Capitolo
2: Sliding
doors
La
sera stava
calando sui grattacieli, lasciando intravedere nel cielo già
livido di nuvole,
le prime stelle, quelle più luminose, le uniche che non
impallidivano rispetto
alle luci di Times Square o a quelle dei cartelloni pubblicitari di
Broadway.
La temperatura era scesa fin quasi allo zero, costringendo i newyorkesi
a
coprirsi con abiti pesanti ed ingombranti: il meteo aveva preannunciato
neve
per la notte.
Anna
correva sulla
32ma strada, stringendosi nel suo cappotto rosso, in ritardo come al
solito
all’appuntamento del venerdì sera con i suoi nuovi
amici; era passato quasi un
mese e mezzo da quando Merida l’aveva trascinata alla festa
di Hiccup, e dopo
quella ne erano venute altre, quasi ogni sera, lasciandole ben poco
tempo per
commiserarsi o per pensare ad Elsa. Aveva conosciuto più
gente in quell’ultimo
mese che in tutto il suo soggiorno newyorkese, entrando in confidenza
con
persone a cui non avrebbe pensato mai di poter rivolgere la parola.
Primo su
tutti, lui, il ragazzo più bello su cui avesse mai posato
gli occhi; fisico
asciutto, sguardo magnetico, sorriso accattivante e un patrimonio
pecuniario da
far invidia a quello dei Tramp: Hans Westerguard. Uno dei tredici eredi
dell’immensa fortuna della compagnia navale più
importante della East Coast, la
Westerguard Oceanic Trade Company.
L’aveva
visto ad
un party esclusivissimo dell’élite
dell’Upper East Side, una di quelle feste
che ti fanno venir voglia di non voler più tornare nel mondo
reale, piena di
lustrini e champagne, a cui si erano imbucate lei e Merida; aveva
ballato con
lui, confondendosi perfettamente tra le ragazze vestite come modelle di
Victoria Secrets, con abiti così succinti da lasciar poco
all’immaginazione;
ricordava d’aver bevuto parecchio e che ad un certo punto,
con una penna
spuntata dal nulla, gli aveva scritto il suo nome e il suo numero sulla
mano.
Da quella sera non l’aveva più dimenticato, anche
perché, prima di andarsene
alla chetichella alle prime luci dell’alba, lui
l’aveva fermata e l’aveva
baciata.
Merida
l’aveva
dovuta trascinare via a forza, prima che lei avesse avuto la
possibilità di
gettarsi ai suoi piedi e dirgli che poteva fare di lei quello che
voleva. Nei
giorni successivi aveva pensato incessantemente a lui e aveva
cominciato a
fantasticare su una loro possibile storia, anche se lui non
l’aveva ancora
richiamata.
Diede
uno sguardo
all’orologio: era in ritardo di ben quarantacinque minuti.
Merida le avrebbe
fatto una strigliata di capo, che non avrebbe di certo dimenticato: la
scozzese
infatti non amava chi tardava agli appuntamenti.
Le
mancava ancora
più di mezzo isolato da percorrere e fu quasi tentata di
fermare un taxi ma,
osservando bene la coda infinita del traffico, valutò che
quella breve corsa le
sarebbe costata troppo. Allungò il passo, facendo lo slalom
tra la folla; in
lontananza riusciva già a vedere le luci al neon
dell’insegna del pub: Olaf’s
place.
Qualche
minuto
dopo arrivò a destinazione. Si fermò a riprendere
fiato davanti alla vetrina
del locale, sbirciando tra le decorazioni natalizie, cercando con lo
sguardo il
resto del gruppo: c’erano tutti, ma la chioma fiammeggiante
di Merida non si
vedeva da nessuna parte. Tirò un sospiro di sollievo e con
un sorriso
trionfante entrò nel bar, facendo tintinnare la campanella
sulla porta. Il
proprietario, Olaf, si voltò per accogliere il nuovo cliente
e quando la vide
si illuminò con un enorme sorriso: “Anna! Sempre
in ritardo come al solito,
eh?”-
Anna
gli lanciò un
bacio con la mano, mentre si sfilava la sciarpa: “Ma stasera
non sono l’ultima
arrivata almeno!”
