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Autore: Shiori Sato    23/07/2008    1 recensioni
Avvincente, divertente, esilarante, un po' folle. S'è intuito che la scrittrice (tra le sue innumerevoli qualità) non ha la modestia?
Leggere per commentare questa nuova storia con una nuova protagonista che...
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Orochimaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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1° Capitolo

 

 

 

10 anni fa…

 

Una bambina correva veloce come inseguita da un nemico invisibile. La vista annebbiata dalle lacrime che le rigavano il volto le impedivano di vedere chiaramente dove andava, ma non le importava. Non le interessava saper ritrovare la strada di casa, perché era proprio da li che stava fuggendo.

Dieci, cento, mille alberi intorno a lei, cespugli più o meno spinosi talvolta graffiavano la sua pelle bianchissima e strappavano il suo kimono.

Ma la ferita più dolorosa e profonda era nel cuore.

Si fermò senza fiato, con le gambe che dolevano e gli occhi grigi più grandi del solito che si muovevano a scatti cercando qualche segno di riconoscimento per capire dove si trovava. Niente.

Nuove lacrime presero a scendere, ora spinte anche dalla stanchezza e da una paura che le strozzava il respiro.

Si accucciò con la schiena appoggiata ad un albero osservando le ombre che la circondavano, tremando ad ogni rumore che sentiva. Solo la luce della luna e delle stelle le faceva compagnia, e, abbracciando le gambe con le braccia, chiuse gli occhi cercando di tranquillizzarsi.

Il battito martellante del suo cuore le rimbombava nella testa e sentiva le tempie pulsare dolorosamente. I singhiozzi che stava calmando con una certa difficoltà non la facevano respirare regolarmente e solo dopo un po’ riuscì a riprendere il controllo di se.

Tutte quelle emozioni confuse si erano placate e adesso sentiva più chiaramente i suoi pensieri, dapprima soffocati da un dolore troppo grande per essere ignorato.

Riaprì gli occhi guardando il  terreno davanti a lei. 

 

“Perché?”

 

Era l’unica cosa che riusciva a pensare. Perché il padre la disprezzava così? Perché non possedeva il byakugan? Ma lei che colpa ne aveva? Era arrivata ad odiarsi per questo, si odiava perché tutti le davano la colpa di essere il disonore della famiglia. Come se avesse scelto lei di non possedere il leggendario dono innato degli Hyuuga. Tutti gliene avevano sempre fatto una colpa, tutti l’avevano sempre guardata con occhi accusatori, ma quello che più le faceva male era la totale indifferenza di Hiashi, suo padre. Dopo che ebbe la conferma che la piccola Nami non possedeva il byakugan,  non si era preso neanche la briga di continuare il suo addestramento.“Troppo  debole” aveva detto.

E quella sera la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Si erano incrociati nel corridoio, padre e figlia, e come sempre Nami aveva biascicato un timido saluto a cui Haishi aveva risposto con un cenno del capo appena percettibile e una delle sue occhiate gelide. Nami non si spiegò mai cosa le scattò dentro, ma si fermò e si girò a guardare la figura imponente del padre che stava per svoltare l’angolo. Lo chiamò, prima quasi in un sussurro, poi gridando.

-Si…?- chiese quello senza girarsi. I lunghi capelli castani gli cadevano sulle spalle seguendo i suoi movimenti. Inclinò appena la testa in attesa di una risposta. Nami si sentì le parole morire in gola.

-Se sia colpa mia o meno non lo so- disse in un sussurro –Ma se non vi chiedo di essere amata, vi chiedo almeno di essere disprezzata. E’ di certo meglio di questa indifferenza.- concluse. Le lacrime stavano cominciando a salire,ma voleva, doveva trattenerle.

-Hai finito?- ribatté gelido quello.

Nami perse un battito.

Senza aspettare oltre il capo famiglia continuò per la sua strada, lasciando dietro di se la piccola Nami. Era rimasta come pietrificata, non riusciva a pensare, si sentiva la testa…vuota. E così scappò.

 

“Via da qui, voglio andarmene! Dove nessuno sa chi sono, dove non debba sentirmi in colpa anche solo perché voglio vivere!!!”

 

E adesso eccola li, rannicchiata e sola.

Un frusciare di foglie la fece sobbalzare. Non scappò, rimase lì, immobile, aspettando non si sa bene cosa.

Un’ombra avanzò facendosi vedere sempre più chiaramente e per un attimo Nami sperò che fosse il padre. Ma la sua speranza venne infranta quando un uomo dai lunghi capelli corvini le si parò davanti. Occhi scuri e una pelle stranamente grigiastra. Squadrò la piccola Nami, poi il suo sguardo si addolcì e le sue labbra si piegarono in un sorriso.

-Cosa ci fa una bambina da sola in un bosco, a quest’ora per giunta?- chiese gentilmente

Nami sentì la paura mandarle in tilt il cervello. Adesso era veramente nei guai.

-Allora?- disse l’uomo facendo un passo avanti

Non rispose. Fissò ostinatamente un punto indistinto del terreno mentre il cuore riprendeva a battere più forte. Evidentemente l’uomo intuì la sua paura.

