Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |       
Autore: Chesy    04/05/2014    1 recensioni
Se immagino un finale per Malec o, almeno, una parte del finale, immagino questo. Diciamo che sarebbe la parte drammatica e triste, la riunione che attendiamo sotto la luce della Luna, oscura e malinconica.
"Nessuno dei due ebbe il tempo di dirlo."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chesy's Work

PT. I

Alla fine lo realizzi: è una forza misteriosa che ti spinge a continuare a mietere vittime. Inerzia pura, perché nel mentre il tuo cervello si stacca completamente e tu continui a muoverti solo perché il tuo corpo sa come fare.

Hai paura? Il tuo corpo si muove.

Qualcuno ti attacca? Il tuo corpo reagisce per proteggerti.

Sei sotto shock? Poco importa, saranno i tuoi movimenti a impedirti di morire.

Era lì, Alec.

Pochi metri e sarebbe arrivato.

Pochi, così pochi: in condizioni normali, neanche due secondi. In condizioni normali, sarebbe arrivato da lui camminando, con un sorriso sulle labbra, spensierato e tranquillo.

In condizioni normali, già.

Ma in quel momento, dove un’orda di ibridi e demoni scuotevano e dilaniavano cielo e terra, cosa c’era di normale? Dov’erano le condizioni standard, quando Nascosti e Nephilim combattevano, ancora, schiena contro schiena per salvare il loro mondo, cadendo uno dopo l’altro, sopraffatti?

Dov’era la forza quando, per una volta, gli serviva?

Era quello che chiedeva il corpo di Alec: non aveva mai bramato niente, nessuna gloria o riconoscimento. Solo la possibilità di porte proteggere i suoi fratelli e le persone che amava: per quello serviva la volontà, la freddezza, più che la forza bruta. Ma ora, al calare del sole, Magnus aveva bisogno di lui: l’aveva visto solo un attimo prima, colto alla sprovvista da demoni e figli di Nephilim corrotti dal sangue nero. Aveva incrociato il suo sguardo, prima che sparisse in quell’orda viscida e violenta.

Aveva visto le scintille che scoppiettavano nelle sue mani spegnersi, inghiottite dal nero e dal bianco, dagli occhi e dalle zanne dei suoi assalitori. E, ora, circondato anche lui da quelle creature, Alec tremava: supplicava, chiedeva, patteggiava qualsiasi cosa per un po’ di forza.

Solo ora, per salvarlo.

Voglio salvarlo.

Non ci sono dei o angeli da supplicare, e al patteggiamento si sovrappose qualcosa di diverso: il cervello si riaccese, l’inerzia data dalla paura morì e, improvvisamente, Alec prese ad abbattere chiunque si frapponesse sulla sua strada con una tale abilità da lasciare allibito anche se stesso. Non si muoveva rapidamente, no.

I colpi erano secchi, decisi, dati in punti che ferivano l’avversario ma non lo uccidevano: scoccavano senza troppe cerimonie, determinati dal pensiero di raggiungerlo senza perdere tempo. Abbatterli, levarseli di torno: ci avrebbero pensato gli altri ad eliminarli del tutto.

Un passo.

Due passi.

Tre. Quattro. Cinque….

Alec lo raggiuse, quasi correndo, iniziando ad infilzare i demoni che avvolgevano Magnus come una cupola strisciante e viva, pulsante di morte. Il fiato corto impediva al ragazzo d’ispirare l’aria, riducendolo quasi a soffocarsi: l’urgenza era tale che non prestò attenzione dietro di se. Lui guardava davanti, solo lì, ed eliminava creature tanto rapidamente da sentir i crampi alle mani per il dolore d’impugnare da tanto tempo le spade: ma non importava.

Non importava niente.

Lui era lì, doveva salvarlo.

Questa era la forza, per Alec. Quella era l’aria, il sangue e l’energia: era ciò che aveva dentro, e che non era mai riuscito a tirare fuori, sino a quel momento. E quando tutte le creature furono mutilate e smantellate, poté finalmente vederlo: respirava, un flebile alzarsi e abbassarsi del petto, ricoperto di sangue. I capelli spettinati, il cappotto scuro strappato, gli occhi socchiusi come le labbra: i denti bianchi erano scuriti per via del sangue, le iridi s’intravedevano a malapena tra le ciglia.

-Magnus….-

Un nome. Il suo nome.

Alec si avvicinò a lui, tremando, gli occhi azzurri increduli: lo scosse leggermente, temendo che il movimento del petto fosse, in realtà, una sua fantasia.

