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Autore: Let_It_Beatles    04/05/2014    2 recensioni
John capisce finalmente che solo con Paul può essere completo e felice.
Ma non sempre la vita va come vorremmo.
Ho dovuto mettere angst ma è anche molto fluff!
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Questa è la mia seconda pubblicazione e spero di essere migliorata rispetto alla precedente! L'inizio della storia andrebbe in corsivo ma non utilizzando il computer non sapevo come fare, quindi dovrete accontentarvi delle virgolette e in generale di una grafica un po' approssimata! Scusate:) Questa pubblicazione avviso che è un po' lunga! Se non avete tempo leggetela "a puntate" ma credo che valga la pena arrivare al finale! E non lasciatevi spaventare da un inizio un po' "nebuloso"..capirete più avanti!:) Enjoy it!




"I suoi piedi si mossero veloci scendendo le scale dalla camera al pianerottolo, una mano aprì la porta mentre l'altra afferrò la banconota sul tavolo, le orecchie ignorarono le urla di zia Mimì, le gambe quasi corsero verso il negozio e le sue dita finalmente si strinsero intorno alla carta argentata e liscia di una barretta di cioccolato.
Era stato tutto un attimo, come tanti piccoli flash ed ora improvvisamente si trovava seduto a terra, intorno a lui una distesa di fragole si perdeva oltre la vista.
Il cielo era di un azzurro pallido, quasi bianco.
I raggi del sole primaverile rendevano l'atmosfera un po' annebbiata, ma il calore sulla pelle era piacevole e John poteva sentirli penetrargli nell'anima, ad asciugare le piaghe di un lungo e freddo inverno.
"Sei sicuro di voler davvero dividere la tua cioccolata con me?" disse Paul e i suoi occhi si illuminarono in un'espressione di dolce stupore. John sorrise.
Già, eccolo il suo sole.
Era lui che gli stava scaldando l'anima, era lui a cui John girava intorno, attratto da una forza quasi cosmica.
Con un gesto secco divise a metà la barretta che teneva tra le mani. Iniziò ad assaporare la sua parte in modo distratto mentre tutta la sua attenzione era rivolta verso l'amico.
John fissò quelle dita ricevere il dono e portarlo alle labbra.
Il cioccolato sparì all'interno della bocca mentre la lingua leccava lentamente ciò che rimaneva sui polpastrelli, uno alla volta.
Paul si rilassò e lasciò che il suo corpo si sdraiasse mentre continuava ad assaporare il dolce regalo.
John, seduto al suo fianco, non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
Allungò una mano per raccogliere una fragola e la intinse nel cioccolato un po' sciolto dal sole.
Esitò un momento, ma sentiva la testa e il cuore così leggeri che sembrava impossibile fermarsi.
Premette delicatamente il suo nuovo dono contro la bocca di Paul che accennò un sorriso e la aprì, intrappolando tra le sue labbra la fragola e le dita di John, attento a non lasciarle andare.
Assaporò il dolce frutto e continuò a leccare le dita, mentre apriva gli occhi e donava al più grande uno sguardo lussurioso, pieno di piacere e passione.
John udì se stesso gemere all'improvviso quando sentì la lingua di Paul che si muoveva lenta e circolare intorno alle sue dita. 
Il più piccolo succhiava a ritmo regolare, assaggiava il dolce sapore di John e lasciava scivolare le dita fuori solo per baciarne teneramente la punta e poi accoglierle di nuovo nel suo antro caldo.
Il più grande esplorava la bocca di Paul disegnandone tutti i contorni e godendo della sensazione.
La sua testa girava. 
Quasi come a un'àncora di salvezza la mano libera si aggrappò al torace di Paul, lo portò più vicino e scivolò sotto la maglietta di cotone.
Il tocco di quella pelle così morbida fece gemere di nuovo John, questa volta contro il collo di Paul.
Il più piccolo aveva smesso il suo lavoro di lingua sulle dita solo per continuarlo con l'orecchio del più grande.
"Devo avere proprio un buon sapore, allora!" sussurrò John e le sue dita scorrevano contro i muscoli leggermente modellati.
Il profumo di Paul lo inondò, si confuse con le fragole e il cioccolato e tutto sembrava trascinare John giù, in un vortice sempre più profondo.
Una catena continua di brividi lo solleticava dentro e fuori. Voleva che non finisse mai, non in quel momento in cui un'amicizia speciale stava per diventare qualcosa di più intenso, non ora che la sua bocca aveva raggiunto quella di Paul e stavano finalmente per..." 



