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Autore: Le_Mana    06/05/2014    0 recensioni
La storia è ambientata a Londra e parla di una ragazza di ventiquattro anni di nome Ashley Barrymore che lavora in un'agenzia investigativa. La conoscenza di un ragazzo e di una ragazza che lavorano con lei la portano a scoprire l'esistenza di due mondi paralleli. Nel momento in cui due misteriosi ragazzi le rubano il medaglione che da sempre ha portato al collo, si vede costretta a partire per un viaggio oltre l'immaginazione.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 
 
I tetti bianchi di Londra risaltano col nero della notte e la luce della luna, alta nel cielo, mi illumina il viso. L’incantevole atmosfera notturna mi calma, mi chiude in un abbraccio da cui posso soltanto lasciarmi cullare. Il suono del telefono mi coglie alla sprovvista, ridestandomi dai miei pensieri: mi alzo, mi dirigo verso l’angolo del soggiorno e non perdo tempo a chiedermi chi sia, poiché c’è solo una persona che può chiamarmi a quell’ora: mia madre. Dopo aver risposto con voce assonnata, il suo tono arzillo mi sveglia completamente:
‹‹Ciao Ashley!››
‹‹Ciao mamma….›› sospiro.
‹‹Stavi dormendo?››
‹‹Non proprio…››
‹‹Lo sapevo! Scusa, ho chiamato a quest’ora perché sono troppo agitata per dormire e pensavo fosse la stessa cosa per te. Qui c’è papà, adesso te lo passo ›› si sente un grugnito dall’altra parte della cornetta.
‹‹Lascia stare, non disturbarlo per così poco…››
‹‹Poco? Tuo padre alla tua età pensava solo a ingozzarsi di pasta e fagioli… e non dire che non è vero!›› urla rivolgendosi a mio padre. Sorrido:
‹‹Non  faccio fatica a crederci!›› rispondo.
‹‹Comunque amore, devi essere pronta per domani, è un grande giorno!››
‹‹Lo so, sono…. contenta.››
‹‹Sei sicura? Lo sai che…›› la sua voce diventa più confusa e un rumore metallico mi impedisce di sentirla. Infine, un suono persistente mi fa capire che è caduta la linea. Appoggio il telefono sul tavolo e mi dirigo in camera. Sì, sono elettrizzata: domani inizierò a lavorare all’International Investigations Agency. È un’organizzazione segreta, una collaborazione per la sicurezza internazionale.
Ottenere quell’incarico non è stato facile: ho studiato in una facoltà di Giurisprudenza in Italia e non ho perso tempo per partire per Londra in cerca di un lavoro. I test d’ammissione per la I.I.A non sono stati semplici da superare però ci sono riuscita ugualmente. Forse dispongo di qualche talento, me lo ricordava sempre mio papà: “Ashley, tutti abbiamo un dono, ma bisogna saperlo coltivare e il modo migliore per farlo è credere in se stessi e non rispondere in modo sgarbato ai propri genitori.”
Ok, tralasciando l’ultima parte….
A quei tempi mi trovavo in Italia, a Padova, con mia mamma. Lì ho frequentato il liceo classico e ci ho vissuto per diciotto anni. Sono stata adottata, i miei veri genitori mi hanno abbandonata davanti alla casa di Elisa Crespi, mia “madre”, e di Nicolas Barrymore, mio “padre”. Sinceramente  ero dispiaciuta di non conoscere la loro identità, ad ogni modo Elisa e Nicolas non mi hanno mai fatto mancare niente perciò non mi posso certo lamentare. Non riesco a capire quanto possa essere disperata una donna per prendere la decisione di lasciare la propria figlia in mano a dei perfetti sconosciuti. Non ho niente che sia appartenuto a mia madre o a mio padre, l’unico aggancio che ho col passato è un semplice medaglione. Infatti, quando sono stata trovata, avevo al collo un ciondolo rosso, comune, senza nessuna inscrizione o dedica particolare. Era un gioiello come tutti gli altri.
Da quel momento però, un po’ perché mi ci ero affezionata e un po’ per abitudine, non me lo sono mai tolto e, strano a dirsi, non ha neanche un graffio.
