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Autore: quirke    11/05/2014    3 recensioni
Zayn le mancava lo stesso seppur non si fosse mai soffermata ad osservarlo più del dovuto, a soppesare quanto umide diventavano le sue mani e calcolati i suoi gesti, di come lo cercasse in Louis e in tutti gli altri.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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la poesie est dans la rue

 
La poesie est dans la rue
 

"I don't know.
But it doesn't matter anymore."
 
 

I- To be or not to be

L’alibi era una piccola e modesta discoteca in centro. Dall’esterno sembrava ricca di attenzione nei dettagli, costosa a causa dell’insegna enorme a caratteri eleganti e oro. Ma non si avvicinava nemmeno un po’ all’apparenza.
L’entrata era quasi gratuita per quanto il prezzo fosse stracciato, i tavolini all’esterno traballavano continuamente ad ogni sbuffo, gli unici alberi rimasti erano spogli e inclinati verso il suolo. I sentieri in cemento erano consumati e ospitavano qualsiasi tipo di erbaccia e rifiuto.
All’interno i divani erano scomodi e rumorosi, la musica pompata aveva una pessima qualità e il pavimento era sudicio, disgustoso. Mai Svea, comunque, avrebbe osato dare un’occhiata, anche veloce, ai bagni.
Solo i giochi di luce sembravano interessanti, insieme all’organizzazione soddisfacente.
Il divano in pelle rossa strideva ogni qualvolta Svea sentiva il bisogno di accomodarsi ulteriormente sulle sue ginocchia spigolose. E solo perché non era vivace, preferiva lasciare tutte le sue conoscienze dentro ad ammuffire, non condividendole. Tutti si erano presi l’abitudine di vederla spenta, di non intavolare una conversazione con lei solo perché credevano che annaffiare piante appassite fosse troppo faticoso.
Svea stava iniziando sul serio a sentire il bisogno di ritornarsene a casa; il suo ragazzo sembrava essersi dimenticato probabilmente di lei, parlava con i suoi amici conficcando a suo piacere le unghia sporche sui suoi fianchi raggrinziti dall’umidità e dal caldo infernale in quei pochi metri quadri. I pochi argomenti arricchiti dal tocco maschile, volgare e banale, vorticavano nelle pareti della sua mente urtandole. La infastidivano ed erano diventate una delle cause maggiori della sua emicrania.
I capelli umidi le si erano addossati sul volto scarno e stanco, i pesanti orecchini andavano ingrassando e le gambe addormentandosi.