Pronunciò ancora una volta il suo nome, constatando la gravità delle ferite: il sangue non aveva un punto d’uscita, sembrava essere una seconda pelle dello Stregone. Con le mani viscide di fluido rosso, il ragazzo prese le dita dell’uomo, stringendole così forte da far sbiancare le nocche.

-Magnus…Magnus….-

-Alexan…- l’uomo sputò una manciata di sangue. -Cosa…cosa…?-

-Prendila.- intrecciò le sue dita con quelle del Nascosto, anche se quelle di quest’ultimo erano immobili e fredde. –Prendila, prendila tutta se serve. Ma non morire, ti prego.-

-Alexander, io…-

-Hai detto che avevi sempre bisogno della mia forza. Lo stesso vale per me: è tua di diritto e lo sarà per sempre. Prendila, non lasciarmi.-

Scintille blu, come piccoli fuochi d’artificio, nacquero dai palmi uniti, gli occhi del Nephilim fissi sull’uomo che teneva tra le braccia. A nessuno dei due importava che avevano rotto, se si erano separati e che, fino a quel momento, non si erano rivolti la parola: poco importava delle chiamate senza risposta di Alec, delle lacrime di entrambi, del dolore, della prigionia o del fatto che, per lungo tempo, erano stati l’ombra di se stessi.

Si completavano, ora, si erano completati per tempo, erano uno parte dell’altro, e non c’era modo di separarsi: il destino era stato infido e crudele, la rottura dolorosa, ma ora non importava nulla.

Sei vivo.

Ecco cosa echeggiava nelle loro menti, cosa sentiva la pelle, cosa si leggeva nelle iridi di entrambi: gli occhi blu di Alec non si staccarono un solo attimo da lui, così come le iridi di Magnus non smisero di osservare il suo ragazzo. Perché mai aveva smesso di esserlo, anche se l’aveva detto. Lui era e sarebbe per sempre stato l’uomo della sua via, che aveva scelto e a cui apparteneva.

Un colpo.

Bastò un colpo per mandare in pezzi il loro contatto: artigli di demoni che apparvero dal nulla, conficcandosi nel costato di Alec e trascinandolo via, allontanandolo con un netto schiocco dalle mani di Magnus.

-Alec!-

Inutile, in quella baraonda di morte e sangue, di clangore di lame e fumi tossici nessuno sentì il richiamo dello Stregone a terra. Cercò di rialzarsi, di trascinarsi, di andare da Alec, distante diversi metri da lui, riverso a terra come una bambola priva di fili.

Un colpo.

Era bastato un colpo per riportarli alla realtà, per mandare in pezzi la sicurezza che si era creato con quell’intreccio di dita, con uno sguardo ricco di amore mai spento e di preoccupazione. E mentre Magnus cercava di raggiungerlo, trattenendo gemiti di dolore ad ogni movimento, tamponando come poteva la ferita al fianco, Alec cercava di capire cos’era successo.

Uno sciocco, scintille bianche e poi un dolore atroce alle costole.

Sputò del sangue, il respiro roco e ridotto gli lasciarono intuire che doveva avergli perforato un polmone, con quegli artigli. Non l’aveva visto arrivare, tanto era concentrato sull’uomo che aveva davanti.

E ora? Dov’era Magnus?

Eccolo, i suoi occhi lo individuarono subito: dietro di lui, alcuni nemici si erano resi conto di quanto lo Stregone fosse vulnerabile. Con uno scatto innaturale e improvviso, Alec si alzò: i dardi già incoccati nell’arco, lo sguardo velato di concentrazione.

Per un attimo, solo per un attimo, non esisteva il dolore.

Non esistevano ferite o sangue, o battaglie.

Esistevano solo i due avversari che si avvicinavano all’uomo che amava, che gli aveva cambiato la vita, che l’aveva accettato, senza trasformarlo. Per Magnus, lui era Alec. Non era il Cacciatore, così come il fratello o il Parabatai, o l’amico e il figlio.

Alexander Gideon Lightwood.

Le frecce volarono e si conficcarono sui due mostri, rendendoli inoffensivi: così, almeno, Magnus sarebbe stato momentaneamente al sicuro…..

No, eccoli, ancora.

Erano fissi su di lui, forse perché lo vedevano indifeso e succulento: anche se si stava trascinando nella sua direzione, Alec continuò a scoccare dardi, uno dopo l’altro, una pioggia diretta a chiunque osasse toccarlo.

Devo proteggerlo.

Non cercava espiazione per ciò che aveva fatto, non voleva dimostrare a Magnus che di lui poteva fidarsi: non voleva essere perdonato, perché per quello ci sarebbe stato tempo. Non gli importava se nuovamente l’avesse scacciato, una volta finita quella battaglia: il ragazzo, in quel momento, non aveva altro in mente se non proteggerlo. Perché dopo avrebbero parlato, quando sarebbero stati al sicuro.