-Non avere paura di me, non voglio farti del male.- si inginocchiò cercando i suoi occhi –Dove sono i tuoi genitori…?-

Nami esitò un attimo, poi buttò lì, di getto:

-Non li ho.-

Sentì il nodo alla gola stringersi.

L’uomo si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, facendole alzare piano la testa.

-Sei sola?-

Nami stava per rispondere di si, ma il viso di Hinata, che all’epoca aveva tre anni, si fece spazio nella sua testa. Cosa doveva rispondere? Sicuramente quell’uomo avrebbe indagato e...

-Si, sono sola…- disse in un sussurro appena udibile. Guardò fugacemente il viso del suo interlocutore, poi ritornò a fissare il terreno.

-Capisco…- l’uomo si alzò –Non posso lasciare una bambina da sola –disse tendendole una mano –Forse ti risulterà difficile ma…devo chiederti di fidarti di me.-

Nami rimase sorpresa da quel gesto. Guardò prima la mano, poi il volto dell’uomo che la guardava in modo rassicurante.

 

“Non ho nulla da perdere”

 

Prese la sua mano e si alzò. I lunghi capelli neri le ricaddero sulla schiena, scomposti e spettinati.

-Come ti chiami?- le chiese lui

-Nami…- rispose la bambina tralasciando volutamente il cognome. Lui non lo domandò

-E quanti anni hai?-

-Sette –

-Bene, d’ora in poi mi prenderò cura di te. Vieni.- e cominciarono a camminare

-Signore…?- chiese timidamente Nami.

-Si…?-

Era come le aveva risposto il padre, ma quel si era del tutto diverso. Era gentile, caldo, come lei non aveva mai sentito. Lui la guardò aspettando che parlasse.

-Come posso chiamarvi?-

Lui sorrise:

-Io sono Orochimaru.-

Nami annuì e tornò a guardare di fronte a se, stringendo più forte quella mano. E si sentì felice quando la sua stretta fu ricambiata. Finalmente qualcuno che le volesse bene, finalmente qualcuno che la guardava con occhi diversi.

 

 

Oggi…

 

Era la prima volta che tornava a Konoha. Dopo dieci anni di duro allenamento era tornata da dove era partita, il che le dava una sensazione che ancora, da quando aveva lasciato Kiri, non era riuscita a decifrare.

Rabbia?

Forse

Vendetta?

No

Voglia di riscattarsi?

Può darsi

Fatto stava che adesso era di nuovo lì e riconosceva alcuni profumi familiari, come quello che veniva dal negozietto che vendeva il miglior ramen della città, e alcuni posti che ricordava più o meno chiaramente.

Sospirò.

Era da parecchio che era in viaggio ormai e le gambe imploravano pietà; doveva riposarsi. Una pensione poco lontano attirò la sua attenzione e senza pensarci due volte vi si recò sperando avessero una camera libera. Un paffuto signore sulla cinquantina l’accolse con un gran sorriso annuendo alla sua domanda sulla disponibilità delle camere. Nami si guardò un po’ intorno: era un posticino semplice e accogliente. Il simbolo di Konoha in bellavista su una parete e qualche quadro dai colori accesi appeso qua e là ravvivava l’ambiente. Il pavimento di legno un po’ troppo rumoroso era coperto da un piccolo tappeto e delle piante verdi e rigogliose concludevano l’arredamento. La sua camera era anch’essa semplice e accogliente a suo modo, ma con la visuale rivolta proprio ai ritratti degli Hokage scolpiti nella roccia. E sotto vi era la residenza dell’Hokage. Una certa Tzunade, a quanto sapeva Nami.

Il maestro Horochimaru le aveva detto che quella donna era uno dei tre ninja leggendari ed era il più grande medico che la storia conoscesse.

 

“Dev’essere davvero una donna straordinaria…”

 

Orochimaru l’aveva messa in guardia anche riguardo alla sua forza fisica. Una forza fuori dal comune capace di polverizzare. Chissà poi il perché di tutti questi avvertimenti, non aveva nessuna intenzione di avere uno scontro ravvicinato con lei. Scrollò le spalle quasi per allontanare quei pensieri; adesso voleva solo riposare. Si stese sul letto lasciando la giacca su una sedia e guardò un’ultima volta il cielo sereno fuori dalla finestra. Il sole le piaceva, anche se adesso  suoi occhi preferivano i luoghi bui. A Kiri spesso  c’erano temporali tutto l’anno, mentre a Konoha d’estate spesso non pioveva per settimane. Qualche gocciolina di sudore le scese lungo il viso, infastidendola. C’era caldo, ma dopotutto l’estate era appena iniziata e non poteva pretendere freddo e neve.

 

“Basterebbe un po’ di venticello fresco…odio svolgere missioni con questo caldo!”

 

Pensò prendendo il suo zaino che aveva precedentemente depositato sul letto. Lo aprì e ne estrasse un copri fronte. Le quattro ondine che vi erano incise indicavano chiaramente che era un ninja del Villaggio delle Onde. Lo strinse forte e, dopo averlo rimesso a posto, si addormentò pensando alla missione che l’aspettava.

 

 

Continua....

  
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