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Autore: Purrrkwood    06/05/2014    3 recensioni
“Guardami negli occhi” gli disse di nuovo, e Tullio nemmeno lo aveva visto avvicinarsi. Incontrò il suo sguardo a pochi centimetri di distanza e si chiese quale fosse stato il giorno in cui le cose erano cambiate, dove fosse la linea che separava il momento in cui tutto andava ancora bene da quello in cui tutto aveva iniziato a crollare, lentamente e silenziosamente, come la roccia erosa dall'acqua che infine si sgretola e diventa polvere.
[Post film|Angst vagante|TullioxMiguel|TullioxChel implied]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chelo, Miguel, Tullio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Io mi sento una brutta persona. Sul serio. Ok.

La Panda pandaffanculo l'ho già ordinata.

 Fui dio e fui polvere

C’era il mare, attorno a lui: onde pigre blu, che nella luce del tramonto si tingevano di viola e andavano a concludere il loro percorso sulla spiaggia e sui pilastri del molo. C’era il vento, che cullava le foglie sugli alberi e i capelli delle ragazze che passeggiavano nella tiepida aria salmastra. C’era la musica, che lenta accompagnava il volo dei gabbiani nell’ultima danza di quella giornata.

Cuba si era rivelata essere esattamente come l’aveva immaginata: caotica, colorata, soffocante. Viva. Nelle fredde sere invernali, in cui per evitare di spezzarsi i denti a furia di sbatterli si doveva dormire abbracciati, Miguel aveva parlato di Cuba e di quanto avrebbe voluto visitarla, gesticolando come solo lui faceva, trasudando esaltazione e speranza da ogni singolo poro. In quelle sere, Tullio si era stretto a lui più volentieri, perché quei sorrisi a volte esagerati erano tutto ciò di cui aveva bisogno per dimenticare tutto e dormire, e il fuoco del suo compagno teneva lontano il freddo meglio di qualsiasi letto sontuoso nelle case della gente ricca.

In realtà, ad essere sinceri, dopo tutto quello che avevano passato qualunque luogo sarebbe andato bene: era già stato un miracolo l’aver ritrovato la barca ancora integra sulla spiaggia, dopo la rocambolesca fuga da Eldorado. Alla vista di persone civili, Tullio era quasi scoppiato a piangere dalla gioia.

Eppure c’era qualcosa di terribilmente ironico in tutto ciò, e Tullio ripeteva nella propria mente la parola “ironico” perché il suo unico sostituto sarebbe stato “crudele”. Ironico, perché una parte di lui voleva davvero ridere.

Quanto occorre per costruire la vita di un uomo? E’ un pensiero forse privo di senso, pensò tra sé e sé. In compenso, capì quanto basta per distruggerla: bastano pochi secondi, e una manciata di parole dette al momento giusto, con il tono giusto e l’espressione giusta. 

Tullio rise, ma fu una risata amara e piena di panico.

«Che vuoi dire?» in quel momento si accorse che tutto ciò che avvertiva fino a poco prima era svanito: le onde, il vento, la musica; li sentiva, ma erano lontani, quasi come se all’ improvviso il paese si fosse magicamente spostato altrove.

Le onde si ricorrevano sotto i suoi occhi. Miguel le guardava appoggiato al parapetto, stringendosi a sé, lo sguardo fisso sul sole che veniva lentamente inghiottito dall’ oceano: evitava il suo sguardo e questo a Tullio non piacque, perché Miguel non nascondeva. Miguel parlava forse troppo, ma mai troppo poco e soprattutto non era mai successo che si allontanasse in quel modo. Eppure Tullio temeva più di ogni altra cosa l'ovvia risposta alla sua domanda.

«Cosa pensi che voglia dire?» Il suo tono era stanco, anche questo era terribilmente sbagliato. Lo vide voltarsi leggermente e i loro sguardi si incrociarono per un breve istante. Tullio si morse il labbro, cercando di mantenere il respiro stabile.

Tullio al destino non ci credeva. Non era solo una questione di gioco, di truffe e di dadi truccati, ma la ferma convinzione che non potesse esistere nessuno, né sul mondo reale né in uno celeste, in grado di dettare la sua vita. Dopo aver perso tutto si era reso conto che l’essere vivo era davvero l’unica cosa che ancora poteva tenersi stretto. Per di più, in tutta sincerità, era convinto che perfino Dio avrebbe scosso la testa e alzato le mani davanti all’idea di mettere ordine nel casino che era la sua esistenza.

Il sole era tramontato all’orizzonte, le onde si infrangevano sotto di loro, la musica in lontananza continuava ad animare la serata, ma per quel che a Tullio importava sarebbe potuto esplodere tutto, e lui non vi avrebbe fatto caso.

Forse era una di quelle situazioni che si possono risolvere con calma e diplomazia. Di certo sentiva il respiro accorciarsi e accelerare, rendendo la sua testa leggera.

