Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Sunuxal    04/05/2014    2 recensioni
Impensabile, che Gellert fosse un semplice cattivo alla Voldemort: perché servivano più che cervello e riccioli biondi per portare un uomo intelligente ed integro come Dumbledore ad amarlo.
[Traduzione dal tedesco]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap 1 Note dell'autrice: Questa storia non tratta scene di sesso, nel caso qualcuno se le aspetti – o le tema. *g*
Ho invece cercato di scoprire che tipo di carattere potesse avere Grindelwald e come apparisse il suo rapporto con Dumbledore.
Un semplice "Dumbledore si prende una sbandata ormonale per un bastardo a causa dei suoi dolci riccioli biondi" l'avrei ritenuto OOC quanto Hagrid in biancheria di pizzo rosa. ;-)


Note del traduttore: una tardiva attenzione per la coppia Albus/Gellert e un'improvvisa voglia di ripassare il mio tedesco mi hanno portato su FanFiktion.de, dove ho trovato questa fanfiction che volevo proprio far conoscere sul fandom italiano (e ce ne sono un altro paio in lista d'attesa, ma adesso pensiamo a questa).
Questo è il link alla storia originale.





Ein Sommernachtstraum – Sogno di una notte di mezza estate



Preludio



Albus si svegliò, quando frammenti di ricordi gli provocarono un'ondata di adrenalina nelle vene che gli fece tremare il corpo e ordinò al suo spirito – ancora per metà nelle grinfie del sonno – di combattere.
Con movimenti bruschi tastò intorno a sé. La punta delle dita che cercavano toccò del legno sottile e levigato, la mano destra vi si chiuse intorno – ma la bacchetta non si lasciava spostare, come se avesse messo radici.

Albus si costrinse ad aprire le palpebre incollate fra loro.
Gli si presentò una penombra confusa, dove solo alcuni oggetti chiari si stagliavano indistinti nell'oscurità che li circondava.
Era sdraiato sulla pancia e aveva chiuso la mano destra su una delle stanghe della testata del letto.
Albus allentò la presa e con un respiro profondo abbassò la fronte dolorante sul braccio.

Nessun ordine urlato, nessun grido di uomini impauriti e feriti, nessun suono d'allarme, nessun nitrito di cavalli nel panico, nessuno scampanellio di autopompa.
Lo circondava il silenzio, un silenzio pieno di pace.
L'aria odorava solo leggermente di cera d'api per lucidare – non di fumo, polvere di pietre, fosforo, fuliggine e sangue.

Albus si costrinse a muovere le membra pesanti e si girò pesantemente da un lato, per riuscire infine a sedersi.
Quando tirò giù le gambe dal letto e i piedi toccarono il pavimento, una sfera di luce dorata divampò alla sua sinistra.   
Per alcuni minuti Albus rimase completamente impassibile, seduto sul bordo del letto, e si concentrò con tutti i sensi sull'ambiente circostante. La magia intorno a lui era incredibilmente forte, si sprigionava dalle pietre delle pareti, dal pavimento e dal soffitto, da ogni oggetto, persino dall'aria stessa. Un'aura che Albus conosceva dai luoghi che erano stati, per molti secoli ininterrotti, punti focali di attività magiche. E c'era qualcos'altro, qualcosa che non riusciva davvero a cogliere.

Albus rinvenì i suoi occhiali sul comodino, li prese e li inforcò. Esaminò l'ambiente circostante fin dove arrivava il bagliore smorzato della sfera dorata: letto, sedia, comodino, uno specchio ovale a figura intera in una cornice girevole. Niente che davvero gli rivelasse dove si trovava.

Quando Albus si alzò completamente, la sfera di luce lo accompagnò nel percorso verso la porta, librandosi di appena un braccio sopra la sua spalla. I suoi piedi nudi affondavano fin quasi alle caviglie nell'alto pelo del tappeto, che gli si avvolgeva intorno alle dita come pelo d'animale.
Albus afferrò la maniglia, la spinse e trovò la porta chiusa a chiave.