Olaf
la guardò con
un’aria interrogativa con i suoi occhietti neri, che le
ricordavano tanto due
bottoni di ossidiana, inarcando un sopracciglio scuro. Poi
tornò a servire i
clienti al bancone, canticchiando allegramente il ritornello di Jingle
Bell.
Raggiunse
il
tavolo dove s’erano sistemati gli altri e prese posto,
togliendosi il cappotto
e i guanti: “Ciao a tutti, che si dice stasera?”-
disse mentre si accomodava.
-“Stavamo
scommettendo sul tuo ritardo. Ormai è una cosa
così certa che possiamo
tranquillamente puntarci qualcosina su.”- Flynn, il ragazzo
di Rapunzel, una
sua compagna di corso, non si smentiva mai, sempre sicuro e pieno di
sé, con la
battuta sempre pronta –“Anzi, a proposito, mi devi
cinque dollari, caro.”- si
sporse a recuperare la sua ricompensa dalle mani di uno sbuffante
Hiccup.
-“Ripongo
troppa fiducia
in te, Anna. Ho scommesso che avresti fatto meno di mezz’ora
di ritardo, ed
invece hai battuto il tuo precedente record, stavolta hai tardato quasi
di
un’ora.”- le disse sconfitto il ragazzo mingherlino.
-“Hai
ragione, ma
almeno stasera non sono l’ultima arrivata.”-
sentenziò- “Dov’è Merida, io
non
la vedo: per una volta è più in ritardo di me. Le
rinfaccerò tutte le scenate
che mi ha fatto, ah!”-
Rapunzel,
seduta
difronte a lei, rideva sommessamente, guardando alle sue spalle, mentre
gli
altri due, scoppiarono a ridere.
-“Che
c’è tanto da
ridere? Ho qualcosa in faccia?”- recuperò
velocemente uno specchietto dalla
borsa e si esaminò il viso in cerca di una macchia di
qualcosa o di un brufolo
pronto ad esplodere, ma niente, era in ordine come al solito. Una
macchia di
colore rosso fuoco, però, faceva capolino
nell’angolo destro dello specchio;
regolò l’angolatura e il riflesso di Merida le
sorrise dalle sue spalle:
“Dicevi, riguardo alle sfuriate?”
-“E
tu da dove
spunti?”- chiese pallida: dove cavolo si era nascosta! Ora le
aspettava un
discorso sull’educazione di almeno una ventina di minuti.
-“Ero
al bagno ad
incipriarmi il naso, ovviamente.”- ironizzò la
rossa, sedendosi al suo posto, e
solo in quel momento Anna notò la custodia
dell’arco e l’impermeabile verde
militare della coinquilina, appoggiato ad una sedia.
-“Stasera
Anna
sarà così gentile da pagare da bere a tutti.
Così la prossima volta eviterà di
farci aspettare.”- la rossa era davvero infastidita.
-“Aspetta,
che?
Non è giusto, prometto che non lo farò mai
più, giuro! È solo che il prof ci ha
trattenuti dopo la lezione e…”- cercò
di scusarsi.
-“Anna,
seguiamo
lo stesso corso, ricordi? Perché allora io sarei arrivata
prima di te?”- le
chiese retoricamente Rapunzel.
Anna
le rivolse
uno sguardo omicida: “Perché tu, fiorellino, hai
Flynn, che ti fa da chauffeur
con la sua bella Mustang antidiluviana.”- sospirò
–“ Io invece per arrivare qui
devo prendere la metro!”- si lamentò,
accasciandosi contro lo schienale della
sedia e incrociando le braccia al petto- “Ricordatemi,
perché continuiamo a
venire qui?”-
-“Perché
Olaf ha
la migliore birra d’importazione di tutta New
York.”- le disse Hiccup.
-“Ehi,
la mia auto
non è affatto antica, semmai è un pezzo da
collezione.”- le rispose Flynn.
-“Non
è comunque
una scusa accettabile, non ci vogliono quarantacinque minuti per
arrivare fin
qui. Saranno si e no tre isolati
dall’università.”- continuò
imperterrita
Rapunzel, sprezzante del pericolo che correva ad insistere contro Anna.