«Non parli sul serio, vero?»  chiuse gli occhi, inspirò a fondo, e un po’ funzionò. Un po’, ovvero il tempo di chiudere gli occhi e lasciarsi attraversare dal fugace pensiero che, una volta riaperti, gli avrebbero mostrato la vera realtà, quella in cui si erano allontanati solo per cercare un attimo di calma; quella in cui, se Miguel era stanco, era solo per la giornata passata a fare festa e nient’altro, non certo per…

No; non pensarci, quello era il segreto: non pensarci. I pensieri rendono le cose reali, le strappano dalla sfera dell’immaginazione in cui sono ancora allo stato incorporeo delle idee e le trasformano in qualcosa di vero, e le cose vere poi diventano problemi, e… ed era davvero meglio non pensare. Finché Miguel fosse rimasto girato di schiena avrebbe potuto non pensare e far finta che sul suo volto ci fosse un’espressione serena.

Ma Miguel si girò verso di lui e non era sereno. Era triste. Forse perfino arrabbiato. Era arrabbiato perché lui non voleva pensare.

“Credi che stia scherzando?”

Sì, è uno scherzo, avrebbe voluto rispondergli, voglio che sia uno scherzo, voglio che tu sorrida come hai sempre fatto, voglio sentirti ridere di me mentre mi spieghi che è tutta una presa in giro, perché sono troppo serio e devo ridere ogni tanto. Voglio che tu non dica quello che vuoi dirmi, perché so di cosa si tratta e non voglio sentirlo; perché sono giorni che scaccio quel pensiero con la speranza che se ne vada da solo e non è giusto che non l’abbia fatto. Perché sono un egoista che non riesce ad accettare l’idea di non poter avere tutto ciò che vuole; perché ciò che voglio lo prendo con la forza, ma non potrei farlo con te. Perché tu sei quello che mi sta accanto qualunque cosa accada e va contro ogni logica il fatto che tu voglia…

“…rimanere qui.” Miguel lo guardava come se volesse chiedergli scusa “Cerca di capire, io non… non posso, non posso e basta. Ma mi hai preso per scemo? Io non…guardami!”

Miguel urlava. Non andava bene.

“Guardami negli occhi” gli disse di nuovo, e Tullio nemmeno lo aveva visto avvicinarsi. Incontrò il suo sguardo a pochi centimetri di distanza e si chiese quale fosse stato il giorno in cui le cose erano cambiate, dove fosse la linea che separava il momento in cui tutto andava ancora bene da quello in cui tutto aveva iniziato a crollare, lentamente e silenziosamente, come la roccia erosa dall’acqua che infine si sgretola e diventa polvere. Tra le mani ora stringeva quella polvere, cercando di ricordare il momento in cui era stata solida pietra, ma non lo ricordava. Sembrava piuttosto che tutto avesse iniziato a finire nell’istante in cui era iniziato.

Ma il suo problema era che dimenticava troppo spesso di non poter avere tutto nella vita. Nella sua frenesia di riempire di ricchezze il suo sacco dimenticava il piccolo buco sul fondo, dal quale inevitabilmente, per ogni nuova cosa che entrava, una usciva. A meno di un miglio da lì, sotto le luci delle lanterne, avvolta dalla musica, Chel stava probabilmente ballando con qualche paesano, gli occhi scuri sgranati per l’emozione che le dava ogni più piccola scoperta in quel mondo sconosciuto. Chel, che l’aveva stregato, Chel che sotto sotto era come lui, impaziente e mai sazia della voglia di possedere. Chel che sembrava amarlo, e probabilmente era così. Chel, che era entrata nel sacco e aveva spinto fuori chi già lo occupava.

Probabilmente Miguel la odiava, anche se non lo dava a vedere. Probabilmente desiderava insultare entrambi, ma c’era qualcosa che lo rendeva incapace di farlo.

Miguel voleva parole chiare, ma lui non era in grado di dargliele. Non c’era modo di spiegare quello, non c’era modo di trasformarlo in parole che non peggiorassero ulteriormente il momento, che non suonassero simili a “Ehi, mi sono trovato un’altra, ma tu resta, odio buttare via le cose.”. E Tullio si odiava, perché una parte di lui lo pensava davvero; perché voleva la botte piena e la moglie ubriaca e soprattutto voleva che fosse normale e che fosse possibile. Quella parte di lui strepitava e batteva i piedi, perché non era giusto dover scegliere, anche se tutti volevano che lo facesse. Miguel lo voleva, probabilmente Chel stessa voleva la stessa cosa, perché non era il tipo da lasciare tutto ciò che aveva per poi doversi accontentare. Pensandoci razionalmente, non sarebbe stato giusto nei suoi confronti: l’aveva portata via, non poteva abbandonarla ora.

Tullio chiuse gli occhi. Il mare si infrangeva sugli scogli, i gabbiani cantavano e la musica animava una festa che non era per nessuno dei due.

Quando li riaprì, era solo.






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Io mi sento fisicamente male a scrivere queste cose, meh.

   
 
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