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Autore: Foot in Mouth Disease    10/05/2014    0 recensioni
Chuck il taciturno, Chuck il solitario, Chuck lo stronzo, Chuck il nano, Chuck lo stupido, Chuck lo sprecato, Chuck il menefreghista, Chuck-si-gira, Chuck il pessimo regista.
Tutti sanno chi sono, e non lo so io.
Nessuno sa chi sono, ed io non lo voglio ammettere.
Magari sto solo cercando di confondervi perché mi annoio e sono un povero bastardo. Magari sto cercando di confondervi perché mi sembra di essermi esposto troppo ed ora mi sento inerme, troppo scoperto. Magari non mi interessa perché qualunque cosa possa dire, siete piú bastardi di me e penserete comunque quello che volete.
Chuck il pagliaccio, faccio paura a me stesso. Chuck il pagliaccio, sono l’unico che ride?
(Raiting giallo per scurrilità lessicale)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V.
TRUST MY CONFUSION, JUST MY DELUSION


Nessuno ci pensa mai, a quanto possano essere significativi alcuni dei gesti piú, diciamo, comuni. Nessuno pensa mai, effettivamente, a quanto pare, ma questo è un altro paio di maniche. Quello menefreghista sono io, la merda che se ne sbatte in tutti i sensi. Una porta rotta è piú importante di un figlio distrutto, apprendo ora, quindi scusate tanto. Sono io quello che chiude i suoi genitori fuori dalla sua vita, seppur solo momentaneamente, con rabbia. Sono io, sono io. Ma chi è che non batte ciglio? E chi è che, poi, prende a pugni il muro fino a farsi sanguinare le nocche? Una porta sbattuta, un adolescente a pezzi. Ma è colpa mia, non sono abbastanza chiaro, non mi apro abbastanza, mi isolo troppo, sono un guaio che cammina. Vago, per le strade desolate, senza meta alcuna. Il futuro mi è stato fottuto da quest’istituzione senza scopo di lucro e mangia soldi, o forse era quell’altra, ora non ricordo, ora non mi interessa ricordare.
Cambiando discorso, ma forse solo relativamente, ci sono persone o, farei meglio a dire, fantasmi di persone che per tutta la vita ti perseguitano, facendoti chiedere come sarebbe andata se. Lasciandoti con un varco attraverso il quale immergerti nell’illusione piú grande, l’erronea convinzione che sarebbe andata meglio. Io mi accontenterei, ora, di non avere mal di stomaco. Di tutto il resto non mi importa, non piú. Di essere ignorato in questa maniera, ci ho fatto l’abitudine e un po’ di merda in piú gettatami addosso con non curanza non mi sconvolge. Credo che mi siano cresciute delle particolari branchie, anzi, che mi permettono di restare vivo in ogni caso. È importante? Cosa è importante? È tutto relativo, quindi che importa. L’essere umano ha una straordinaria capacità di adattamento, lo insegnano a scuola, se capita, tra un’ora di biologia e l’altra.
Io, il mio vero padre, non l’ho mai conosciuto. Dovrebbe essere un uomo onesto, tanto quanto io libero*, che sono schiavo di questa vita, della mia mente. Mi rendo perfettamente conto di quanto stia farneticando, non pensate di no. Solo, perdonatemi, me ne frego altamente; cosí come nessuno vi ha invitati a venire, seppur siate i benvenuti, in egual maniera non ho intenzione di trattenervi. L’unica persona su cui ho la podestà sono io stesso, e allora scrivo per trattenere un po’ piú a lungo i pensieri che altrimenti fuggirebbero come particelle d’aria fredda di fronte ad una fiamma. Spero sempre che, in questo modo, riuscirò ad imparare qualcosa; se di me stesso o dell’universo, non so quanta differenza possa fare per voi, né se ne faccia alcuna per me.
Alle volte, alle volte mi sembra che tutto crolli, cosí, in uno stupido batter d’occhio. Quant’è, un secondo? Anche meno.