Svea leccò quel che rimaneva del rossetto scuro sulle sue labbra carnose e si abbandonò un po’ indietro per riposarsi. Sentì una fitta colpirle lo stomaco a quel movimento inaspettato che Louis, prontamente, scansò con un gesto secco e goffo, per niente elegante. Posò un palmo della mano sudaticcia sulla sua colonna vertebrale issandola e negandole il meritato riposo sul suo petto gonfio, vibrante date le numerose grasse risate.
Un sospiro caldo e amaro, appesantito dall’alcool, le sfiorò il collo. Il tremolio quotidiano le pizzicò l’epidermide, arricciandola e indebolendola. La pelle di Svea emetteva uno scarso odore di bagnoschiuma al cocco, ogni muscolo era teso per la frustrazione e per la solitudine che la divoravano.
Il calore della pelle di Louis le arrivava a malapena, a fatica la teneva stretta a lui impedendole di sfuggirgli dalle mani.
“Vado”
“Okay” Borbottò distrattamente il ragazzo, congedandosi con un lieve cenno della mano.
“Okay”
Issandosi con i fragili polsi, Svea si sollevò immediatamente ignorando la poca, e scarsa, considerazione di Louis su chi avesse invitato quella sera: lei, non i suoi amici.
Le luci del locale “Alibi” erano vigorose e argentate. Piroettavano, saettavano, si lanciavano su ogni corpo nella pista da ballo bruciandogli l’epidermide per poi saltare su un’altra anima.
Stringendosi il più possibile, cercava di scivolare tra i corpi accaldati. Attaccati gli uni agli altri, rendevano il passaggio una vera sfida, tanto che dopo un secondo si era permessa di spingere e servirsi dei gomiti.
“Una coca-cola”
“Eh?” scettico, il barista si era portato in avanti, sicuro di non aver colto appieno il messaggio. Anche un po’ sarcastico, forse.
Il bancone lucido rifletteva le loro figure scarseggiando sui contorni e sui dettagli delle loro ombre. Numerosi bicchieri erano abbandonati sul ripiano, ammassati uno sopra l’altro. Avevano sporcato la superficie di piccole macchioline liquide.
“Una lattina di coca-cola, grazie” gli mormorò all’orecchio, risoluta.
Lui, comprendendo la tensione che ora alleggiava tra di loro, si distaccò dolcemente sorridendole. Si allontanò, dirigendosi verso un minifrigo, afferrò l’ordine e glielo porse.
Si girò di scatto e all’indietro,Svea, pronta a raggelare chiunque l’avesse urtata, servendosi di uno dei suoi soliti sguardi torvi.
“Ah, sei tu” sussurrò, degnando il ragazzo di una scrollata di spalle.
“Già, sono io”
“Mh”
Cercava compagnia, era vero, ma non aveva l’intenzione di spendere un minuto in più con un amico di Louis.
“Sei andata via” Zayn le si avvicinò lentamente, contagiandola di tranquillità tra tutto quel trambusto. “Heineken” ordinò.
Spinto da una terza persona, Zayn incastrò il suo fianco magro contro quello di Svea.
“Scusa”
Non c’è problema. Svea non si spostò di un millimetro.

