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Autore: Madness in me    08/05/2014    4 recensioni
Ho pianto e sognato.
E nel mio sogno c'era lui, con gli occhi dell'azzurro più puro immaginabile.
E, anche se in sogno, mi ha salvata.
Lo fa ogni giorno.
E io gli devo tanto.
E queste parole sono per lui.
Il mio batterista col cielo negli occhi.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il concerto era finito.
Avevamo concluso anche il meet & greet.
Stanca e sudata, camminavo da sola per i corridoi deserti dell’albergo.
Le ragazze erano andate a bere ma io non me la sentivo.
Raggiunsi, in silenzio, la mia camera, infilai la chiave nella toppa ed entrai.
Senza accendere le luci raggiunsi il bagno, mi spogliai, accesi giusto le due lampadine sullo specchio e mi infilai sotto la doccia.
Mi lavai, senza cantare ed era insolito dato che io cantavo in ogni occasione.
Mentre mi asciugavo mi guardai allo specchio e mi lasciai prendere dai pensieri.
Non era da me, quell’atteggiamento.
Ero riuscita a sorridere ed apparire felice davanti a tutti i fan ma in realtà non avevo voglia.
E tutto questo era pazzesco.
Quella era la mia vita, avevo sudato sangue e versato litri di lacrime e sudore per arrivare li, i miei fan erano la mia famiglia e la musica la mia vita e non mi era mai successo di sentirmi così abbattuta.
Finii di asciugarmi, mi infilai le mutande e il mio enorme magliettone nero, mi legai i capelli in una coda alta, spensi le luci del bagno e, accendendomi una sigaretta, raggiunsi la camera.
Mi avvicinai ed aprii la finestra, respirando una profonda boccata dell’aria fresca di Los Angeles.
Osservai per un po’ il panorama poi sentii tossicchiare.
Trattenni il fiato e mi voltai lentamente, e lo vidi.
Come suo solito era lì, braccia incrociate sul petto nudo, poggiato allo stipite della porta della camera.
Rimasi a fissarlo per un po’.
“Intendi rimanere li a fissarmi tutta la sera, nana ?” disse, facendo tremare il mio fragile cuore al solo udire la sua voce, tanto familiare e amata.
Lanciai di sotto la sigaretta, corsi verso da lui e mi buttai tra le sue braccia e lui mi strinse a sé.
Mi era mancato quell’odore di tabacco misto a qualcosa di dolce.
Improvvisamente scoppiai a piangere e mi lasciai andare, accasciandomi contro di lui e lui si appoggiò alla porta e, scivolando lentamente, ci ritrovammo seduti a terra.
Ero rannicchiata a terra tra le sue gambe, con un suo braccio intorno alle spalle e fumavamo.
“Come va ?” mi domandò improvvisamente.
Sospirai.
Sapevo di non potergli mentire.
“Non lo so..” sussurrai.
“Cosa ti turba, nana ?”
“Che me lo chiedi a fare se tanto già lo sai ?” dissi, sbuffando una nuvoletta di fumo.
Rise.
E il mio cuore tremò per qualche altro secondo.
Amavo, alla follia, la sua risata.
Quella risata che mille e mille volte avevo sentito in radio, in tv, nelle cuffiette.
Sospirai ancora.
“Mi hai vista oggi, al meet & greet ?” domandai, incrociando i suoi occhi del colore dell’azzurro più puro possibile e lo vidi annuire, così continuai “Ero ..stanca. Ma io non posso essere stanca di questa vita!” dissi.
“E perché no ?” mi domandò, sorridendo.
“CHE DOMANDA E’ ?” gridai, poi feci un tiro della mia sigaretta e ricominciai a parlare, lasciando uscire il fumo “Io non posso essere stanca di questa vita, Jim, perché sto vivendo il mio unico sogno. Volevo cantare, portare la mia musica con i miei amici, far sapere a tutti quelli come me che non sono soli, che io sono qui per loro e ora ci sono. Quindi tutto questo non ha senso. Perché, Jim ? Perché sto così ?” domandai, confusa.
Il gigante dagli occhi di ghiaccio mi accarezzò una guancia, sorridendo.
“E’ normale.” Mi disse.
Lo guardai, confusa.
“E’ normale.. oggi hai ricevuto quella stupida chiamata da tua madre, ricordi ? Gli insulti, gli urli al telefono, tutto ti ha riportata a quegli orribili giorni di sofferenze, quelli prima della musica. Ma ora guardami, sono qui. E sai dove sono ? Sono nella camera d’albergo di una delle cantanti più amate dei nostri giorni e quella cantante sei proprio tu.” Mi sussurrò.
Sorrisi.
“Sai Jim.. è grazie a te se sono qui.”
Lo sentii sbuffare ma non vidi il suo viso, dato che eravamo ancora al buio.
Ma avrei potuto scommettere che avesse alzato gli occhi al cielo.
Lo faceva sempre, quando lo ringraziavo.
Ormai erano 5 anni che lo vedevo e nessuno lo sapeva.
Jimmy appariva sempre così, appoggiandosi allo stipite della prima porta che trovava e fissandomi, finché non finivo in lacrime tra le sue braccia.
“La ricordi la prima volta che sono arrivato ?” domandò, improvvisamente.
Sorrisi ed annuii.
“Ricordi come piangevi ? Io lo ricordo bene.. ricordo quelle stupide lacrime che cadevano lungo il tuo viso così sottile con quelle guance così scavate.. e ricordo le tue parole ‘io non posso farcela, Jimmy, io non sono nessuno e non lo sarò mai’ e invece guardati, nana. Guarda dove sei arrivata.” Mi strinse ancora un po’ a sé.
Sorrisi.
“E lo devo a te.. mi hai insegnato a credere, mi hai insegnato a sperare e seguendo i tuoi insegnamenti sono arrivata in alto.” Dissi sorridendo.
“Smettila di ringraziarmi, nana. Io non ho fatto niente. Io probabilmente neanche esisto, sono solo frutto della tua immaginazione.”
“E CHE IMMAGINAZIONE REALE, EH ?” domandai, interrompendolo e facendolo ridere, ricevendo anche uno scappellotto dietro la testa.
“Dicevo..” riprese, dopo aver smesso di ridere “Sei arrivata qui con le tue forze e ora ti stai buttando giù ? Non lo accetto, nana, non lo accetto proprio. Tirati su e torna a sorridere. Io ti osserverò, continuerò a farlo, perché tu mi hai affidato il compito di sorvegliarti, me lo hai affidato il giorno che, piangendo, hai gridato il mi nome, piangendo e dicendomi che non ce la facevi più, che volevi ti portassi via. E io sono arrivato, per te e ti ho preso la mano e non intendo lasciarla. Ma tu non lasciare la mia. Apri gli occhi, nana, c’è gente che ha bisogno di te. Io sarò sempre qui.” Mi accarezzò una guancia ma non sentii il suo tocco.
Allora mi preoccupai.
Conoscevo bene quella sensazione di invisibilità.
Quando Jimmy cominciava a svanire, non era mai buon segno.
“Stringi i denti, nana. Io sono sempre qui. Sii forte per me.” Sussurrava e lo sentivo sempre più lontano.
I miei occhi erano sempre più pesanti.
“Jim..” sussurrai.
“Sii forte.” Sempre più lontano.
Chiusi gli occhi.
“Jimmy.. non lasciarmi..” sussurrai, disperata.
“Sono sempre qui.”







