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Autore: _juliet    05/05/2014    3 recensioni
Lui capiva, si disse, ne aveva la certezza. Ma, ora, tutto era vano: li separava la morte di lui; la morte di lei non li avrebbe riuniti.
{Lo Hobbit | post!Battaglia dei Cinque Eserciti}
Settima classificata al contest "Angst a tutto spiano", indetto da AoKise92 (e portato a termine da AmahyP) sul forum di EFP.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tauriel
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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 « when he shall die
take him and cut him out in little stars,
and he will make the face of heaven so fine
that all the world will be in love with night
and pay no worship to the garnish sun »
William Shakespeare 

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Era sgattaiolata fuori dalla fortezza al crepuscolo. Non esisteva un reale motivo per cui nascondersi o evitare di essere vista, ma era stata insolitamente cauta. Si era detta che, vedendola uscire da sola, durante la notte, molti si sarebbero allarmati; inoltre, era probabile che né re Thranduil né Legolas avrebbero approvato o compreso il suo comportamento. Sì, non era saggio che qualcuno la vedesse, pensò, mentre si muoveva con grazia innaturale nel groviglio di radici che ricopriva il terreno. 
Gli Elfi non vivevano le emozioni come le altre razze; le loro menti erano eccessivamente razionali e sistematiche. Non riuscivano a concepire come qualcosa di basso e corporeo come l'emotività potesse spingere altri creature all'azione. Per loro, era sufficiente una forte determinazione, una promessa da onorare, o semplicemente la consapevolezza di essere nel giusto.
Era questo che Tauriel continuava a ripetere a se stessa, da quando aveva lasciato le sue stanze: che stava rendendo il giusto omaggio a un alleato caduto valorosamente. Ma, nelle pronfondità della sua anima, con più forza di quanta avrebbe mai ammesso, desiderava che quel momento appartenesse solo a lei. A loro. 
Camminò a lungo nella foresta, senza fretta. Non poteva perdersi: ogni roccia e macchia di muschio le erano familiari. 
Alberi enormi, nodosi, dalle radici contorte, creavano con i loro grandi rami un labirinto impenetrabile e un tetto di foglie. Tauriel conosceva quel luogo come le sue tasche, perché vi era nata e vissuta per tutta la vita. 
Ora, Bosco Atro era molto diverso da come era stato: da quando tutto era finito, le ombre erano scomparse; la foresta era tornata a essere verde e viva, luminosa ed accogliente. Aveva perso l'aura di malvagità e il puzzo di morte che l'avevano caratterizzata così bene per troppo tempo. Non era più così sinistra e pericolosa, non c'erano ragnatele tese fra i rami bitorzoluti. L'Elfa era convinta che quel bosco fosse una creatura viva, ma ora non pareva più così ostile verso coloro che lo attraversavano. Tauriel accarezzò distrattamente la corteccia, godendosi il gorgoglio degli alberi in risposta. 
L'aria era umida, densa; si ostinava ad attaccarsi a lei, rendendo la sua pelle appiccicosa e la respirazione più complicata. Ma l'Elfa non poteva fermarsi: il sole era calato, e ogni momento poteva essere quello giusto. Doveva cercare un albero che fosse abbastanza alto da sovrastare la chioma di tutti gli altri, dal quale avere una buona visuale.
Senza esitazione, prese la rincorsa e iniziò a scalare un enorme frassino. Si arrampicò con agilità; i suoi piedi trovavano appigli senza sforzo e l'albero sembrava offrirle i propri rami alla prima difficoltà. Quando iniziò a intravedere la cima, rallentò l'andatura, cercando di imprimere nella sua memoria ogni venatura del legno, ogni sospiro delle fronde, ogni richiamo degli uccelli. 
Quando si fece largo fra le foglie più alte, un soffio di vento freddo le scompigliò i capelli. Mentre si stringeva negli abiti, si lasciò sfuggire un sospiro, sistemandosi comodamente fra i rami. Al suo respiro, piccole nuvole di condensa si disperdevano nell'aria. 
