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Autore: Leyla    25/07/2008    5 recensioni
Una favola dalle Mille e una notte.
Nell'antico Oriente il re Shariyar trascorre ogni notte con una ragazza e all'alba la fa uccidere. Sharazad, chiamata a palazzo, cerca di interrompere questi delitti raccontando ogni notte una fiaba diversa... Ho riscritto questa favola come se fosse realmente accaduta, cercando di ricreare le atmosfere dell'antico Oriente. Spero di esserci riuscita XD Enjoy! E mi raccomando lasciate una recensione, nel bene e nel male sono sempre gradite :D
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arabian Nights

Una favola dalle Mille e una notte

 
Se anche vivessi per mille anni, non potrei mai scordare quel giorno.

Pianti e lamenti risuonavano nella nostra casa, di solito così allegra. Non passava settimana senza che dessimo qualche ricevimento o banchetto; mio padre era un uomo molto rispettato e benvoluto, a corte, e la gente non mancava mai.
Ma di quel giorno non ricordo musica e sorrisi: ricordo solo i drappi neri alle pareti, il viso affranto degli schiavi e mia madre che piangeva nelle sue stanze, sorvegliata dalle ancelle.
Chiunque ci avesse visitati, quel giorno, avrebbe di certo pensato che si stava preparando un funerale, in casa nostra.
Ma non avrebbe mai indovinato di chi.
Perché il funerale era il mio. 

Tutto era cominciato un mese prima. Mio padre aveva dato un grande ricevimento in occasione del matrimonio di mio fratello maggiore, e aveva invitato il re, in qualità di suo gran visir, ad intervenire nella nostra umile dimora. Il re, che stimava tantissimo mio padre, aveva accettato con piacere. Avevo pensato che mio padre ne sarebbe stato contento: la presenza del re in casa nostra avrebbe aumentato moltissimo il suo prestigio. Per questo non riuscivo a capire la sua aria contrariata e gli sguardi cupi che mi rivolgeva quando mi vedeva.
La sera prima del banchetto mi chiamò nel suo studio.
«Sharazad» mi disse, guardandomi tristemente. «Fino ad oggi ho sempre considerato la tua bellezza un dono di Dio. Ma ora non mi sembra altro che una maledizione».
Di fronte al mio sguardo interrogativo, sospirò. «Non posso raccontarti nulla. Significherebbe tradire il mio re, e io sono un uomo d’onore.
«Ti dico solo questo» riprese, con un altro sospiro. «Domani non farti vedere dal re. Cerca di passare inosservata, tra gli invitati. Se sarò costretto a presentarvi, non dire nulla e tieni la testa bassa».
«Come desiderate, padre» risposi, sempre più stupita.
Alla mia occhiata sembrò invecchiare all’improvviso. Distolse gli occhi dai miei e si morse il labbro. «Devi capire che sono stato costretto a invitarlo. Sono il suo gran visir, si sarebbe offeso se non l’avessi fatto. Ed è meglio non fare arrabbiare il re…». Rabbrividì. Poi tornò a guardarmi. «Io ti voglio bene, Sharazad» aggiunse, osservandomi con affetto. «In altre circostanze, saresti stata uno dei miei orgogli più grandi. Sei bella e saggia. Chiunque sarebbe fortunato ad averti. Ma ora temo per te».
«Anch’io vi voglio bene, padre» dissi guardandolo con occhi pieni di lacrime. «Non so perché siete così preoccupato per me, ma vi prometto che non mi accadrà niente».
«Questo non puoi saperlo» sussurrò tristemente. Per un lungo momento mi fissò. Poi sembrò riscuotersi. «Non dimenticare quello che ti ho detto. Ora va’, figlia mia».
Scombussolata da quell’insolita conversazione, uscii dallo studio, riflettendo sulle cose che mi aveva detto mio padre. Aveva paura del re. Forse temeva che vedendomi mi avrebbe voluta nel suo harem. A quel pensiero rabbrividii. Ma era impossibile che mio padre temesse una cosa del genere. Chiunque sarebbe stato orgoglioso che la propria figlia sposasse il re. Semmai quella che deve temere qualcosa sono io, mi dissi, pensando al carattere crudele e arrogante del re. Ma non trovavo risposta alle preoccupazioni di mio padre, nemmeno dopo una notte insonne passata ad agitarmi nel mio letto. 