Certamente capisco, che ognuno di noi ha i suoi nervosismi, e certamente immagino, che alle volte le sfuriate non siano del tutto volontarie. Cerchiamo un pretesto; subdolamente il nostro inconscio lo individua, seppur questo si celi al limite delle possibilità future, e ci conduce abilmente a questo, facendo ben attenzione di non sfiorare le altre infinite opzioni. Ma, volevo arrivare a dire, mi chiedo se le persone ci pensino mai, che sfogare le proprie frustrazioni sugli altri non sia una cosa esattamente civile da fare. Eleviamo sempre l’uomo al di sopra di ogni bestia, nonostante in cuor nostro sappiamo di valere meno della merda di quelle. Perché noi abbiamo maggior ragione, allora l’abbiamo assoluta. L’essere umano fa sempre quel cazzo che gli comoda, cambia la realtà come piú gli aggrada, con quella ragione di cui tanto fa vanto, ma che poi butta in un angolo non appena le emozioni fanno capolino tra una costola e l’altra e quel povero stronzo di raziocinio non gli comoda piú. Povero, stupido uomo. Chiaramente è condannato ad essere infelice, perché non sa scegliere. Ché non c’è male né in ragione, né in passione, sono entrambe forze innate che una o l’altra stella ha messo a nostra disposizione. Ciò che dovrebbero insegnarci, piuttosto che l’ampiezza di un angolo con cos(x)=1/2, è come utilizzare al meglio queste due potenze. Naturalmente intendo bene che un popolo istruito a dovere, non è un buon popolo.
Ha un senso, secondo voi, tutto ciò quissopra detto?
Non so perché ho tirato in ballo mio padre. Non so perché vi ho detto ciò che vi ho detto, né il motivo di tale ordine, con cui ho scelto di dirvelo. Probabilmente aspettavo solo l’occasione adatta, seppur questa sia solo una scusa perché sono certo che quella non esista. Consciamente, odio parlare di lui. È uno di quei suddetti fantasmi, ma è pure piú bastardo ed infimo perché, come se perseguitarmi non fosse abbastanza, sembra trovi dilettevole rigirare uno dei coltelli abilmente collocati nella mia schiena. Non penso che smetterà mai di far male, questa faccenda, non penso sia un peso che mi leverò mai dalle spalle. Né, mi rendo conto, tutto ciò mi tange piú di tanto, oramai. Forse, oserò dire, se questa sensazione sparisse, potrei sentirmi addirittura perso -piú di quello che già sono, sí-, cosí abituato ad essa come sono. Chi può dirlo. In ogni caso, ciò che volevo dire, è che ritengo questa cosa mi sarà utile, un giorno o l’altro. Esattamente, credo che il punto sia semplicemente che ora non lo riesco a vedere. Forse, infine, avrò anche io una famiglia. Forse, infine, sono una persona migliore di mio padre, nonostante il mio DNA sembra aver subito maggiormente l’influenza dei suoi geni.
Forse… Forse..., la vita ne è cosí piena, non ha spazio per le certezze.
Mi sento di chiedere scusa per tutta questa confusione che vi ho egoisticamente riversato addosso; ma, se proprio volete che lo dica, non penso il mio sia un sentimento sincero, quanto piuttosto un’influenza data dalla società o, magari, è solo una scusa per continuare a sproloquiare. Però -e quanti però ci sono, sparsi qua e là per l’universo- questo è quello che c’è. È tutto quello che ho da offrire.
 
Chuck il taciturno, Chuck il solitario, Chuck lo stronzo, Chuck il nano, Chuck lo stupido, Chuck lo sprecato, Chuck il menefreghista, Chuck-si-gira, Chuck il pessimo regista.
Tutti sanno chi sono, e non lo so io.
Nessuno sa chi sono, ed io non lo voglio ammettere.
Magari sto solo cercando di confondervi perché mi annoio e sono un povero bastardo. Magari sto cercando di confondervi perché mi sembra di essermi esposto troppo ed ora mi sento inerme, troppo scoperto. Magari non mi interessa perché qualunque cosa possa dire, siete piú bastardi di me e penserete comunque quello che volete.
 
