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Autore: ChibyLilla    06/05/2014    1 recensioni
Dopo un anno dalla prima audizione, Kurt è entrato alla NYADA e finalmente raggiunge Rachel a New York. Anche Finn riesce a trovare lavoro lì, in modo da poter stare col fratello e la fidanzata.
Rachel divide la casa con Santana e l'innumerevole quantità di persone che la ragazza porta a casa 0.0
Finn si trova a convivere con Elliot, un musicista disordinato e disorganizzato sotto ogni punto di vista.
Kurt abita con un altro studente al primo anno come lui, Blaine. Dolce, affabile, ma circondato da un'aurea di mistero. Non può che essere amore.
Romance - Hurt/Comfort - a tratti Demenziale
Genere: Demenziale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Finn Hudson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Finn/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto davvero scrivendo una fanfic su Glee?

A quanto pare si. E speriamo non sia un flop totale.

Allora, in virtù dell’onestà, non ho la minima idea di dove andremo a finire, semplicemente mi piaceva l’idea di far convivere Blaine e Kurt (lo ammetto, ho letto una storia su una loro possibile convivenza e me ne sono innamorata, ma prometto che la mia non ha niente a che fare con quella!!!)

Ero anche indecisa sui personaggi, quindi non so se farò entrare qualcun altro o quanto spazio darò a chiunque non sia Blaine o Kurt.

Inoltre, nonostante il primo capitolo parli per lo più di Kurt, è solo una introduzione. Ho la tendenza a non descrivere gli eventi dal punto di vista del mio personaggio preferito (chiaramente Blaine), per questo ho scelto Kurt, ma non è il solo protagonista!

Intanto, se avete qualche suggerimento per la storia, non fatevi scrupoli a dirmelo, accetto con piacere, perché come ho detto non ho proprio un programma.

Spero davvero vi piaccia *.*

E in realtà dovevo dire qualche altra cosa, ma l’ho dimenticata! Quindi, Enjoy!!!

 

New York

 

Entusiasmo. Se Kurt avesse dovuto scegliere una sola parola per definire quello che provava in quel momento, avrebbe usato quella. Entusiasmo; per una volta, neanche sforzandosi, riusciva a trovare qualcosa di negativo in quello che stava succedendo.

Al diavolo la paura, la nostalgia di casa… Era a New York e ci era arrivato insieme a suo fratello e alla sua migliore amica. Non poteva sperare in meglio.

Diplomato da ormai un anno interno, aveva girovagato a tempo perso tra le mura della sua vecchia scuola per quasi un semestre, dopo essere stato respinto dalla NYADA. Rachel era partita, lei era riuscita a coronare il suo sogno, o almeno a fare un passo in più verso Broadway. Finn aveva un lavoro, al McKinley, al fianco di Shouster e nel tempo libero poteva anche aiutare suo padre in officina, se non era troppo occupato a flirtare telefonicamente con la fidanzata newyorkese.

E a Kurt non era rimasto che un part time al Lima Bean ed un’intera collezione di DVD di Gilmore Girls da guardare fino a notte fonda, con una confezione di gelato al pistacchio tra le mani. “Sembri depresso,” gli aveva detto una volta Finn e Kurt non aveva colto l’ironia nel suo tono di voce. È naturale essere depressi, mentre tutti gli altri fanno progetti e tu resti senza più nulla a cui aggrapparti.

Ma poi si era addormentato con una canzone nelle orecchie, Being Alive e per la prima volta gli era sembrato di capirne il senso. Aveva iniziato a prepararsi alle prossime audizioni dal mattino seguente.

 

Ed eccolo lì, seduto in un autentico taxy newyorkese, diretto al suo nuovo appartamento, pronto a farsi una nuova vita nella città in cui aveva sempre sognato di vivere.

Kurt non riusciva a staccare lo sguardo dalla strada, mentre la città scorreva veloce davanti ai suoi occhi e lui aveva appena il tempo di registrare il nome del negozio che aveva esposto l’ultimo numero di Vogue in vetrina o il viso simpatico del modello immortalato su uno dei manifesti giganti che decoravano la strada.

“Vuoi stare fermo, Finn?”

Kurt sbatté le palpebre un paio di volte, spostando lo sguardo verso suo padre, seduto accanto a lui con una mano poggiata sul ginocchio di Finn ed un sorriso dubbio sul viso.

“Come faccio a stare fermo? Sto per rivedere Rachel dopo… tre mesi?!”