John aprì gli occhi di colpo e passò una mano sul suo petto nudo e sudato.
I clacson dei taxi in coda di primo mattino erano una delle cose che facevano maledire se stesso per aver deciso di vivere nel cuore di New York.
Lasciò che i suoi occhi si abituassero alla tiepida luce che entrava dalla finestra e si mise ad ascoltare i suoi pensieri.
Nonostante il sottofondo rumoroso della città e la consapevolezza di trovarsi tra le candide coperte di un letto matrimoniale, il sogno che aveva appena fatto era stato così vivo e reale che ancora gli sembrava di sentire odore di fragole.
Accarezzò il materasso immaginando di avere ancora quella pelle morbida sotto le dita e fu percorso da un brivido di eccitazione. Per un attimo l'illusione lo tradì, spalancò gli occhi e volse di colpo lo sguardo verso chi stava respirando piano al suo fianco.
Solo una manciata di capelli scuri spuntava da un bozzolo di lenzuola. Non poteva essere, non era semplicemente possibile ma John era ancora in quello stato quasi onirico, quando fai un sogno così reale che anche nel momento in cui ti svegli continui a credere che sia tutto vero, almeno finché la realtà non ti colpisce come un fulmine e ti senti un idiota.
Diede uno strattone alle coperte e la figura di Yoko apparve all'improvviso in tutta la sua nudità.
Con un gesto di stizza colpì il materasso così forte da sentire dolore. Un idiota, ecco come si sentiva. Un idiota perché si era illuso, un idiota perché aveva sognato Paul, un idiota perché aveva sognato Paul in quel modo. Chi cazzo di idiota sognava tutte le notti di scoparsi un ex migliore amico che non vedeva da più di quattro anni?
L'ultima volta che aveva incontrato Paul era stato proprio lì, al Dakota, seduti sul divano a guardare la televisione e ridere dei vecchi tempi. E poi tanti saluti: se ne era tornato a casa e tra famiglia, concerti e ventimila dischi in uscita quello stronzo non era più venuto nemmeno a fare una visita veloce.
Ma a John andava bene così. In fondo era stato lui ad andarsene per primo, a scegliere di dividere la sua strada da quella di colui con cui aveva camminato fianco a fianco per così tanto tempo.
Negli anni dei Beatles erano stati amici inseparabili, quasi una platonica storia d'amore. John ricordava di aver sentito la mancanza di Paul ogni volta che stavano lontani e quando si rincontravano c'era sempre un po' d'imbarazzo, come a non voler ammettere a se stessi di essere uno parte imprescindibile dell'altro. Perfino nei momenti più bui del loro rapporto dopo lo scioglimento del gruppo John aveva sentito ogni tanto quel vuoto dentro, come se con Paul se ne fosse andato un pezzo importante di sé.
Ma poi si era semplicemente abituato.
Negli ultimi anni si stava dedicando anima e corpo a prendersi cura di suo figlio, a cucinargli il pane ogni giorno, ad essere quel padre presente che non era mai stato in quella che chiamava la sua vita precedente, tanto gli sembravano lontani gli anni dei Beatles. Scriveva anche canzoni, faceva lunghe passeggiate al Central Park e aveva pure ridotto notevolmente l'uso di droghe. Si sentiva forte, sano e felice come non mai. Insomma il suo mondo stava girando alla grande.

Fino a quella maledetta telefonata.