Guardo l’orologio digitale sopra il tavolino del salotto: segna mezzanotte e un quarto. È questione di pochi minuti e mi addormenterei, ma nonostante questo decido comunque di accendere la televisione. Dopo un po’ di zapping, la mia attenzione viene attirata da un canale che trasmette uno dei tanti notiziari dell’ultima ora di Londra. Non mi sorprendo di sentir parlare di un omicidio: sono all’ordine del giorno.
La giornalista, una donna pesantemente truccata e dai capelli perfettamente acconciati, siede composta vicino alla scrivania dello studio. Tiene in mano un plico di fogli da cui sbircia di tanto in tanto, lo sguardo fisso nella telecamera, e parla con voce decisa:
‹‹Ieri è stato trovato vicino al Battersea Park, nel Chelsea, un corpo senza vita. Il cadavere è stato identificato: la vittima si chiama Albert Montgomery, uomo benestante di mezz’età, trovato sopra una panchina. La scientifica conferma la presenza di due piccoli tagli all’altezza dell’addome, ma l’elemento che balza all’occhio è il suo corpo, completamente privo di sangue come i suoi vestiti. Non sono state trovate impronte e le poche persone che si aggiravano nei pressi del luogo del delitto affermano di non aver visto niente. E’ già la terza vittima a essere stata uccisa in questo modo: si pensa che l’assassino sia lo stesso. La polizia cerca di fare il possibile, ma non ci sono abbastanza dati per poter risalire all’omicida. La I.I.A, nel frattempo, si sta mobilitando alla ricerca del killer. Ecco un’intervista a Mark Witherspoon, direttore dell’ agenzia, servizio di Alicia Popper…›› 
L’inquadratura cambia e davanti alla telecamera un uomo basso, grasso e dall’aspetto impacciato trema per il freddo. Sono certa che abbiano sbagliato inquadratura: quello non può essere il direttore di una delle collaborazioni più importanti al mondo, sembra piuttosto un uomo passato lì per caso. Appena apre bocca, però, devo ricredermi:
‹‹Cosa ne pensa lei e che cosa ha intenzione di fare la I.I.A. per risolvere questo caso?›› chiede la voce dell’intervistatrice fuori campo. L’uomo tossisce un paio di volte:
‹‹Di sicuro questi omicidi stanno preoccupando molte persone e dallo stile sembrerebbe, purtroppo, che ce ne debbano essere altri nei prossimi giorni. Abbiamo a che fare con un serial killer, ma l’International Investigations Agency non si fermerà davanti a niente e fermerà quest’assassino››
‹‹Come fa a garantircelo?››
‹‹La mia agenzia è formata da ottimi investigatori e persone fidate che non hanno paura del pericolo e non si fermano davanti a niente, inoltre disponiamo di macchine tecnologiche molto avanzate perciò tra breve tempo riusciremo a catturare il colpevole di questo crimine insolito››
La sua determinazione mi colpisce: ci vuole fegato ad andare in televisione per tranquillizzare i cittadini di Londra e magari illudendo un quarto della popolazione, ma quello che dice sembra garantito, una promessa che è pronto a mantenere. L’inquadratura cambia nuovamente e riprende la giornalista di prima che si accinge a parlare monotona di un furto in un negozio di giocattoli.
Ma io ormai sono vinta dal sonno e le sue parole sono soltanto un ronzio dentro la mia testa. Poco dopo mi addormento.
 
 
Il rumore di un clacson: ‹‹Spostati idiota, devo passare!››
Sono le prime parole che sento questa mattina: è comune svegliarsi a Londra per questi motivi. Il traffico mattutino, infatti, sveglia anche il più addormentato della città. Mi alzo assonnata dalla poltrona dove ho passato la notte. La televisione, come immaginavo, è ancora accesa ed è sintonizzata su un canale dove due uomini attraenti si dilungano nella descrizione di un pitone dalle dimensioni enormi.
Sono molto simili, sembrano quasi fratelli e entrambi hanno capelli e occhi scuri. La loro carnagione è olivastra e il loro fisico sembra molto allenato e atletico. Da quanto ho capito un esemplare raro di pitone è scappato dal loro zoo. Spengo la tv e mi stiracchio un po’, nel tentativo di pianificare la mia giornata. Penso inoltre a che cosa dovrei indossare e la mia scelta cade su un paio di jeans attillati e una camicia bianca.