Ed anche Kurt sorrise. Perché, che Finn avesse deciso di andare a vivere a New York non era forse poi tanto strano, ma che fosse effettivamente riuscito a trovare un lavoro lì, sembrava quasi un miracolo. Quasi quanto lo era stato il suo ingresso alla NYADA e ad entrambi sembrava ancora di vivere in un sogno.

“E finalmente, eccoci qui!” esordì Burt appena il taxi accostò, lasciandoli scendere.

“Dio, Kurt, siamo davvero a New York!” Finn gli passò amichevolmente una mano sulla spalla, stringendolo forte e guardando nella sua stessa direzione. Quello che avevano di fronte era il palazzo in cui avrebbero abitato.

Era stata Rachel ad occuparsi di trovare loro una casa e si era impegnata perché fossero il più vicino possibile a lei. Abitava già con Santana, ma anche se avesse avuto spazio, non c’era possibilità che Burt e Carol avrebbero acconsentito a far vivere sotto lo stesso tetto Romeo e Giulietta.

Rachel aveva girato vari posti, era stata attenta sia ai prezzi che al comfort e quella che avevano di fronte era sembrata la soluzione ideale. Naturalmente aveva fatto delle foto e Kurt le aveva guardate talmente tante volte che non aveva dubbi. Anche se tutti i palazzi potevano sembrare identici tra loro, sapeva esattamente dove avrebbe abitato, lo aveva riconosciuto dalla crepa a destra del portone e dalle orribili persiane al primo piano.

“Mi dispiace interrompere le vostre fantasie ad occhi aperti, ma se vi aspettate che prenda io tutte le valigie siete fuori strada!”

“Scusa papà, ora Finn ti da una mano.”

“Scusa Burt! Ehi un attimo, perché solo io? Guarda che non porto tutte le tue cose!” fece notare Finn, sottolineando il “tutte” con un gesto della mano. Beh, Kurt non aveva saputo decidere bene cosa portare e cosa no, nel dubbio aveva portato un po’ tutto, trasferendo letteralmente camera sua a New York, non c’era dubbio che le sue valigie fossero le più numerose. E Finn ancora non sapeva quanto pesanti fossero, per inciso.

Con una smorfia, Kurt infilò un guanto alla mano destra, pronto ad afferrare qualcosa, ma non ne ebbe il tempo.

“Rachel!” Finn lasciò perdere le borse ed il taxi e tutto il resto, concedendosi il lusso di stringere la propria fidanzata tra le braccia, dopo quelli che sembravano essere stati dei secoli.

Un colpo di tosse palesemente forzato da parte di Burt li costrinse a staccarsi pochi secondo dopo.

“Err- Allora, se volete seguirmi vi mostro casa!” con un sorriso a trentadue denti, degno solo di un’occasione davvero importante, Rachel alla fine fu la prima ad agguantare una borsa, solo per non essere la sola a mani vuota, poi infilò la chiave nella serratura, aprendo il pesante portone e facendo strada ai nuovi arrivati.

“Che bellezza, un ascensore!”

Per Kurt era stata una delusione sapere che lui e Finn non avrebbero abitato insieme, ma Rachel non era riuscita a fare di meglio. C’era un monolocale libero, proprio di fronte casa sua, ma era un monolocale, appunto. C’erano un paio di appartamenti nei dintorni, ma uno aveva delle perdite in più di una stanza e nell’altro aveva abitato un suicida e non sembrava di buon auspicio.

Almeno erano nello stesso edificio, a soli due piani di distanza ed avrebbero comunque passato del tempo insieme. Era un po’ come vivere con Finn, senza doverlo sentir russare. Il che in fondo non era un male!

Uno dei due appartamenti era già abitato da un musicista, a detta di Rachel piuttosto stravagante, con un nome che Kurt non si era curato di conoscere. Nell’altro stava per trasferirsi un ragazzo che avrebbe iniziato il primo anno alla NYADA proprio come Kurt.

“Qui c’è Finn,” esordì Rachel indicando la prima porta a destra, una volta approdati al secondo piano.

La versione ufficiale per cui quello era l’appartamento di Finn e l’altro sarebbe toccato a Kurt era che in questo modo Kurt avrebbe da subito fatto amicizia con un nuovo studente. “La NYADA è dispersiva, frenetica,  in due ve la caverete meglio.”