Tre settimane prima era stato il suo compleanno. Quarant'anni non si compivano tutti i giorni e il telefono non aveva smesso un attimo di squillare.
John ricordò di aver pensato "Giuro che questa è l'ultima che sopporto, alla prossima faccio volare questo aggeggio dalla finestra e dì che risponda il barbone qua sotto agli auguri numero trecento!". Poi aveva alzato la cornetta e la falsa vocina amichevole che si era preparato a sfoderare gli morì in gola quando all'orecchio gli arrivò una voce calda e famigliare che non sentiva da secoli. E che, non l'avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, in quel momento si accorse che gli mancava da morire.
"Buon compleanno, piccolo Johnny!". Quella voce allegra che quasi cantava l'avrebbe riconosciuta in un coro di mille angeli. 
Ecco, John non sapeva che quella telefonata sarebbe stata la sua rovina.
Era stato così bello parlare di nuovo con lui. Avevano discusso piacevolmente del più e del meno e John non avrebbe voluto riattaccare mai.
Parlava e ascoltava come vittima di un incantesimo.
Il suo cuore aveva preso il volo, leggero, sempre più in alto e poi all'improvviso lo sentì sprofondare trascinato da un macigno quando udì Paul salutarlo e riattare il telefono.
Da quel momento il suo mondo perfetto era crollato.
Forse la voce di Paul aveva davvero fatto un incantesimo su di lui.
Non sapeva come fosse potuto accadere, forse aveva solo risvegliato un sentimento latente, forse il suo amico gli era mancato da sempre ed era stato semplicemente troppo distratto o occupato per accorgersene.
Fatto sta che da tre settimane girava solo un disco nella sua testa. La voce di Paul, il volto di Paul, gli occhi di Paul, Paul di giorno, Paul di notte nei più intimi e proibiti sogni. 
Ecco, era questo che lo spaventava. Non solo Paul gli mancava da morire ma pensava sempre a lui come mai aveva fatto prima.
Quella telefonata aveva forse risvegliato un desiderio che c'era stato da sempre, ben nascosto nel più segreto angolo del suo cuore? Non l'aveva mai ammesso a se stesso per paura di vergognarsene? Quasi inconsciamente aveva cercato di reprimerlo perché in questo mondo non ci sarebbe stato mai spazio per lui?
John non sapeva più cosa pensare. Ma una cosa l'aveva capita: Paul gli mancava da morire e quel sentimento non sarebbe semplicemente tornato a nascondersi, non ora che ruggiva più forte che mai. E dato che l'altra cosa certa era che John non riusciva più ad avere una vita normale e sogni tranquilli in cui lui e Paul non amoreggiassero come due tortorelle a primavera, decise che l'unica soluzione sarebbe stata andare alla fonte del problema e vedere cosa sarebbe successo.
Avrebbe preso armi e bagagli e sarebbe andato da lui.
Subito.
Mentre si alzava dal letto e si vestiva come se fosse sul punto di andare a trovare qualcuno dall'altra parte della strada piuttosto che dell'oceano, le voci di Yoko e Sean lo risvegliarono dal suo sogno ad occhi aperti.
Già, c'era solo un piccolo problema.





John sorrideva mentre guardava assorto fuori dal finestrino del taxi che stava costeggiando la ferrovia e macinava i chilometri tra le innumerevoli curve della campagna inglese.
Aveva deciso di abitare a New York per tagliare i ponti col suo passato e iniziare una nuova vita, in cui aveva voluto che ci fosse posto solo per sé e Yoko.
Ora, ripercorrendo i luoghi della sua infanzia, si chiese se l'America fosse davvero il suo "angolo nel mondo".
Tutti ne abbiamo uno. Tutti abbiamo un posto, anche piccolo, che ci dà la sensazione di essere completi, di essere a casa. E quando visitiamo ogni parte del pianeta e viviamo tutte le esperienze possibili pensiamo "bello sì, ma non vedo l'ora di tornare". 
E può non essere per forza un luogo, sapete? Può anche essere una persona.
Forse per John era così. Il suo angolo nel mondo durante i Beatles, non c'erano dubbi, era stato Paul. 
Solo con lui si sentiva bene. Paul gli ricordava Liverpool, i primi concerti, la madre. Avevano vissuto insieme l'avventura di conquistare il mondo con la loro musica. Paul era l'altra metà del cielo, la sua anima gemella. Quando non c'era gli mancava da morire.
E poi beh...sì, poi era arrivata Yoko. John si era fatto trascinare dall'attrazione verso quella donna da autoconvincersi che il suo angolo nel mondo fosse cambiato.
Da quel momento in avanti non più Paul, ma Yoko sarebbe stato quell'unico posto dove ci si sente liberi, perfetti, completi.
Ma poteva davvero cambiare così all'improvviso una cosa speciale e magica come "l'angolo nel mondo"? 
John non era più tanto sicuro che Yoko fosse la strada giusta.
Non quando la mattina precedente si era svegliato e aveva iniziato in tutta fretta a preparare la valigia.


