Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    07/05/2014    3 recensioni
D aveva ragione: non avrebbe mai dovuto accettare di partecipare ad una cena di classe.
E mentre attende il taxi sotto i platani di Monteverde, AJ fa un incontro inaspettato. Da un'automobile di passaggio salta fuori Kanon Anethakis, manager di un gruppo rock e suo ex compagno di banco del liceo. Che ha un disperato bisogno di una persona come lei.
AJ non ha mai creduto al destino.
Kanon, invece, sì...
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non sono impazzita, tranquilli. O forse sì, lo sono, vista la marea di roba che ho per le mani. Comunque sia. Avevo voglia di riprendere il fiato, tra una scazzottata e l’altra, e non avendo mai scritto un Harmony in vita mia, mi sono detta: perché non ci provi pure tu? Una storia leggera non ha mai ucciso nessuno, giusto? Giusto.
Ovviamente, si va di AU (niente cosmi, niente armature e niente urban fantasy) e di OOC (che tiro fuori dalla manica in maniera squisitamente preventiva. Non si sa mai.).

E ora, i disclaimer:
Saint Seiya © Masami Kurumada, Shueisha, Toei Animation, 1986
Tutto il resto è farina del mio sacco e no, non è possibile ispirarsi né citare questa storia se non previo permesso scritto, visto che la telepatia ancora non l’ho sviluppata.
Questa è un’opera di finzione. I nomi dei personaggi sono inventati ed eventuali riferimenti a fatti o persone realmente esistite o tuttora esistenti è da considerarsi puramente casuale.
Grazie a Sen per i consigli. Al solito, hai un caffè pagato.
Buona lettura




 
Prologo


 

Aveva preso una decisione. Si era detta che era assurdo continuare così. Non sarebbe stato giusto. Prima o poi, lui l’avrebbe saputo. Che cosa pensava di fare? Eclissarsi in eterno in quel buco di paese sperduto tra le montagne che neppure compariva sulle mappe?

Benvenuti a Rocca Cannuccia di sotto, frazione di Quattro Gatti, provincia di Fanculopoli.

No, non poteva continuare a nascondere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi.
Così, durante la sua camminata mattutina, era venuta a patti con se stessa, e, tornata in paese, era entrata da Giorgio per premiarsi – leggasi: darsi un po’ di coraggio ed indorarsi la pillola.
Ci voleva un frullato alla banana e cioccolato. E un cornetto ripieno. Qualcosa di ipercalorico, sì, ma che le regalasse una dose di endorfine che avrebbe fatto felice un elefante.
E pazienza se avesse messo su peso.
Avrebbe limitato pane e pasta per un po’ e avrebbe camminato dieci minuti in più al giorno, promesso.
Domani, che oggi le faceva male la schiena. E poi il frullato le avrebbe dato il tempo per focalizzarsi su qualcosa di più importante: come glielo avrebbe detto? Con una fotografia? Un sms? Un’e-mail? Oppure avrebbe raccolto il coraggio a quattro mani e gli avrebbe fatto un colpo di telefono?
Ma non aveva avuto il tempo di mettersi seduta e ordinare il suo frullato, che la radio aveva vomitato quella canzone. E sentire quella voce, la sua voce, uscire dagli altoparlanti le aveva regalato una boccata d’acido.
Giorgio l’aveva vista sbiancare.
«Tutto bene?», le aveva chiesto. Preoccupatissimo.
Lei aveva annuito, aveva dato la colpa a qualcosa di poco chiaro ed aveva fatto dietro-front, guadagnando la strada di casa a passo di marcia.


Era stata una stupida a pensare di aver superato la cosa. Poteva anche aver deciso di alleggerirsi dal carico di mattoni che portava sulle spalle. Ma quella era la loro canzone. E anche se avevano fatto in modo e maniera di massacrargliela, per lei era ancora così.
O non saresti scappata in quel modo.
Si mordicchiò distrattamente l’unghia del pollice destro. Aprì un cassetto del canterano. Prese la pipetta di plastica. Ormai il colore era sbiadito tanto da rendere illeggibile l’esito. C’erano i risultati delle analisi – il responso, aveva detto l’infermiera, nemmeno si fosse affidata alla Pizia – e aveva scattato una foto col cellulare, la mano tremante che aveva faticato per mettere a fuoco quel più rosa scuro.
Aveva preso un abbaglio. Tutta colpa degli ormoni, che le obnubilavano il cervello.
Dirglielo? E a che pro? Per rovinarsi la vita? Quella canzone sarebbe rimasta per sempre tra di loro, come un macigno silenzioso, grande quanto il massiccio della Marmolada, stazione sciistica inclusa.
Non ce l’avrebbe fatta. No. Era meglio tenere il suo segreto sepolto nel terzo cassetto, e lasciare che ognuno vivesse la propria vita.