“Scusa”
“Scusa”
“Scusami”
Mentre camminava all’indietro scherzando con i suoi compagni e le era andato contro per sbaglio, quando quel martedì era di fretta e l’ aveva scontrata contro la sua spalla pungente e quando, non riconoscendola, aveva chiesto di fargli ricopiare il compito di letteratura, Zayn si era sempre discolpato con un lieve accenno di sorriso.
“Non fa niente”
“Tranquillo”
“No”

II-You met me in a very stringe time

“Innanzitutto potremmo suddividerci gli argomenti” propose Louis.
“Sì, ottimo”
“Okay”
Louis si era accomodato sulla sedia girevole in pelle nera. Dandosi delle leggere spinte con le sue Jordan rosse, roteava su se stesso, sospirando e rollandosi un’invitante canna.
Odorava di sporco, terriccio e sudore. I capelli lunghi erano stretti in un codino microscopico e spettinato dietro la nuca. La leggera ed ispida barba gli contornava le labbra screpolate e fini, una piccola catenina spiccava sotto la sua felpa umida, blu e chiusa.
Aveva proposto di iniziare subito per terminare al più presto la famosa inutile perdita di tempo, conosciuta come una ricerca di gruppo da fare. Zayn lo appoggiò totalmente.
A differenza sua, il suo caro amico, risplendeva di pulito e fresco, di giovinezza studiata nei minimi dettagli.
Le sue guance profumavano di menta, i pochi monosillabi soffiati dalla sua bocca invitante rimandavano a numerose sigarette al mentolo. Indossava un paio di jeans neri e stretti, le gambe magroline reggevano a fatica il busto così tanto robusto e possente. Strusciava le vecchie Timberland contro il pavimento, in pensiero.
“Okay” Aveva sospirato insicuro, Zayn.
Con la schiena poggiata contro un’anta del piccolo armadio di Louis, fissava il vuoto, immergendosi dentro la sua mente ed allontanandosi dal mondo reale.
Nel frattempo, il letto scricchiolava ogni volta che Svea tendeva un muscolo, inconsciamente.
La figura di Zayn era apparsa, ad un tratto, molto più interessante ed altrettanto attraente rispetto a quella del suo ragazzo.
Svea immerse disorientata le sue dita dentro la chioma crespa, pentendosi subito dopo di quel pensiero così inappropriato.
Si piegò su se stessa crogiolandosi nel silenzio pacato che le accarezzava i timpani in quel momento. Inserì i gomiti aguzzi sulle coscia arrossate, si portò ancora più avanti e prese a dondolare tetramente.
D’un tratto, delle mani umide ed appiccicose le si incollarono sulla schiena, penetrando oltre la pelle, le rubarono un soffio leggero, un roco sussurro. Di beatitudine, o fastidio?
Con una spinta leggera, Louis era apparso al suo fianco buttandosi supino sul materasso. I suoi gesti frenetici la risvegliarono. Volevano essere dolci ma, non essendo abituati ad accarezzare nei modi più giusti, sembravano volessero graffiarla, trafiggerla con ciò che in quel momento sentiva.
Il pomeriggio soleggiato rischiarava la stanza spoglia, esclusa per il vecchio poster appiccicato sulla porzione di muro sopra il letto di Louis e una mensola che ospitava la collezione completa della seria de “La famiglia Adams”. Due quarti della mensola erano occupati da un televisore piccolino, e soprattutto più vecchio del ragazzo.
Il tetto spiovente dell’edificio accanto, un ristorante thailandese, pullulava di brina. S’innalzava dal terreno come un fastidioso ostacolo, un muro che privava Louis di perdersi oltre l’orizzonte, di disegnare con gli occhi costantemente assonnati le punte tonde e verdeggianti delle colline, di tracciare a man propria la linea che separava il mondo terreno dal cielo.
La finestra era semichiusa, ospitava una leggera brezza che costringeva le ossa dei presenti a riaggomitolarsi, stringersi e frantumarsi come il fogliame giallognolo sul suolo, dimenticato ed abbandonato al proprio destino là fuori, sgretolato da suole frettolose e consunte.
Louis prese a mangiucchiare il tappo di una biro, ecco che si sollevò dal letto faticosamente e si diresse verso la scrivania, dove vi poggiò il bacino morbido.
“Prendo qualcosa da bere”
Sparí poco dopo dalla stanza, costringendo Svea a spostare una sua mano sul collo, ricoperto da un manto di piccoli e chiari nei. Si trovava a disagio, di cosa avrebbe dovuto parlare con il migliore amico del suo ragazzo?
“Louis ha messo in giro una voce …” borbottò ancorando lo sguardo al tappeto.