-“Punzie,
se fossi
in te mi guarderei le spalle d’ora in poi: non si sa mai,
potrebbe accaderti
qualcosa di spiacevole.”- ridacchio sadicamente Anna.
-“Ma
io ho Flynn
che mi protegge!”- si attaccò al braccio del
ragazzo –“Vero?”- gli chiese con
gli occhi dolci.
-“Ovviamente,
biondina.”-
disse, passandosi una mano tra i capelli e sorridendole in maniera
seducente.
-“Prima
o poi
capiterà che ti ritroverai da sola in un vicoletto buio e io
sarò lì, pronta ad
attendere nell’ombra la mia vendetta!”- concluse
ridendo sguaiatamente, imitando
la risata malvagia dei cattivi dei cartoni animati.
-“Si,
si, come no.
Se prima non ti uccido io.”- la interruppe Merida, e tutto il
tavolo fece
silenzio –“Ehi, stavo scherzando.”-
-“Con
la faccia
che ti ritrovi e con quell’arco a portata di mano, lo scherzo
è abbastanza
inquietante.”- ridacchiò nervosamente Hiccup,
grattandosi la nuca.
-“Orrendo*,
taci!”- lo zittì la rossa, con
un’occhiata di fuoco.
-“Scusa,
è solo
che…”- il povero ragazzo non concluse la frase che
un’altra ragazza dai capelli
rossi, raccolti in una coda di cavallo, si avvicinò al
tavolo, interrompendolo.
-“Salve
ragazzi,
cosa vi porto?”- chiese con un sorriso enorme.
-“Ciao
splendore!”- Flynn le fece l’occhiolino,
prendendole la mano- “Io sono Flynn e
tu sei?”-
-“Oh
scusate, io
sono Ariel. Oggi è il mio primo giorno qui.”-
disse accennando un saluto con la
mano.
-“Molto
piacere di
conoscerti Ariel. Io sono Anna e questi sono fiorellino, schizzata,
singhiozzo**
e bellimbusto, che si è già presentato. Tieni a
mente le nostre facce perché ci
vedrai spesso qui.”- fece indicando gli altri e sorridendole
calorosamente.
Ariel
le lanciò
uno sguardo preoccupato, non sapendo cosa rispondere. Rapunzel
notò il suo
imbarazzo crescente e accorse in suo aiuto: “Io sono Rapunzel
e loro sono
Merida e Hiccup.”- precisò.
-“Piacere
di
conoscervi.”- disse facendo vagare lo sguardo sui tre ragazzi.
-“Non
far caso
alla svampita qui, è pazza.”- sussurrò
Merida, coprendosi la bocca con una mano
come se le stesse rivelando un segreto.
-“Ehi!
Sono a
portata d’orecchio: ti ho sentita.”-
sbuffò Anna, lanciandole uno sguardo di
sfida.
-“Okay,
il teatro
delle meraviglie chiude i battenti. Non fatele perdere tempo, lei sta
lavorando.”- Hiccup le fermò, prima che potessero
ricominciare con le loro
infinite diatribe su chi fosse più pazza
dell’altra, rivolgendo un sorriso
incoraggiante ad Ariel- “Per me una pinta di Lysholmer Ice,
grazie.”
-“Una
Augustus
Weiss per me e una tequila sunrise, per raggio di Sole.”-
ordinò Flynn,
scorrendo con lo sguardo la lista delle birre d’importazione.
-“Oddio
non ci
avevo mai fatto caso, c’è una birra al
cioccolato!”- urlò tutto ad un tratto
Anna, con lo sguardo puntato sul menù.
-“Si,
la Brooklyn
Black Chocolate Stout. Segno?”- Ariel era pronta ad inserire
l’ordine nel
palmare.
-“Ovviamente
si.”-
confermò Anna, battendo una mano sul tavolo.
-“Per
me una Tennent’s
Super.”- disse piatta Merida.
-“Ma
dai, è la
birra più scontata di questo mondo. Puoi scegliere tra tutte
queste varietà e
opti per una scozzese?”- la punzecchiò Anna.
