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Autore: Sherlocked_96    03/05/2014    0 recensioni
John, tornato a casa ubriaco, si dichiara a Sherlock, ma la mattina dopo non ricorda nulla. Sherlock, però, inizia a nutrire dubbi su cosa prova verso il suo coinquilino. Proprio quando decide di non far crollare la "barriera" che aveva innalzato attorno a sé, un terribile dolore lo porta in ospedale, dove gli viene diagnosticato un tumore.
[ritorno di Moriarty] [Johnlock]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO


Non riuscivo a capire se stesse scherzando. Ricevevo segnali di evidente probabilità, ma non ne avevo la totale certezza. Perché quel John Watson – palesemente ubriaco – che mi si stava dichiarando non poteva certamente avere un barlume di lucidità in testa.
Stranamente dovetti fare io l’adulto quella volta e lo feci sdraiare, ma quando mi tirò per un polso per farmi restare vicino a lui, non so cosa mi successe.
Rimasi folgorato. Nel muro di indifferenza che avevo alzato attorno a me era comparsa un’impercettibile crepa, e questo non andava bene per niente, sapevo benissimo che una crepa col tempo può far crollare la struttura.
In ogni caso, riuscii ad andarmene e a lasciarlo solo in balia del sonno e di una post-sbronza non da poco.
La mattina dopo lo vidi strascicarsi in salotto mentre leggevo. Si grattava la testa perplesso.
- Sherlock… cos’è successo ieri sera?
- Sei tornato a casa ubriaco, hai farfugliato cose senza senso – non ad un livello mentalmente più elevato dei tuoi standard, comunque – e sei andato a dormire.
- Ho farfugliato cose? – sembrava confuso, io ho annuito – Cose… di che tipo? – ha continuato.
- Niente d’importante, me ne sono già scordato.
Gli è sembrato sufficiente ed è andato lentamente verso la cucina in cerca della colazione. Ma io non avevo affatto dimenticato ciò che mi aveva detto.
“Sherlock… Sherlock!” aveva esclamato precipitandosi su per le scale.
“John?”
“Sherlock, questa sì che è – hic - una sbronza, credo – hic - di essere ubriaco fradicio”
“…Mi sembra una corretta deduzione”
“Allora tanto vale che te lo dica ora – hic -, che sennò poi quando mi ricapita, che cioè – hic - di solito, io, cioè, già…” barcollava per la stanza e ho deciso di posare il violino e avvicinarmi per assicurarmi che non cadesse.
Lui si è aggrappato a me e, fissandomi negli occhi, ha gioito: “Credo proprio di avere una – hic – gran bella cotta per te, Sherlock Holmes!” e subito dopo è scoppiato a ridere “Ce l’ho fatta, ora sì – hic - che mi sento realizzato! Penso che potrei andare a coltivare pecore – hic – assieme a te!”.
Al ché l’ho ovviamente messo a letto.     
Ho scacciato il flashback infastidito.
- John… sai niente su come si coltivano le pecore?
- Penso che le pecore non si coltivino, Sherlock, a quanto ne so si allevano.
- Ma se si coltivassero avresti voglia di cimentartici?
- Mah… credo proprio di no… Ma da dove spunta fuori questo discorso? – ha chiesto affacciandosi dalla cucina con in mano un cucchiaino e il naso sporco di marmellata.
- Così – ho alzato le spalle.
- Uhm. – è tornato in cucina.
Ho ripreso la lettura di un libro sulle abitudini delle api, ma non riuscivo a concentrarmi. Cosa diamine mi prendeva? Le mie facoltà mentali non si erano mai opposte al mio volere, e se io volevo che si concentrassero sulle api non potevano divagare sulla coltivazione di pecore! Be’, non proprio su quello. Più sulla strana entità che dalla cucina mi chiedeva se quel pomeriggio potessi passare a comprare il latte.
- Va bene.
- Va bene? – si è nuovamente affacciato in salotto, incredulo. Stavolta in mano aveva un panino, chiaro risultato del cucchiaio e del naso sporco.
- Sì, va bene, lo prenderò.
- Come… da dove viene tutta questa disponibilità?
- Oggi Lestrade mi ha chiesto di passare per la sua divisione per risolvere un caso di omicidio, ma mi sembra già chiaro dai verbali che sia stato il giardiniere. Comunque ci andrò lo stesso, così al ritorno potrò passare a comprare il latte.
Lui parve stupito. – Questa è sicuramente una cosa che non ci si aspetterebbe da te, sai?
- Ho solo accettato di passare al miny-market qua sotto.
- Lo Sherlock che conoscevo prima sicuramente non avrebbe acconsentito – sembrava divertito, ma iniziava ad infastidirmi.
- Preferivi lo “Sherlock che conoscevi prima”?
- Ma no, intendevo… non ti sarai mica offeso?
- E perché mai dovrei essermi offeso?
- Uhm, no, appunto. Comunque puoi stare tranquillo, di sicuro ti preferisco adesso che vai a comprare il latte.
Un debole brivido mi attraversò mentre il mio coinquilino saliva in camera sua per cambiarsi. Perché mai, con tutti gli animi umani con cui ero a contatto, l’unico che non riuscivo a controllare doveva essere proprio quello di John Watson?
Nel pomeriggio – confermata la mia teoria sul giardiniere omicida – passai al miny-market. Comprai anche un barattolo di marmellata alle ciliegie.
- Ecco John, hai visto che ce l’ho fatta? – ero piuttosto fiero di me mentre risalivo le scale – Ti ho preso anche qualcos’altro, magari riesci a dedurre di cosa si tratta senza che… Oh. – il mio entusiasmo scomparve di colpo alla vista del mio coinquilino e della sua attuale ragazza che pomiciavano sul divano. Sul MIO divano.
- Sherlock, aehm, non ti aspettavo così presto – ha balbettato John staccandosi dalla fidanzata.
- Avevo immaginato. Ma non preoccupatevi per me, vi lascio alla vostra… intimità – ho bruscamente posato la busta di plastica contenente marmellata e latte e sono salito di corsa nella mia stanza.
Non ho neanche fatto in tempo a vedere l’espressione di John.
Mi sono seduto sul bordo del letto e mi sono passato le mani sul viso, per tentare di controllarmi. Avevo il fiatone e il battito cardiaco accelerato, ma ero sicuro che non centrassero niente con i pochi scalini saliti velocemente.
Dovevo calmarmi. Da quando mi lasciavo condizionare dai sentimenti? Solo perché la sera prima il mio coinquilino – con lo stomaco pieno di alcol – mi si era scherzosamente dichiarato, stavo andando in tilt. Non era accettabile.
Ovviamente non era stato il primo a “confessarmi il suo amore”, ma ero sempre riuscito a scansare elegantemente storielle e sentimenti. Perché con lui non succedeva? No, no, doveva star succedendo. Mi ero solo lasciato prendere dal momento, nulla più. Non provavo nessun sentimento amoroso o quantomeno passionale nei confronti di John Watson.
Mi faceva rabbia piuttosto che la sua attuale preda fosse una cameriera di origini americane – con non poche relazioni puramente carnali alle spalle – e con un’evidente dipendenza dall’alcol. Magari si erano conosciuti la sera prima. Tuttavia non avevo dati certi in proposito. La mia capacità di deduzione si riduceva notevolmente – scoprii in quel momento – quando ero condizionato dai sentimenti. Ma che mi mettevo a pensare! Non ero affatto condizionato dai sentimenti, no.
Mi girava la testa. Senza accorgermene, mi addormentai.