Si rese conto di aver catturato l’attenzione di Zayn quando quest’ultimo si distaccò un poco dalla superficie dell’armadio, posando poi gli occhi scuri sulle dita di Svea, strette intorno al collo.
“Non preoccuparti, nessuno ci presta attenzione a quello che blatera”
“No, mi preoccupo invece” Sempre pronta, Svea, “Non è assolutamente vero. Non sopporto che parli tanto di cose che non esistono nemmeno”
“E’ normale ...”
“N-Non lo è” Balbettò irritata.
Era il suo ragazzo e poteva sottolineare cosa non andava in lui ma Zayn … Lui era tranquillo e non aveva osato appoggiarla. Aveva deciso di non prendere le difese di nessuno, anzi, stava perfino giustificando il comportamento sbagliato di Louis.
“Comunque,” Svea deviò subito il discorso, “Che ne dici di questa grafica, per il compito?”
Zayn si avvicinò, barcollando un po’ la raggiunse con tre falcate. Le si sedette non abbastanza vicino da sfiorare quei pensieri.
La luce rifletteva trame astratte sul suo viso, dovute dai ricami della tenda bianca.
Spaventata, Svea, spostò le mani per torturare ora il lobo del suo orecchio. Mentre gli passava il portatile, titubante e all’imbarazzante ricerca di un leggero tocco con la sua pelle, ansiosa di come fosse, sospirò abbattuta.
“Mh …” soffiò lui, osservando ed analizzando il lavoro.
Svea non aveva cominciato a stringersi le dita intorno all’orecchio preoccupata dal fatto che il disegno propostogli si rivelasse insoddisfacente. Non le importava minimamente.
Lanciava occhiate impertinenti al suo profilo, al pomo d’Adamo che scivolava con grazia lungo il suo collo morbido, caldo ed invitante. Le labbra schiuse e bagnate lasciavano sfuggire respiri regolari che bruciavano dentro la ragazza. Il suo viso scarno e liscio, vellutato, i zigomi marcati, i capelli profumati la mettevano ad una dura, anzi impossibile, prova.
Osò. Zayn sussultò.
Svea cominciò a masticare la sua cingomma freneticamente, tanto da infastidire chiunque.
Attratta, non aveva pensato due volte a fermare la sua mano lussuriosa che si era concessa, senza nessun apparente problema, di strofinare, con le sue colme dita tremolanti, la sua guancia, che se prima era rilassata, si era serrata in una frazione di secondo, rigida.
Era bollente, quel frammento della sua pelle era caldissimo.
Al contrario di quando era con Louis, si muoveva senza alcuna esperienza, cogliendo ogni nuovo angolo con pazienza, urtando i spigolosi peli della sua fresca barba senza lamentarsi e non preoccupandosi affatto di potersi ferire.
Quando sentì il corpo del ragazzo trasalire, pervasa da un tremolio fastidioso, si allontanò da quel tocco famelico, si staccò da quella beatitudine passeggera.
La sua pelle sembrava fremere. Alla ricerca di almeno un secondo contatto con il ragazzo affiancatole, Svea aveva schiuso le labbra e dimenticato come respirare.
Zayn si girò lentamente verso di lei.
La camera emanava uno scarso barlume di lucidità e perspicacia, leggeri frammenti irregolari di luce provenivano dall’esterno dipingendo maestosamente il suo viso con i più bei colori, i più graziosi tratti delineavano espertamente le sue espressioni.
Zayn, incosciente ed ignaro delle sue azioni, le sorrise dolcemente, come si è soliti fare con i bambini capricciosi, lasciandosi sfuggire una nitida luce dagli occhi densi.
“E’ uno dei miei più cari amici” Bisbigliò, “Non sarebbe giusto nei suoi confronti”
“Sì” Farfugliò immediatamente Svea.
Zayn si protese di dietro scontrandosi contro la parete che ospitava la finestra e la serrò definitivamente.
La confondeva.
Prima le chiedeva di smettere tutto e poi spingeva il materasso creando valli su cui Svea rotolava sfinita, sempre più giù fino a cedere ed arrendersi, buttarsi poi nel suo fiume arrugginito, ma sempre invitante ai suoi occhi.
“Okay” Aggiunse a voce fioca, un po’ distrattamente.
Prese a mordersi le labbra, indecisa se aggiungere qualcos’altro o lasciare tutto com’era, dare un punto definitivo a quella situazione o marcarla.
Prima di abbandonare una volta per tutte quell’accumulo di errori, allungò una mano ed iniziò ad accarezzargli goffamente un ginocchio.
“Deve finire come é iniziata allora” Disse, e non trovò nemmeno lei del logico tra quelle parole.
“Non è mai iniziata”

