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Autore: Targaryen    02/05/2014    12 recensioni
Ora non sono il capitano, sono solo l’uomo, e voglio illudermi per una notte soltanto che ci sia un futuro, domani, per noi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
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Vino e silenzio
 


Oltre le spesse paratie, oltre le vetrate illuminate dalla flebile luce dei candelabri si apre il nulla, che avvolge sterili pezzi di roccia che i discendenti di questa umanità morente hanno l’ardire di chiamare casa. Sfuggenti come spettri, navighiamo in questo mare dove tutto ha avuto inizio e dove tutto incontrerà la sua fine, trascinando il nostro personale carico di morte e di disperazione.
Aspetto, seduto su questo scranno ornato di teschi che il talento di uno sconosciuto artista ha strappato al legno, e il mio sguardo vaga perduto tra le mille sfumature di rosso del vino che attende non ancora toccato. Muovo dolcemente la mano e il liquido ondeggia, accarezzando il vetro di questo calice, come me retaggio di altri tempi.
L’aroma di legni esotici permea l’aria, richiamando alla mia mente vecchi ricordi. L’arredamento, che non appartiene a questa era, trasforma questa stanza troppo grande per noi in ciò che non è, e quasi sorrido al pensiero.
Immagino un mare in tempesta e le onde che si infrangono sullo scafo, immagino la pioggia che fa ribollire le acque, il vento che gonfia le vele e le ragnatele di luce che, improvvise e violente, squarciano la notte urlando la loro collera contro il cielo di pece.
Facendosi beffa del vuoto che la abbraccia, la bandiera con il teschio e con le tibie incrociate sventola sul pennone, simbolo ormai stanco di quella libertà che anche i capitani di quei primi vascelli cercarono invano. Era il desiderio di perdersi nell’infinito del loro fluido universo ciò che li spingeva a lanciare la loro vita e a tramutarla in una lama affilata, in viaggio verso la sua meta e incurante del sangue che avrebbe versato lungo il cammino.
L’ho rincorsa anch’io la mia libertà, e l’ho trasformata nel vento che spingeva le mie bianche vele, ma ho voluto troppo da lei e mi sono ubriacato del senso di onnipotenza che rappresenta la sua faccia nascosta. In nome della libertà ho vissuto e in nome di quella stessa libertà ho sbagliato, e ora solco il mio personale inferno mosso da vele ormai nere e seguo l’ago di una bussola che oscilla tra rimorso e brama di redenzione.
Il rombo, che non si nutre di aria e di calore, rompe monotono il silenzio in cui siamo immersi. Sembra quasi lo schiocco che accompagna il lampo e che si mescola al ruggito di lontane tempeste, ma non è così.
Ti guardo e tu guardi me, distesa languidamente sul velluto che ha lo stesso cupo colore del vino. Una fedele copia del mio calice e del suo contenuto è in equilibrio nella tua mano, la gamba sollevata e il tuo braccio appoggiato su di essa. Ancora mi stupisco dinanzi allo sforzo che devo compiere per non deporre questa coppa e per non posare invece le mie labbra sulle tue. Come può un essere dannato quale io sono liberarsi all’improvviso del suo passato e ricordarsi di essere anche un uomo? Non lo so, eppure è questo che mi succede ogni volta che le massicce porte di legno si chiudono alle nostre spalle, e che mi lasciano solo con te. I miei sensi si risvegliano, la mia anima mi pare ad un tratto meno nera e il sentore di ciò che so essere felicità mi attrae, come la luce attrae le falene. Non riesco ad afferrarla, non ancora, ma mi avvicinerò a lei quando le tue braccia mi stringeranno, mi avvicinerò a lei e di nuovo la perderò, quando l'odore metallico dei corridoi sostituirà la fragranza che ora mi avvolge.
Avrei tanto voluto conquistarla e fartene dono, Meeme. Avrei voluto aver fatto scelte diverse e aver posseduto in quei lontani anni la consapevolezza di adesso, ma tornare indietro non mi è concesso e ho vissuto troppo a lungo, ormai, per credere nei sogni. Perdonami, ma non vedo alcun futuro per me, e tutto ciò che posso offrirti sono questi brevi attimi di oblio e un nuovo inizio di cui noi non faremo parte.