-“Stasera
ho
nostalgia di casa, problemi?”- la zittì acida.
-“Arrivo
subito con le vostre ordinazioni.”- Ariel si
dileguò, tirando un sospiro di sollievo: nel giro di qualche
minuto, quei
cinque le avevano mandato il cervello sottosopra.
Qualche
minuto
dopo Ariel tornò con il vassoio delle loro ordinazioni,
più due ciotoline con
noccioline e salatini.
-“Allora,
quel
tizio del party non ti ha ancora richiamata? Come si chiamava: Hans,
giusto?”-
-“Oh
ti prego,
Punzie! Perché gliel’hai chiesto? Ora
passerà l’intera serata a parlare di lui,
con quella voce idiota che usa quando è fusa.”- si
lamentò Merida.
-“Ehi
non è vero
che parlo sempre di lui. Lo nomino solo ogni tanto.”- Anna si
sentì punta sul
vivo: perché dovevano sempre prenderla in giro?
-“Se
per ogni
tanto intendi almeno una volta ogni ora, allora posso accettarlo; ti
ricordo
che due giorni fa ho sprecato un’ora e mezza della mia vita
ad ascoltare i tuoi
discorsi farneticanti sul vostro matrimonio e la casa che comprerete
giù a
Boca!”- la incalzò Merida- “Cavolo Anna,
non lo conosci nemmeno e già hai
stilato una lista di nomi per i vostri futuri figli!”-
Eugene
e Hiccup
per poco non si strozzarono per le risate- “Sei un caso
irrecuperabile.”-
-“Hiccup,
pensa
per te; ho una sola parola da dirti: Astrid.”- Anna lo
guardò sorridendo,
alzando e abbassando velocemente le sopracciglia.
Il
sorso di birra
che aveva appena fatto, gli andò di traverso e tossendo si
ripulì le labbra
dalla schiuma: “Andiamo! Dovevi per forza cacciar fuori
questa storia?”-
-“Allora
smettila
di ridere di me. A quanto pare, io non sono l’unica ad avere
un’ossessione.”-
-“Ma
devi
ammettere che questo è un colpo basso da parte
tua.”- le rinfacciò Eugene
–“Insomma tu ci hai parlato con questo tizio,
Hiccup invece si limita solo a
fissarla da lontano, come un pesce lesso.”- e
scoppiò a ridere, mentre Merida
gli batteva il cinque.
-“Piccoli
stolker
crescono.”- disse la rossa, lanciandogli una nocciolina in
faccia.
-“Ah-ah!
Molto
divertente. Ridete pure delle mie sciagure.”- rispose
infastidito con il viso
in fiamme.
Calò
il silenzio,
mentre il piccolo locale si riempiva di gente, che come loro si riuniva
per
bere: ormai tutti gli sgabelli e i tavoli erano occupati. Olaf, dietro
al
bancone, chiacchierava animatamente con due tipi enormi con due boccali
di
birra davanti, mentre Ariel si destreggiava tra la folla con il vassoio
delle
ordinazioni, impugnando il palmare ogni volta che sentiva tintinnare la
campanella della porta. L’aroma pungente del cibo che usciva
dalla cucina,
pizzicava i sensi, confondendosi con l’odore del fumo delle
sigarette, che
usciva in bianche volute dalla saletta dei fumatori, quando qualcuno
apriva la
porta. L’aria era piana del cozzare tra loro dei bicchieri,
delle risate
sguaiate di un gruppo di ragazze sedute vicino alla vetrina, che come
le amiche
di Sex and the City sorseggiavano cocktail colorati, adocchiando i
ragazzi al
bancone, e della voce acuta e simpatica di Olaf che metteva ogni
cliente a
proprio agio.
Anna
osservò i
suoi amici, persa nei propri pensieri: erano tutti diversi, ognuno con
le
proprie passioni e i propri problemi a cui far fronte, ma tirando le
somme
erano un gruppetto ben assortito. Eugene osservava la folla di
avventori, con
un braccio posato mollemente sullo schienale della sedia della
fidanzata;
Hiccup sospirava guardando il fondo del suo bicchiere; Merida osservava
seria
i riflessi ambrati del suo boccale e Rapunzel…cosa diavolo
stava facendo?