"John, che fai? Sono le sette del mattino!" Disse Yoko con la voce ancora impastata di sonno e strofinandosi gli occhi.
"Sto...cioè stiamo -si dovette correggere a malincuore- partendo!" rispose deciso John.
"Ti ha chiamato il manager? Dove stiamo andando?". Yoko apparve un po' confusa: di solito suo marito non aveva tutta quella fretta di andare a lavorare. Preferiva starsene a casa nella sua nuova veste di casalingo ad accendere il fuoco e giocare con suo figlio. 
"No, niente lavoro. Stiamo partendo per l'Inghilterra, voglio mostrare a Sean i luoghi della mia infanzia. E poi cambiare aria farà bene a tutti. Dai alzati, ho già preparato tutto quello che ci serve!" disse sbrigativo.
Non voleva perdersi in troppe spiegazioni. 
Voleva partire, e basta.
"Eh?! Adesso?! John, l'Inghilterra non è esattamente dietro l'angolo e stiamo per lanciare Double Fantasy, sai quanto lavoro abbiamo ancora! Ci uccideranno quando sapranno che ce ne siamo andati!"
"Il disco è mio e faccio quello che voglio, se intanto vanno avanti loro con le ultime cose ottimo, altrimenti ci aspetteranno."
"John, aspet..."
"Vado a svegliare il piccolo." e senza aggiungere altro sbatté la porta dietro di sé correndo giù per le scale.



Le casette indipendenti in tipico stile inglese continuavano a sfrecciargli davanti agli occhi mentre non sapeva se ridere o piangere.
Non poteva credere di essersi alzato dal letto e all'improvviso aver trascinato sua moglie e suo figlio dall'altra parte dell'oceano e averli piantati con una scusa ridicola a casa della vecchia zia Mimì perché voleva andare da solo a trovare un ex migliore amico (non uno qualsiasi ma un ex "angolo nel mondo"!) che negli ultimi tempi chissà perché era stato il suo unico ed insistente punto fisso e voleva vederlo per capire cosa sarebbe successo. 
E in tutto questo John sapeva già benissimo quello che sarebbe successo, almeno da parte sua. 
Mentre era chiaro che Paul l'avrebbe accolto solo come un amico.
Cioè, si stava davvero presentando alla sua porta con l'intenzione di...di fare cosa poi? 
Se non era un idiota John Lennon allora non lo era nessuno.




Le ruote del taxi grattarono sulla ghiaia quando l'auto frenò e venne parcheggiata all'ombra di un acero. 
John sentiva il cuore pompare sangue a un ritmo frenetico e poteva distinguere ogni singolo battito.
Quella casa gli riportava alla mente così tanti ricordi! 
Poteva vedere se stesso e Paul seduti sulla panchina vicino alla porta, giovani e belli, uno di fronte all'altro con le chitarre sotto braccio a pensare agli ultimi accordi della nuova canzone. 
Oppure in costume, in piena estate, a cercare di lavare Martha mentre finivano inevitabilmente con una guerra a chi riusciva a bagnare di più l'altro e spruzzargli il sapone negli occhi. 
Proprio in quel momento John venne investito da un ammasso gigante di pelo. 
"Martha! Ma quanto pelo pensi di poter far crescere ancora, eh?" il cane enorme di Paul scodinzolava felice e leccava la faccia di John esattamente come ogni volta che lo vedeva negli anni in cui lui veniva a trovare il suo padrone quasi ogni giorno. Sembrava che per Martha tutto quel tempo non fosse trascorso. 
John passò un'ultima volta le dita tra il folto pelo dell'animale e si avvicinò alla porta d'ingresso.
Alzò il braccio per bussare e si accorse che la sua mano tremava. Quasi si voltò per tornare indietro e sparire per sempre dalla vita di Paul. Insomma, con che diritto si presentava da lui, entrambi felicemente sposati e padri, dopo anni che non si sentivano e che anzi si erano fatti del male a vicenda, e poi per...
John non aveva neanche finito il suo illogico discorso mentale che la sua mano per qualche ragione aveva seguito il discorso del cuore e aveva premuto il campanello.
Ormai non c'era più scelta.
Se conosceva bene il suo amico, se tutti quegli anni non erano davvero passati come sembrava, allora Paul si stava già affannando per raggiungere la porta. 
Tre, due, uno...scattò la serratura. "Lo sapevo, il solito perfettino." pensò John per sdrammatizzare il momento di panico che stava per avere. 