Ricordi quando ti feci trovare in queste stanze la lunga poltrona su cui ora giaci, Meeme? La commissionai per te, immaginandoti distesa su di essa proprio come lo sei ora, e come tante volte ti ho vista e ti vedrò. Ebbi difficoltà a mantenere il mio distacco quando la descrissi a quel vecchio artigiano, sepolto nella sua buia bottega. Chissà cosa ha provato in quegli istanti. Chissà se nel suo cuore ha prevalso la paura o ha vinto lo stupore.
A volte mi sorprendo a domandarmi fino a che punto il mio equipaggio mi conosca, e se qualcuno di loro veda l’ombra dell’uomo che io sono, sotto il mantello di colui che siede sul seggio sul ponte più alto di questo vascello maledetto.
Di sicuro, Meeme, tu quell’uomo lo conosci, e io conosco colei che per loro è soltanto la saggia custode del cuore di questa nave, anch’ella come me figlia di un passato che si perde nella leggenda. Loro non sanno che nelle tue mani tu di cuori ne custodisci due, il secondo più importante del primo. Un cuore che ancora sanguina e a cui solo tu puoi dare sollievo.
Ti sorpresi quel giorno, e tu mi regalasti il tuo primo sorriso dopo la nostra caduta. Eravamo così vicini che potevamo sentire ciascuno il calore dell’altro, ma non ci baciammo. Era ancora troppo presto per quello. Lo avremmo fatto molti anni dopo, seduti insieme su quella lunga poltrona di velluto rosso, vincendo le nostre paure e seppellendo per un istante il nostro dolore.
Ti guardo ancora, e una sensazione che mi assale troppo spesso in questi ultimi tempi si riaffaccia alla mia mente. Ripartire da zero è davvero l’unica via? Cancellare tutto ciò che noi abbiamo è un sacrificio che varrà il prezzo pagato?
Non riesco più a sopportare la mia colpa, e so che i miracoli sono solo vane illusioni. Non c’è alcun futuro per gli esseri umani in questo universo. Il crimine da me commesso non ha mutato questa cruda verità. L’umanità si trascinerà di mondo in mondo sino ad esaurirne le risorse, e poi si spegnerà, lentamente. Svanirà nel nulla da cui è venuta, senza lasciare traccia e senza neppure assurgere al rango di ricordo. I sepolcri non sono innalzati per coloro che giacciono nella fredda terra, ma per i vivi. E se infine non rimane più nessuno, a cosa servono gli altari eretti dagli uomini? A rammentare ad un Dio che non esiste questa fioca luce, che si è accesa e che è durata solo il tempo di un respiro?
Dobbiamo ricominciare, e chi meglio di colui che l’ha fatto già una volta può premere quel pulsante? Cosa posso perdere ancora oltre a ciò che ho già perduto? La mia anima? Un’anima come la mia deve solo essere perduta.
E’ davvero questa la strada che anche tu desideri percorrere? Sì, mi dicesti, e non sentiremo nulla. Cesseremo di esistere, come tutti. Nessun dolore, nulla, solo il nulla, e poi qualcosa che noi non vedremo e di cui non saremo coscientemente parte. Lo farò, Meeme, espierò la mia colpa e sarò il demone che spegnerà anche la speranza, ma dopo esigo la pace. Anche se vorrei continuare a sognare te.
Sorseggi il vino, le dita eleganti che sorreggono il vetro e le labbra delicate appoggiate su di esso, e mi parli del giovane Yama. Sì, lo so, è qui per uccidere me. Mi domandi il perché della mia scelta di prenderlo a bordo e mi chiedi cosa io stia aspettando.
“Forse un miracolo”, ti rispondo a voce bassa.
Anche se non credo nei miracoli.
Tu non dici nulla.
“Riderai di me”, aggiungo allora.
Sorridi e mi fissi, carpendo come sempre tutti i miei pensieri con quei tuoi occhi che mi paiono pozzi di oro fuso. Mi perderei in essi, lo sai?
“Non sono qui per giudicare”, mi dici, “Io osservo.”
Ora sorrido anch’io. Amo i tuoi tentativi di strapparmi a questa tristezza infinita. Ci riuscirai anche questa volta, lo so, anche se per una notte soltanto.
Di nuovo il silenzio e il ruggito della materia oscura che si danno battaglia oltre le vetrate. Beviamo lentamente, a piccoli sorsi, e quando i calici vuoti si staccano dalle nostre labbra non li riempiamo di nuovo. Ci alziamo, invece, insieme, e li deponiamo sul lungo tavolo. Tu ti avvicini a me, la tua mano che si solleva per accarezzare il mio volto e che invece incontra la mia.
“Parla”, sospiri.
