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Autore: __Aiko__    25/07/2008    10 recensioni
"Si risvegliò in un lago di sangue.
Tanto, tanto sangue, una pozza di sangue, sangue sui suoi piedini scalzi, sul suo volto pallido.
Al suo fianco giacevano la sua mamma e il suo papà."
Eccomi con questa fanfiction, spero sarà di vostro gradimento
Per il mitico L Lawliet
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Watari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OLD SHOES

OLD SHOES

 

 

25 Dicembre.

Era una giornata molto fredda, era questo che pensò il piccolo accovacciato ad un angolo della strada, appena sveglio.

Una giornata davvero fredda. Natale…

Il bambino guardò con desiderio la vetrina di una pasticceria, così addobbata e piena di meravigliosi dolci.

 E ricordò le botte della sera prima.

Tirò su con il naso e si sfregò le mani per creare un po’ di calore.

Inutile, faceva freddo e lui non aveva i guanti.

Ne una sciarpa, o un cappello, solo un paio di scarpette vecchie bianche, malandate, troppo piccole per i suoi piedini gelati.

 

 

Era Natale, ma per il bimbo che sarebbe diventato L era solo un giorno come un altro.

Nessuno gli aveva detto che sarebbe stato solo, mentre tutti gli altri festeggiavano al caldo, con le loro mamme e i loro papà, e i loro dolci…

 

E lui era lì, solo con le sue vecchie scarpe, e i suoi soldini.

Li stava contando e ricontando, non avendo nient’altro da fare, se non ammaliare la gente di buon cuore con il suo faccino.

E ad ammaliare, lui, ci riusciva egregiamente.

Ed era intelligente.

Molto, molto intelligente, anche se a guardarlo non si sarebbe mai detto, quel bambino aveva un cervello incredibile.

Ed era ridotto a fare la carità, per racimolare un po’ di soldi da dare a quei “ragazzi grandi” che prendevano il guadagno e in cambio gli davano un po’ di pane da mangiare.

 

Era triste, ma vero.

 

E dire che non si ricordava neanche come si chiamasse.

L’unica cosa che ricordava era quel giorno. E non era abbastanza.

Si strusciò la mano sulla guancia diafana.

Ancora un po’ di sangue. Poco, però…

Dopotutto quelle botte non se le meritava, proprio per niente.

Cosa aveva fatto di male?

Aveva solo chiesto qualche soldo ai “ragazzi” per comprarsi un dolcino tutto qui.

Perché a lui piacevano così tanto i dolci.

 

No, decisamente non meritava di essere picchiato.

E non aveva saputo difendersi.

Perché era piccolo.

Perché i ragazzi lo trattenevano.

Perché un bambino di sei anni cerca il positivo persino nel negativo.

Anche se questo bambino sarebbe diventato l’investigatore più famoso al mondo.

 

Il piccolo si strinse un po’ di più allo scialletto sporco.

 

<< Allora moccioso, dove è che sono i nostri soldi? >>

Il bambino guardò il più grande con lieve disappunto.

Mise le manine nelle tasche che si era cucito, e diede quello che aveva prelevato dal buon cuore delle persone.

<< Tutto qui?Non credo proprio >>

No infatti, non poteva sperare che non si accorgesse che la metà dei soldi erano nascosti nella scarpa.

In quella vecchia scarpetta.

Beh quello che successe dopo…si capisce, i ragazzi gli tirarono i capelli e cominciarono a prenderlo in giro.

 E quando lui disse che voleva quei soldi per comprare un dolce ci andarono giù pesante, fino a fargli rimettere quel poco che aveva mangiato quel giorno.

Decisamente poco furbo, non era da lui…

 

 

Non lo avrebbe rifatto più, lo aveva giurato a se stesso.

Non ne poteva più di essere torturato da quei ragazzi che dopotutto erano simili a lui.

Ragazzi di strada.

Un po’ provava anche pietà per loro.

 

Però gli faceva ancora male la testa.