Paul aprì la porta con fare noncurante.
Forse pensava che a quell'ora potesse essere solo il postino o qualche fan che era riuscito ad arrivare fino all'entrata.
Quando alzò lo sguardo e vide chi aveva davvero davanti sbarrò gli occhi e spalancò la bocca come se avesse visto un fantasma.
John invece lo fissava come incantato. I suoi occhi erano lucidi, sulle labbra era stampato il sorriso più dolce ed ebete del mondo. 
Paul era sempre stato una visione angelica.
Da giovane era stato anche un po' geloso di quel corpo finemente modellato e quel viso perfetto, quasi da bambino, che faceva impazzire tutte le ragazze.
Rimasero così per un tempo interminabile finché il più grande ruppe il ghiaccio a suo modo, ma senza perdere l'espressione dolce che ormai sembrava non poter andare più via.
"Mi sono spuntate quattro braccia? Dai, chiudi quella bocca e fammi entrare!".
Paul massaggiandosi la mascella riuscì a sussurrare interrogativo "John...c-cosa.."
Dopo il momento di finta spavalderia anche John ricadde nell'imbarazzo. 
Dopotutto non era niente di nuovo. Anche in passato ogni volta che si rivedevano erano un po' imbarazzati. Chissà perché, poi?
Perché due amici dovrebbero sentirsi quasi a disagio nell'incontrarsi dopo aver trascorso del tempo separati? 
Ma John ora capiva. Lui non aveva mai considerato Paul solo come un amico qualunque. La sua mente aveva voluto rendersene conto da pochi giorni, ma il cuore l'aveva sempre saputo.
"John...c-che sorpresa! Che ci fai qui?" La domanda di Paul lo risvegliò dai suoi pensieri. 
John stava per aprire bocca quando si accorse che non poteva dire semplicemente l'assurda verità. 
"Beh io...-iniziò grattandosi distrattamente la testa- ho portato Yoko e Sean a vedere Liverpool. Sai...dopotutto lì ci sono le mie radici...le nostre radici. Sì insomma, hai capito...credo."
Il volto di Paul si rabbuiò di colpo. "Yoko e Sean sono qui?" disse guardandosi intorno. 
John sorrise per un attimo ricordandosi in che maniera era riuscito a scaricarli. "So dove sono i negozi, non ho bisogno del vostro aiuto. Vado solo a fare un po' di spesa!" 
Certo.
"Si...no. Cioè, sono voluti rimanere da zia Mimì. Sean vuole imparare a fare i biscotti come lei."
Paul sorrise. Si avvicinò sempre di più all'altro e lentamente gli serrò le braccia intorno al collo in un abbraccio soffocante ma tenero. 
John rimase interdetto per un attimo e poi cinse i fianchi di Paul facendo passare le mani su e giù lungo la sua schiena, come a valutare se tutto quello fosse reale o l'ennesimo sogno.
Mentre le dita esploravano le pieghe della camicia e risalivano fino ad accarezzare quei morbidi capelli scuri, affondò il viso tra il collo e la spalla di Paul, cercando di ricacciare indietro le lacrime. 
Quando era partito da New York sapeva già quello che sarebbe successo.
E infatti eccolo lì. Un uomo di quarant'anni, (felicemente?) sposato, che si rendeva conto di aver sprecato la sua vita.
Mentre stringeva Paul tra le sue braccia capì che il suo "angolo nel mondo" non era mai cambiato. Non aveva mai smesso di essere lui. 
Ma ora era troppo tardi. All'improvviso si ricordò che dopotutto gli anni erano passati e il cuore di Paul non poteva essere suo. Era già occupato.
"Dove sono Linda e i ragazzi?" esordì quando Paul sciolse l'abbraccio. 
"Sono andati a casa di un'amica di Linda. Provano a cucinare delle ricette vegetariane e sembrano divertirsi sempre molto."
John annuì e il suo stomaco fece le capriole. Con una famiglia numerosa come quella di Paul certo non si sarebbe aspettato di rivederlo da soli e avere un po' di tempo solo per loro due. Sembrava troppo bello per essere vero.
"A proposito, stavo per mangiare l'ultima fetta di una nuova torta per vegani. Se vuoi facciamo a metà! Ti ricordi da giovani quando compravi il cioccolato e insistevi per dividerlo con me? Non te l'ho mai detto, ma era una cosa molto dolce.". 
Entrambi sorrisero. Certo che John se lo ricordava. Eccome. 
"Come mai non sei andato con loro?"
"Sono già in troppi con la passione per la cucina in questa casa. E poi mi andava di scrivere una canzone. Ma non ti preoccupare, non mi disturbi, tanti non so come andare avanti. Manca quell'accordo finale che dà un senso a tutto. Sai, no?"
Il volto di John avvampò e divenne rosso fuoco. 
Paul stava scrivendo una canzone. Magari fino a un minuto prima era seduto sul divano, come ai vecchi tempi, con la chitarra sotto il braccio e il bloc-notes dove segnava le parole con la sua grafia ordinata. E come quando erano giovani Paul non riusciva mai a chiudere una canzone. 
Doveva sempre correre John in suo aiuto. 
E John avrebbe voluto aiutarlo anche ora. Ma come faceva a dirglielo così, dopo anni che non scrivevano più insieme?
"Vieni, andiamo a guardare un po' di televisione!" disse Paul cercando di togliere l'imbarazzo che si era creato di nuovo.
John seguì Paul nel salotto e lo vide togliere la chitarra per far spazio ad entrambi. Poi prese il telecomando e accese su una commedia.