III- I miss you

Nei giorni più gelidi, Louis aveva proposto a Svea di accompagnarlo per un tatuaggio. Si era perfino scusato di aver messo in giro quelle voci, rimodellato gran parte dell’accaduto che si limitava ad un bacio, e quando Svea aveva provato a lamentarsi, il suo solito sarcasmo pungente era ritornato a galla, ammutolendola.
Le radiazioni negative che Louis emanava erano in netto contrasto con l’apparente tranquillità che lei fingeva sua in quel periodo.
Da quel pomeriggio aveva intensificato ogni approccio con il ragazzo ed ignorato chiunque la circondasse.
C’erano volte in cui si sorbiva pazientemente i capricci di Louis senza pronunciare parola, ed altre dove non lo sopportava, gli gridava contro parole poco carine confondendolo ed allontanandolo, ma mai abbastanza.
Quel sabato mattina, la maggior parte dei giovani si era recata nella palestra della città, dove vi era organizzata una partita di pallavolo.
Svea, giocatrice, non aveva chiuso occhio per tutta la notte, non tanto preoccupata per quello stupido incontro ma piuttosto per altro, di preciso non lo sapeva neanche lei. Ma era in forma, o meglio, a forza di credere di esserlo ormai il suo cervello si era adattato a quell’idea, a quella circostanza.
La pioggia scrosciava pesantemente contro il tetto, armonizzando i chiacchiericci che provenivano dagli spalti. La palestra echeggiava qualsiasi sussurro, borbottio o palleggio, intensificando i rumori ed attutendo l’aggroviglio astratto dentro il torace di Svea.
Il pavimento liscio che serviva ad attenuare le cadute, risplendeva di un verde impolverato, la lieve luce naturale che proveniva da fuori rischiarava le minuscole particelle di polvere che si sollevavano dal suolo, come i corpi delle giocatrici che si alzavano per i diversi attacchi proposti loro.
Le gambe affusolate e nude di Svea erano pallide, un pantaloncino nero le fasciava i glutei. In una coscia, era stampato in bianco il numero due. Una canotta dello stesso colore del numero le copriva il busto magro. I capelli unti erano stretti in una coda studiata.
Le sue compagne di squadra si erano rintanate in un angolo a conversare allegramente, prima di finire il riscaldamento.
L’atmosfera che alleggiava dentro l’edificio era calda ed invitante. Verso le ultime file, Svea, riusciva ad intravedere Louis e diversi suoi amici divertirsi e discutere animatamente.
Il suo ragazzo non si era presentato nelle condizioni migliori.
Lo conosceva abbastanza bene da dire che si era alzato tardi per dirigersi poi subito da lei. Il tempo di mettersi un pantalone sporco ed afferrare una felpa a casaccio dall’accumulo sopra la sedia, che già era uscito.
Louis l’attraeva per il suo fare misterioso e soprattutto strano, non si preoccupava dell’idea che gli altri potessero farsi su di lui. Frequentava chiunque gli sembrasse interessante e si attorniava spesso di cattive cerchie. Ma la sua ipocrisia e l’originale modo di buttare merda su tutti rovinandoli l’esistenza, lo rendevano inaffondabile. Era bello, si era ritrovata a pensare.
Si avvicinò alle ragazze ignorando chi fosse accanto al suo ragazzo.
“Se il tipo per cui hai una cotta, -e lui lo sa!- ti viene a vedere durante una partita in cui giochi …”
“Gli piaci”
“Phoebe, tre quarti del tempo stai in panchina!”
