Agosto.
Le
luci intermittenti della discoteca Tahiti, la più rinomata della
zona, pulsavano vivaci a tempo di una musica carica di bassi e
caratterizzata da un ritmo concitato: nonostante le ordinanze
comunali che imponevano un determinato numero di decibel,
passeggiando sul lungomare chiunque veniva catturato sia dal ritmo
che dall'arcobaleno a led che il luogo spandeva.
La pista era
invasa da adolescenti, la maggior parte dei quali che non dimostrava
neppure la maggiore età, che si muoveva con frenesia e sorseggiava
cocktail da grossi bicchieri in plastica: al centro della pista
troneggiavano tre grossi cubi disposti in una fila ordinata dove
ballavano tre ragazze. Lo sguardo della maggior parte dei presenti,
però, saettava verso il cubo centrale: una ragazza minuta, con
lunghi capelli scuri serrati in una coda di cavallo, un abitino a
stampa leopardata e un tacco discreto ai piedi, danzava leggiadra
perfettamente a tempo con qualsiasi brano pompasse dalle casse; pur
non sembrando neppure maggiorenne, emanava un'aura di
sensualità.
«Vai Jessica!» strillò una ragazza da sotto il
cubo, ridendo «Sei una figa!» la lodò, seguitando a ridere
sguaiatamente stringendo un bicchiere con tracce di ghiaccio: la
ragazza minuta le sorrise facendo l'occhiolino, per poi scendere dal
cubo.
«Sono scoppiatissima.» annunciò ansante all'amica,
urlandole nell'orecchio per farsi sentire «È ora che qualcuno mi
dia il cambio.» affermò, dando una pacca sulla spalla all'altra
ragazza e dirigendosi sulla spiaggia poco distante dalla pista e
abbandonandosi su una sedia a sdraio: presto un ragazzo alto, bruno e
slanciato la raggiunse, sedendosi vicino a lei.
«Quasi non ti
riconosco.» le disse in una mezza risata «Rispetto all'estate
scorsa sei praticamente un'altra.»
«Si cambia, caro Raffaele.»
annunciò lei con aria solenne e filosofica.
«E in meglio, direi,
cara Jessica!»
Una voce femminile si levò da dietro, mostrando
l'amica di Libera, che stampò lesta un bacio sulle labbra e gli si
avvinghiò attorno «Era ora che smettessi di conciarti in quelle
maniere strane, tutta nera, poco femminile... insomma, guarda come
balli bene! Sembri nata per la disco!»
Libera rovistò nella sua
borsetta, arraffò un accendino e una sigaretta, la accese e sorrise:
«Ve l'ho detto, si cambia. C'è a chi crescono le tette come a
Monica...»
La ragazza, sentendosi chiamata in causa,
ridacchiò.
«...chi viene promosso al lavoro come Raffa e chi
cambia a livello di cervello come me.» concluse, aspirando il fumo
della sigaretta con gli occhi chiusi e un'espressione soddisfatta in
viso.
«Hey!»
Una voce maschile sconosciuta ruppe il
silenzio momentaneo, sovrastando di molto la musica della discoteca
poco distante: i tre amici levarono lo sguardo, notando il ragazzo
che si stava avvicinando a passi piccoli ma lesti verso di loro.
Non
dimostrava più di diciotto anni: alto, spalle larghe, coi capelli
biondicci tenuti dritti da tanto gel da risultare quasi plastificati,
con un piercing sopra il labbro e un grosso zircone all'orecchio
sinistro, il fisico asciutto evidenziato da abiti attillati. Un
tipico belloccio da strage di cuori di ragazzine.
Il ragazzo puntò
un dito verso Jessica «Cercavo te. Ti ho vista ballare e, insomma,
mi si è rizzato di brutto. È tre ore che cerco di
avvicinarti.»
Jessica lo squadrò per poi spostare lo sguardo
verso gli amici: entrambi sembravano approvare l'approccio dello
sconosciuto.
«Perché, scusa?» chiese lei perentoria.
«E
dai.» fu la risposta del ragazzo, che ammiccò e iniziò a dare
piccole gomitate d'intesa a Jessica «Lo sai perché si viene in
disco, no?»
«Per ballare.» azzardò lei seria. L'altro
rise.