Seguirono il film per un po' e parlarono tanto. L'atmosfera ormai era più rilassata e sembrava davvero di essere come ai vecchi tempi. 
John sentiva sempre di più un calore espandersi nel petto. Sì, quella era la sensazione di essere a casa. Stava bene, si sentiva perfetto, completo, nel posto giusto.
Si alzò e tornò in cucina per prendere due birre. Se il tempo non era davvero passato le avrebbe trovate nel secondo scaffale in alto, dietro al burro. 
E infatti. 
John sorrise. Gli sembrava di avere ancora vent'anni. E aveva la sensazione che, se tutto era rimasto come prima, poteva anche avere una speranza con Paul. 
Un angolo nella sua testa provò ancora a suggerirgli di lasciar perdere, ma ormai il cuore urlava e John sentiva solo lui.
Tornò a sedersi e questa volta senza pensare a ciò che stava facendo si posizionò più vicino a Paul e gli mise un braccio intorno alle spalle.
Il più piccolo arrossì leggermente ma non si oppose, rimase immobile con gli occhi fissi sul televisore.
Dopotutto erano soliti farlo da giovani, solo non erano più abituati.
Dopo aver bevuto lentamente la sua birra John si ricordò di quanto gli piaceva in passato stuzzicare Paul per vedere le sue reazioni. Riusciva sempre ad assumere un'espressione così tenera!
Tenendo il braccio intorno alle spalle dell'amico, iniziò a solleticargli l'orecchio e come si aspettava Paul reagì arricciando un po' il naso e il suo volto divenne adorabile.
Come allora. Solo qualche ruga in più si formava intorno a quegli occhi meravigliosi.
John prese coraggio, dopotutto ormai era lì, non aveva voglia di nascondersi e fuggire ancora.
Lentamente si avvicinò sempre di più al viso di Paul e iniziò a strofinare leggermente il naso vicino al suo orecchio, lasciando una scia di piccoli umidi baci dalla tempia alla guancia.
Il corpo di Paul venne percorso da un brivido di paura e piacere. 
Voltò appena la testa verso il più grande e lo guardò negli occhi con aria interrogativa. 
Ogni paura di John annegò in quel profondo mare nocciola e senza pensare posò le sue labbra su quelle di Paul. 
Le loro bocche si mossero l'una sull'altra lentamente, insicure, poi sempre più assetate dell'altro.
Prima di lasciarsi inebriare dalla sensazione della lingua di John che leccava avidamente chiedendo di entrare, Paul ruppe il bacio e si scostò di qualche centimetro per guardare il suo amico negli occhi e sussurrare piano il suo nome.
Poi prese le mani di John e le allontanò da sé. 
"Perché?" chiese semplicemente il più piccolo.
John si sentì morire.
No, non doveva andare così.
Nei suoi sogni Paul non lo rifiutava mai.
Il suo cuore divenne un macigno nel petto e le lacrime gli inondarono gli occhi, mentre la vergogna quasi lo fece scappare via.
Poi Paul finì ciò che doveva dire.
"Perché sei scappato via? Perché ci hai messo così tanto a capire che sei perfetto solo se stai con me? Ma ti ho aspettato, sai? Sapevo che saresti tornato. Può succedere di perdersi, ma tutti prima o poi sentono la mancanza del loro angolo nel mondo e vogliono tornare."
John era in stato di shock, con la bocca spalancata e il cervello in black out. No, non era vero.
"Beh, cosa stai lì impalato? Hai intenzione di farmi aspettare ancora?"
Le lacrime scendevano ormai copiose sulle guance di John. Non sapeva cosa dire. Questa volta non era uno dei suoi sogni. 
Paul aveva capito tutto molto prima di lui. 
"Mi dispiace...i-io, io dovevo farlo tanti anni fa, ora lo so Paul che è tardi.".
Il più piccolo guardò con dolcezza il viso disperato di John e gli asciugò le lacrime accarezzandolo.
"Perché dici che è tardi? Abbiamo ancora una vita davanti, per scrivere insieme, per stare insieme".
"Vuoi tornare con me? Vuoi tornare a scrivere insieme a me?" John non era più così sicuro che non fosse un sogno. Ebbe il bisogno di toccare la sua guancia e poi quella di Paul per capire che stava accadendo davvero.
"Voglio tornare a fare tutto con te, come prima, anzi, ora abbiamo scoperto qualcosa di nuovo da fare insieme."
E dicendo questo unì di nuovo le sue labbra con quelle di John, che stavolta non ebbe l'impressione che fosse tutto uguale a vent'anni prima.
Stavolta sarebbe stato diverso.
Fece scivolare una mano sotto la maglietta di Paul, sentendo per la prima volta quella pelle calda e morbida sotto il suo tocco.
Il più piccolo lo trascinò con sé fino a far stendere entrambi sul piccolo divano, mentre approfondivano il loro bacio.
Le lingue danzavano l'una con l'altra e sembravano anche loro aver trovato finalmente il posto giusto dove stare.
John sfilò lentamente la maglietta di Paul e iniziò a baciare ogni piccolo lembo di quella pelle bianca e delicata, regalando tutta la sua attenzione a un capezzolo rosa già turgido. 
Posò una mano sull'inguine di Paul e quasi cadde dal divano per la sorpresa.
Sentì la creatura sotto di lui ridere dolcemente e continuare a baciare la sua bocca per rilassarlo. 
La sua voce quasi cantava "Shh, Johnny...lascia che accada."


