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Autore: Mizar Damon Severus Black    08/05/2014    1 recensioni
(E' la mia primissima Fanfic, perciò siate clementi!)
Sul Monte Gagazet vi sono le tombe degli Invocatori e dei loro Guardiani che non sono riusciti a superare il monte. Questa, è la triste storia di uno di loro.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ansimava mentre, con la faccia martoriata e sporca di sangue nella neve, si trascinava a braccia verso la fine di quel sentiero troppo ripido, così vicino eppure così troppo lontano. Alzò ancora il braccio destro, vincendo la fitta lancinante alla spalla martoriata dal fuoco, la carne viva che protestava ad ogni sfregamento contro quella neve che aveva smesso già da tempo di essere un sollievo. Avrebbe voluto gridare, ma non ne aveva la forza. Avrebbe voluto urlare a quel monte imperioso la sua rabbia e lanciare terribili maledizioni, ma non riusciva che ad emettere suoni grotteschi, gutturali. Il giovane Invocatore sapeva che doveva risparmiarsi se voleva raggiungere la sua meta, lì ad un centinaio di metri davanti a lui. Ma come poteva percorrere una distanza così lunga quando ogni centimetro che si lasciava alle spalle sembrava un'agonia senza fine? La mano si abbassò di colpo e le dita tremanti e dalle falangi bluastre per il freddo affondavano nella neve fino ad incontrare la dura pietra granitica sottostante. Si fece forza e con un gemito di dolore si spinse nuovamente in avanti.
Ma sapeva fin troppo bene che quello era stato il suo ultimo passo. Le forze lo avevano abbandonato del tutto qualche decina di metri più su sul sentiero impervio che si snodava tra i costoni della montagna sacra ed aveva percorso la distanza che lo separava dal punto in cui si trovava ora solo grazie alla sua enorme forza di volontà: adesso però si era fermato del tutto esausto nel corpo e nella mente. Che tremenda ingiustizia, morire in quel modo dopo essere arrivato così maledettamente vicino alla meta, lontanissimo da casa, ad un passo dall'ottenere l'Eone Supremo che gli avrebbe permesso di sconfiggere Sin e portare un nuovo Bonacciale, ad un passo dall'essere acclamato come un eroe. Come Jocun, e Holland prima di lei. Le lacrime tornarono a pungergli gli occhi, come schegge di ghiaccio: con l'ultimo residuo di forze, spinto più dalla sua volontà che dalla sua forza fisica, si voltò prono, le braccia leggermente spalancate e la bocca appena aperta. Si accorse, non senza un certo stupore, che aveva preso a nevicare: non una nevicata tipica del Gagazet, fatta di fiocchi fitti, sottili e ghiacciati che il vento ti sbatteva in faccia mentre ululava la sua ferocia tra gli alti picchi, che mordevano ogni centimetro di carne libera da protezioni, che s'infilava in ogni fessura. Erano fiocchi grandi, che scendevano calmi nel loro moto irregolare. Non gli importava niente di tutto ciò. Rivolse gli occhi verdi al cielo plumbeo, di un colore quasi bianco. Rena e Bant erano morti per proteggerlo e lui..Bhè, se ne stava lì disteso incapace di fare nulla, spezzato nel profondo: non sentiva più le estremità degli arti, ma dentro il suo cuore..Dentro il suo cuore poteva sentire ancora una rabbia ardente, feroce, inestinguibile. Nonostante i suoi avversari fossero morti, non riusciva a darsi pace.

Si chiese dove fossero i Ronso. Se qualcuno dei guardiani del monte si fosse accorto di lui e lo avesse curato..Se non fosse morto lì, forse avrebbe potuto ricominciare. Ma senza Rena e Bant, quel pensiero gli sembrava un'assurdità, un offesa imperdonabile alla loro memoria. Al solo pensarli, le immagini dei due guardiani gli apparvero nitide davanti agli occhi: Rena, la ragazza dal fisico agile, nervoso e scattante armata dei suoi due stocchi, Veleno e Saetta, vestita come un maschio: comodi stivali di cuoio marrone, dei pantaloni di pelle nera e una camicia bianca come la neve che cadeva in quel momento, con sopra un corpetto dello stesso nero dei pantaloni.
Nael poteva ancora sentirla ridere nei suoi ricordi, quella risata che gli scaldava il cuore, mentre buttava leggermente indietro la testa e socchiudeva gli occhi nerissimi mentre la chioma rossa le ballava sule spalle. Era stata da sempre più che una sua amica.
Bant era invece di tutt'altra specie: un uomo gigantesco, dal torace ampio come un toro e una forza ancor più smisurata e il naso schiacciato in seguito ad una frattura. Si vantava sempre di avere qualche antenato Ronso in famiglia. Alto più di due metri, aveva i capelli neri tutti tirati all'indietro, gli occhi color ghiaccio, una barba incolta e due baffoni che rendevano i suoi tratti ben più duri di quanto fossero in realtà. Nael non si era mai abituato a vedere il gigante nel suo abbigliamento tipico: in qualsiasi stagione, indossava sempre e solo dei pantaloni verde scuro con due bande marroni ai lati e corti al ginocchio, delle scarpe scure piuttosto basse e due fasciature, rossa sul braccio destro, bianca sul sinistro, che dal polso arrivavano a mezzo avambraccio. Agganciato alla schiena, portava Giocattolo, il suo grosso martello a due mani. Più volte il giovane lo aveva visto maneggiarlo con una facilità disarmante, mentre lui riusciva a stento a sollevarlo da terra.
"A te la magia, a me il martello"
Amava ripetere Bant, tirando su con il naso -un difetto che si portava dietro dopo una rissa avvenuta anni prima in una taverna di Luka- prima di sorridegli con i denti bianchissimi.
E adesso, entrambi erano morti. Morti!
Proprio quando erano ad un passo dal coronare il loro sogno, su cui avevano fantasticato fin da quando si erano conosciuti.
Aveva voglia di portarsi le mani al volto e urlare, abbandonandosi alla disperazione, sperando che qualcuno lo sentisse: schiuse le labbra, ma dalla gola gli venne solo un gemito strozzato. Aspettando che la morte lo cogliesse, rimase lì, sul sentiero, con i vestiti a pezzi e parte del bastone spezzato, simbolo del suo status da Invocatore, ancora stretto nella mano sinistra mentre la sua mente veniva assalita dai ricordi di come tutto era cominciato.
E com'era finito.
  
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