Do un’occhiata veloce all’orologio e il mio cuore si ferma per un istante: sono le nove. Dovrei essere alla I.I.A. alle nove e mezza, e non posso assolutamente permettermi di arrivare in ritardo.
Maledico la sveglia rotta e faccio in tempo solo a vestirmi, a darmi una sistemata ai capelli e ad addentare una fetta di pane, dopodiché sono già fuori dal mio appartamento.
Percorro le scale del condominio velocemente, stando attenta a non inciampare. Appena fuori, fortunatamente il taxi ci mette poco tempo ad arrivare e, appena si ferma, salgo sui sedili posteriori. Il conducente, di cui vedo riflessi nello specchietto retrovisore solo gli occhi marroni, mi chiede in tono cantilenante:
‹‹Salve, dove la porto?››
‹‹All’International Investigations Agency…›› rispondo ‹‹E con una certa fretta per favore.›› Il veicolo inizia a correre e io, con un sospiro, metto una mano dentro la borsa che miracolosamente sono riuscita a prendere. Ne tiro fuori una pochette dalla quale estraggo uno specchietto.
Guardo la mia immagine riflessa e cerco di sistemarmi i capelli castani che scendono lunghi sulle spalle. Mi metto del rossetto e una matita per definire gli occhi marroni. Sistemo la camicetta che è sotto il mio cappotto e scrollo la neve dagli stivali.
Infine guardo fuori dal finestrino: ormai siamo già nel centro di Piccadilly Circus, circondati da cartelloni pubblicitari, turisti e persone indaffarate che scendono e salgono ordinate le scale della metropolitana. Il traffico è fittissimo, tanto che perdiamo cinque minuti per attraversare la piazza e quando imbocchiamo Coventry Street ci fermiamo in mezzo a un ingorgo.
Mi sporgo dal finestrino e sebbene qualche timido fiocco di neve scenda, riesco a scorgere il cartello indicante Whitcomb Street, dove sono diretta. Guardo l’orologio e vedo che sono le nove e un quarto. Mi rassereno pensando che sono ancora in tempo per arrivare puntuale, ma dopo cinque minuti inizio ad agitarmi vedendo che il traffico non ci permette di avanzare.
‹‹Quanto ci metteremo ad arrivare?›› chiedo frettolosamente.
‹‹Ah… penso che fra un quarto d’ora saremo a destinazione…›› risponde l’autista noncurante, e guardando malizioso il tassametro che nel frattempo gira. Mi irrigidisco e sbuffo nervosa. Non è di certo fra le mie aspettative arrivare in ritardo il primo giorno di lavoro:
‹‹Come quindici minuti! Io devo essere lì subito, adesso, in questo preciso istante!››
‹‹Mi dispiace signorina, non posso fare miracoli. Se voleva arrivare in anticipo, avrebbe dovuto andare a piedi…›› risponde in tono annoiato. In quel momento un’idea folle mi balena in testa:
‹‹Quanto le devo?›› chiedo.
‹‹Che cosa intende?››
‹‹Quanto le devo pagare fino a qua?›› Il tassista preso alla sprovvista guarda il tassametro:
‹‹Ehm… circa sette sterline…›› Gli do velocemente una banconota da dieci e apro lo sportello dell’auto. ‹‹Si tenga il resto!››
‹‹Signorina dove pensa di andare?›› urla dal sedile anteriore.
‹‹Seguo il suo consiglio: vado a piedi!››
L’uomo scuote la testa e dice qualcosa che non riesco a capire perché ho già iniziato a correre fra le macchine dirigendomi verso il marciapiede. Sebbene ci siano pochi millimetri di neve rischio di scivolare più volte, oppure di urtare qualche passante che mi rimprovera irritato. Lo smog delle macchine mi entra prepotente nelle narici dilatate per la corsa. La strada intera è occupata dalle macchine che suonano ripetutamente il clacson. Dopo pochi minuti mi trovo finalmente davanti al portone principale dell’International Investigations Agency.
È un edificio molto grande e dall’aspetto antico, in alto c’è un grande orologio che batte i secondi della vita della moltitudine di persone che camminano avanti e indietro per le strade affollate di Londra. Per un attimo mi sento disorientata e non ho la minima idea di quello che dovrei fare. Mi incanto a guardare l’edificio dove lavorerò.