La seconda porta, di fronte ai piedi del letto, si lasciò invece aprire. Conduceva in un grande bagno inondato di luce, che dava l'impressione di entrare in un enorme caleidoscopio. Il soffitto era costituito da una cupola di vetro a piombo dagli splendidi colori; la luce che cadeva attraverso i frammenti gettava ombre variopinte sul marmo bianco delle pareti, sul pavimento e sulla superficie dell'acqua nella vasca inserita al centro della stanza, le cui dimensioni si guadagnavano in realtà l'appellativo di piscina.

La porta si chiuse lentamente e senza far rumore dietro ad Albus, non appena fu entrato del tutto.
Non tentò subito di vedere se si sarebbe lasciata aprire di nuovo, ma si rassegnò alle circostanze e decise di approfittare della situazione.

Portava un pigiama di lana cashmere naturale, così morbida che, quando lo sbottonava, le sue dita screpolate rimanevano sempre impigliate nel tessuto raffinato.
Constatò che le numerose piccole ferite – escoriazioni, tagli e bruciature, contusioni – che si era procurato nei giorni precedenti, erano completamente guarite.
E per la prima volta da mesi non avvertì più quella stanchezza che era ormai diventata sua compagna permanente.
Una stanchezza inevitabile, dato che Albus lavorava durante il giorno come ricercatore alla facoltà magica del King's College, teneva lezioni e seminari, si occupava di studenti demoralizzati – la cui cura era un'emergenza specialmente in tempi come quelli – e cercava di prepararsi per l'abilitazione.
Di notte ottemperava ai suoi doveri come coordinatore degli Ausiliatori.
Il compito di queste truppe consisteva nell'allontanare il carico mortale che i dirigibili imperiali gettavano su Londra, renderlo innocuo o – nel caso in cui ciò si rivelasse impossibile – fare in modo che i danni fossero più lievi possibili.
In quella guerra, che si combatteva fuori dai campi di battaglia, non c'era alcuna differenza tra Babbani e maghi: agli ordigni esplosivi faceva lo stesso, se versavano sangue puro o sporco; i muri che crollavano non si curavano di seppellire sotto di sé un appartenente all'Ordine di Merlino o un Magonò.

Distruggere quegli stessi, enormi dirigibili era quasi impossibile, lo si era constatato fin dall'inizio: il gas nelle celle del corpo volante esplodeva trascinando nella morte i sabotatori, oppure si riusciva solo a rendere il dirigibile sempre meno in grado di volare, la qual cosa significava che al suo equipaggio rimaneva comunque il tempo di provocare i danni per cui erano venuti.
Ciò che i maghi potevano tentare di fare era bloccare il meccanismo di detonazione delle bombe, cosicché avrebbero causato relativamente pochi danni dovuti all'impatto col loro peso. La variante di gran lunga più pericolosa consisteva nell'allontanare quei proiettili mortali, così da farli esplodere fuori dalla città, in aperta campagna.
Entrambi i sistemi erano oltremodo rischiosi. Quasi non esistevano ricerche sull'influsso che la magia aveva sulla meccanica babbana, così in sostanza nessuno sapeva davvero cosa provocavano quando bloccavano i detonatori: sembrava esserci una resistenza naturale per ciò che concerneva l'interazione tra meccanica babbana altamente sviluppata e magia. Raramente un intervento andava come previsto, dato che spesso arrivavano esplosioni troppo inaspettate; perché erano proprio quei flussi arcani ad aver azionato i detonatori delle bombe.

Il secondo grande problema era che naturalmente non si poteva giungere a nessun accordo con i militari babbani britannici, e si dovevano prevedere reazioni e scoperte inaspettate sia da parte dei propri compatrioti che da parte del nemico.
Erano necessari una rapida capacità di reazione, talento nell'improvvisazione e, non ultimo, un grande potere magico, perché le prestazioni degli Ausiliatori non fossero giudicate fin dal principio come operazioni suicide da fermare.
Esattamente di queste capacità disponeva Albus Dumbledore, e proprio questo era il motivo per cui in pochi mesi era passato da semplice volontario a capo dei Commandi Ausiliari dell'Inghilterra meridionale.