Il vero motivo, noto solo a Kurt e Rachel – troppo imbarazzante, per dirlo a Finn – era che il coinquilino di quest’ultimo era sempre fuori. Avrebbero avuto una casa vuota, insomma.

Il posto sembrava carino, ma leggermente in disordine e Kurt non sfuggirono i piatti sporchi nel lavandino né i boxer abbandonati a terra. Finn si sarebbe trovato a suo agio, ma probabilmente Kurt non avrebbe più messo piede in quella tana di germi. Se anche il suo coinquilino – no, non voleva pensarci.

“Elliot lavora fino a sera,” spiegò Rachel, indicando a Finn la propria camera.

“Bene, ora voglio vedere il mio appartamento, dai Rachel, dai!!!” Senza curarsi di quanto infantile risultasse il suo atteggiamento, Kurt strattonò la manica del trench dell’amica, avvicinandola alla porta un passo alla volta, sotto lo sguardo divertito di Burt, mentre Finn ispezionava il posto.

“Dai, Finn, torni dopo! Andiamo, andiamo!”

E alla fine tutti furono costretti a cedere. Due piani più su, finalmente eccolo di fronte alla porta della sua nuova casa. Nuova casa.

“Le mie chiavi?” domandò Kurt, una mano protesa verso l’amica ed uno sguardo speranzoso negli occhi. “Voglio essere io ad aprire!”

Rechel si schiarì la voce, “Le tue chiavi sono qui,” disse, sventolandole davanti alla sua faccia, “Però il tuo coinquilino è dentro, forse sarebbe carino usare il campanello.”

Prima che Kurt potesse replicare, lamentandosi di voler entrare come proprietario nell’appartamento e non come ospite, Finn aveva già premuto il campanello.

Una manciata di secondi più tardi la porta si spalancò, rivelando il volto di quello che sarebbe stato il coinquilino di Kurt.

“Blaine!” Rachel abbracciò il ragazzo con un braccio, mentre l’altro era finalmente teso verso Kurt, nel tentativo di consegnargli le nuove chiavi. “Lui è Kurt,” gli disse, dopo essersi staccata da lui, “E loro sono suo fratello Finn che abita due piani più in basso e suo padre Burt che è qui solo per assicurarsi che non sei un pazzo con manie omicide e non farai del male a Kurt.”

Battuta un pizzico fuori luogo, dovette ammettere Rachel, quando due paia di occhi la fulminarono con lo sguardo, mentre Blaine sorrideva evidentemente imbarazzato e Finn si chiedeva se l’aria di New York fosse tossica o se Rachel fosse impazzita.

“Dai, Kurt, entra, ti faccio vedere la casa,” ordinò Rachel, prendendolo per mano e trascinandolo dentro.

Nella foga del momento Kurt non era riuscito a soffermarsi su Blaine quanto avrebbe voluto.

Quando Rachel aveva parlato di lui, aveva detto che era un ragazzo gentile, estremamente attraente e vagamente timido.

Kurt non ebbe la stessa impressione. Aveva una maglia color salmone, chi è timido non usa colori così forti, né tantomeno lascia le caviglie scoperta. Oh no, quel ragazzo sapeva decisamente il fatto suo, i vestiti non mentono mai.

Carino, si, ma niente di speciale, troppo spettinato per i gusti di Kurt e decisamente troppo basso.

Okay, forse era riuscito a squadrarlo, solo non era certo di volerlo ammettere.

“Ehm,” Blaine si schiarì la voce e Kurt si rese conto solo in quel momento di essere curioso di sentirla. “Io sono arrivato qui due giorni fa e, beh, non potevo proprio dormire a terra,” spiegò grattandosi il collo, “Quindi ho preso una delle due stanze. Ah, ma non ho ancora disfatto le valigie, non del tutto almeno, quindi se vuoi starci tu io prendo l’altra e-”

“Nessun problema,” si affrettò a spiegare Kurt. Non aveva ancora visto neppure visto le camere, ma Blaine era sembrato educato a precisare la cosa e Kurt era certo di poter sopravvivere anche senza la stanza più bella della casa.

Si lasciò guidare in un breve “Questa è la cucina, qui c’è il bagno, bla, bla…” poi lasciò che Rachel si dileguasse, trascinando Finn per un braccio. “Qui ora potete cavarvela da soli! Noi andiamo ad ispezionare di sotto. Ci vediamo tra un’ora e mezza giù, vi porto a cena in un posto fantastico.”

