Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: ilprofumodelliris    07/05/2014    2 recensioni
Una ragazza ubriaca riflette sul retroscena amaro della sua vita ad alta voce. A poco a poco, oltre ai suoi amici, cominciano a radunarsi alcune persone a sentirla parlare. Una serie di considerazioni sprezzanti e verità schiaccianti, scritte dando sfogo alla mi smania personale di trovare la mia strada.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sbummmmm

 sstrack.


La sfocata forma di uno scalino di marmo.
Devo essere inciampata e caduta, non essendo in grado di vedere aldilà del mio naso.
Le calze nuove si sono sicuramente strappate, ma non ha poi così tanta importanza.
In questo momento nulla, ha particolare importanza.
Solo quella sensazione ridondante che lascia poco spazio a tutto il resto, quel senso pesantezza, di eternità, di ebrezza.
Già, la chiamavano ebrezza. L’ho sempre conosciuta con questo nome, credo.
Sto pensando che essere ubriachi persi di mercoledì sera non è proprio il massimo della decenza, ma se non mi importa molto delle calze che ho pagato, figuriamoci del sembrare decente agli occhi degli altri.
Possono fottersi, insomma, probabilmente lo vogliono anche.
Sono caduta da qualche secondo, mi pare, e resterei qui a terra tutta la vita, ma mi illudo che i fresconi che mi seguono siano preoccupati per me. Infatti non appena appoggio il palmo della mano a terra per provare a rialzarmi, sento la forte presa di qualcuno rimettermi in piedi.

È Giacomo. Probabilmente è lui. Provo a guardarlo e penso che sia condannato ad un’esistenza inutile.
Non glielo direi mai, ma non posso fare a meno di pensarlo in questi momenti.
Non è il solo, mi guardo intorno e non vedo altro che condannati.
Persone infinitamente diverse tra loro, eppure tutte spudoratamente condannate.
Non sono l’unica ad essere ubriaca, anche se di solito sono quella che trascina al bar.
Sono ancora appoggiata a Giacomo e non sembra sobrio.
Infatti ci buttiamo entrambi sullo scalino su cui sono caduta in modo estremamente lento.
Lui è un fallito. È un bravo ragazzo, ma comunque non abbastanza per questo mondo troppo esigente.
Ha lasciato la scuola a sedici anni, e ormai ha sedici anni da un po’. Non mi ricordo la sua età. Potrebbe essere sui diciassette come sui diciotto, ormai. Il tempo passa troppo in fretta. Non farà mai nulla nella vita.
Troppa poca aspirazione, passione, voglia. Non ha famiglia ricca né aspettative di lavoro.
Dice spesso che tra non troppo tempo i suoi lo manderanno là fuori a farsi una vita. È consapevole di non farcela da solo, e ha scelto di sbrigare qualche lavoretto di spaccio per arrotondare, risparmiare, forse inserirsi nel giro in previsione del blando futuro.
Però sorride. Quasi sempre.
Ora sta sorridendo.