Quando riaprii gli occhi tutto mi apparve confuso e mosso; probabilmente avevo dormito troppo per i miei standard, ma non potevo permettermelo: c’era un caso ben più interessante di quello del giardiniere a cui mi stavo dedicano; avevo bisogno della mia dose di eroina o sarei andato in astinenza; dovevo trovare un modo per evitare che Mycroft rivelasse a mia madre che avevo ripreso a drogarmi; se non ci fossi riuscito avrei dovuto escogitare un modo per non essere rinchiuso in un centro di riabilitazione, e…
Improvvisamente, tutti i miei pensieri vennero cacciati via. E sostituiti da un altro, fastidioso e prepotente quanto incredibilmente forte e vicino. John.
Aveva una mano sul mio braccio. Era in piedi vicino al letto.
- Ben svegliato, Sherlock – quando ebbi il tempo per mettere a fuoco il mondo attorno a me, notai che mi stava sorridendo – Stavo per ordinare la cena al ristorante cinese, prendo qualcosa anche per te?
- La digestione… mi rallenta. Che ore sono?
- Quasi le otto.
- Le otto?? – mi sono alzato di scatto e sono quasi caduto in avanti.
- Sì.            
- Da quant’è che dormo?
- Non saprei… appena sei arrivato e sei salito in camera Hanna se n’è andata, non so bene quando ti sei addormentato, ma quando sono salito, verso le cinque e mezza, lo eri già.
- Ho dormito troppo – mi sono passato una mano tra i capelli, in un gesto nervoso che speravo e non credevo che John notasse.
- A proposito, grazie per aver preso il latte. E anche la marmellata. Quella di ciliegie era finita – il suo sorriso era incredibilmente largo e candido. Ho distolto lo sguardo.
- Figurati.
- Be’, io ti ordino un paio di involtini primavera, poi se non li mangi li finisco io – ed è sceso giù per le scale.
Ho guardato la sua figura allontanarsi aggraziata prima di seguirlo in salotto. Lo strano brivido persisteva lungo la mia spina dorsale. Avrei fatto meglio a guarire da quella cosa, o la mia vita sarebbe diventata un inferno inconcludente.
A cominciare dal fatto che mi aveva costretto a mangiare un involtino disgustoso e a vedere uno stupido film alla tv. Merda, il mio caso non poteva aspettare, il mio cervello fremeva alla prospettiva di lavorarci. Ma pareva fosse andato momentaneamente in stand-by.
Ho gettato uno sguardo a John, seduto vicino a me, che ridacchiava per una battuta idiota del film. Sembrava così dannatamente felice. E per un attimo, forse, fui felice anch’io.
Fu allora che lo sentii. Un dolore proprio al centro della testa. Insopportabile, lancinante. Mi accasciai a terra. Non poteva essere overdose, non avevo preso la mia dose quel pomeriggio.
L’ultima cosa che vidi fu uno John molto sfocato che si precipitava su di me. Il mio medico, il mio John.
Persi i sensi.


NOTE DELL’AUTRICE
Salve a tutti e grazie per aver letto fin qui!
Questa è la prima ff che scrivo su efp, per cui mi scuso in anticipo se ci sono errori di ortografia o di altro genere.
In realtà ho già scritto tutta la storia – oltre al prologo ci sono altri 5 capitoli –, per cui se vi piace fatemelo sapere e inizierò ad aggiornare frequentemente e con regolarità.
Sono ben accetti critiche, commenti e quant’altro, grazie in anticipo a tutti coloro che recensiranno!
Un saluto, al prossimo capitolo.

 

  
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