Non serve che tu aggiunga altro. So a cosa ti riferisci. Accosto le mie labbra al tuo palmo e lo sfioro.
“Ricominciare … lo desideri davvero?”
Abbassi lo sguardo e fissi la tua mano stretta tra le mie. Intravvedo qualcosa in esso, un’emozione che lo attraversa prima che i tuoi occhi abbandonino il mio viso, ma è troppo rapida a svanire e non riesco a coglierne il significato.
“Ne abbiamo già discusso, Harlock”, rispondi.
Sì, lo abbiamo fatto, Meeme. Ne abbiamo parlato a lungo ed è inutile tornare a farlo. Non ho il diritto di riversare su di te anche queste mie ansie. Sorrido per te e seguo con le dita i contorni del tuo volto, chiedendoti tacitamente di tornare a guardarmi. Lo fai, come sempre.
“Scusami”, sussurro, “Suoni qualcosa per me?”
Sorridi anche tu, ora, e cerchi le mie labbra. Ci baciamo, a lungo e dolcemente … per il resto c’è tempo. Ti allontani senza parlare, e io ti accompagno sino all’angolo dove attende la grande arpa forgiata su Yura, quando l’umanità non sapeva ancora dell’esistenza delle stelle. Con gesti esperti mi aiuti a liberarmi degli indumenti non necessari … il mantello, i guanti, le protezioni metalliche, le armi, gli alti stivali … Ci sediamo entrambi, tu sull’elegante sgabello e io sulla sedia dall’alto schienale che attende dinnanzi ad essa.
Le tue dita accarezzano le corde, sfiorandole appena. La melodia che ne nasce conquista lo spazio intorno a noi ed allevia come d’incanto il tormento del mio cuore. E’ un canto di vita quello che tessi nell’aria, e poco importa se lo stai regalando ad un uomo che non riesce più a vivere pur non potendo morire. Perduto in esso seguo il movimento delle tue mani, e ti vedo suonare sotto un cielo più rosso e sotto un sole più freddo di quelli che io ricordo. Li riconosco. Sono il cielo e il sole di Yura. A volte me ne hai parlato, durante le nostre notti, nel silenzio di questa stanza rotto solo dalla tua voce. A volte, abbracciata a me nel nostro letto, hai nascosto il volto nell’incavo del mio collo e hai pianto senza lacrime per il tuo mondo, permettendomi di essere forte al posto tuo.
Vorrei che lo facessi sempre, Meeme, vorrei essere sempre la tua fonte di conforto, ma tu non vuoi concederti riposo e ti imponi di essere colei che mi sostiene, impedendo alle tenebre di sommergermi e al mio cuore di cedere. Non è la tua riconoscenza per ciò che ho fatto in passato a spingerti a comportarti così, lo so. Poteva esserlo un tempo, ma non ora. Ora entrambi sappiamo cosa si cela dietro a tutto questo e quali sono le parole giuste che dovremmo usare, eppure ancora esitiamo a pronunciarle.
Cosa stiamo aspettando, Meeme? Cosa sto aspettando, io? Credo forse che avrò un’occasione migliore di questa? Attendo di potermi inginocchiare dinanzi a te, con un anello e rose rosse in mano, prima di dirti che ti amo? “Lo so”, sussurrasti quando cercai di farlo la prima volta che ci amammo, il tuo corpo unito al mio e le tue dita sulle mie labbra. Mi hai salvato quella notte, Meeme, e forse io ho salvato te, e ora tutto il mio essere si ribella dinanzi al pensiero di cancellare questo sentimento che ci lega. Non soffriremo, tu dici, non ricorderemo … e allora cosa saremo? Polvere cosmica … frammenti di nulla … ma io voglio ricordare e se devo continuare a soffrire per poterlo fare, allora voglio soffrire. Non è possibile, anche questo so, e la mia anima trema.
Devo dirtelo prima, voglio dirtelo prima, vincendo il mio riserbo e non delegando ai gesti le mie intenzioni. Anche se lo sai già e anche se non me lo hai mai chiesto. Siamo diversi, tu ed io, usanze diverse, razze diverse e diverse biologie, eppure abbiamo entrambi parole per dar voce al nostro cuore e ormai ci conosciamo abbastanza per comprenderle. Non mi hai insegnato come potertelo dire nella tua lingua, ma ti ho udito tante volte sussurrare quella frase, quando forse tu credevi io dormissi, e dovrei dimenticare chi sono per riuscire a dimenticare il suo suono e il suo calore. Potrei ripeterla, questa notte, ma non lo farò. Conosco la tua lingua e in futuro la userò, ma la prima volta te lo dirò nella mia, di lingua, come hai fatto tu.