John dondolava pigramente Paul tra le sue braccia mentre sentiva il respiro del suo amante solleticargli il petto.
"È stato bellissimo. Valeva davvero la pena aspettare tutto questo tempo." disse il più piccolo strofinandosi contro la pelle di John.
L'uomo dai capelli ramati si sentiva come mai prima. 
Ora sì, era a casa.
Era completo. La sua metà era dolcemente adagiata contro il suo petto.
"Vorrei rimanere qui per il resto della mia vita." e lo avrebbe fatto davvero. Per sempre ancorato al suo angolo nel mondo, senza allontanarsene mai più.
"Linda e i ragazzi stanno per tornare." disse tranquillamente Paul, restando immobile. Neanche lui sembrava voler sciogliere quell'abbraccio avvolgente e caldo.
"Diremo loro che abbiamo deciso di scrivere qualche canzone insieme come ai vecchi tempi."
Paul alzò leggermente la testa dal petto di John solo per guardarlo con occhi divertiti e ironici.
"Sdraiati l'uno sull'altro nudi?"
"Non so come la pensi tu ma dal mio punto di vista così mi dai molta più ispirazione".
Paul scoppiò a ridere e stampò un ultimo bacio sulle labbra del suo amante prima di lanciargli i vestiti sul petto.
"Sei sempre il solito coglione!"
John non riuscì a replicare.
Il rumore di ruote sulla ghiaia e portiere che sbattevano segnalarono che non sarebbero stati soli ancora per molto.
"Devo andare, vero?" disse con occhi tristi.
"Sì." Paul sembrava ancora più dispiaciuto di lui, se possibile.
"Esci dalla porta della cantina, è meglio che non ti vedano."
Tennero entrambi lo sguardo fisso a terra. Non era giusto doversi salutare. Non ora che si erano appena ritrovati.
"Tornerò presto. Pensami ogni tanto, vecchio amico mio!" lo rassicurò John.
"Ti aspetto."
Un ultimo bacio e John si avviò lungo le scale che portavano alla cantina.
Paul lo osservò fino a quando non sparì completamente dalla sua vista. 