…devo vomitare... il sorriso si spegne con questa frase, con la voce strascicata. Rotola poco più in là e aspetta che lo sgradevole amico gli salga sù per la gola. Io non mi muovo.
Fisso un punto di fronte a me e la borsa fucsia di Caterina mi salta all’occhio, e penso che anche lei sia ormai destinata a poco.
È una brava studentessa, forse anche troppo brava. Ma la sua famiglia non ha un soldo e siamo sempre sullo stesso punto.
La famiglia è sempre problematica.
Ma forse tra noi, è quella che riuscirà ad andar più lontano. Ha la parlata fluida, uno strano charm. Sposerà un uomo molto ricco, probabilmente. Non le importa granché dell’amore, ed è sempre troppo maledettamente sobria per fare stronzate.
Incrocia il mio sguardo ma non parla, o forse sono io che non sento. So solo che ci guarda sempre schifata quando beviamo tanto.
Forse ha ragione.
Poco distante da lei c’è Paolo. Non so perché lo sto facendo, li guardo e penso alle loro vite, senza neanche provare a pensare.
Paolo è forse l’anima più simile alla mia. Ha cominciato a farsi di marijuana di frequente da qualche mese, a volte ci parla dei prezzi e devo dire che se qualcuno me lo chiedesse ormai ne saprei parecchio di droga.
È uno spirito libero come me, ma non ho idea di cosa voglia fare nella vita. Non gliel’ho mai chiesto. E neanche lui l’ha mai chiesto a me. Sono strane, le amicizie odierne.
L’unica cosa che so è che ama i motori, ora che ci penso una volta mi ha detto che gli sarebbe piaciuto occuparsi di meccanica.
Ma il padre l’ha fatto iscrivere al liceo classico e non credo avrebbe mai accettato una scelta diversa.
La famiglia è sempre problematica.
Ha una media bassa perché non ha voglia di studiare, ma la sua è una bella mente.
Tuttavia, un bell’uccello senza ali non va comunque da nessuna parte.
Forse quest’anno lo bocciano, e non so proprio cosa farà dopo, forse lascerà la casa e la famiglia.
Aah, la famiglia.
Sempre così problematica.
Ma ora davanti a me è solo un ubriacone come tutti gli altri.
Altre persone erano con noi fino a poco fa, ma devono essersene andate per i cazzi loro. Pamela starà limonando con Ilaria. Ma già non ho voglia di sentenziare sulle vite altrui e lo faccio lo stesso, figuriamoci se adesso mi metto a fare un discorso sui gay. Che sì, sono okay. Ma per spiegare ci sarebbe troppo da dire.

Mi metto a sedere nel modo più composto in cui riesco a stare e cerco di strizzare gli occhi.
Una fitta al cuore.
Forse ora comincio a capire. È del mio di futuro, di cui ho realmente paura. Non ho una scelta. O forse ho già scelto, ho già scelto da sempre.
Uno come Paolo infatti io l’ho incontrato in prima superiore, sui banchi di scuola. In terza media avevo scelto il liceo classico, ignara com’ero di ciò che comportava. I miei voti me lo permettevano, ma sottovalutai la cosa più importante: la voglia di studiare.
Non ne ho mai avuta. E infatti me ne sono andata immediatamente dopo il primo anno, ad aspettare il diploma all’artistico.
E infatti il prossimo anno mi diplomo, e il momento della resa dei conti si avvicina. Che farò?

Giacomo ha già vomitato tre volte ma penso abbia finito. Spero per il suo benessere che si addormenti presto.
Paolo mi si siede accanto e proviamo a scambiare due parole.

A che pensi? la sua domanda arriva chiara e tonda e centrata.
A come mi spaccherò il culo tra qualche anno.  nessun velo, nessuna menzogna durante la sbornia.
Siamo tutti un po’ falliti, sai. Pensi che combineremo mai un cazzo?
Lui mi guarda con occhi sgranati. Gergo complicato…vista la sbronza. Boh, non lo so.– si prende la testa tra le mani e capisco che non è in grado di fare grandi ragionamenti. In confronto la mia sbronza sta sfumando. Ma continua lo stesso.
–Perché? No cioè, che pensi di fare te nel futuro?–
Apprezzo lo sforzo. Io inizialmente rimango in silenzio, ma poi comincio a parlare.
–Sono uno spirito libero e gli spiriti liberi non sono fatti per stare sui libri scolastici.– non so da dove mi è venuta.