Chuck il pagliaccio, faccio paura a me stesso. Chuck il pagliaccio, sono l’unico che ride?
Mi sento sempre dire di non lamentarmi della scuola, perché un giorno la rimpiangerò. Proprio per l’alta frequenza con cui ciò mi viene continuamente ripetuto e la poca originalità delle persone, oramai questo lo so bene. E se anche l’uomo non provasse tanto gusto nel porsi un gradino al di sopra di tutti gli altri, lo saprei comunque da me, che sono il primo ad aver il terrore del futuro. Cercare uno schifo di lavoro e mantenerlo per mettere un po’ di pane sotto i denti. Fottermi il fegato e lasciare il cervello a prender polvere. Io, io sono il primo che non smetterebbe mai di studiare, il primo che ama perdersi in astrattezze e speculazioni superflue. Non mi frega un cazzo di quello che un hipster schifoso vuole mangiare, che vada a casa sua e si arrangi. Non voglio essere un insulso atomo di un ancor piú insulso sistema producente merdate cancerogene. Per cui non venite a dirmi che un giorno rimpiangerò la scuola, perché potrei farvi rimpiangere di avermi incrociato sul vostro cammino. Ciò che odio della scuola, comunque, è la pressione che ti mettono addosso. I voti, i test. Tutta l’importanza che danno ad un anno perso, perché sono soldi buttati, soldi in piú da tirare fuori, un motivo ci sarà se vostro figlio getta la sua “carriera scolastica” nel cesso ma no, non vi preoccupate di capire la vera motivazione. Tutto il peso che danno ad un test, ad un esame. Ingigantiscono le cose per farti dare il massimo, va bene, ma non si rendono conto che alle volte esagerano. Non c’è bisogno di sminuirci quando falliamo, non ce n’è proprio il bisogno, Cristo. Esattamente cosí come nessuno vi obbliga ad assumere quell’aria tanto grave di fronte ad un voto negativo o robe del genere. Cristossanto, non siamo mica criminali, non abbiamo mica ucciso qualcuno. E voi non siete stupidi dèi scesi in Terra, quindi fatevene una ragione, prendete le badilate di merda che avete preparato per la prima puttanata che uscirà dalla bocca di uno di noi e affogateci pure dentro. Ciò che volevo dire, comunque, è che sono sempre tutti a lamentarsi dei loro fastidi quotidiani, ma se lo faccio io sono un povero ingenuo che non sa quel che lo aspetta. Diciotto anni possono essere pochi, ma aver già insegnato come non ci sia mai una fine al peggio.
E cosí mi chiedo cosa ci può essere di peggio che vivere in un mondo che non sembra esser stato fatto per noi. Ovunque vada, chiunque incontri... C’è sempre qualcosa che non va, e suppongo di essere io, allora. Ne sono quasi convinto, oramai. Che poi, se incontrassi qualcun’altro fatto a modo mio, non sono sicuro che sarei soddisfatto, comunque. Forse è solo la natura umana che fa capolino da strati e strati di pensieri sotto cui cerco di seppellirla e farla tacere, tanto la trovo stupida ed insopportabile. Ma sí che peggio di sentirsi alieno, c’è il non sentir la poesia in ciò che si sta componendo, come accade in questo preciso istante. Non è come al solito, vi dico, non mi sento coinvolto, ma solo un involucro di pelle che digita senza prestare attenzione. Cosa ho appena detto? Dove sto cercando di arrivare?
Eppure continuo, perché... Perché continuo? Non ho davvero niente di meglio da fare?
Sto cercando di distrarmi perché c’è un vuoto, nel mio petto, che va allargandosi con il procedere della stagione autunnale. E mi divora, mi logora nel profondo ed è sempre la stessa storia ogni anno, ogni anno nulla di nuovo.
Rassegnazione, invece, è il nome della nuova sfumatura. Ecco perché continuo a scrivere pur non avendo nulla da dire, pur non sentendo l’arte far frizzare ogni elettrone del mio corpo, pur sentendo un rigurgito spingere dallo stomaco e la rabbia ribollire nelle vene. Se c’è una tragedia piú grande, per uno scrittore, del non aver le parole per descrivere, forse quella è la consapevolezza di non star scrivendo col cuore. Né con la mente. Non ho piú nemmeno la certezza di essere proprio io, a star scrivendo.
Non so dove sono, ora, piú o meno praticamente parlando. Dove sono i miei pensieri, dov’è il mio estro creativo. Sento freddo alle dita e credo d’aver il naso arrossato. Sono proprio un pagliaccio e non faccio ridere piú nemmeno me stesso.
Mi sento cosí poco coinvolto che vi farò una confessione, or’ ora. Cosí vuoto che non ho piú nemmeno la dignità ad impedirmi di farvela. Quasi piango. Di quei pianti improvvisi, senza motivi consci. Se mi sforzo a trovare una definizione, la definizione, per quelli, allora forse frustrazione può andar bene. Ma piú di tutto mi sembra di star sfociando nel mare della disperazione, come un fiume giunto al fine del suo corso.
Disperazione per cosa? Cosa vuol dire, poi, “disperarsi”? Ve lo siete mai chiesto? Ciò che penso io, è che il termine implichi una negazione della speranza. Dunque devo ritenere che sia questo, il mio motivo?
Non ho speranza. In cosa, poi, dovrei avercela?
Che è tutto relativo, che è tutto vano. Vuoto.
Sto cadendo, ma non me ne accorgo. Perché mi sento sospeso, nel nulla, in perfetto equilibrio sul baratro, galleggio come una piuma caduta da uno strapiombo, un peso cosí insignificante che la gravità può tanto poco da sembrare nulla.