«Mica solo per quello. Dai, lo sai pure te, sennò non ti
saresti messa a far la figa sul cubo.»
«Dai chicca, non fare la
figa di legno!» la incoraggiò Monica, ridendo e rimanendo avvolta a
Raffaele «Guarda che io e lui ci siamo conosciuti in disco e stiamo
insieme già da sei mesi, oh!»
L'espressione sul volto di Jessica
però rimase dura, come se non avesse neppure udito in lontananza le
parole dell'amica.
«Parliamoci chiaro e senza giri di parole:
cosa vuoi da me? Ti ricordo che non sai neppure come mi chiamo, e io
non so come ti chiami tu.» chiese infine secca e gelida, fissando
negli occhi lo sconosciuto, che sembrò farsi meno spavaldo. Rimase
qualche secondo in silenzio, e quando riprese parola la sua voce si
era fatta più bassa e dimessa.
«Per ora offrirti da bere... e
sapere come ti chiami, ovvio.»
Stavolta fu la ragazza a tacere,
assumendo un'espressione cogitabonda.
«Senti, vai dalle scalette,
ok? Se non arrivo nel giro di cinque minuti vienimi a ripescare, che
tanto se cerco di scappare via mi vedi e mi puoi bloccare prima.»
Il
ragazzo sembrò riprendere il suo piglio sicuro: «Per inciso mi
chiamo Carlo.» si presentò, dirigendosi verso il luogo
indicatogli.
«Jessica.» rispose lei con semplicità, tornando a
sedere e facendo un gesto agli amici per chiamarli a raccolta.
«E
dai, che aspetti?» prese la parola Raffaele «Gliela stai facendo
sudare che manco avessi i diamanti in mezzo alle gambe invece di una
patata.»
«Non mi sembra di "stargliela facendo sudare".»
rispose lei stizzita, mimando le virgolette con indice e medio «So a
malapena come si chiama.»
«Embe'?» fu la risposta tranquilla di
Monica «Lo prendi, te lo limoni, ti fai cacciare le mani nelle
mutande, gli sprimacci un po' il cazzo e ti fai offrire da bere se ha
l'alito che fa schifo. A che ti serve sapere come si chiama?»
«Del
resto tra me e lei così è cominciata, eh.» rincarò Raffaele «Poi
siamo usciti dalla disco e allora ci siamo presentati perché lei mi
piaceva un casino e limonava da dio.»
Jessica esitò,
perplessa.
«Sì, però spicciati che tra dieci minuti dobbiamo
essere dalla macchina o i miei mi fanno un culo tanto.» la esortò
Monica: Jessica si alzò, sorrise e si diresse verso Carlo.
«Vedo
che sei arrivata.» gongolò lui, alzandosi in piedi e gonfiando
vistosamente il petto.
«Sì, ma sappi che sono qui esclusivamente
per parlarti.» rispose lei con il suo solito tono secco e aspro «Non
ho intenzione di sganciartela, di farti un chinotto o di limonare,
dato che alle pippe ci puoi pensare da solo. Se vuoi che prendiamo
qualcosa al bar e ce lo beviamo in spiaggia per chiacchierare ci sto,
ma sappi che è morta lì.»
Carlo sospirò, assumendo un'aria
afflitta.
«Eh chicca, ci avessi un soldo ti offrirei tutto il
Tahiti, guarda. Ma mi sono bruciato la consumazione appena entrato.
Dai» la esortò, prendendole un braccio e tentando di tirarla a sé
«andiamo in pista a ballare. Chissenefrega delle chiacchierate in
spiaggia, dai, il linguaggio del corpo mica mente.» disse, facendole
l'occhiolino. Lei si liberò dalla stretta in modo fluido e
repentino.
«Ma te lo ricordi almeno come mi chiamo?» chiese.
Carlo esitò, iniziando finanche a boccheggiare. Quando riprese
parola il suo tono era trascinato e bizzarramente impastato.
«Oddio,
sono ubriaco, manco so come mi chiamo io. Tipo Marta. O
Giorgia?»
Jessica lo squadrò.
«No, 'spetta... Silvia!
Giulia!» continuò a dire lui, ricevendo in risposta un dito medio
alzato e le spalle di Libera che si allontanavano verso la
spiaggia.