L'ultima cosa che Albus ricordava prima del suo risveglio era l'essersi alzato in volo con una delle truppe volanti.
Normalmente non andava in prima persona, ma nei giorni precedenti c'erano state tante perdite tra le squadriglie a cavallo di scopa, che gli era sembrata la cosa più sensata da fare.
La sua piccola squadriglia, composta da una decina di uomini, era volata alla massima velocità in direzione sud, dato che un gufo da Dover li aveva raggiunti con la notizia che un altro di quei dirigibili infernali era riuscito ad attraversare il Canale della Manica.
I gufi. Un altro problema.
Dall'inizio dell'anno la popolazione britannica dei gufi era stata afflitta da uno strano fenomeno: gli animali perdevano il loro carico, giungevano al destinatario (o a persone completamente sbagliate) solo dopo diversi giorni, o arrivavano persino ad inselvatichirsi. Il lato ingenuo delle ricerche riteneva possibile una strana malattia, ma Albus era convinto, come molti altri, di avere a che fare con una maledizione in grande stile da parte di maghi continentali.
Avesse avuto ancora qualche dubbio sul fatto che anche i maghi e le streghe della parte avversaria prendessero parte alla guerra dei Babbani, questi si erano ridotti al minimo.

Il dirigibile nemico si era spinto piuttosto avanti nell'entroterra, come avevano temuto. Si trovava sopra Kingston, un sobborgo di Londra. Si dovevano sbrigare, se volevano ancora azionare le cariche esplosive.
Volarono sotto la cabina col carico, da dove venivano lanciate le bombe. Poi fu tutto troppo veloce. L'istinto di Albus lo avvertì che qualcosa non andava; diede ordine di ritornare ma Godwin, che di solito guidava la squadriglia, non lo sentì – o non volle sentirlo. Lo sportello sul fondo della cabina si spalancò e ne caddero non bombe, ma una dozzina di funi. Invece di seguire la corrente d'aria, sferzavano in tutte le direzioni, come i tentacoli di una piovra. Albus gridò agli altri di tornare indietro, sentì qualcosa di duro frustargli il petto, tanto che fu quasi sbalzato giù dalla scopa. All'ultimo momento riprese l'equilibrio e decise di seguire l'ordine dato da lui stesso, quando vide che Godwin era stato avvolto da una delle corde.
Visto!
L'incantesimo di disillusione dal quale erano stati circondati i membri della squadriglia, e che non era stato rivelato dal faro orientabile, era sciolto! Un forte scoppio – i Babbani sparavano loro addosso! Albus mirò alla fune che teneva stretto Godwin; l'uomo non poteva nemmeno agitare la bacchetta, perché il braccio destro era pressato contro il suo corpo dalla corda. La magia di Albus la colpì, ma non poté fare nulla. Albus tentò con un altro incantesimo di allentamento, ma mancò Godwin, dato che all'ultimo momento aveva dovuto spostarsi perché una delle altre funi si era lanciata verso di lui. Si tuffò verso il basso per il rotto della cuffia e gridò a Godwin di smaterializzarsi. Ma lui non poteva. Qualcosa in quella maledetta fune glielo impediva. Albus tentò con un incantesimo di ritorno dell'Incarceramus. Nulla.
Un altro scoppio, e un grido. Non da Godwin, ma dall'equipaggio del dirigibile. Apparentemente temevano che il tiratore bucasse il telo dell'aerostato, mirandovi così vicino.
Albus tentò con un incantesimo Incendio, che colpì la fune appena sopra alla testa di Godwin. Con suo sommo sgomento, la magia funzionò.
La corda prese fuoco.
L'Ausiliare, non più trattenuto da alcunché, cadde come una pietra. Albus lanciò un incantesimo di sospensione multiplo nel buio sotto di lui, ma l'istante successivo una delle funi lo frustò in pieno viso e lo sbalzò giù dalla scopa.
Era caduto, questo gli era vagamente chiaro.
L'ultima cosa che era giunta ai suoi sensi era stato un dolore acuto alla caviglia destra e uno strattone che sembrò spezzargli il corpo.