Normalmente avrei concluso così, ma noto che Paolo mi sta guardando, e che anche Caterina poco più in là sta ascoltando ciò che dico. Mi vergogno del modo strascicato con cui probabilmente sto parlando. Vado avanti.
Le parole escono e basta e nella mia testa tutto ha un senso.
–Sono la persona più demotivata e antiscolastica che abbia mai conosciuto. Mi ci vedete, col cappellino da laureata? Mi ci vedete a prenderlo seriamente?– faccio una piccola pausa, penso che probabilmente andrò fuori tema.
–Ora sai cos’ho voglia di fare? Di girare il mondo perché si vive una strafottuta volta sola, senza un soldo. Una versione diversa di Alex Supertramp. Devi averlo visto per forza quel film.
Penso…di averne bisogno. Che ci faccio con un lavoro ben retribuito dietro ad una scrivania? Che ci faccio con i soldi? Cerco disperatamente un qualcosa da chiamare “casa”, e rimanere in un posto che non si sente dentro sarebbe il mio ulteriore errore più grande.–
La parlata sta diventando più fluida, me lo sento. Noto che qualche ragazzo che conosco si è fermato a sentirmi farneticare, qualcuno ride, ma me ne frego e continuo.
–Devo vederlo questo nostro mondo, devo vederlo tutto. E vedere la gente. E le macchine. E gli anni che passano.
Te l’ho detto tante volte…giusto? Che sono ambiziosa. Cioè, a me piacerebbe essere ricordata. Non importa come, ma ricordata, e anche amata. Ricordata come una che più che all’essere, all’avere, all’apparire, al fare, preferiva il sentirsi. Non so se mi spiego. Voglio essere libera nei ricordi della gente.–
All’improvviso sento una domanda, è una ragazza che non mi sembra di conoscere.
–Non puoi prendere la laurea e poi andartene proprio come Supertramp?–
Sorrido. Sono lieta che qualcuno abbia idea di che cosa sto parlando.
–Ci ho pensato, ma non so se ne sono in grado. Se già so quello che voglio fare, dove voglio andare, è fatta dentro alla mia testa. Non ce la farei, a livello di motivazione, a studiare solo per poter avere un’alternativa.– faccio una breve pausa perché sono già a corto di parole.

–Mi rattrista. Mi rattrista davvero tanto.
Perché se un giorno mi stanco, mi viene voglia di mettere la testa a posto, semplicemente non posso.
La strada presa mi avrà portato così lontano da non poter tornare mai. Con che faccia, con che coraggio, una figlia torna a casa dopo anni a chiedere soldi per un fottuto titolo di studio?– cerco con gli occhi la ragazza che aveva parlato e la trovo ancora lì, che non sembra aver altro da dire. Paolo sembra mezzo morto ma in realtà sta per dire qualcosa.
–Ma è necessario andarsene? Così senza niente? Perché non resti?– la domanda mi fa sorridere. Senza accorgermene mi metto ad esprimere i pensieri ad alta voce, tutti quanti.
–Sarebbe così bello, avere bisogni qualunque. Amore, divertimento, soldi, amici. Ma io ho qualcosa che mi porta via, che mi ha già portato via da tutto questo. Mi pulsa sempre nelle vene. Assume un volto, io posso vederlo, e posso sentire la sua voce così chiaramente. Continua a chiamarmi, a spingermi.
Mi porta a volere una vita diversa.
Mi porta a volere una fine diversa.
E ho così tanta paura di dimenticarmelo.
E se me ne dimenticassi? Magari avanti con gli anni. Quando tutto sarà piatto. Pensi che un giorno me ne dimenticherò, del desiderio maniacale di essere libera? Perché ho paura che un giorno, succederà.–

Paolo è mezzo morto, ma ascolta. Penso non riesca a rispondermi, ma dopo un po’ parla. Forse sta sorridendo, ma credo di vederci male.
–Non potresti mai. Sei selvaggia fino al midollo. Ma che pensi di fare là fuori? –
Ora è perplesso. Forse sono ridicola e irreale.
–Un po’ qui, un po’ là. Spendo poco e per mangiare, poi bisogna vedere gli straordinari. Sto nella natura, cammino, penso.
Poi vado di paese in paese fino ad arrivare alle grandi città. Resto per un po’, vado a leggere nelle biblioteche.
Prendo gli autobus quando posso. Forse riesco anche a scrivere un libro annotando cazzate su un taccuino.
Mi godo la vista, il panorama, la vita alla giornata. Dormo sui tetti, d’inverno mi invento in sistema.
Me la sono sempre cavata, con i sistemi dell’ultimo minuto.
E se finissi per morire di freddo su un fianco del ponte di Brooklyn, che ben venga cazzo, dopo qualcosa di reale e di ben vissuto.
Magari crepo sul serio, ma almeno crepo libera.
Poi vado a trovare amici, magari trovo un pazzo che ha voglia di seguirmi per un po’.
Parlo con  gente nuova ogni giorno, conosco nuove storie.
E ogni volta che mi viene voglia, parto. Senza alcun vincolo, lo capisci? Imparo un po’ la lingua del paese corrente, i modi, i costumi. E me lo giro il fottuto mondo. Poi cambio ancora, e me ne vado altrove. Voglio tutto, Paolo. Tutto. Ogni centimetro di mondo io lo voglio vivere.–