Una volta che Kurt aveva assicurato di poter prendere la stanza ancora vuota, anche Blaine si era allontanato e Kurt non aveva capito se era in imbarazzo a stare lì con loro o se voleva semplicemente lasciargli i suoi spazi. In entrambi i casi era stato molto carino. Forse un po’ troppo formale, ma almeno sembrava un tipo ordinato. Il fatto che non ci fossero mutande in giro era un buon segno.

“Papà, sono a New York,” commentò per l’ennesima volta Kurt, sedendosi sul letto, improvvisamente stanco e socchiudendo gli occhi. Burt gli aveva preparato un discorso, Kurt lo aveva scoperto con la stessa facilità con cui a cinque anni era riuscito a capire che i suoi stavano organizzando una festa a sorpresa per lui. Però non era certo di volerlo sentire, avrebbe pianto e non voleva che il suo primo giorno a New York fosse contaminato dalle lacrime, così decise, almeno per il momento, di non dargliene la possibilità.

Si riscosse dai propri pensieri un attimo prima che il padre potesse aprire la bocca, “Abbiamo poco tempo, devo sistemare!”

“Puoi farlo con calma Kurt, le tue lezioni iniziano tra quattro giorni.”

“Mi si stropicciano i vestiti in valigia,” obiettò, iniziando ad aprire una cerniera e tirando fuori con meticolosa precisione un paio di pantaloni e quella che aveva tutta l’aria di essere una tutina, prima che Burt si decidesse a fermarlo.

Con entrambe le mani sulle spalle del figlio, Burt sospirò e prese la parola. “Sono stati in quella valigia per ore, qualche minuto in più non li rovinerà. Non la tiro per le lunghe, tranquillo. Posso soltanto dirti quanto io sia fiero di te? Hanno provato a farti di tutto, hanno cercato di abbatterti, ma tu sei inarrestabile, Kurt. Sono molto fiero di essere tuo padre-”

Era partito il monologo.

E alla fine ci era riuscito, lo aveva fatto piangere.

Ma le sue non erano lacrime di tristezza, Kurt non stava piangendo perché suo padre sarebbe tornato in Ohio il giorno seguente e lui sarebbe rimasto da solo in una nuova, grande città. Piangeva perché per la prima volta poteva sentirsi orgoglioso di se stesso. E suo padre aveva deciso di diventare sdolcinato per l’occasione, era un grande traguardo, doveva riconoscerlo!

E così non avevano avuto il tempo di sistemare praticamente nulla. L’ora e mezza a loro disposizione era terminata e Kurt si era visto costretto ad abbandonare tutina e pantaloni sul letto ancora senza lenzuola e tornare da Rachel e Finn.

Passando davanti alla porta chiusa di camera di Blaine, Kurt fu costretto a fermarsi. “Papà, ti dispiace se-”

“Fa’ pure.”

Trasse un profondo respiro e bussò col pugno contro il legno della porta, aspettando che Blaine aprisse con la stessa espressione affabile che aveva un’ora prima, quando si era congedato. Per un momento Kurt provò l’irrefrenabile impulso di sbirciare oltre la porta semi aperta, per capire cosa stesse facendo il ragazzo. In fondo, ancora non sapeva nulla di lui.

“Senti, volevo solo dirti che noi stiamo andando a cena con Rachel e Finn.”

“Okay.”

“Ehm, se – e  ti va di venire con noi?”

Kurt non poté far a meno di sorridere quando Blaine si portò di nuovo la mano al collo in quello che apparentemente era il suo modo di dissimulare l’imbarazzo. “Non credo che sia il caso,” disse, con una scrollata di spalle che Kurt trovò decisamente adorabile.

“Guarda che ci fa piacere davvero, altrimenti non te lo avremmo chiesto.”

“Non vorrai restare qui da solo?” si intromise Burt.

“Non è un problema, sono qui da due giorni. Davvero non – è una cosa di famiglia.”

Più Blaine parlava, più Kurt sentiva il bisogno di convincerlo ad andare con loro. “Appunto! Tu ed io abitiamo ufficialmente nella stessa casa, dobbiamo conoscerci!”

“E poi Burt deve ancora assicurarsi che tu non sia un maniaco o qualcosa del genere!” intervenne Finn sbucando alle spalle di Kurt e facendolo sobbalzare. “Avete la porta aperta e stiamo facendo tardi!"
  
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