Svea schiuse le labbra osservando Laura e Phoebe discutere tranquillamente, mentre le altre ridacchiavano divertite dalla battutina. Phoebe sorrise a trentadue denti felice ed euforica.
Svea sentì la testa vorticarle e gli occhi cercare un aggancio dall’altra parte della sala.
“Louis è venuto solo perché non aveva niente da fare” Sussurrò, sorprendendo perfino se stessa.
Le giocatrici si voltarono verso di lei.
“Ma non tutti sono Louis” Osò Phoebe, titubante. Ansiosa, prese a mangiucchiarsi le unghia.
“Sì, giusto” La appoggiarono le altre.
Svea lanciò un’occhiata verso Louis, l’aveva scelto propriot sbagliato.
Un secondo e si ritrovò a cercarlo.
Le guance pulite e lisce erano tese, gli occhi erano stretti in due fessure di buon umore e i capelli pettinati.
Una felpa aperta lasciava intravedere la camicia a quadri. Lei, aveva una cotta per lui?
“Già, me lo dimentico sempre” Ammise distrattamente. Ritornò, a fatica, a fissare solo Louis. Rideva di gusto, era carino ed era il suo ragazzo ma …
Dopo il riscaldamento, Svea si distaccò dal gruppo per dirigersi verso Louis e salutarlo. Quest’ultimo le porse alla cieca la bottiglietta d’acqua, non degnandola di uno sguardo dato che doveva finire una frase iniziata.
“… La pallavolo è da considerare sacra solo per la tenuta da sport delle giocatrici” Sbottò divertito.
Qualche amico rise di gusto, annuendo con il capo mentre Svea giocherellava con la bottiglietta.
“Ciao”
“Ehi” La salutò calorosamente.
Allungò una mano attorniandole la parte posteriore delle cosce ed avvicinandola a lui dolcemente. Il suo pollice ruvido le accarezzava la pelle ad un ritmo lento e frustrante, mentre le posava un leggero e veloce bacio su un fianco coperto.
“Distruggili” La incoraggiò aggrottando le sopracciglia. Assunse un’espressione furiosa ed a stento, Svea, riuscì a trattenere un sorriso.
“Certo”
Zayn. Zayn non l’aveva guardata, né adocchiata casualmente, niente.
Aprì la bottiglia sfogandosi e buttando in quel gesto tutta quella rabbia irriconoscibile, insensata. Assetata, ingurgitò un bel sorso.
“Che schifo!” sbuffò allontanando subito la bevanda. Il suo viso si contorse in una smorfia di disgusto. “Cos’è?”
Louis sorrise sotto ai baffi, si grattò la barba ispida e poi la nuca. La strinse a sé, aggravando la presa e continuò a rimanere silenzioso.
“L’ha corretta” Proferì una voce maschile, dal suono divertito.”Ed immagino sia vodka” Allungò una mano verso di lei per richiederle la bottiglia ed accertarsi che fosse realmente quello che pensava.
Svea quasi non picchiò Louis con quell’oggetto. Respirò a fondo e la lanciò al ragazzo.
Che non era Zayn, comunque.
Arrendendosi al suo orgoglio, si permise di cercarlo tra quell’ammasso di pelle e ossa. Trovandolo poco dopo, due sedie più in là, sbuffò pesantemente. Zayn discuteva con qualcuno affiancatogli, e non l’aveva notata.
Sentì le spalle appesantirsi ed una gran voglia di staccarsi dal contatto di Louis, di separarsi da quell’atroce indifferenza. E lo fece senza pensarci due volte.
“Stracciali!”
Prese a correre sempre più velocemente giù la scalinata, saltò diversi gradini e, quando si accorse di essere finalmente lontana, si accorse di quanto gli occhi le stessero bruciando, di quanto appannata fosse la vista. Deglutì reprimendo tutto quel groviglio malsano di emozioni sbagliate.
“Hai giocato malissimo, Svea. Ma che ti prende?”
“Scusa”