Noto che sono arrivate altre persone. Un ragazzo cattura la mia attenzione. Si chiama Luca, è più grande di me ed è perfettamente sobrio. Mi sta guardando. Lo conosco poco e meno di quello che dovrei, ma ci ho sempre parlato da sbronza e le conversazioni me le ricordo a malapena, sono un sacco sfocate. È solo e vedo che e mi si avvicina. Ora che lo guardo meglio non è esattamente sobrio.
–Ce l’hai un accendino?–
Che palle.
–Ti sembro in grado di tirarlo fuori?– non voglio fare l’arrogante, ma non sono proprio in vena di galanterie.
Mi si siede vicino e non dice una parola. Io continuo a parlare con Paolo senza neanche farci troppo caso.
–E mi dispiace, che non ci saranno alternative. Di non volere alternative.
Sai cosa mi ha detto una persona, qualche anno fa? Neanche immaginava cosa significasse per me.
Che dovrei “puntare a una vita come quella di mia madre.” Forse non sai che mia madre è casalinga e mantenuta, ma sicuramente sai, quanto io la odi. E del fastidio. E del ribrezzo. 
E giuro che dopo tale affermazione, l’idea di andare a battere cassa da un possibile marito mi fa ancora più ribrezzo. Ed ecco un’altra alternativa andare in fumo.–
Luca mi guarda e fatica a comprendere il soggetto del mio discorso.
Tuttavia ha il buonsenso di non dire niente. Non ho esattamente capito il motivo della sua presenza, ma sembra essersi arenato sullo scalino esattamente come me Paolo e Giacomo.
Lo guardo per una frazione di secondo e alla fine tiro fuori l’accendino.
Lui si limita a sorridere e a sfilarmelo dalla mano.
–Ti ho già detto che scrivi bene, giusto?– dice stendendosi sui gomiti lungo il famigerato scalino.
Io sorrido. –Tipo ogni volta che siamo entrambi ubriachi. Beh, grazie. –
–Prego di tutto.–
Ha sempre questo potere, nonostante lo conosca a malapena. È in grado di sollevare il morale.

Nessuno ha idea di cosa dire e Paolo sembra aver esaurito le domande, quindi mi guardo intorno per la prima volta da dieci minuti.
I ragazzi sono veramente tanti, per essere questa soltanto un’esigua piazzetta. E qualcuno sta guardando me.
Faccio cenno a Caterina di avvicinarsi, e lei mi piomba davanti in un momento. La faccio avvicinare.
–Ma questa gente è qui da molto?– le dico sussurrandole all’orecchio.
–Per tua immensa felicità hai parlato ad alta voce e almeno la metà di “questa gente” ti stava ascoltando. “Le farneticazioni dell’ubriacona”.– il ghigno che si dipana sul suo viso mi fa capire che è esattamente quello che non avrei voluto sentire.
Non è la prima volta che accade. Che cominci a parlare davanti a tutti in preda all’ebrezza, intendo.
Ormai credo di essere famosa per questo motivo. Lo accentua il fatto che alcuni dei miei discepoli, modo in cui definisco gli idioti che mi ascoltano apposta per verificare la leggenda che si racconta in giro, stanno ridendo di gusto.

