suo stomaco si svuota, e si svuota così tanto che ha bisogno di riempirlo, ha bisogno di mordere e leccare e baciare per riempirsi di Tetsu, per sentirlo di nuovo tra le viscere, per sentirlo di nuovo suo.
Rivuole Tetsu. Lo rivuole e lo vuole in questa forma nuova, lo vuole guardare mentre cerca inutilmente di fare canestro e lo vuole tra le sue coperte solo per il piacere di sentire la sua voce piegarsi quando lo morde sul collo, sulla pancia, sopra il pube sporco dei primi peli. Entrare in lui è così piacevole, è come ritornare al grembo materno, è come trovare di nuovo la pace. È così caldo che si sente bruciare, ma il piacere che prova è così tanto che può passare oltre, può sopportare. Sente gli occhi gonfiarsi di lacrime e il cuore gonfiarsi di dolore, e mentre Tetsu si aggrappa al suo collo lui spinge, e spinge, perché magari andando a fondo riuscirà a rientrare nel suo cuore, riuscirà a portarlo indietro, riuscirà a farsi perdonare per l’idiozia che lo ha allontanato da lui.
Spinge, e si sente inglobato.
Si sveglia quando la tensione si avviluppa sul suo basso ventre e l’orgasmo esplode, facendogli vedere una marea di luci bianche nella penombra notturna.
Non riesce nemmeno a pensare che è la prima volta che sogna una cosa del genere, perché la testa è troppo occupata a far rimbalzare il suo nome tra la mente e il cuore, e le sue mani troppo occupate a scacciare via le lacrime dal suo viso.

Momoi lo osserva. Sente il suo sguardo come colla sul suo viso, e lo odia.
“Dai-chan.”
“No.”
Non la vuole ascoltare, perché sa già che gli chiederà cosa non va, e lui non ha voglia di rispondere, né a lei, né a Sakurai, né al suo nuovo capitano, che s’è mangiato tutti i suoi ricordi della Teikou e li ha rielaborati per farlo sentire a casa, a modo suo.
Non si sente a casa senza Tetsu. Ed è quello il problema più grande.

La prima volta che si masturba pensando a Tetsu, piange per un’ora, e poi passa tutta la notte nel campo dove sprecavano tempo a giocare quando erano ancora stupidi, quando erano ancora felici.
Non lo distrugge, quel canestro.
Sarebbe come distruggere Tetsu.

La prima volta che incrocia il suo sguardo come suo rivale, fa una fatica immane per sopportare la vista della sua nuova luce. Lo sguardo di Tetsu è vacuo, è morto, è triste anche se non lo ammette, anche se riempie la sua bocca di parole in cui chissà se crede davvero. Si impegna davvero, per non mostrare i suoi sentimenti, e alla fine si costruisce attorno un muro così forte che Tetsu non lo guarda più nemmeno in faccia, una volta finita la partita.
“Ti batterò, Aomine-kun.”
Di tutto questo, lui sente solo il suo nome. E l’onorifico non è mai stato così pieno di disprezzo.

Tetsu sorride.
Tetsu piange.
A volte, Tetsu muore.
Quando fanno l’amore, è meraviglioso.
Quando diventa un fantasma, lui vorrebbe morire. Ma in ogni caso, sempre, sempre, sempre, vorrebbe allungare le mani e prenderlo per un polso per trascinarlo con forza fuori dai suoi sogni, per farlo scivolare sotto le coperte del suo letto troppo piccolo per entrambi ma abbastanza grande perché possano stringersi e inglobarsi l’uno dentro l’altro. Vuole respirare il profumo dei suoi capelli senza immaginare i gorigori-kun a profumarglieli, vuole baciare la sua pelle e sentire il suo sapore.
È sicuro somigli più all’aroma fresco del Pocari Sweat, piuttosto che a quello stucchevole di un Umaibo.
Non lo saprà mai.

Quando lo vede sdraiato sulla panchina dello stabilimento termale, debole e stanco come quando giocava con lui le prime volte, gli si stringe il cuore così tanto che pensa di star per morire. Quando sente la sua voce ringraziarlo, sa che quel tono gentile non è per lui. Avere la conferma quando finalmente lo vede, e chiama il suo nome, è una coltellata al petto che non può sopportare. Fissa il distributore delle bevande come se fosse il portale per l’inferno, come se fosse pronto a balzarci dentro. Poteva scappare, e non lo ha fatto.
Se ne è già pentito amaramente.

Perde, ed è come se si di colpo il suo cervello avesse ripreso a funzionare.
Perde, e il pugno di Tetsu contro il suo è una benedizione, è il contatto fisico che gli mancava da tempo, è lo spiraglio di luce che lo fa rinsavire, o qualcosa del genere, non sa bene.
Perde, e il tono della sua voce è così quieto, così pacifico, che se Tetsu lo perdonerà dopo questi mesi di silenzio e disagio maltrasmesso, si reputerà graziato dalla volontà del Cielo.
Perde, e passa tutta la notte a stringere gli occhi e a ripetersi dormi, dormi, dormi, perché a sentito il profumo della pelle di Tetsu, dopo tanto tempo, e ha bisogno di sognare il suo corpo esile e di stringerlo così forte da spezzargli le ossa.
Non dorme. Né quel giorno, né quello seguente.