-“Fiorellino,
si
può sapere cosa stai facendo?”- Anna si sporse sul
tavolo di legno, scostando
una ciocca di lunghi capelli biondi, dal viso dell’amica,
intenta a
scarabocchiare qualcosa sul legno consunto.
-“Cosa?”-
Rapunzel
uscì dal suo mondo, raddrizzandosi- “Oh,
niente…ho pensato che questo è il nostro
tavolo e che c’era bisogno di qualcosa che lo differenziasse
dagli altri.”-
disse scostandosi i capelli dal volto, chiudendo un pennarello spuntato
dal
nulla.
-“Dove
l’hai preso
quello?”- le chiese Merida lasciando perdere per un momento
il suo boccale.
-“Io
giro sempre
con un pennarello in tasca o anche con una matita. Ma la matita non
avrebbe di
certo funzionato su tutti questi intagli.”- fece scorrere le
dita su tutte le
scritte lasciate nel tempo da quelli che avevano occupato il tavolo
prima di
loro.
-“Fa
vedere.”-
Eugene si sporse per guardare meglio- “Wow, biondina
è davvero bello.”- le
disse stringendole un braccio attorno alle spalle.
-“Grazie.”-
rispose arrossendo appena la ragazza, soffiando sul disegnino che
aveva
lasciato sul tavolo –“Guardate, siamo noi.
Cioè, le nostre caricature.”-
Anche
gli altri si
avvicinarono per vedere meglio. Anna sorrise eccitata alla vista del
suo alter
ego d’inchiostro, mentre Merida sbuffò
contrariata: “Te lo concedo, è carino.
Ma i miei capelli non sono così gonfi.”-
-“No,
hai ragione,
lo sono di più!”- rise Hiccup, spingendola,
attirandosi il suo sguardo
infastidito.
-“Guardate.
Nevica!”- Anna spostò la loro attenzione dal
tavolo alla strada oltre la
vetrina: la neve cadeva lieve sulle teste dei passanti, scendendo dal
cielo in
spirali candide, imbiancando i tetti delle macchine parcheggiate lungo
il
marciapiede.
-“Era
ora!”-
esclamò Olaf al di sopra del frastuono del locale,
cominciando a canticchiare
Let it snow, mentre metà delle persone lo seguiva in
quell’intermezzo canoro.
Anche Anna e Rapunzel si unirono al gruppo, mentre Hiccup tirava fuori
il suo
smartphone per immortalare il momento: “Un sorriso per i
posteri.”
Le
due ragazze si
abbracciarono, tirando con loro anche Merida, sfoderarono i loro
luminosi
sorrisi.
-“Credo
mi verrà
una paresi facciale. L’hai scattata questa foto?”-
si lamentò Anna pochi
secondi dopo, continuando a sorridere.
-“In
realtà è un
video, quindi potete continuare a cantare.”-
spiegò ridacchiando.
Merida
gli lanciò
la prima cosa a tiro: “Cosa aspettavi a dircelo?”
La
bionda e la
rossa ricominciarono a cantare, sgolandosi per superare con le loro
voci il
coro del resto dei clienti del pub.
-“Che
spettacolo
imbarazzante.”- esclamò confuso Eugene continuando
a guardare le due amiche
cantare a squarciagola, attirando l’obbiettivo
dell’ iphone di Hiccup su di sé.
-“Questo
va
direttamente alla regia di American Idol!”- disse il ragazzo,
stoppando la
registrazione, mentre la gente batteva le mani, applaudendo la propria
esibizione –“Dobbiamo assolutamente fare una serata
karaoke.”- concluse.
Rapunzel
e Anna si
guardarono e poi cominciarono a lanciare urletti estatici, come se
quella
parola avesse un certo potere su di loro.
-“Come
si chiama
quel sushibar dove fanno il karaoke il sabato sera?”- chiese
a Merida.
-“Il
Mushu
Palace?”-
-“Già,
quello del
tuo amico Shang.”- intervenne Eugene- “Che tipo
strano.”- disse scuotendo il
capo.