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Carl Perkins iniziò a muovere le dita sulle corde della sua chitarra e cantò parole che Paul non si aspettava. 
Anche Carl non si aspettava la reazione di Paul. 
Cosa aveva che non andava la sua nuova canzone? In fondo non diceva niente di che...era solo dedicata ad un amico. 
Il ritornello diceva "pensami ogni tanto, vecchio amico mio."

Non appena Paul aveva sentito le parole della canzone era scoppiato a piangere ed era corso via.
Avrebbe voluto fuggire lontano, in un altro mondo. 
Magari un mondo in cui lui non fosse un coglione come in questo. 
Perché non gliel'aveva detto? Perché l'ultima volta che aveva visto John non gli aveva detto che lo amava?
Cazzo, lo sapeva il perché.
Come poteva immaginare che sarebbe stata l'ultima volta insieme? 
Come poteva immaginare che un pazzo spuntato dal nulla avrebbe reso freddo e immobile quel corpo caldo e avvolgente?
Che quel cuore che batteva solo per lui si sarebbe fermato per mano della follia?
Quando si è vivi e felici non si pensa a questo.
Si crede sempre di avere tutto il tempo davanti per fare quello che si vuole, per dire quello che si sente.
E Paul amava John.
Non gliel'aveva detto, ma era così. 
John gli stava parlando attraverso la canzone di Carl e Paul decise che anche lui avrebbe trovato il modo di parlare a John, per dirgli che lo amava.
Si chiuse nel suo studio e si mise a scrivere una canzone. 
Una canzone d'amore.
D'ora in poi l'avrebbe detto a tutto il mondo, ogni volta che avrebbe cantato quel verso.

But as for me, I still remember how it was before and I am holding back the tears no more.
I love you.





Complimenti a tutti coloro che sono riusciti ad arrivare alla fine di questa lunghissima storia! Spero non mi odierete per avervi fatto perdere così tanto tempo! 
Ovviamente l'ultima parte è ispirata alla canzone di Carl Perkins che fece piangere Paul perché furono davvero le ultime parole di John a Paul nel loro ultimo incontro! Se mi fate sapere cose ne pensate vi ringrazio! Vi ho rotto abbastanza! A presto!
  
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