Le stelle apparvero nel suo campo visivo dandole l'impressione di esserci sempre state, punti di luce nell'oscurità. Per la prima volta dopo molto tempo, Tauriel sentì il suo volto distendersi in un sorriso e, senza indugi, rivolse gli occhi al cielo, trovandolo gremito come mai ricordava di averlo visto. Ma, probabilmente, non importava quanto spesso lo vedesse: ogni volta l'impatto sarebbe stato più forte. 
La sua bocca si aprì senza emettere suoni. Anche i suoi occhi si spalancarono, incapaci di gestire uno spettacolo così maestoso. Miriadi di punti luminosi creavano ragnatele fittissime. Alcune canzoni dicevano fossero buchi, da cui filtrava la luce di chissà quale dio, oppure un fiume celeste che impediva agli innamorati di incontrarsi. Magari, erano mondi diversi, lontani, che un giorno avrebbe potuto conoscere. 
Tauriel si voltò, gettando la testa all'indietro, cercando di inglobare l'intera volta del cielo nei suoi occhi, insieme con tutte le costellazioni. Si chiese come fosse mai possibile definire le stelle "fredde". Lui aveva detto che la loro luce era remota, lontana...
Lui non aveva mai capito, pensò l'Elfa. Prese un oggetto nero e lucido dalla sua bisaccia e lo osservò attentamente, percorrendo con l'indice le rune incise nella pietra. I ricordi legati a quell'incontro la colpirono, imprimendo più a fondo in lei la consapevolezza che lui non era più parte del mondo. Tauriel sapeva che era morto, lo sapeva da molto tempo, la sua mente lo capiva e aveva, in qualche modo, accettato la situazione. 
Ma l'Elfa non tardò a riconoscere il familiare dolore al petto che la tormentava durante la notte. In quei momenti, il suo cervello ed il suo corpo parevano scindersi l'uno dall'altro: il primo, incuriosito ma diffidente, si limitava ad osservare, analizzare e catalogare tutto ciò che accadeva; il secondo si lasciava travolgere da quella corporea emotività tanto disprezzata dagli Eldar.
Tauriel aveva scoperto che il torrente delle emozioni scorreva velocissimo; ovattava i pensieri e si raccoglieva nel petto, annodando strettamente le viscere. Si rese conto che aveva difficoltà a respirare solo quando i suoi polmoni iniziarono a bruciare, reclamando aria; notò anche che i singhiozzi spezzati che udiva provenivano dalla sua gola. Le sue mani stringevano convulsamente la pietra runica e il suo corpo si ripiegava su se stesso, nel tentativo disperato di contenere l’angoscia della mancanza; la mancanza di lui, la mancanza di tutto. Lui capiva, si disse, ne aveva la certezza. Ma, ora, tutto era vano: li separava la morte di lui; la morte di lei non li avrebbe riuniti.
L'apparire di uno spicchio di luce all'orizzonte catturò la sua attenzione. Aveva sempre creduto che nulla potesse eguagliare la grandiosità del cielo stellato; ma ora che la luna di fuoco stava sorgendo, la notte impallidiva al confronto. Quella vista la colse impreparata e la stupì tanto da interrompere il suo pianto. In pochi minuti, l'astro apparve in tutta la sua grandezza; un enorme fulgore macchiato di rosso che tingeva il cielo di una sfumatura violastra e che, con la sua luce, soverchiava le stelle fino ad annullarle.
Tauriel osservò quel brillio riflettersi nella pietra lucida, domandandosi se, dovunque fosse, lui potesse vederla. Il sospiro del vento le scompigliò i capelli e le accarezzò il viso, sollevando una nuvola di pollini fino a depositare un fiore nel suo palmo. L'Elfa respirò l'aria profumata di muschio, tentando di contenere il torrente di emozioni che si era risvegliato in lei e si stava accumulando nei suoi occhi, minacciando di strabordare. 
«Ti avrebbe amato» sussurrò. «Ti amava già.»
Attese finché la luna non calò dietro le montagne, tramontando per sempre, e le stelle lo piansero con lei.


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NdA: l'ennesima Kíliel. Così, perché avevo voglia di farmi del male. Idealmente, si può considerare un prequel a "La vera forza".

 

  
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