«Ma vaffanculo va, figa di marmo!» ringhiò rabbioso
Carlo, voltando le spalle a sua volta e tornando in pista continuando
a urlare «Che cazzo balli sul cubo se manco limoni uno come me?
Cretina!»
Dal canto suo, Jessica aveva già esortato gli amici a
uscire dalla discoteca e a dirigersi verso l'auto, non prestando più
orecchio al ragazzo.
***
Finalmente entro in casa.
Via
questi stupidi e scomodi tacchi, via questo ridicolo vestito che mi
strizza troppo, via questi orribili brillantini: ora che quel
coacervo di rumori che sparano in quella specie di Sodoma per
ragazzini si è spento e sono a casa mia voglio solo la
libertà.
Mamma e papà sono addormentati in un sonno che sembra
essere decisamente profondo, quindi posso approfittarne per versarmi
un bicchiere d'acqua e godere del mio ennesimo successo: gliel'ho
fatta ancora una volta a quei due, e molto probabilmente domani
mattina convincerò anche i miei; insomma, il teatrino procede
proprio bene.
Più passa il tempo più riesco bene nel mio ruolo,
e più riesco bene nel mio ruolo meglio illudo gli altri: certo, devo
sopportare situazioni che mi fanno totalmente schifo, ma almeno non
ho il fiato di quei due sul collo o devo sopportare le occhiatacce
della gente.
Detesto dover fingere, ma purtroppo mi tocca farlo
per il quieto vivere: adesso, però, posso finalmente riprendere in
mano il mio lettore mp3, stendermi sul letto e pigiare “play”,
lasciando che la musica, quella vera, prenda possesso delle mie
orecchie, del mio cervello, del mio corpo nella sua interezza, per
purificarmi da quello schifo che mi ha circondata fino a mezz'ora fa.
Quell'accozzaglia di rumori elettronici, i miei coetanei fintamente
sballati, strusciamenti vari qua e là e approcci brutali e sgarbati:
gli Slayer nelle mie orecchie mandano via ogni tipo di porcheria di
questo genere.
Io in realtà ascolto metal.
Glam, power,
heavy, death, grindcore, ogni sottogenere mi va bene e me lo gusto
come un piatto da gourmet, anche se il thrash resta il mio
prediletto; mi sento realmente bella e libera quando indosso borchie,
catene, semplici magliette e, in linea generale, abiti scuri o
jeans.
Peccato che i miei non approvino nulla di tutto ciò,
supportati, ovviamente, dai miei coetanei.
«Jessica, ma perché
ogni tanto non ti vesti da donna?» o «Sei sicura che quella roba
che ascolti tu non ti faccia diventare satanista?» o ancora «Ma non
sei mai stata in disco? Dai, ma sei troppo una sfigata!» sono stati
i ritornelli che mi hanno accompagnata lungo tutta l'estate scorsa
che, a settembre, mi hanno portata a un tale punto di saturazione che
ho deciso di iniziare a fregarli tutti: avrei finto interesse verso
discoteche, vestiti che non mi piacevano e musica che trovo ancora
oggi dozzinale e vuota, uscendo la sera per andare in locali che in
me non suscitavano il minimo interesse e starmene in un angolo,
millantando di essermi divertita tantissimo. Con gli amici magari mi
sarei sforzata di ancheggiare un po' e fare due salti in pista anche
in modo sgraziato, tanto nessuno guarda se vai a tempo di musica o
no; tanto si trattava di piccole bugie e siparietti a fin di bene per
far felici i miei e per integrarmi meglio con gli altri, non c'era
nulla di sbagliato. Così feci per un po', presenziando giusto alle
occasioni discotecare meno costose per non far sborsare troppo ai
miei per quella sciocca realtà fasulla. Loro, comunque, sembravano
apprezzare.
Una sera, però, dopo la cerimonia degli Oscar, la TV
nazionale aveva deciso di trasmettere “La Grande Bellezza” di
Sorrentino per celebrare la sua vittoria agli Oscar, incollando
chissà quanti italiani al piccolo schermo: io ero una di quelli.