Il silenzio mi strappa ai miei pensieri. Hai smesso di suonare e mi osservi con una punta di preoccupazione nello sguardo. Non temere, va tutto bene. Mi alzo e prendo le tue mani tra le mie, invitandoti a fare altrettanto. La tua ansia svanisce e il tuo volto si distende in un lieve sorriso. Una scarica violenta squarcia il nero oceano in cui veleggia questa nave, e per un istante lo spazio intorno a noi viene saturato da una luce bianca ed innaturale. Il tempo di un respiro e questo eterno crepuscolo di nuovo ci reclama per sé.
Le tue dita allontanano una ciocca ribelle dal mio volto e seguono delicate i contorni della cicatrice che lo attraversa. Vorresti risanarla, ma non puoi farlo. Come non puoi cancellare la mia pena.
“Dubiti della tua decisione”, sussurri.
Ti guardo, sorpreso, e mi rendo conto all’improvviso che ancora una volta tu hai capito prima di me.
“Non c’è altra via”, le mie parole rivolte a me stesso prima che a te e la mia voce appena udibile.
La scelta è mia e tu rispetterai la mia libertà, come sempre hai fatto sin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati. E Yama, quel giovane che così tanto mi assomiglia e che è da me così diverso, è il mio miracolo che non si avvererà. 
Il tuo braccio circonda il mio e sento le tue labbra posarsi per un istante sulla mia guancia.
“Sei stanco e hai bisogno di dormire.”
Il tuo tono è caldo e gentile, come sempre quando ti rivolgi a me. Sì, sono stanco, ma questa notte voglio dimenticare di esserlo e voglio fingere di essere solo un uomo. Questa notte non ci sarà rimorso o colpa che mi impedirà di donare a te tutto me stesso. Domani sarò di nuovo capitan Harlock, lo spettro che ha imboccato per sua libera scelta la via della dannazione, ma almeno sino all’alba permettimi di essere soltanto Harlock, l’uomo che ti ama e che vuole dirtelo almeno una volta prima che il nulla lo richiami a sé.
Senza opporre alcuna resistenza mi faccio guidare verso il letto, ma dinnanzi ad esso mi fermo e con un gesto rapido mi chino e ti sollevo tra le braccia. Non l’ho mai fatto prima d’ora ed esulto di fronte al piacere che provo nel sostenere il tuo peso. Sei perfetta, Meeme, e anche ora il tuo corpo sembra disegnato per il mio. Rapito da questa nuova sensazione indugio per un istante e respiro il tuo profumo. D’istinto tu ti stringi a me e mi guardi meravigliata. Il mio sorriso si allarga mentre ti adagio, lentamente, sul rosso del copriletto. Senza interrompere il contatto tra di noi mi stendo accanto a te e cerco i tuoi occhi.
“Ricordi la nostra prima volta?”, ti domando.
Tu risplendi per un istante, i tuoi sentimenti e le tue emozioni nudi dinanzi a me.
“Sì”, rispondi.
Avvicino la tua mano alle mie labbra e bacio le dita che quella notte posasti su di esse.
“Evitando di dirtelo non soffrirò di meno, Meeme.”
La mia voce è un alito di vento nel silenzio che ci circonda. Chiudi gli occhi per un istante, e quando li riapri gocce di rugiada li abbandonano e svaniscono come polvere di luce.
“Se il mio popolo fosse ancora qui, Harlock, io sceglierei sempre te.”
Fatico a respirare, mentre un mare di emozioni si abbatte su di me nell’udire le tue parole. Il tuo volto si fa confuso e non mi interrogo sul perché.
“Io ti amo, Meeme”, ti dico, e quasi vacillo dinanzi alla gioia che provo nel farlo.
Non mi dovrebbe essere concesso stringere la felicità tra le mani, neppure per un istante, ma non me ne importa. Non ora.
Ti sento ripetere nella tua lingua quella frase che non volevi io ascoltassi e mi perdo nella sua melodia. Sembra il canto della primavera e dell’estate che non vedrà inverno, e non vorrei udire altro sino alla fine dei miei giorni. Non sarà così, lo so, ma ora non sono il capitano, sono solo l’uomo, e voglio illudermi per una notte soltanto che ci sia un futuro, domani, per noi. 
  
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