Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Temari    07/05/2014    1 recensioni
- La vittoria dell'Umanità non aveva avuto un sapore dolce, per Eren. -
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Salve a tutti! =D
Questa OS è nata come contributo per una challenge su Ask.fm ma che, a causa della mia incapacità di tagliare quella che doveva essere una drabble, ha finito per allungarsi. ^^

Il prompt era 'vittoria'.
 
Note: canon!verse; ambientata cinque/sei anni nel futuro, ergo speculazione da parte mia. Spoiler per gli ultimi capitoli del manga.
L'avvertimento 'shonen-ai' è più che altro dovuto ad una RiRen/EreRi futura sottintesa, ma può anche essere letta come affetto non romantico.

Ja ne,
Temari

Not a Day for Victory


I piedi divaricati, la schiena dritta, le braccia curvate all'indietro per fare in modo che i pugni serrati si congiungessero alla base della spina dorsale, testa alta e bocca tesa in una linea piatta.

Eren Yeager, in quel momento, era la personificazione di una compostezza carica di rassegnazione e malinconia talmente profonde da non avere la possibilità di essere esternate in alcun modo — certamente non di fronte alle centinaia, alle migliaia, di persone raccolte nell'ampio spiazzo davanti al palazzo reale della capitale.

I compagni d'armi che conoscevano Eren, che avevano vissuto a stretto contatto con lui in tutti quegli anni, non avevano bisogno di scrutarlo per sapere che quell'apparenza composta era in realtà solo quello: una finzione. Erano stati accanto al giovane Capitano, quando il mondo gli era crollato addosso, proprio nel momento stesso in cui aveva creduto che i suoi sogni e le sue speranze - insieme a quelle di tutti coloro che vivevano intrappolati dietro odiose mura - avrebbero visto la luce del mondo esterno — la vittoria dell'Umanità non aveva avuto un sapore dolce, per Eren.

Il giorno della Liberà tanto attesa si era tramutato in quello della disperazione.

«Miei Sudditi,» Stava dicendo HIstoria dall'alto di un piedistallo, un megafono davanti alla bocca che le amplificava la voce in modo che tutti i presenti nella piazza la potessero sentire, «oggi è un giorno importante per tutti noi! È il giorno in cui ricorre l'anniversario della Vittoria dell'Umanità! Festeggiate, divertitevi...!»

Eren faticava a restare immobile, il retrogusto vagamente acre della bile gli bruciava la gola. Non voleva assistere a quella farsa, non voleva assistere mentre quell'ammasso di ingrati festeggiavano ubriacandosi... non voleva assistere al modo in cui tutti sembravano essersi dimenticati di come quello fosse anche l'anniversario della morte di Levi.

Certo, Eren era ben consapevole che l'ex capitano non era stato affatto l'unico a perire durante l'ultima, sanguinosa battaglia (tra i tanti, Connie e Sasha non ce l'avevano fatta... Jean aveva perso un occhio, ferita che gli aveva sfigurato la parte destra del viso). Eren lo sapeva, e sentiva la mancanza di tutti i compagni che aveva perso.

Ma Levi... la mancanza di Levi al suo fianco era un vuoto enorme — anche dopo un anno, gli capitava di sentire dei passi dietro di lui, mentre spolverava o spazzava il quartier generale e, nel voltarsi, si aspettava di vedere il Capitano osservare il suo lavoro con occhio critico... ed ogni volta che il suo sguardo cadeva nel nulla, sentiva una stretta allo stomaco più dolorosa di qualsiasi ferita.

Si ritrovava improvvisamente in ginocchio a pochi passi dai resti - in via di evaporazione - del proprio titano, stanco e con il corpo tartassato e pieno di lividi che sarebbero guariti col tempo, il fiato corto; un braccio stretto intorno alla vita che, voltandosi, aveva visto essere del Capitano Levi. Eren aveva sorriso nonostante la pesantezza delle sue membra: il Capitano l'aveva estratto da quel suo corpo mostruoso, come sempre, e per l'ultima volta.

Era finita. Ed erano entrambi vivi.

Eren l'aveva pensato davvero, aveva avvertito la propria risata di felicità a quella realizzazione, l'esaltazione nel rendersi conto che non ci sarebbero più state battaglie per la sopravvivenza dell'Umanità.

«Sono felice di sentirti ridere così, Eren.» Gli aveva detto Levi, un sorriso appena accennato sul viso tirato e sporco di sangue, pallido, imperlato di sudore. «Non ho rimpianti, se non quello di non poter sentire di nuovo quella risata.»

«Capitano, cosa...?» Aveva chiesto Eren, un mezzo sorriso che ancora gli distendeva le labbra. In quel momento Levi aveva tossito, sangue gli aveva imbrattato la bocca, un rivolo lungo il mento che finì sul foulard già lurido. Eren aveva abbassato lo sguardo immediatamente e la vista della tremenda ferita all'addome del Capitano l'aveva fatto piombare della disperazione — troppo profonda, gli organi interni si poteva intravedere al di sotto del sangue in parte rappreso.

Non aveva nemmeno tentato di trattenere le lacrime, Eren, perché sarebbe stato inutile... era ben consapevole che si trattava di una ferita mortale, e Levi aveva già perso fin troppo sangue.

«Cap—... Levi... io—»

«Va tutto bene, Eren.» Gli aveva detto Levi, passando delicatamente il pollice di una mano sulla guancia di Eren, raccogliendo le lacrime che formavano una scia sul viso sporco, «Ho vissuto più che abbastanza e sono contento di aver visto la fine di questa guerra.»

«Cosa... che farò io, adesso?»

Levi aveva lasciato che Eren l'abbracciasse, che nascondesse il viso nell'incavo del suo collo - una posizione scomoda in qualsiasi altra circostanza -. «Continuerai a spronare gli altri, come hai sempre fatto.» Gli aveva detto Levi, la voce forzata e man mano più roca, «Te la caverai anche senza di me, Eren. Sono fiero di te.»

«Eren.» La voce di Mikasa lo raggiunse e lo fece riemergere dalla spirale di tristezza che lo stava trascinando verso il basso, lontano chilometri da dove si trovava fisicamente. A fatica, Eren si costrinse a tornare al presente.

«Scusa, Mikasa...» Mormorò, sperando che la sua voce non tradisse le lacrime che faticava a reprimere; strinse i pugni nascosti dietro la schiena e continuò, «Non posso più restare qui.» disse in un fiato prima di girare sui tacchi, sperando che il suo passo svelto non sembrasse quello di una fuga, anche se era ben consapevole di come in realtà lo fosse.

Mikasa non cercò di fermarlo e gliene fu grato.

Per Eren quello non era un giorno di festa, non era un giorno per celebrare una vittoria.

Era un giorno per permettersi di piangere la morte di una persona cara. Era un giorno di lutto per tutto quello che aveva perso.

 

   
 
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