IV-I’m not anything that you think I am

Phoebe si riferiva a Zayn e Zayn, presentandosi quel sabato alla partita, non si riferiva a nessuno in particolare, ed era un dato di fatto.
Le lenzuola erano dimenticate sotto ai piedi gelidi di Svea, nonostante i calzini di lana chiara.
La finestra era schiusa e cosparsa di goccioline trasparenti. Le tapparelle erano abbassate e la camera buia era illuminata da filtri sottili di luce diurna.
Louis non sapeva osservare, o magari preferiva non soppesare inutilmente i problemi altrui. E inoltre non sembrava interessarsi agli altri, voleva solo la loro attenzione incentrata su di lui, solo lui.
Svea era sdraiata in camera, fissava il vuoto che intercorreva tra lei e il soffitto. Le mani erano ferme e stese lungo i fianchi , i pantaloni del pigiama bianco le avvolgevano a fatica la vita. Il corpo inerme era rimasto immobile da prima che il sole fosse spuntato. Le sette e mezza risplendevano nell’orologio digitale spinto a terra quando aveva preso a suonare.
Svea poteva apparire ordinata, ma non ci si avvicinava minimamente. Il letto l’aveva lasciato perennemente disfatto quel fine settimana. Negli altri giorni sua madre si era permessa di entrare in camera sua e, approfittando dell’assenza della figlia, aveva riordinato un po’ quel soqquadro, lamentandosi puntualmente durante i pasti condivisi in famiglia.
Svea si era allontanata, distaccata da chiunque non fosse Louis. Si era spenta sotto la luce diurna non destando sospetto, distaccandosi dall’Universo tanto silenziosamente che nemmeno lei si era accorta di essere rimasta sola.
Svea necessitava qualcosa o qualcuno che la facesse sentire bene.
Il suo viso era sciupato dalla gran quantità di pensieri che le vorticavano costantemente in testa, la camera odorava ormai di chiuso ed uno strano tanfo le storceva le budella.
Sarebbe stata così bene se le mani di Zayn le fossero attorniate dietro il collo. E tutta la sua pelle contro la sua, e l’odore del suo respiro contro le sue labbra, ed il sapore di sentirlo sotto le sue stesse coperte. La sua voce che rovistata tra ogni vena del suo corpo.
Louis. Louis.
Tutte quelle promesse insensate che lei aveva disegnato per poi scorgere sui suoi occhi scuri iniziavano a barcollare insieme a quello che si era ripetuta di mantenere più volte. Non doveva più preoccuparsi di niente, o perlomeno si sarebbe impegnata a farlo.
Sempre, sempre aveva trasgredito alle sue stesse regole e sempre avrebbe continuato a farlo, comunque.
Svea respirava e non era abbastanza, niente lo era mai stato da quando quel fottuto tutto non era nemmeno iniziato, come le aveva detto Zayn.
Louis non le lasciava godere il viaggio e sfiorava le cose a metà, le aveva insegnato a non apprezzare nulla perché una volta scomparso sarebbe rimasto il vuoto, solo quello, magari anche la consapevolezza che qualcosa mancava.
Zayn le mancava lo stesso seppur non si fosse mai soffermata ad osservarlo più del dovuto, a soppesare quanto umide diventavano le sue mani e calcolati i suoi gesti, di come lo cercasse in Louis e in tutti gli altri.
Alle tre del mattino, con Louis, non poteva parlare perché era o troppo stanco o troppo ubriaco, o troppo concentrato a toccarla e svuotarla soprattutto.
Sentiva che con Zayn, alle tre del mattino, poteva sedersi sull’isola in cucina in intimo tranquillamente, e parlare dell’Universo e dei sogni nelle tasche che rotolavano a stento fuori dalla sua lingua.
Inoltre, la lingua di Zayn si sarebbe anche soffermata ad incorniciarle le labbra, e le sue mani calde -ruvide o morbide non lo sapeva- intorno alla vita, o sul volto.
Zayn mancava alle sue quotidiani azioni seppur non si fosse mai presentato e non le avesse mai insegnato a respirare senza far rumore, o meglio, l’idea che si era fatta di lui combaciava perfettamente con i suoi bisogni e soprattutto con le sue paure. Zayn era riuscito a farla sentire a disagio con il suo stesso corpo e le sue stesse riflessioni.
Si sentiva completamente vuota, come se tutti gli organi e le ossa si fossero dissolti nell’aria, e il sangue si fosse prosciugato dalle vene. Era così esausta, sentire tutto e niente contemporaneamente.
Zayn le mancava e non l’avrebbe mai più potuto sfiorare, ma comunque le mancava perché era così giusto anche se completamente ubriaco, o se le diceva di aspettare indirettamente un’altra vita per riuscire a contornargli non solo le sue ombre sull’asfalto grigio, ma rimodellare il suo corpo, dipingerlo del suo sudore perlato. Zayn.

A: Non lo so
Vorresti stare con me, o no?
A: Non lo so
Mi ami almeno?

Da: Non lo so
No.

Okay, Zayn.


 

 

 

 

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