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Autore: Shainareth    24/07/2008    7 recensioni
Nulla di pretenzioso, solo un piccolo scorcio della quotidiana vita del trio Zoro/Nami/Silk da me "reinventato" nella lunga saga della mia precedente (nonché prima) fanfiction, Piece Main. Consideratelo dunque un tentativo di riaccostarsi alla composizione di racconti sulla serie di Eiichiro Oda.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Nami, Roronoa Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Piece Main'
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PIECE MAIN

 

 

Figli del mare

 

           

Intonò le prime parole di una canzone del mare che sua madre le aveva insegnato da bambina. I lunghi capelli rossicci, sparpagliati dal vento, le si appiattivano sul viso e talvolta le entravano in bocca. Le gambe nude penzolavano nel vuoto e lei muoveva i piedi avanti e indietro come avesse avuto ancora cinque anni. Con una mano si scostò una ciocca finita fra le labbra mentre alzava gli occhi al cielo che, a quell’ora del giorno, sfoggiava uno dei suoi più begli abiti, pennellato di tenui colori che quasi ricordavano un’iride al contrario. Il sole moriva all’orizzonte, sparpagliando sulla superficie del mare appena mosso un meraviglioso tappeto dorato capace di rasserenare l’animo di chiunque si soffermasse ad osservarlo. L’odore onnipresente di salsedine le entrò prepotentemente nelle narici quando una folata di vento più forte delle altre le appannò del tutto la vista a causa dei capelli che le schiaffeggiarono il viso.

   «Silk, ti prenderai un raffreddore, se resti lì» udì gridare alle sue spalle.

   Incurante del consiglio, lei esibì un largo sorriso. «Mi sento leggera, qui.»

   Sua madre sospirò, paziente, e le si fece vicino, gettandole un golf sulla testa. «E’ l’effetto che fa il mare» spiegò. Anche i suoi occhi nocciola si persero su quella sconfinata distesa blu e oro. «Colpa di tuo nonno, se ne subiamo il fascino in questo modo.»

   Silk rimase in silenzio per qualche attimo, accomodandosi meglio il golfino attorno al corpo. Poi domandò: «Ti sei mai pentita di aver lasciato il mare?»

   L’altra la fissò, inducendola a voltarsi nella sua direzione: avevano gli stessi occhi, ma lo sguardo della ragazzina ricordava molto più quello del padre. Nami sorrise. «Se non lo avessi fatto, a quest’ora tu non saresti qui.»

   «Però… a quanto pare non era poi così necessario» notò Silk con una vena di rammarico, facendo riferimento al ventre rotondo che sua madre nascondeva sotto un largo abito color crema, fermato da un nastro annodato dietro la schiena all’altezza dei seni.

   Nami rise. «All’epoca in cui concepii te, non ero certo nella Grand Line, quindi tornare a Coco mi sembrò la soluzione più semplice. E poi, adesso l’età inizia a farsi sentire anche per me, quindi meglio avere una mano in più, ti pare?» e nel dirlo, cacciò in fuori la lingua, segno che quella vena infantile ancora ben impressa nell’animo di Silk era anch’essa eredità materna. «Come te, anche questo» riprese facendosi seria e carezzandosi con amore il ventre, «sarà un figlio del mare.»

   Silk sorrise di nuovo, tornando a puntare gli occhi al cielo al tramonto. «Speriamo solo che non venga traviato anche lui, allora.»

   «Per evitarlo, bisognerà tenerlo lontano da tuo padre e dal capitano.»

   «E da Sanji ed Usop, certo.»

   «E magari anche dalla sorella maggiore.»

   Stizzita, la ragazzina lanciò un’occhiata in tralice alla donna che le stava di fianco. «In tal caso, dovremo darlo in adozione, perché anche sua madre non è un tipo affidabile.»

   Nami annuì. «Sì, ci avevo pensato. Ma poi ho pensato anche che, visti i geni di famiglia, difficilmente crescerà normale anche stando lontano da noi. Specie se somiglierà a tuo padre.»

   «Se poi prenderà anche da tua madre, allora sarà davvero irrecuperabile» si sentì bofonchiare con fare annoiato dietro di loro. Si voltarono per scorgere la figura di un uomo vigoroso che, a petto nudo e grondante di sudore, si tamponava il viso con un asciugamano bianco.

   La sua compagna gli rispose con uno dei suoi più belli quanto falsi sorrisi, i gomiti poggiati alla cimasa del parapetto sul quale sedeva Silk, il mento su una mano. «Almeno avrà un cervello.»

   «Non che tu ne abbia dimostrato molto scegliendo me, se la pensi in questo modo.»

   «Touché» gli concesse, facendogli finalmente dono di un sorriso sincero.

   Silk sospirò teatralmente e si portò una mano alla tempia, scuotendo il capo con aria rassegnata. «Avere a che fare con voi, è come avere tra i piedi due mocciosi dell’asilo, pronti a farsi i dispetti per attirare l’una l’attenzione dell’altro.»

   «Ottima interpretazione del rapporto tra i tuoi genitori, tesoro!» si congratulò Nami, battendole le mani con espressione gioviale.

   Zoro invece le fissò fortemente perplesso. «Ma che cavolo dici? Sono io, la vittima.»

   «Cosa?» scattò a quel punto la donna, serrando i pugni contro le anche. «Ed io, allora, che ho sposato uno spiantato?»

   «Non sono tuo marito, puoi andartene quando vuoi» le disse di rimando lo spadaccino, posando l’asciugamano attorno alla nuca e reggendone i due lembi che ricadevano ai lati del collo con entrambe le mani.

   «Mi chiedo se non sia meglio che al piccolo faccia io da madre e da padre» ponderò Silk a mezza voce, a quel punto, lo sguardo corrucciato, la linea della bocca che rafforzava i dubbi espressi a parole.

   «Ottimo» convenne suo padre, avviandosi verso il boccaporto con uno sbadiglio. «Così, quando piangerà di notte, ci penserai tu e noi potremo dormire in pace.»

   «Come se ti fossi mai occupato di Silk dopo essere sprofondato nel sonno» gli ricordò Nami con aria di profondo risentimento prima che lui sparisse alla loro vista, le braccia ora intrecciate sul petto. «E sono sicura che sarà così anche questa volta.»

   Silk ritirò le gambe a bordo della nave, ruotò su se stessa e saltò a piedi uniti sulle tavole di legno del ponte. «Sicura di non esserti mai pentita della scelta fatta?» domandò all’improvviso, tornando a scostarsi i capelli fiammeggianti dagli occhi.

   L’altra non rispose subito, ma si volse a fissarla per una manciata di secondi in assoluto silenzio. Quindi le fece dono del più tenero dei sorrisi che una madre può regalare alla propria creatura. «Mai. Neanche una volta. E se così non fosse, ripeterei l’errore all’infinito pur di poter avere te. E lui» aggiunse alla fine, tornando ancora una volta a carezzarsi il ventre.










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