Dunque il film di Arancia Meccanica mi passa improvvisamente per la mente e penso che “il pensare è per gli stupidi mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione”. Anche se me ne pentirò, mi alzo in piedi con un’idea malsana in mente, più velocemente di quanto chiunque avrebbe potuto scommettere.
–Che cazzo avete da guardare tutti, eh?! Andate a spaccare il cazzo a qualcun altro invece di rompere le palle!– sto urlando.
In modo pacato e con la solita classe, ma sto urlando. Qualcuno comincia a ridere più forte, qualcuno gira i tacchi improvvisamente poiché impaurito dal mio accesso d’ira e dalla mia reputazione. Altri semplicemente continuano a guardare.
Sul più bello della scena, sento qualcuno dire “sei fuori di testa”, con quella pronuncia che si usa per fare i complimenti, con quel tono che trasuda una mezza ammirazione.
E ciò che questa affermazione non mi ha messo in mente, è ancora un fottuto mistero.
Continuo a parlare. Con Paolo, con la gente, con me stessa, non si sa. Ma continuo a parlare.
–Il mondo non ha niente per quelli come me.– Paolo ha alzato la testa nella mia direzione. Io sono ancora in piedi.
–Siamo sfuggenti. Lontani. Troppo soli nella nostra libertà.– Paolo si sente preso in causa e si rabbuia, consapevole della verità delle mie parole.
–Abbiamo indubbiamente una forte audience. Le persone parlano di noi. Si fermano ad esclamare quanto siamo pazzi, svalvolati, dei gran fighi.– non sto cercando di individuare il ragazzo che ha parlato poco fa. Ora so che sto semplicemente parlando a me stessa.
–Ma non veniamo mai realmente ricordati, anche se il nostro nome è sulla bocca della gente.– alcuni ragazzi presenti hanno un’espressione confusa stampata sul volto.
–Non siamo l’esempio che vogliono per i loro i figli. Siamo così pazzi, svalvolati, no? Non siamo ciò di cui bisognerebbe parlare. Smettiamo di essere oggetto di conversazioni.–
 –E  veniamo messi da parte.– parlo di me. Di qualcosa che mi manca terribilmente, che non so bene neanch’io cos’è.
–Ma noi siamo sempre lì. Esistiamo ancora, e siamo sempre noi. Vaghiamo ancora.–
–Il mondo non ha niente per quelli come me.–
Adesso chi rideva ha smesso di farlo, o semplicemente se ne è andato.
Tanti occhi continuano a guardarmi. Vedo cenni di assenso, sguardi lontani, occhiate incuriosite, uno strano mix di varietà in tutte le sue forme.  Non ho la minima idea di ciò che ho detto. I miei amici mi guardano, ma nessuno dice una parola. Va bene così.
Succede sempre. Ci cerchiamo con lo sguardo e concordiamo che va tutto bene. E restiamo così, semplicemente presenti, senza mai dire una parola. ‘Così’. È indubbiamente una bellissima parola. Anche se essere così, forse non è affatto facile.

Ma Luca non fa parte dei miei amici e non si limita a guardarmi.
Penso che lui mi stia vedendo.
Spero davvero di non ricordarmene, domani. Sarebbe veramente imbarazzante.
Eppure anche se dovessi scordarmene, di questi momenti, cosa alquanto improbabile visto questo fottuto impatto emotivo, ormai mi si sono radicati dentro al petto e allo stomaco, e mai più, mai più, anche se il ricordo scivolasse via dalla mia mente, mi sentirò propriamente uguale a com’ero prima che qualcuno mi guardasse in questo modo.
Il suo sguardo continua a tenermi incatenata e per la prima volta in questa serata, ho esaurito le parole da dire.
Penso che Luca lo abbia capito. Si mette a sedere e mi fa passare il braccio attorno alle spalle.
Sono rigida e riluttante di natura, ma l’ho già detto, lui possiede il dono innato di sollevare il morale.
Dopo pochi secondi riesco a lasciarmi andare.
Faccio scivolare la mia testa sul suo grembo, e lui mi accarezza i capelli, facendomi passare un brivido infernale su per la schiena.
–Io mi ricorderò di te.–
È soltanto un sussurro, l’accenno di una mera promessa, ma basta a farmi avvertire un leggero pizzicorino al naso.
Dunque mi lascio andare definitivamente e restiamo così per non so quanto tempo.

 
Nota dell'autrice:

Dedicato alla persona che mi fece lo stesso complimento che Luca fa alla protagonista, in una circostanza diversa o forse neanche troppo.

Storia ideata il 2 maggio 2014, su un sedile martoriato di un pullman a caso, un paio di cuffie, una giornata piovosa, stanchezza e nostalgia; tutto questo può essere il mix vincente quando si tratta di improvvisi colpi d’ispirazione.
Nonostante la confusione e a tratti il nonosense, ho sentito fortemente di doverla pubblicare.
C'è tutta la mia anima qui dentro, spero che piaccia soprattutto a quelle quattro anime che già mi hanno conosciuto con la precedente One-Shot su Romeo e Giulietta.

Vi sarei immensamente grata se lasciaste delle recensioni, così da darmi la possibilità di migliorare e di sentirmi gratificata da questo lavoro.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: ilprofumodelliris