Fin
dall'inizio del film, quando molto probabilmente la gran parte delle
persone si era stufata aspettando un dialogo che sembrava non
arrivare mai, ero rimasta incantata dalla parlantina posata e
incantatoria di Toni Servillo e da quel nome curioso che portava il
suo personaggio, Jep: chiamandomi Jessica lo sentii immediatamente
connesso a me, rimanendo ipnotizzata dal suo fregarsene della grande
festa in suo onore.
Eravamo uguali.
Rapita dalle parole di
quell'uomo, captai una di quelle che sarebbe poi diventata una delle
frasi iconiche del film e che, improvvisamente, sarebbe diventata la
linea guida della mia vita futura:
"Io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire."
"Perché
non diventare la regina
delle
discoteche?" mi ritrovai a chiedermi, senza distogliere
l'attenzione dalla storia che si delineava sul piccolo schermo, tanto
la risposta arrivò presto: "E sia. Se bisogna tenere in piedi
questo teatrino, tanto vale fare un grande spettacolo."
Ero
diventata l'alter ego vivente e femminile di Toni Servillo. Jess
Gambardella.
Iniziai
quindi ad esercitarmi privatamente in casa, imparando a conoscere e
muovere al meglio il mio corpo: non posso negare, in totale onestà,
che da un lato mi è stato utile per scoprire una femminilità e
sensualità che non credevo di possedere, ma poco importava; in breve
tempo iniziai ad essere notata quelle poche volte in cui andavo in
discoteca per le mie movenze, ritrovandomi il centro di molteplici
sguardi maschili che sembravano divorarmi e strusciate pubalgiche da
parte dei più audaci: non mi sono mai concessa a nessuno di loro,
neppure un bacio, ma della fama di "fica di legno" non
m'importava affatto.
Arrivata
l'estate però le serate brave si erano fatte di più: i ragazzi
lombardi che frequentavano il mio stesso stabilimento balneare
scendevano per l'estate e, scoperto il mio cambiamento, mi
trascinavano a feste, in locali o a spiaggia, esortandomi a ballare
con loro.
Tutto
questo iniziava a pesarmi, ma durante tutta l'estate non ho fatto
altro, con somma gioia dei miei che, col petto zeppo d'orgoglio,
continuavano a decantare il mio presunto cambiamento con
chicchessia.
«Ma
l'anno scorso non era diversa?» avevano chiesto spesso i vicini
d'ombrellone all'inizio della stagione, vedendomi stranamente più
spigliata e integrata con gli altri adolescenti.
«Per
fortuna è maturata.» spiegavano i miei, tutti tronfi e
ringalluzziti «Ha smesso di ascoltare quella musica strana e
guardala, è rinata.»
Io
sorridevo allegra e reggevo il loro gioco, convincendo sempre più
gente e trasformando progressivamente il mio teatrino delle
marionette nella Fenice di Venezia.
Solo
che l'incendio che lo distruggerà sembra non arrivare
mai.
Ottobre.
31
ottobre: la festa americana di Halloween, ormai consolidatasi anche
come una tradizione in Italia, si consumava lungo le strade, ora
popolate da zombie, vampiri, streghe e mostri di ogni età. Sembrava
che chiunque passeggiasse per le vie della città presentasse un
dettaglio che rimandava a mondi infernali e oscuri, chi soltanto un
mantello o corna rosse, chi interi vestiti e volti truccati.
Fuori
da un locale, Jessica stava salutando i genitori fasciata in un paio
di pantaloni in simil pelle, un corpetto del medesimo materiale, una
coda, orecchie da gatto e un viso opportunamente truccato da
un'amica: forse quello da Catwoman non era la quintessenza del
travestimento per la notte delle streghe, ma del resto quale animale
meglio di un gatto nero poteva essere di loro compagnia?
Entrò
nel locale, esitando, in volto un'espressione di allegra e moderata
eccitazione: l'interno era popolato da una maggioranza di ragazzi con
i capelli quasi più lunghi dei suoi, con volti truccati per
l'occasione che rimandavano a note figure dell'universo metal o della
letteratura gotica. Un piccolo palco si ergeva in fondo al locale,
dove troneggiava una batteria e una grossa tastiera.