Il pulsare dietro la fronte era diventato così violento che Albus non sapeva se quei punti tremolanti davanti agli occhi venivano dalla cupola in vetro o erano provocati dal suo mal di testa.
Fece qualche respiro profondo e si staccò dalla parete contro cui era appoggiato.
Dopo aver usato gli altri impianti sanitari, si lasciò scivolare nella vasca della piscina. L'acqua aveva proprio la temperatura giusta e in uno slargo a forma di conchiglia lungo il bordo si trovava un'unica bottiglia di vetro a filigrana. Albus tolse il tappo in vetro: un odore familiare – di olio di legno di sandalo, con un pizzico di noce moscata e canfora – gli salì su per il naso.
Qualcosa, che non divenne davvero un sorriso, storse leggermente un angolo della sua bocca.  

Versò una minuscola quantità di olio nell'acqua del bagno e si appoggiò al curvo bordo della vasca.
Tutte quelle sensazioni – il piacevole calore dell'acqua, il profumo dell'olio e la lenta danza delle chiazze di luce sull'acqua – ad un certo punto fecero sì che i suoi muscoli si rilassassero automaticamente.
Non si preoccupava troppo del proprio destino. Aveva intuito dove si trovava. O, per meglio dire, di chi era... ospite.

Il dolore alle ossa e quella sensazione confusa alla testa sembravano essere stati provocati in gran parte dallo sforzo, perché quando alla fine uscì dalla vasca i suoi acciacchi erano quasi completamente scomparsi.
Avvolto in uno dei grandi e morbidi asciugamani, entrò nella stanza in cui si era svegliato – e strizzò gli occhi stupito in quella luce chiara.
Quelli che nella penombra aveva preso per gli sportelli di un armadio a muro, erano in realtà delle persiane che arrivavano fino al pavimento e che – ora aperte – lasciavano entrare nella stanza luce e aria fresca, incredibilmente limpida. Offrivano però una vista solo su un grande balcone orlato da una grata ricoperta di bouganville fiorite color viola scuro. Quando Albus uscì sul balcone, poté solo osservare il perfetto cielo blu estivo; la vista ai lati e verso il basso gli era negata.

La stessa stanza era grande e ammobiliata in modo spartano. Ma la frugalità non era segno di povertà, anzi al contrario di un gusto squisito che dava modo ad ogni quadro, ogni mobile e ogni vaso di presentare la propria raffinatezza indisturbati.
Accanto al letto, su una sedia c'erano dei vestiti puliti: l'abito era rosso bruno, confezionato in modo esclusivo come tutto in quel posto, e corrispondeva perfettamente alla tonalità di colore dei capelli di Albus. C'erano anche delle scarpe coordinate simil mocassino, in morbida pelle nabuck. Nemmeno nei giorni felici, quando i suoi genitori erano ancora vivi e le finanze della sua famiglia corrispondevano ancora al loro venerabile nome, Albus aveva mai avuto scarpe simili.

Finito di vestirsi, provò di nuovo la prima porta e non fu davvero sorpreso quando stavolta la maniglia si abbassò sotto la sua presa, e la porta si aprì silenziosamente verso l'esterno.
Entrò in un corridoio illuminato, come il bagno, da un lucernario a volte di vetro a piombo. Due porte più in là, il corridoio terminava a destra in una nicchia riempita dalla statua a grandezza naturale di un fauno che suonava il flauto.
Albus svoltò quindi a sinistra, oltrepassando porte che non si differenziavano per nulla da quella attraverso cui era appena entrato. I quadri sulle pareti mostravano paesaggi nei quali non si vedeva alcun essere vivente.

Il corridoio sfociò in una grande sala, la cui parete sud era costituita da una facciata di vetro; dietro seguiva un'ampia terrazza. Albus scese le scale arcuate, attraversò la sala e uscì sulla terrazza dai battenti aperti.
Un panorama magnifico si offriva al suo sguardo. Dopo un fuggevole momento di esitazione attraversò la terrazza e si appoggiò alla balaustra per guardare giù: sotto di lui c'era un ampio giardino, un parco che si estendeva su un dolce pendio. Non se ne vedevano i confini, i prati scomparivano da qualche parte nella nebbia che si alzava dal verde scuro a malapena riconoscibile di un bordo di alberi.
Su ogni cosa si ergeva una mezza dozzina di maestose cime di montagna, le cui vette coperte di neve erano coronate da bianche nuvole piumose.

"Impressionato?" chiese una voce dall'inconfondibile accento.


*  *  *
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Sunuxal