-“Dobbiamo
tornarci, c’era una cameriera davvero carina, come si
chiamava?”- chiese
Hiccup.
-“Mu…”-cominciò
Merida.
-“Elsa!”-
la
interruppe tutto ad un tratto Anna, con gli occhi spalancati e lo
sguardo
rivolto fuori dal locale.
-“Ma
no, si chiama
Mulan.”- la corresse la rossa, non facendo caso al suo
comportamento, abituata
alle sue pazzie.
-“No,
no. Non
capisci: lì c’era Elsa!”-
esclamò esasperata, scuotendo il capo.
-“Anna
calmati, ma che…”- ma non concluse la frase che la
sua
coinquilina si era già fatta strada nel pub, spingendo per
uscire in strada.
Il
freddo della
sera le entrò nelle ossa non appena mise piede fuori dalla
porta, in mezzo alla
strada innevata. La neve continuava a cadere instancabile, andandosi a
posare
sui suoi capelli, mentre correva tra la gente, incurante del freddo:
aveva
lasciato il cappotto appeso alla sedia, ma non se ne era preoccupata.
Non aveva
esitato nemmeno per un istante e si era lanciata
all’inseguimento della
sorella, o almeno di quella che sembrava Elsa: vedeva i suoi capelli
biondi, di
quel colore quasi platino che avrebbe riconosciuto tra mille, raccolti
in una
lunga treccia che le oscillava alle spalle.
-“Elsa!”-
la
chiamò, allungando il collo per vederla meglio.
Il
moto perpetuo
dei capelli della bionda si fermò, quando la ragazza si
bloccò di colpo,
girandosi piano.
Anna
la vide, vide
i suoi occhi chiari cercare qualcuno tra la folla e poi spalancarsi per
la
sorpresa quando si posarono su di lei. Poi prima che la rossa potesse
anche
solo farle un cenno con la mano, Elsa si voltò di scatto e
cominciò a correre,
cercando di confondersi con la calca di persone che stava scendendo le
scale
della metropolitana.
Anna
spintonò per
passare e quasi cadde, inciampando sulle scale.
-“Elsa!
Fermati!”-
chiamò di nuovo, ma l’altra continuava
imperterrita a non voltarsi e a
procedere nella sua fuga.
La
rossa si bloccò
davanti alle sbarre delle macchinette dei biglietti e si maledisse
quando,
frugandosi nelle tasche dei jeans non trovò nemmeno un
centesimo. Alzò lo
sguardo per cercare ancora Elsa, e la vide, ferma a pochi centimetri
dalla
linea gialla del binario.
Anna
scavalcò la
sbarra, incurante delle proteste della gente dietro di lei e
cercò di
raggiungerla, ma un secondo prima che riuscisse a prenderla, la bionda
sgusciò
nel vagone della metro e le porte scorrevoli si richiusero dietro di
lei.
Elsa
la guardò per
alcuni secondi con uno sguardo dispiaciuto, mentre il mezzo partiva
lento, poi
abbassò gli occhi triste.
Anna
rimase ferma
sul bordo del binario, dove un attimo prima sostava la sorella, e si
lasciò
sfuggire un verso disperato, mentre lacrime di frustrazione
cominciavano a
caderle dagli occhi. La metro era sparita nel tunnel buio e con lei la
speranza
di parlare con Elsa. Inspirò profondamente, per cercare di
calmarsi, ma l’aria
malsana della ferrovia sotterrane di New York fece solo peggio, acuendo
il suo
stato di malessere: il fetore di urina e di gomma bruciata, le ardeva
in gola,
lasciandola senza fiato.
Si
asciugò gli
occhi con la manica del suo maglione, con un gesto furioso, riducendo
il suo
make-up ad un ammasso informe di matita e mascara. Si
incamminò a testa bassa
verso l’uscita, non prestando molta attenzione a dove andava,
resa parzialmente
cieca dalle lacrime che continuavano imperterrite a riempirle gli occhi.