*c'è un riferimento ai nomi dei personaggi; Charles (Chuck), 'uomo libero' e Frank, 'uomo onesto'.

NOTE:
non che ce ne siano molte da fare, ad esser sinceri. mi rendo conto che non sia una cosa pienamente sensata ed è una cosa voluta solo in parte; il fatto è che in realtà questo è solo un estratto di una serie di... sproloqui del genere, ecco (come suggerisce quel 'V' vicino al titolo). forse vi sarebbe tutto un po' più chiaro, se aveste già letto qualcos'altro. non lo so.  a dire il vero non ho pubblicato altro su chuck perché ci sto ancora lavorando, su questa suddetta serie di sproloqui, né mi sentivo veramente pronta a prensentarvela (sì, so che alcune di voi hanno già letto qualcosa ma quel brano lo sento in maniera diversa, forse perché è il primo in assoluto e ci ho lavorato per mesi e mesi prima di offrirvelo in lettura, non saprei). però... buh, mi sembrava il momento di fare un (ulteriore) esperimento e vedere che succedeva. le vostre reazioni, ecco. per cui vi sarei infinitamente grata se mi faceste sapere cosa ne pensate, che genere di riflessioni vi ha fatto scaturire nella mente (se ce ne sono state, ovviamente), le sensazioni provate e le conclusioni tirate. cose così, insomma.
ma in ogni caso, vi sono grata anche solo se siete arrivate fino a qui. o arrivati, perché no.
detto questo, non è escluso che me ne torni su questi lidi con qualcos'altro su chuck o... chi lo sa.
so stay tuned!

de.

ps: il titolo è tratto da una canzone dei sum 41 (vi prego di non chiedermi quale perché io e la mia memoria non andiamo d'accordo)
  
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