Jessica
si guardò intorno: le ragazze presenti erano anche loro in molte
truccate o vestite in modi bizzarri e inconsueti, facendo ampio uso
di stampe animalier, jeans strappati o, come lei, abiti in pelle
nera. Un ragazzo vestito da donna, con tanto di autoreggenti a rete,
si stava prestando a farsi fotografare nelle pose più ambigue
suscitando l'ilarità generale. Le sembrò tutto bello, semplice e
sano: non vide coppie improvvisate che si infilavano le lingue in
gola, gente che si muoveva sgraziatamente e non udì musicaccia
brutta, solo un sano ed elevato chiacchiericcio intervallato spesso
da risate tintinnanti e allegre.
Un
lieve rumore fece voltare tutti dalla parte del palco, dov'era
comparsa una ragazza fasciata da un vestito in pizzo nero e un trucco
che la faceva sembrare una bambola di porcellana.
«Buonasera
a tutti e buon halloween!» salutò: un urlo tonante si levò dalla
folla, qualcuno alzò le mani e altri ancora boccali mezzi vuoti di
birra. Appena l'urlo si limitò a brusio, la bambola riprese
parola.
«Non
sto a trattenervi e mi limito a ringraziare il locale per averci
permesso di ospitare questa serata di grande, grandissima musica.
Partiamo con il primo gruppo: nascono soltanto un anno fa e in breve
tempo registrano il loro primo EP e, grazie a un videoclip realizzato
da un amico, schizzano a duemila visualizzazioni su Youtube nel giro
di pochissimo. Sono orgogliosa di presentarvi i Midnight!»
Un
boato accolse i sei ragazzi che salirono sul palco, che presero
immediatamente posto: voce, chitarra solista, chitarra ritmica,
basso, batteria e tastiera, una formazione interamente al maschile.
Passarono pochi minuti in cui calibrarono al meglio gli strumenti e
presero a suonare un brano dall'atmosfera festaiola: il cantante
aveva una voce vivace, acuta ma non stridente che ben si sposava alla
parte strumentale, forse non brillante di tecnica ma carica di
passione. Jessica prese presto a lasciarsi andare alla musica, prima
solamente battendo un piede a ritmo, poi iniziando a scuotere la
testa a ritmo, alzare le dita a corna al cielo e cantare “Hey”
all'unisono con gli altri presenti: nessuno sembrava rendersi conto
che quello per lei era il suo primo concerto, e ciò la fece sentire
presto ben integrata e a casa.
Finalmente
poteva essere libera di essere se stessa.
«Bene.»
annunciò il cantante dopo quello che era sembrato un tempo
ridicolmente breve «Siamo giunti alla fine, e prima di lasciare sul
palco ai Killing Moon vorremmo salutarvi con un tributo a un grande
uomo del rock e del metal che, come sicuramente ricorderete, ci ha
lasciati troppo presto. Sto parlando di un vero e proprio Dio.»
Dalla
folla partì un tuono, e Jessica capì a sua volta a chi faceva
riferimento il cantante: Ronnie James Dio, leader di molteplici band
storiche e morto per un cancro nel 2010.
«Vedo
che avete capito.» disse il cantante con un sorriso complice «Che
aspettiamo?» chiese poi, alzando la voce fino ad urlare «Uccidiamo
il re!»
Chitarre
e basso partirono veloci, presto seguite da tastiera e batteria.
Infine, arrivò la voce, che prese a intonare il testo di "Kill
The King" dei Rainbow.
Nella
folla qualcuno prese a spingere e a prendere a spallate chiunque gli
capitasse a tiro, ridendo e trovando presto più e più persone che
avevano iniziato a fare lo stesso: Jessica, attirata da quella
bizzarra sorta di danza tribale che non pretendeva di sedurre
nessuno, si lanciò presto nella mischia, iniziando a spintonare e
altrettanto presto ritrovandosi con le natiche a terra a causa di una
spinta troppo forte. Non aveva neppure realizzato di aver perso
l'equilibrio quando una grossa mano maschile si tese verso di lei e
la tirò su, abbracciandola e dandole una pacca sulla schiena.
«Tutto
a posto?» urlò l'anonimo salvatore nell'orecchio di Jessica «In un
pogo così una come te rischia di farsi male!» la redarguì. Lei gli
sorrise imbarazzata, guardandolo: aveva il volto truccato come
Brandon Lee ne "Il Corvo", lunghi riccioli ben definiti,
labbra carnose, una barba ben curata e grandi occhi verde
scuro.