Per
quale ragione
Elsa l’aveva evitata quasi come fosse la peste bubbonica,
fuggendo via, come se
non volesse vederla? Perché il suo sguardo era
così triste? Doveva esserci
qualcosa che non andava, altrimenti il suo comportamento non si
spiegava!
Trascinata
dal
flusso inesauribile dei suoi pensieri non si rese conto di quello che
aveva
davanti e andò a sbattere contro quella che a prima vista le
sembrò una
colonna, cadendo sul suo didietro.
-“Ouch!”-
si
lamentò.
Qualcuno
le urlò
dietro qualcosa di incomprensibile in un tono di voce basso e
minaccioso. Ma i
suoi occhi si spalancarono quando si rese conto che la colonna era in
realtà
una persone e le parole incomprensibili erano una lunga fila di
imprecazioni.
Risalì la figura dello sconosciuto, su, su, sempre
più su…ma quanto cavolo era
alto quel tizio?
Si
alzò, massaggiandosi
la parte dolente: “Sei sempre così
fine?”- gli disse di rimando, mentre lo
sconosciuto si passava una mano sul cappotto sporco e con
l’altra manteneva un
bicchiere di caffè.
-“Dove
diavolo hai
la testa, eh?”- le urlò contro, puntando i suoi
occhi scuri su di lei,
spostandosi i capelli biondi dalla fronte.
Anna
fece un passo
indietro intimorita, poi cercò di riprendersi:
“Non c’è bisogno di essere
così
alterati. Scusa, non volevo ero sovrappensiero.”-
Il
ragazzo grugnì
in disappunto, gettando il bicchiere mezzo vuoto in un cestino
lì vicino.
-“Senti,
ti pago
la lavanderia. Ecco tieni.”- cercò di nuovo nelle
tasche, ma ovviamente non
trovò nulla e con un sorrisino imbarazzato gli disse:
“Ehm, al momento non ho
contante, ma se mi lasci provare posso…”-
cominciò a strofinargli la manica del
suo maglione sulla macchia di caffè, cercando di farla
sparire, peggiorando
solo la situazione.
Alzò
lo sguardo
sul ragazzo di fronte a lei, temendo una sfuriata: quel tizio era
grande e
grosso, alto almeno due metri.
-“Lascia
perdere.”- le tirò via le mani e sbuffò
contrariato, mentre si allontanava-
“Imbranata!”- esclamò a mezza voce, ma
lei lo sentì.
-“Idiota!”-
gli
rispose arrabbiata. Lui si voltò di nuovo nella sua
direzione e la fissò per un
secondo con uno sguardo strano. Anna temette il peggio e se la
svignò tra la
folla, su per la scala per tornare in superficie.
Una
volta fuori
tirò un sospiro di sollievo
-“C’è mancato poco.”- disse
piegandosi in due a
riprendere fiato.
La
neve aveva
smesso di cadere ed ora la città sembrava avvolta da una
fredda coperta di
quiete, nonostante l’andirivieni incessante della gente che
affollava le
strade. Si allontanò lungo il marciapiede, stringendosi le
braccia al petto per
riscaldarsi, ma una voce la chiamò.
-“Anna?”-
Si
voltò a fissare
chi l’aveva fermata e per un secondo si scordò di
respirare.
*Orrendo,
riferito
al fatto che Hiccup nel suo universo di cognome fa Horrendus.
**
Hiccup in
inglese vuol dire singhiozzo.
NdA:
scusate
l’enorme ritardo, ma davvero non sapevo cosa scrivere in
questo secondo
capitolo e mi sono resa tristemente conto che gestire più di
una long per volta
è molto difficile e stressante. Spero di non avervi
annoiate; anche se questo
capitolo è molto statico e non dice niente di che, introduce
nuovi personaggi e
situazioni. Con i prossimi aggiornamenti vedrò di inserire
più indizi sul
comportamento di Elsa.
Comunque
grazie
per aver letto e grazie ad Amberly_1, bioshock1988 e robylovatic98 per
aver
inserito la ff tra le loro preferite e a chiarotti2000, giascali,
ily95,
LysL_97, mintheart e Poseidonson97 per averla annoverata tra le loro
seguite.
Al
prossimo
aggiornamento XD
Mi raccomando:
R&R!!