Ho bisogno di un bel caffè, si disse. Avrebbe omesso quel particolare alla dottoressa. E poi le stava venendo mal di testa. E una tazzina di caffè che male avrebbe fatto, in confronto allo smog della città?
Non vivi più a Roma, tesoro.
Si diresse in cucina, aprì il pensile e riempì il tamburo della moka. Canticchiando, versò il macinato nell’imbuto, pulì il bordo ed avvitò la parte superiore. Accese il fuoco, posò sul fornello la caffettiera e squillò il telefono. Spense il gas e andò a rispondere.
Pregò che non si trattasse di Chantal, la quale, da due mesi a questa parte, non mancava di domandarle se avesse preso una decisione. Le avrebbe imbastito una balla, qualcosa come non mi sento sicura e sono parecchio confusa. O le avrebbe ringhiato contro, intimandole di badare agli affari suoi.
Ma quando vide il numero sul display illuminato, ebbe un mancamento. Sentì le gambe venirle meno, come fossero fatte di colla di pesce calda.
Quel numero era il suo numero.
Quello privato.
Quello che aveva dato solo a lei, per chiamarlo se i ragazzi avessero fatto qualcosa di molto stupido in sua assenza.
Quello che lei no, non si sarebbe mai e poi mai aspettata di veder lampeggiare sul proprio telefono.
Come ha fatto?!, pensò.
Il telefono tacque. La stanza piombò in un silenzio irreale, come quelli che ammorbano i film degli zombi. Si guardò attorno, preoccupata. Si avvicinò al telefonino, pronta a spegnerlo, quando arrivò un messaggio.
 
Sono io. So che sei in casa. Sono sul pianerottolo. Davanti alla tua porta. Sto per bussare. E tuo fratello ti aspetta alla base delle scale antincendio, qualora tu volessi fare qualcosa di così stupido come scappare dalla finestra. Mi apri la porta?
K.

 
Terrorizzata, si diresse alla finestra. Scostò la tendina di mussola bianca, e lo vide.
Era vero.
D la aspettava alla base del palazzo, infagottato in un cappottaccio che aveva visto tempi migliori, gli occhiali da sole calati sul naso e un berretto dall’aria consumata. Lui alzò lo sguardo verso di lei, le sorrise e agitò la mano, in segno di saluto.
Spaventata, si nascose dietro la tendina, allontanandosi dalla finestra. Chi gli aveva dato il suo nuovo numero di telefono? Chi gli aveva dato il suo nuovo indirizzo?
La risposta salì alle labbra da sola.
Chantal.
Strinse i pugni.
Io l’ammazzo, pensò.
E intanto qualcuno bussò alla porta.
Tre colpi secchi.
Tumtumtum.
E lei sapeva già di chi si trattasse.
Si avvicinò all’uscio, si pettinò, dandosi una rapida occhiata alla consolle accanto alla porta e sorvolando sui capelli opachi e sulla tuta rosa che la faceva sembrare goffa e sgraziata più del solito, e aprì.
La visione di lui, bello come il sole e un’espressione stanca sul viso, la colpì in pieno petto.
Ti fa ancora quest’effetto?, le chiese una vocina petulante nella sua testa.
, ammise.
«Ciao, AJ», disse lui.
«Ciao.» E basta.
Scosse la testa, paziente. «Non mi fai entrare?»
«Chi ti ha dato il mio numero?»
«Chantal.»
Come volevasi dimostrare.
«Non ha perso l’abitudine di ficcare il naso nelle vite degli altri, vedo.»
«Possiamo parlare?»
«Di cosa?»
«Di noi.»
«Non esiste nessun noi, Kanon. Solo tu ed io.»
Kanon sospirò. «Va bene. Tu ed io.»
«Tu ed io non abbiamo nulla di cui parlare. Ti trovo bene. Ma ora ho da fare. Sei capitato in un momentaccio e…»
Sbatté le braccia sugli stipiti della porta. Lei si ritrasse.
«Ti ho cercata per mari e per monti. Tu ed io dobbiamo parlare. Adesso. E non me ne andrò da qui se non dopo che avremo parlato. Tu ed io. Quindi o mi lasci entrare, oppure parlerò da qui. Dal corridoio.»
AJ fece un paio di passi indietro. Kanon si accomodò. AJ richiuse la porta.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine