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Autore: Ciribiricoccola    25/07/2008    2 recensioni
Telefonate che cambiano la vita. Che fanno stare in apnea.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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apnea

Avete presente quando vi viene a mancare l’aria sott’acqua?

 

 

Ero a casa, non stavo facendo nulla di particolare.

Ah, sì, stavo leggendo. Un thriller.

E mi ricordo anche l’ultima frase che ho letto, ora che ci penso, sì!

“Lei disse ‘Non stavo facendo nulla di male!’”

Ecco.

Alla parola “MALE” il cellulare suonò.

E io risposi perplessa: non conoscevo il numero che mi stava chiamando.

“…Pronto?”

La voce insicura di un ragazzo mi rispose.

“Ehm… Pronto, Silvia?”
“Sì?”
“Emh, sì, ciao… sono Andrea”.

Ma io conoscevo tanti Andrea. È un nome così comune, Andrea.

“Andrea… Andrea chi, scusa?” chiesi, confusa, mentre cercavo di fare mente locale.
“Andrea… sai, che studio a Pisa… quello pugliese…”

Una fitta mi attraversò la testa, fulminea.
L’avevo riconosciuto.
Ma lui terminò lo stesso quella sorta di identikit.

“L’amico di Christian” concluse, mentre io già mi sentivo un’accetta spaccare l’osso del collo.

Deglutii.
Ero contenta di sentirlo.
Ero anche disgustata.

“Andrea, ciao…” dissi con tono amichevole “Scusami, dalla voce proprio non riuscivo a…”
“No, no, figurati… Come stai, tutto bene?”
“Io sto bene, sì…”

Non avevo motivo di stare male. Stavo bene sul serio, a parte quell’ammaccatura che mi era stata procurata alla pronuncia di quel nome. Maledetto.

“Ma tu stai bene? Come sta la tua ragazza?”
“Sì, sì, Lucia sta bene, io pure…” mi rispose lui, sempre incerto nel parlare.
E quell’accento non lo aiutava.
I suoi discorsi mi sembravano una cantilena.

“Mi hai chiamato per qualcosa in particolare? Dimmi pure…” lo incoraggiai, sorridendo lievemente per suonare più amichevole.
“Sì, in effetti sì…”

Il suo tono di voce si fece più sicuro.
Continuò, con cautela.

“Ho pensato di chiamarti, anche se non so quanto ti potrà interessare la cosa… era giusto per fartelo sapere… si tratta di lui, sai…”
Senza esitare, ribattei: “Vai avanti, Andrea. Ti ascolto, tranquillo”.

Che voce autoritaria. Non me lo sarei mai aspettato da me stessa.
Mi stavo facendo coraggio o cosa?

Sentii Andrea sospirare.
Lo lasciai fare e sopportai quel silenzio che mi stava mettendo solo ansia addosso.

Poi lo disse.

“Christian è morto, Silvia.”

Restai con il fiato sospeso.
Probabilmente, avevo anche gli occhi spalancati in quel momento.

 
Morto.

 
Quella parola aveva creato una eco spaventosa nella mia testa, ma non mi aveva convinta.
Dovevo vederlo morto. Con i miei occhi spalancati.
Con i miei occhi che avrebbero parlato per me.

“Andrea” chiesi con un filo di voce “Dimmi come e quando…”
“L’ha ammazzato un pirata della strada mentre stava tornando a casa a piedi, dalla facoltà… è successo l’altro ieri… era quasi sera…” rispose quel povero ragazzo.

Aveva la voce rotta dal pianto e stava cercando disperatamente di trattenersi.
Io invece non avevo proprio nulla da trattenere.

“L’hanno ammazzato…” ripetei, quasi sussurrandola, quella frase. Gli occhi fissi davanti a me, sul muro bianco.
“Sì…” replicò lui “Si sono messi sulle sue tracce, dovrebbero riuscire a prenderlo… e a farcelo marcire, in galera… scusami…”

Si mise a piangere, finalmente.
Sentii i suoi singhiozzi fare tenerezza al mio timpano.

“Non fare così, Andre, no, no… ssshhh, dài… lo prenderanno, vedrai…” cominciai a dire con voce triste, addirittura alzandomi dal divano nel quale mi sembrava di essere affondata.
Andrea si ricompose e mi disse: “Sì, lo prenderanno. Perché non si può lasciare un criminale così in giro, no no… che pezzo di merda, Silvia…”

Chiacchiere.

Chiesi subito: “Ha sofferto?”

Ancora qualche altro secondo di silenzio, a parte il respiro affannato di Andrea dopo aver pianto.

“L’hanno trovato che era ancora vivo, in mezzo alla strada…”

Immaginai un ragazzo come Christian, vestito di nero e con le braccia forti, sull’asfalto sporco e tutto imbrattato di sangue.
Un lago di sangue, che gli stava inzuppando i vestiti, i capelli.
Quei suoi santissimi capelli.