 

La giornata scorreva così, lenta, priva di stimoli, piena di desideri mai realizzati.

E così stava passando anche la giornata di Natale.

Un paio di allegri vecchietti gli regalarono un po’ di cioccolata, e lui regalò loro un bel sorriso.

Un sorriso vero. Aveva un po’ di cioccolata, aveva qualcosa da mangiare.

Era davvero felice quel bimbo, che rispetto ai suoi coetanei contenti dei pacchi sotto l’albero, si rallegrava con un pezzettino di cioccolata.

 

E non gli importava se le scarpe erano vecchie, rotte e sporche.

Non gli interessava neanche delle botte che avrebbe avuto.

In quel momento lui era felice.

 

Anche se durò poco quella sensazione.

Molto poco.

 

Giusto l’arrivo della notte, e di tutto ciò che le era connesso.

Il cielo senza stelle iniziò a nevicare.

Neve, neve bianca, neve pura.

Neve che ora si sporcava di rosso.

Fredda distesa bianca che diventava il giaciglio di quella piccola figura dolorante.

Il suo unico conforto…

 

<< Dov’è che hai preso quella? >> chiese il più grande di loro, con una brutta luce negli occhi, lo sguardo rivolto alla cioccolata nella tasca del piccolo.

<< Me l’hanno regalata >>

<< E credi che io me la beva?Brutto bastardo quei soldi li devi dare a noi, non per i tuoi stupidi dolci >> disse prendendo il bambino per la maglietta sudicia.

Non servì a nulla dirgli che non aveva speso neanche un centesimo.

A nulla..

Lo colpirono, e ancora, ancora.

<< Neanche piange questo qui, avanti, PERCHE’ NON PIANGI? Questo piccolo  figlio…>>

 

A Natale, se era possibile, i ragazzi di strada erano più violenti.

Perché tutta la loro frustrazione raggiungeva il culmine, e si doveva riversare sul più piccolo.

E in quei momenti, il suo cervello non lo aiutava certo.

Anzi…

 

A volte il bimbo dagli occhi grandi e dal faccino pallido e triste, si chiedeva perché quel giorno non fosse stato ucciso anche lui.

Sicuramente sarebbe stato meglio, al caldo, con la sua mamma e il suo papà.

 

Poi però arrivò lui…

 

Un signore vestito in modo elegante, un cappello nero in testa, e un paio di baffi bianchi, che lo rendevano…buffo!

Questo fu il primo pensiero che il piccolo gli rivolse.

Un signore davvero buffo.

 

Si avvicinò con una grande busta, e il bambino pensò che gli volesse dare qualche soldo, affascinato da quei grandi occhioni scuri.

Invece no…

Il bimbo venne attirato da quel signore, non con la ingenuità tipica dell’infanzia, ma con la consapevolezza che qualcosa sarebbe cambiato.

E infatti fu così.

Capì anche di essere stato osservato da quell’anziano signore da un po’ di tempo, perché questi gli offrì una ciambella, e gli diede un paio di guanti, un cappellino, un cappotto.

 

E lo portò con se, strappandolo dalla strada, dalla violenza.

Sotto il grigio cielo inglese il piccolo Ryuzaki (così venne chiamato da quel signore) iniziò una nuova vita.

Davanti a quel cancello scuro e all’immensa costruzione, forse anche un po’ lugubre per ospitare dei bambini, Ryuzaki si lasciò alle spalle la tragedia, ed entrò con quelle scarpette vecchie nella sua nuova casa.

 

Whammy si rese conto subito che quel bambino non era come gli altri.

Che quel bambino sarebbe diventato importante.

Però in quel momento non pensava a quello che Ryuzaki sarebbe diventato.

Pensava a quello che era ora.

Un orfano, geniale, maltrattato assurdamente, con una psiche, probabilmente, molto fragile.

 

Anche ad un anno dalla sua entrata nella Whammy’s House, Ryuzaki non si era ancora ripreso.

Odiava essere toccato da chiunque che non fosse Whammy, non giocava con nessuno.