Il giorno dopo era tutto pronto per il ricevimento. La nostra casa era affollata di invitati. Mio fratello Alì e sua moglie erano nell’ingresso a ricevere le congratulazioni e gli auguri di felicità. Di sicuro per lei erano superflui. Era destinata ad essere un oggetto, una macchina che sfornava figli, relegata nella parte di casa destinata alle donne. Fu lì che mi nascosi dagli sguardi degli estranei. Non volevo diventare un oggetto – anche se ‘reale’ – anch’io.
Ma il mio desiderio non poteva essere esaudito. Ero nelle mie stanze da neanche mezz’ora quando sentii un gran vociare fuori, interrottosi rapidamente in un pesante silenzio. Poi un suono di flauti e una voce stentorea che annunciò: «Il re, inviato di Dio, Sua Maestà Shariyar».
Rabbrividii. Non so neanche perché. Forse fu un presagio di ciò che sarebbe avvenuto.
Dopo qualche minuto entrò trafelata una schiava. «Giovane padrona, presto, venite. Il re ha richiesto di essere presentato a tutta la famiglia del gran visir».
A malincuore fui costretta a raggiungere gli invitati nel giardino. Al centro però si era creato un vuoto attorno alla figura del re e del suo seguito di dignitari, schiavi e danzatrici.
Fu lì che lo vidi per la prima volta. In realtà quasi non lo guardai, spaventata dagli avvertimenti di mio padre del giorno precedente. Mi ero coperta con un velo e tenevo gli occhi bassi. Ma non potei evitare di lanciargli un fugace sguardo. Così sollevai la testa e gli gettai un’occhiata, e scoprii che anche lui mi stava guardando. Ci fissammo per il più breve degli istanti, poi io abbassai nuovamente la testa.
Quel fulmineo scambio di sguardi mi aveva scosso. Il re era più giovane di quanto immaginassi: non doveva avere più di trent’anni. Quelle poche cose che avevo colto guardandolo – la barba nera e corta, le membra robuste e proporzionate, le mani forti scintillanti di anelli – mi erano rimaste impresse nella mente. Ma più di tutto, so che non scorderò mai il suo sguardo, i suoi occhi neri e ardenti fissi nei miei, che mi avevano incendiato, trasmettendomi il fuoco che divampava in lui.
Mio padre stava facendo le presentazioni. Mi avvicinai alla mia famiglia – e a lui – rimpiangendo ogni passo. Arrivata, mi rifiutai di alzare gli occhi, che rimasero ostinatamente fissi a terra, finché un paio di stivali, di fattura ricchissima e dalla punta rialzata, non entrarono nel mio campo visivo.
«Permettetemi di presentarvi la mia adorata figlia, Sharazad». Udii la voce di mio padre accanto a me. Mi inchinai, piegando la testa modestamente.
«Una perla rara, senza dubbio. Siete fortunato ad avere nella vostra casa un simile gioiello». Sentii i suoi occhi trafiggermi, e cercai di non mostrare alcuna reazione. La sua voce era profonda ma pacata, e m’incuriosì. Sentivo che voleva suonare sincera, ma c’era un fondo di amarezza che non era riuscito a reprimere del tutto.
«Vi ringrazio, Maestà». Mio padre s’inchinò a sua volta, poi riprese: «Il banchetto comincerà tra breve. Se volete degnarvi di seguirmi, vi accompagnerò nel salone».
«Molto bene» rispose il re, e finalmente si allontanò.
Quando se ne fu andato, sospirai di sollievo.
Al banchetto mi premurai di sedere il più lontano possibile dal re. Rimasi per tutto il tempo zitta e con gli occhi bassi. Non ero l’unica a comportarmi così: molte giovani ragazze sembravano nervose ed evitavano di guardare in direzione del capotavola. Continuavo a chiedermi perchè il re fosse così temuto.
Il ricevimento sembrava interminabile, ma alla fine fu il momento per tutti di tornare a casa. Restai accanto a mio padre mentre presentava i suoi omaggi e ringraziamenti al re. Prima di montare sulla portantina, Shariyar mi lanciò un’ultima occhiata. 