“E’ riuscito a chiamare il 118, però non poteva muoversi… li ha chiamati dal cellulare, poi è passata una macchina che si è fermata… per aiutarlo…”

E certo.
Forte fino all’ultimo.
Aveva chiamato l’ambulanza da solo.
Determinato e sofferente.
Nel suo lago di sangue, tutto sporco e infetto.
Senza speranza.

“E poi… è morto poco dopo essere arrivato in ospedale… un’emorragia interna lo ha stroncato…”

 
Non me ne intendo per niente di medicina, non so in che cosa consiste precisamente un’emorragia interna.

In quel momento, mi venne in mente solo un’immagine.

Il sangue che scoppiava all’interno del cervello di Christian, mandandolo in tilt.
Quella roba rossa che usciva dalle vene spaccate e che invadeva ogni angolo delle sue viscere.
Forse gli è uscito anche dagli occhi.
Forse era diventato tutto blu, o viola, o nero.
Avrà strinto i pugni prima di morire?
Avrà sentito dolore?
Avrà creduto semplicemente di perdere conoscenza o si sarà reso conto che la vita lo stava abbandonando?


“Silvia… sei sempre lì?” mi chiese Andrea.
Mi riscossi e risposi balbettando: “Cos… sì, sì, ci sono… è che… non so cosa dire… sono un po’ tanto… sconvolta, sì…”

Vero, ero sconvolta.

Andrea continuò: “Bè, i dottori hanno fatto il possibile per salvarlo… ma purtroppo non ce l’ha fatta…”

Non ce l’aveva fatta anche altre volte, Christian.

“Era un ragazzo forte…” dissi io, soprappensiero.
“I funerali ci saranno domani, dov’è nato… non è che vorresti venire?”

Sì, volevo venire. Mi sarebbe piaciuto molto venire al funerale di Christian.

“Certo che vengo” risposi, come se la cosa fosse ovvia come le leggi della natura.
“Sono alle due e mezza”
“Sarò puntuale…”

Andrea stette zitto ancora una volta, lasciandomi per niente sorpresa.
Anzi, mi stavo cominciando a preoccupare per quello che non mi aveva ancora chiesto.

“Silvia” mi domandò “Come ti senti?”

Sorrisi, come per dire “Era ora, cosa stavi aspettando?”

“Molto strana” replicai con semplicità.
“So quanto male ti ha fatto…” ribadì lui, con tono comprensivo “Ma sarebbe meglio se tu rispettassi al meglio il dolore di questo momento… E’ morto, Silvia…”
“E io sono viva e sto bene, Andrea. Lo so. Stai tranquillo, so che un lutto va rispettato e lo farò”.

Che tono solenne.
Mi stupii di nuovo di me stessa.

“Ti ringrazio…” fu la replica finale di andrea.

Una voce così grata non l’avevo mai sentita.

“Allora… ci vediamo domani…” mi ripeté.
“Sì, va bene. Ci sarò. Ciao, Andrea. Cerca di stare su…”
“Anche tu… Ciao…”

Tu tu tu tu tu tu tu tu…

Rimasi col telefono in mano.

 

Tu.

Tu che ti vestivi sempre di nero.

Tu.

Tu che mi mettevi sempre qual braccio forte intorno alle spalle.

Tu.

Tu che volevi sempre essere forte, più forte di tutti e di tutto.

Tu.

Tu che con quegli occhi piccoli e penetranti mi hai perforato l’anima.

Tu.

Tu che mi hai presa e poi scartata.

Tu.

Tu che mi hai resa ciò che non vorrò più essere.

Tu.

Tu per il quale io mi addosso colpe ancora oggi. Dopo anni.

Tu.

Tu che hai segnato, marchiato, ustionato me.

Tu.

Tu che ti vuoi fare rispettare anche da morto.

 
Chiusi il cellulare con uno scatto e lo appoggiai sul tavolo.

Poi sentii qualcosa salire su, arrampicarsi di nascosto su per il mio stomaco, poi lungo l’esofago, infine su per la gola…

Birichino, zitto zitto.
E inopportuno.

Uno scoppio d’ilarità incontenibile uscì dalla mia bocca e spaventò a morte anche i muri di casa mia.
Quasi mi sembrò di vederli diventare più bianchi del solito.

Risi, risi e risi, tanto da piegarmi in due, accucciata sul pavimento.
Mi reggevo a fatica a una sedia, espandendo la mia risata sguaiata, che ora stava probabilmente giungendo anche alle orecchie del Padreterno, scandalizzatissimo.

Per un istante, anch’io mi terrorizzai.
Cos’era quella risata impazzita, isterica, FELICE?

Ma poi lasciai perdere quella domanda e continuai a ridere, incurante di tutto.

Non mi ero mai sentita così raggiante in vita mia.

Ecco.

E ora, ditemi.

 

Avete presente quando riemergete dall’acqua e respirate a pieni polmoni?

 

 

   
 
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