‹‹Buongiorno, ha bisogno di aiuto?›› >
Mi volto: davanti  a me c’è una ragazza alta, bionda che mi sorride. Indossa un cappotto bianco e nella mano sinistra stringe una cartellina nera che sembra sul punto di scoppiare. Scuoto la testa: ‹‹No, no è tutto a posto grazie…››
Lei fa un cenno con la testa e entra nell’edificio. Afferro la porta in tempo ed entro anch’io, lasciandomi alle spalle il vento freddo di dicembre. Un turbine di fiocchi di neve mulina nell’ingresso dell’atrio, ma l’aria calda e avvolgente prevale e mi accoglie.
Mi trovo all’entrata di un grande salone, dove una moltitudine di persone camminano avanti e indietro parlando a cellulari e auricolari di ultima generazione; molti entrano ed escono e poco dopo mi accorgo di essere d’ intralcio. Non mi stupisco nel vedere che la ragazza bionda di prima è già scomparsa nella folla.
Faccio qualche passo e noto che, esattamente alla parete opposta, si erge un’enorme scala a chiocciola, che porta ai piani superiori, affiancata da due corridoi. Mi avvicino al centro del salone e noto con stupore che c’è una fontana zampillante finemente scolpita.
Mi accosto ancora di più, fino a toccarne il bordo e quando volto lo sguardo in alto vedo con sorpresa che il soffitto presenta un’apertura circolare al centro che permette di vedere i piani superiori e infine il tetto.
Spaesata mi guardo attorno, in cerca di aiuto, quando noto con sollievo una scrivania lunghissima con un cartello enorme che indica “Segreteria”.
Provo ad avvicinarmi schivando i detective indaffarati, ma non risulta un’impresa semplice. Quando arrivo al bancone, vedo che molte persone sono occupate a discutere al telefono oppure a compilare moduli.
Capisco che non sarà stato facile attirare la loro attenzione, quindi titubante mi schiarisco la voce, sperando di essere notata. Mi sbaglio. Fortunatamente una ragazza che ticchetta sulla tastiera del computer si accorge dei miei tentativi e sorridendo si avvicina.
‹‹Salve, desidera?›› chiede pazientemente.
‹‹Salve sono Ashley Barrymore, dovrei finire delle procedure per venire a lavorare qui, ma non so proprio dove dirigermi. Mi può indicare per cortesia l’ufficio del signor Mark Witherspoon?››
La donna apre un cassetto e tira fuori un’agenda, l’apre e le dà una veloce occhiata. Infine annuisce, mentre finisce di leggere: ‹‹Il signor Witherspoon la sta aspettando, l’ufficio si trova nel secondo corridoio a destra, vede?›› dice indicandomi la direzione ‹‹Quello dall’altra parte del salone…››
Mi volto sorridendole: ‹‹La ringrazio…››
La donna si stringe fra le spalle e dopo avermi augurato buona fortuna, aggiunge: ‹‹Non si preoccupi signorina, se ha bisogno si altre informazioni chieda di Polly Barbery››
Annuisco frettolosamente e mentre mi dirigo verso l’ufficio indicatomi ripeto velocemente il nome della segretaria, prevedendo che avrò molto spesso bisogno del suo aiuto. Giunta alla fine del corridoio, una porta più grande delle altre attira la mia attenzione e capisco di essere arrivata. Un’insegna conferma i miei dubbi:
 “Ufficio del sign. Mark Witherspoon, direttore dell’agenzia investigativa I.I.A.
Col cuore in gola, busso.


Note delle autrici: 

Ciao a tutti! Siamo le Manà e questa è la prima storia che pubblichiamo su EFP. Abbiamo sempre letto molte fan fiction e racconti originali, ma poi abbiamo preso coraggio e abbiamo deciso di provare anche noi a scrivere qualcosa. Speriamo che vi piaccia, ma soprattutto speriamo di farvi divertire e di condividere con voi le emozioni che abbiamo provato noi nel crearla. Per quanto riguarda le note tecniche, pubblicheremo un capitolo a settimana, molto probabilmente ogni Martedì. Che dire, questo è l'inizio dell'avventura di Ashley, ma speriamo che lo sia anche della nostra! Un abbraccio, 
le Manà

 
  
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