Rimaneva solo ore e ore, a giocare, a pensare.

Pensare…

Faceva male pensare, ma era inevitabile.

 

Ogni notte, Ryuzaki si svegliava di soprassalto.

Quella stanza così vuota, così buia, gli incuteva quasi timore.

Però non fiatava, non urlava.

Si limitava ad osservare il buio con gli enormi occhi neri.

E usciva da lì, si inoltrava dove nessun bambino si sarebbe mai permesso di inoltrarsi.

Entrava nella stanza del vecchio signore che l’aveva salvato, e si infilava nel lettone, per stare vicino alla persona di cui si era fidato immediatamente, l’unico che poteva stringergli la mano, e accarezzargli il viso.

E a Whammy andava bene così.

Si era affezionato molto a quel bambino, che durante il sonno spesso singhiozzava e si stringeva di più al suo benefattore, per cercare conforto e rassicurazione.

 

<< Ryuzaki, ti voleva bene la tua mamma? >> azzardò un giorno Whammy

cercando di capire più o meno se il bambino fosse stato maltrattato da loro.

In tutta risposta lui lo guardò con quello sguardo disarmante, incredulo, perennemente acceso da una luce, per metà malinconica, per metà esaltata

<< Mh mh >> mugolò accennando con la testa.

<< E il tuo papà? >>

<< Anche lui, mi voleva tanto bene >> disse quasi un po’ distaccato.

Whammy pensò, un po’ sconcertato dalla freddezza delle risposte di Ryuzaki.

<< E ti ricordi di loro, vero? >>

Che domanda era!

Certo che si ricordava di loro, anzi si ricordava di quel giorno maledetto.

Non c’era bisogno di ricordargli ciò che voleva dimenticare.

Però Whammy non lo sapeva.

Era questa la sua scusante, pensò Ryuzaki.

Solo questa.

Anche se avrebbe dovuto sapere che c’era qualcosa che non andava.

Che aveva avuto un brutto passato.

Si, sangue. Tanto sangue, e tanta violenza.

Ecco perché si scostava irritato se qualcuno gli sfiorava il viso, o anche se gli toccava il braccio. Spiegato il motivo per cui evitava di parlare di se, e di quello che aveva passato.

No il signor Whammy non aveva scuse.

Nessuna scusa.

 

<< Hey tesoro, hanno bussato alla porta, tu rimani qui, d’accordo? >>

<< Va bene mamma >> disse il piccolo, concentrato ad ultimare il suo gioco, un castello di carte quasi perfetto

<< Fai il bravo mi raccomando, ti voglio bene >> disse la donna sparendo dietro la porta.

Beh un comportamento un po’ bizzarro soprattutto perché la mamma chiuse la porta a chiave.

Aggiunse un’altra carta, aveva quasi finito, e ancora una volta tutto perfetto.

Un urlo agghiacciante lo fece sussultare mandando in fumo il tentativo di completare il castello.

Passi veloci alle scale.

Qualcuno stava tentando di sfondare la porta della sua cameretta.

BUM BUM BUM. Pugni potenti alla porta, la quale si spalancò dopo l’ultimo colpo.

Il bambino guardò i due uomini sconcertato, poi non vide più nulla.

Solo buio. Tutto nero.

Si risvegliò in un lago di sangue.

Tanto, tanto sangue, una pozza di sangue, sangue sui suoi piedini scalzi, sul suo volto pallido.

Al suo fianco giacevano la sua mamma e il suo papà.

Le campane della chiesa affianco suonavano incessantemente.

La testa stava per scoppiare dal dolore.

Prese la mano di mamma e quella di papà, e le tenne strette alle sue manine insanguinate.

Non voleva lasciarli.

Non voleva rimanere solo.

 

<< Figliolo, se non vuoi dirmelo non fa niente, mi dispiace >>

Ryuzaki non rispose.

Ancora una volta non piangeva, non urlava, ne strepitava.

Si limitava sempre a guardare con i grandi occhi tristi il pavimento.