Per le quattro settimane seguenti la vita scorse tranquilla. Dopo i primi giorni di tensione anche mio padre si rilassò e sembrò convinto che il re si fosse dimenticato del banchetto in casa nostra. Io avevo cercato di porgli delle domande sul motivo della sua preoccupazione, ma si rifiutò sempre di rispondermi.
Quel giorno camminavo per il bazar, accompagnata da due schiave, acquistando alcuni alimenti necessari per quel giorno. Avevo intenzione di passare alla mia bancarella preferita, che vendeva veli bellissimi, di seta e ricamati d’oro e d’argento. Ma la tenda che ospitava le stoffe era chiusa da un drappo nero, e le donne che passavano lì davanti si scambiavano sussurri e sguardi di compatimento.
Il banco di fronte era tenuto da una vecchia amica di mia madre. Ordinai alle schiave di aspettarmi fuori, poi mi avvicinai a Maryam.
«Buongiorno» esordii sorridendo. «Mia madre vi porge i suoi saluti. Come state?».
«Buongiorno, Sharazad!». Il suo sguardo s’illuminò. «Diventi sempre più bella. Ricambia i saluti di tua madre. Qui si tira avanti… per fortuna Dio ha concesso la salute a me e alla mia famiglia».
«Sono contenta di sentirlo» risposi. «Fossero tutti così fortunati». Gettai un’occhiata al velo nero sulla tenda di fronte. Maryam se ne accorse, perché replicò: «Hai ragione. Eppure a volte accadono cose che non ci si aspetterebbe. La volontà di Dio è imprevedibile».
La guardai incuriosita. Lei fece un cenno con il capo verso la tenda e disse pacata: «Sua figlia è morta ieri».
«No! Safiya è morta?». Sconvolta, portai una mano alla bocca. «Cos’è successo? Una malattia?».
«No. Non ho mai conosciuto una ragazza bella e in buona salute come Safiya» disse Maryam con aria cupa. «Magari fosse stato un malanno. Avrebbe reso tutto più sopportabile». Sospirò. «È stata chiamata dal re».
Non capii il nesso di ciò con la sua morte. «E allora? Le è successo qualcosa a palazzo?».
«Buon Dio, Sharazad» esclamò la vecchia gettandomi un’occhiata strana. «Non sai cosa accade a una ragazza se viene chiamata dal re?».
«Viene… uccisa?» sussurrai incredula. «Perché?».
«Allora non conosci la storia del re Shariyar?». Maryam mi scrutò con uno sguardo talmente stupito che, se la situazione non fosse stata mortalmente seria – era proprio il caso di dirlo –, probabilmente avrei riso. Invece la guardai spaventata.
«Raccontatemela, vi prego» la implorai. Ora capivo perché mio padre era così preoccupato, perché avesse cercato di mettermi in guardia. Temeva che il re Shariyar mi convocasse a palazzo e mi uccidesse. «Perché odia le donne in questo modo?».
«Tu forse non te lo ricordi» iniziò Maryam «ma circa tre anni fa il re conobbe Nadira, la figlia di un visir, una fanciulla di rara bellezza. Se ne innamorò e la sposò. Ma la ragazza amava un altro giovane, e di nascosto da tutti continuò a vederlo. Un giorno il re li scoprì: folle di rabbia, ordinò che entrambi fossero giustiziati. Da allora si convinse che tutte le donne, specialmente quelle belle, fossero perfide e astute come serpenti. Così, ogni volta che conosceva una fanciulla, la sposava e la faceva uccidere all’alba della prima notte di nozze. Sono tre anni ormai che continuano questi delitti». Maryam scosse la testa, poi mi guardò. «Sharazad, tu sei bellissima e sei la figlia del gran visir. Devi stare attenta. Il re è sempre alla ricerca di qualche ragazza giovane e bella come te».
Ero immobilizzata dal terrore. E così, la mia sorte era segnata. Prima o poi il re avrebbe richiesto la mia presenza a corte. Mi avrebbe sposata e la mattina seguente mi avrebbe fatta uccidere.
Avevo solo sedici anni. Trascorrevo i miei pomeriggi ricamando, cantando, leggendo. Non ero pronta per sposarmi… e per morire.
«Maryam» dissi, più tranquillamente di quanto mi aspettassi. «Se… quando accadrà, cosa potrò fare per evitare di essere giustiziata?».
«Ti sconsiglio di difendere la tua causa parlando con il re. Questi anni di omicidi lo hanno trasformato, rendendo il suo cuore crudele e insensibile alla pietà. Non è molto incline ad accettare consigli.
«Sharazad» continuò, stringendomi la mano con gentilezza. «Non posso dirti cosa fare. Ma una cosa la so: tu sei una ragazza intelligente e di grande saggezza. Di certo saprai trovare una soluzione. Prega Dio e confida nel tuo istinto. Segui il tuo cuore e ti salverai. Ne sono certa».
«Grazie, Maryam» dissi, commossa e riconoscente. «Ti ringrazio per le tue sagge parole. Ora devo tornare a casa. Addio».
«Addio, Sharazad» rispose. «Che il buon Dio ti protegga».
Probabilmente chi di dovere non udì queste parole.
Ero appena rientrata a casa che una schiava corse verso di me, il viso ricoperto di lacrime.
«Giovane padrona». Cercò di mantenere ferma la voce. «Vostro padre desidera parlarvi. È nel giardino».
Mentre attraversavo il salone ed entravo nel cortile, seppi cosa stava per dirmi mio padre. Lo seppi ancor prima di vedere i suoi occhi umidi, la sua espressione addolorata, le sue labbra contratte. Il mormorio della fontana, il cinguettio degli uccelli, la brezza sul viso… sembravano improvvisamente cose irreali, appartenenti a un mondo che non era più il mio.
Era appena arrivata una lettera. Ero attesa a corte per l’indomani.
Non potei impedire a una lacrima di scivolarmi lungo il viso.

   
 
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