Possiamo incontrarci di fronte al conbini? Ho bisogno di parlarti.
Non è un sogno. Tetsu gli ha mandato un messaggio - non ha cancellato il suo numero, nonostante quello che gli ha fatto passare. Non ha idea se sia un segno della sua clemenza, ma lo accetta per quello che è.
Un segno e basta.
Non ha bisogno di specificare di che conbini si tratta. Si mette a sedere sul letto e prende le scarpe, infilandole in tutta fretta, senza nemmeno allacciarle. Lo farà in autobus, se ne avrà voglia. Potrebbe correre per arrivare prima, e non gli importerebbe nemmeno di cadere, perché non lo farebbe. Non dice a sua madre dove sta andando, la saluta e le raccomanda di non aspettarla per cena, perché non ha alcuna intenzione di sprecare la sua occasione strappando due parole a Tetsu e tornando a casa perdente ancora una volta.
Possiamo incontrarci di fronte al conbini? Ho bisogno di parlarti.
Vorrebbe averglielo scritto lui sei mesi fa.
Vorrebbe aver impedito a entrambi di arrivare a questo punto.

“Non sono riuscito a chiudere occhio, da quel giorno.”
Tetsu lo guarda, e chissà se riesce a leggergli nel pensiero, con quegli occhi che adesso sembrano di nuovo vivi. Chissà se è tutto un suo viaggio mentale, questo vedere la luce nei suoi occhi solo quando sono insieme.
Chissà se sa che lo sogna, chissà se può leggerlo attraverso i suoi, di occhi.
“Sono tornato a casa. Ho mangiato, ho fatto il bagno e mi sono buttato a letto. Ma ogni volta che chiudevo gli occhi non riuscivo a dormire, per quanto mi sforzassi. Continuavo a vedere immagini della partita. È una sensazione che ho dimenticato troppo tempo fa. Mi fa male il petto, mi viene da vomitare. Non riesco a pensare. Mi mancava, di tanto in tanto. Ora che l’ho provato di nuovo, non è cambiato niente. È solo ancora più amaro. È stata la mia notte peggiore.”
Mente. Lo sa. Non è stata la sua notte peggiore, è stata solo una tra le tante. Incrocia lo sguardo di Tetsu e lo guarda, lo guarda davvero, non come se fosse un ostacolo da evitare, ma come un amico da recuperare.
Almeno quello, deve riuscire a farlo.
“Ma è proprio per questo che non vedo l’ora di giocare di nuovo.”
Si alza, avanzando verso di lui. È impercettibile, ma lui riesce a vederlo, il sorriso di Tetsu. “Aomine-kun…” mormora, e il suo cuore stretto si stringe ancora di più, e forse morirà lì, forse è quello che merita, in fondo, ma morire vedendo Tetsu sorridere, è una morte che in fondo gli va più che bene.

Nessuno dei due si rende conto del sole che sorge. Non importa che siano entrambi sudati, non importa che Tetsu a malapena si regga in piedi; continuano ad allenarsi finché non sentono il cantare degli usignoli, finché la bocca è secca e c’è così poco Pocari che va diviso, e non è davvero abbastanza.
Si lasciano cadere sulla panchina di fronte al campo, lui che si passa una mano sulla fronte, Tetsu che fa di tutto per non lasciarsi scivolare su di lui. Quando cede, è una gioia per la sua anima.
“Grazie.”
Dovrebbe essere lui a dirlo. Non risponde, e da la colpa alla gola troppo secca. L’unica cosa che riesce ad emettere è un grugnito poco aggraziato, e subito se ne pente, perché ha paura di essere frainteso - ha paura che Tetsu si allontani e non lo usi più come appoggio.
Non succede.
“Mi dispiace.”
Non respira più.
“Non sarei dovuto sparire così. Avrei dovuto dirvi che quello che sentivo. Avrei dovuto dirlo a te. Ma sembravi un muro e io non avevo forze per scavalcarti.”
“Stai zitto.”
Lo prende per un polso, lo stringe con così tanta forza che Tetsu si lamenta, ma non gli importa. Lui vorrebbe che gli facesse male. Vorrebbe avere la certezza che non è l’ennesimo sogno troppo reale che lo lascerà con l’amaro in bocca. Affonda il naso tra i suoi capelli, e sanno di shampoo e di sudore, sanno di palle che rimbalzano sul parquet della palestra della Teikou, di scarpe che stridono e di troppe cose che non è sicuro di poter sopportare. Respira a pieni polmoni, un po’ per imprimere quell’odore nelle narici, un po’ per trovare la forza di non piangere davanti a lui.
“Aomine-kun. Mi dispiace.”
La voce di Tetsu trema, e il suo cuore si spezza.
“Dispiace anche a me, Tetsu. Dispiace più a me.”
Abbraccialo, dannazione.
Tetsu cerca la sua mano, e lui la stringe come se fosse l’ultimo appiglio alla realtà.
“Non me ne vado più.”

Tetsu è così reale, così tangibile sotto le sue mani, che per un momento si chiede se alla fine non sia riuscito a strapparlo via dai suoi sogni per portarlo nel regno dei vivi. La sua pelle è così piacevole al tatto, il suo sapore è così come lo immaginava, che vacilla nel credere che si tratti della realtà, quella in cui sta vivendo. Morde la sua carne e lui risponde con un sospiro, con un gemito soffocato da un pugno contro le sue labbra, con una spinta eloquente del bacino contro il suo.
Il calore che sente allo stomaco è insopportabile. Ma è la cosa che più gli piace provare - più del brivido di una partita imprevedibile, più di spaccare canestri per sfogare la rabbia.
Tetsu è nel suo letto, avvinghiato alle sue gambe, avvinghiato alla sua vita, alle sue labbra, alla sua lingua. È tangibile, è reale, e lui non potrebbe essere più felice.
Si sente come se avesse avuto la possibilità di ricominciare. Probabilmente è la stessa sensazione che prova un uomo davanti a un miracolo.
Tetsu era un sogno, lo è stato per troppo tempo. Adesso, non deve più preoccuparsi.
Tetsu è lì con lui. Non lo perderà ancora.
Non lo perderà più.

   
 
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