Era inutile scusarsi Whammy.

Inutile, lo avevi di nuovo riportato al passato.

Perché non riuscivi a capire che per lui era troppo doloroso ricordarlo, parlarne poi…?

<< Non importa, signor Whammy…>> aggiunse spostando la testa leggermente e guardandolo con sguardo un po’ annebbiato.

 

E accadde una cosa che il futuro L non avrebbe mai dimenticato.

Whammy lo strinse a se, abbracciandolo, mentre le guance pallide del bambino che non piangeva iniziarono a rigarsi di lacrime.

Non riusciva a fermarsi, incredibile.

Non aveva mai pianto, e si stupì nel sapere quanto potesse sfogarsi semplicemente piangendo.

<< Mi dispiace piccolo mio, non importa quale sia stato il tuo passato, ma ricordati che io per te ci sarò sempre, d’accordo? >>

E anche lui, Whammy, noto per la sua rigidezza, uomo di fama mondiale, non sembrava più lo stesso, abbracciato a quel bimbo piangente.

<< Sempre, signor Whammy? >> chiese con un singhiozzo Ryuzaki.

Il signore anziano annuì sciogliendo l’abbraccio, e prendendo per mano il piccolo.

 

Inutile dire che Whammy mantenne la sua promessa, e rimase al fianco di Ryuzaki e di L, fino alla fine…

 

°§°§°§°§°§°§°§

 

<< Watari, puoi portarmi un’altra tazza di the, per favore? >> chiese L gli occhi fissi sullo schermo, dal quale lampeggiavano vari segnali, più o meno importanti.

Presto l’ordine cortese del ragazzo fu eseguito, gli venne portata una tazza di the al bergamotto, con vari dolci.

L ringraziò Watari, e mandò giù tre compresse insieme al the.

Ovviamente di nascosto.

Watari non avrebbe mai accettato che L prendesse psicofarmaci, o comunque quello che erano.

Però lo aiutavano davvero molto.

Aiutavano la sua mente, ammazzavano i ricordi, sopprimevano il passato.

Anche se debilitavano il suo fisico, rendendolo ancora più pallido, e le occhiaie ancora più scure.

Ma non importava, quello che gli interessava era che il cervello rimanesse a posto.

Seduto nella sua scomposta posizione L si gustava la sua merenda.

<< Ah Ryuzaki…>> disse Watari affacciandosi alla porta

<< Cosa c’è, Watari? >>

<< Ti ho comprato un paio di scarpe nuove >>

L non se lo aspettava e sorrise.

Di un sorriso sincero, come pochi.

Si, non amava molto le scarpe, però…

<< Grazie Watari >> disse sorridendo ancora.

E il vecchio Whammy si rese conto che quel “grazie” non era per le scarpe nuove.

L lo stava ringraziando per quel che aveva fatto per lui.

Per averlo reso l’investigatore più famoso al mondo.

Per averlo salvato.

Per essergli stato sempre al suo fianco….

 

 

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Beh allora…che dire?

In realtà all’inizio ero un po’ riluttante a postare questa mia fanfiction, Non la amo molto. E il titolo non ci azzecca una cippa XD. Poi l’ho riletta e mi sono detta “dopotutto non ci perdo nulla”.

L è un po’ OOC forse, e riconosco che la lettura potrebbe risultare un po’ pesante. Purtroppo devo ancora lavorarci.

Però se state leggendo queste righe vuol dire che ce l’avete fatta, e vi amo già per questo.

Rileggendola ancora mi dico che forse non è male. Forse perché c’è L. Si sarà che sono completamente innamorata di lui. Non sapevo che ci si potesse affezionare tanto ad un personaggio.

L LAWLIET PER SEMPRE.

Ok sclero finito. Spero che vi sia almeno un po’ piaciuta, e sarei davvero contentissima se recensiste, ma anche leggendola solo, come ho detto prima vi amo lo stesso ^^.

Ho finito, ho finito x°D La smetto di torturarvi con le mie parole.

Grazie mille.

Aiko

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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