«Scusami,
è la prima volta.» spiegò: lui le sorrise gentile, mostrando due
file di denti imperfetti ma candidi.
«Midnight
e Killing Moon come primo concerto? Alla faccia!» rise «Ora
scusami, ma ascolto la canzone, attenta al pogo!» sembrò
congedarla, senza però allontanarsi e, ogni tanto, lanciandosi nella
mischia, forte della sua stazza e altezza.
Il
brano terminò tra ovazioni, urla e dita alzate a corna e, durante il
cambio palco, il ragazzo si avvicinò nuovamente a Jessica.
«Io
comunque sono Michele, piacere.» le si presentò tendendole la
mano.
«Jessica.»
rispose lei, e la sua mano fu accolta da una stretta serrata e
vigorosa.
«Che
bel nome.» rispose lui senza ombra di malizia «E che bel costume.»
aggiunse: nonostante trucco e penombra, il rossore sulle guance di
Jessica fu piuttosto evidente, così come il tono imbarazzato quando
lo ringraziò per i complimenti. Lui sembrò non farci caso.
«Senti,
io mi prendo una cosa al bar, vuoi seguirmi? Magari ti presento un
paio di amici, dato che è la prima volta che inizi a frequentare
l'ambiente.»
Lei
sorrise, l'imbarazzo che sembrava essere svanito: «Certo, perché
no?»
**
Sono
felice. Anche se sono al freddo fuori dal locale ad aspettare che
arrivi mio padre a prendermi e sono rimasta praticamente sola, dato
che Michele e i suoi amici sono andati via poco fa: lui è stato
tanto gentile da proporsi di tenermi compagnia, ma ho preferito
declinare, dato che, disgraziatamente, devo far credere ai miei che
sono andata a una festa dove ballare non significa prendersi a
spallate.
Un
ragazzo con i capelli lunghi al mio fianco avrebbe destato troppi
sospetti; in ogni caso, ho il suo numero di cellulare salvato in
rubrica. E sono felice.
Per
la prima volta dopo quelli che mi sono sembrati secoli ho potuto
essere libera di essere me stessa, ascoltare la musica che tanto amo
dal vivo, parlare di argomenti interessanti dopo l'esibizione della
seconda band e scoprire persone con gusti affini ai miei: per la
prima volta sto trovando il coraggio di dire ai miei che in quel
posto zeppo di gente che ascolta la stessa musica che ascolto io,
nella notte delle streghe, non si è consumato alcun rito satanico; e
per la prima volta, un ragazzo ha deciso di approcciarsi a me in modo
discreto, corteggiandomi e viziandomi verbalmente, condividendo con
me i suoi interessi e raccontandomi di lui e delle sue passioni.
È
questo il mondo dove voglio stare. Forse non diventerò mai la regina
di esso, ma non mi importa: anche Jep, alla fine del film, abbandona
la sua posizione di re della mondanità per fare ciò che, in cuor
suo, ha sempre amato davvero. Jess Gambardella sicuramente non morirà
dopo un concerto.
Un
clacson mi risveglia dai miei pensieri, facendomi notare l'utilitaria
nera dei miei.
«Com'è
andata la festa?» chiede mio padre allegro, anche se un po'
assonnato.
«Bene.»
gli annuncio, sincera dopo molte finzioni.
Non
chiede altro.
I
miei sono a letto e io mi sono struccata, denudata, ho indossato il
pigiama e, prima di andare a dormire, ho acceso il computer cercando
Michele su Facebook per chiedergli l'amicizia: l'ho trovato subito,
notando meglio i suoi occhi verde scuro e il suo viso, nella foto non
sovraccarico di trucco come stasera.
Prima
di spegnere inserisco il DVD de "La Grande Bellezza" nel
PC, in modo da chiudere degnamente questa magnifica serata: non ho
tempo e non mi sento abbastanza sveglia per guardarlo tutto, quindi
schizzo direttamente alla scena finale.
"È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore.[...]Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. [...] Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco."
Ricambio
l'espressione serena del mio alter ego sullo schermo, ricordando il
sorriso di Michele e sapendo di aver trovato anche io la mia grande
bellezza.
Da
domani basta trucchi.
Che
lo spettacolo termini, che cali il sipario e che il teatro,
finalmente, bruci.