Aprii gli occhi.
Ero in bagno.
Seduta nella vasca.
Abbassai gli occhi.
Le mie braccia ricoperte di sangue.
Trattenni un conato di vomito.
Era successo di nuovo.
Mi ero chiusa in bagno ed avevo trascinato la lama sulla mia pelle, dopo gli ennesimi insulti di mia madre e le botte di mio padre.
Per l’ennesima volta, ero svenuta ed avevo sognato Jimmy Sullivan.
Stupida, stupida ragazzina.
Erano anni che facevo così, mi chiudevo in bagno, svenivo e sognavo Jimmy.
Ma Jimmy non sarebbe venuto a salvarmi.
Mai.
Ed io avrei dovuto capirlo.
Non sarei diventata famosa, ero destinata a rimanere meno di zero.
Ripresi in mano la lametta, noncurante di tutto il sangue, la portai al polso e trattenni il fiato.
Ero pronta, decisa.
Stavolta l’avrei fatta finita.
La sua enorme mano, improvvisamente, sbucò dal nulla e si poggiò sulla mia.
Tremante alzai lo sguardo e i suoi occhi dell’azzurro più puro di sempre erano puntati nei miei, con un dolce sorriso stampato sul volto.
“Allora non mi hai ascoltato ? Ce la farai, nana. Io ci credo. Credici anche tu, ti supplico. Fallo per me.” Sussurrò, sorridendo.
Poi, lentamente, iniziò a svanire.
Mi alzai di scatto, lasciando cadere la lametta.
“NON ANDARE JIMMY, JIMMY TI PREGO NON ANDARE VIA, RESTA QUI O PORTAMI CON TE, JIMMY TI PREGO!” cominciai a gridare, in lacrime.
Ma lui non mi ascoltava, sorrideva e svaniva, lentamente.
Attirata dalle mie urla disperate e dopo vari tentativi, la mia migliore amica sfondò la porta e mi trovò.
Ero rannicchiata nella vasca, ricoperta di sangue e piangevo e gridavo “JIMMY, TORNA QUI, JIMMY”.
Quando mi svegliai ero in ospedale, Jimmy era seduto sul davanzale della finestra ma davanti a lui c’erano le mie amiche.
Mi sorridevano.
Mi avrebbero volentieri picchiata, ma non lo facevano mai.
Mi sorrisero e Jimmy svanì di nuovo.
E capii.
Dovevo essere forte, per loro.
Ma anche per lui, perché lui credeva in me.
E le ragazze ci credevano ancora di più ed io ci sarei riuscita.







Parecchi anni dopo..

 

Ed eccomi.
Guardami, Jim.
Guarda questo palco, guarda la folla qui davanti, sono qui per noi.
Forse anche un po’ per me.
Guardami Jim, ce l’ho fatta.
Grazie.
Sorrisi e ripresi a guardare la follia.
Per un istante, un misero piccolo istante, mi sembrò di vederlo, tra la folla, il mio gigante col cielo negli occhi e sorrisi.
Ce l’avevo fatta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa storia è dannatamente personale.
Se non vi piace, mi spiace molto ma era piuttosto uno sfogo.
Grazie comunque per aver letto.
Somuchlove,
Sah. 

  
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