Insieme.

Sentì un brivido, un rumore sordo e agghiacciante: la vista si fece sfocata e, improvvisamente, Alec si trovò in ginocchio, l’arco tra le dita che ondeggiava. Mirò ancora, anche se non riusciva più a vedere altro che ombre indistinte davanti a se: l’unica cosa chiara, era Magnus, oramai ad un soffio da lui.

Cadde a terra, l’arco che scivolò di mano. Il respiro si fece corto, il sangue gorgogliava in fondo alla gola, lacrime salate presero a scivolare lungo le guance: le labbra si mossero in una muta sentenza.

Allungò la mano, i muscoli distesi, le dita allo stremo della tensione: voleva raggiungerlo e avvolgerlo, fargli da scudo. Non sarebbe morto così, non senza difenderlo.

Perché l’amava, lo amava così tanto che faceva male il solo pensiero di andarsene senza avergli detto tutto ciò che voleva ascoltasse.

Ah, ecco, era proprio lì. Doveva solo afferrarlo, stringerlo a se e sentire il suo profumo, la sua voce e il suo calore. Ancora una volta, ancora mille volte.

Anche Magnus allungò la mano verso di lui, le dita a pochi centimetri da quelle del ragazzo: anche lui desiderava quel contatto, disperato e bruciante, come se il tempo passato senza Alec fosse stato un arido deserto e, ora, potesse finalmente dissetarsi. Gli 800 anni di solitudine erano niente, in confronto.

Le dita tese insanguinate, la terra che tremava, l’aria tossica e le lacrime: la consapevolezza che non ci fosse un futuro per loro, alla fine. La certezza che quello sarebbe stato l’ultimo contatto.

Ti prego.

Poco, ancora così poco. Attimo dopo attimo, qualche millimetro si guadagnava: la vicinanza ad un soffio. Gli occhi di entrambi si rispecchiarono nelle iridi che avevano amato dal primo istante, da un primo sguardo. Bastava questo, niente parole. Superflue e inutili, ecco cos’erano.

Si sfiorarono, finalmente. Un tocco che formò piccole scintille, ma che ai due non bastava ancora: Alec si spinse in avanti, toccando con le falangi quelle di Magnus.

Ancora, ancora.

Con le ultime forze, cercarono di avvicinarsi ancora, insieme: arrivano ad un soffio tra le loro labbra, gli occhi oramai persi in un turbine di colori e sensazioni. La battaglia non esisteva. Non c’era nulla attorno, il mondo era composto solo da loro due.

Poi Alec venne trascinato via, le labbra piene di sangue non urlarono nemmeno: gli occhi di Magnus, il suo viso, la sua figura si allontanarono. Lo vide, mentre un ibrido lo assaliva.

E lui sentì la schiena bruciare, mentre un demone lo trasformava nel suo nuovo pasto.

No, aspetta, aspetta.

Io….io devo….

Io….

Io……

Io ti amo, perdonami ti prego.

Nessuno dei due ebbe il tempo di dirlo.

 

Lo Stregatto parla.

Beh, che dire, spero sia piaciuto. La cosa curiosa è che ho scritto prima la seconda parte, poi mi sono detta: “Accidenti, se non c’è una prima parte non si capisce un cavolo.” Così eccomi qui. Questa è la prima FF su Efp, ma non la prima in quanto, con i Gdr sempre sotto mano, di Fanfiction ne ho scritte un paio. Spero sia piaciuto, non odiatemi, la Clare sta uccidendo anche me, con le sue maledette decisioni: era tanto bello il finale del terzo libro…ma no, bisogna distruggere tutto con altri tre volumi. *sbuffa* In conclusione, passo a ringraziare (lo faccio subito, altrimenti me lo scordo): in primo loco, l’ispirazione. Salta fuori nei momenti meno opportuni, e devo stimolarla con la musica per dirle che, finalmente, può farsi viva, ora che sono davanti ad un pc o a della carta. Poi, beh, il mio fratellino: è lui che mi ha fatto appassionare alle FF su Malec, ed è lui che, quando si fa vivo, si sorbisce i miei sfoghi. Questo racconto è anche per te.

In ultimo, ma non meno importante, grazio Ombro-chan, la mia “Sorella di Nutella”: lei mi ha mostrato il sito, lei mi aiuta con i codici, lei subisce le mie angherie, i miei dubbi e i miei post.

Bene, ci si vede al secondo e ultimo capitolo.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Chesy