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Autore: MiaBlack    11/05/2014    8 recensioni
che ci fanno due bambini alla queen consolidated?
"-Non sei grande per aver paura del buio? – chiese lui. La piccola si fermò: la bocca mezza aperta e gli occhi spalancati per la sorpresa, non credeva a quello che aveva sentito.
-Sei un cafone! – "
Ciao! ormai lo sapete che sono negata per le introduzioni. leggete e se avete voglia commentate!
BUON COMPLEANNO NINNI182
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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ALLORA prima di iniziare dico due parole:

Questa storia è una storia SEMPLICE nata per farvi sorridere, non è impegnativa e non è assolutamente paragonabile a l’altra quindi non aspettatevi una storia come quella precedente che se no rimarrete delusi.

Detto questo senza esitazione dico:

 

BUON BUON BUON COMPLEANNO NINNI182!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

 

Baby Olicity

 

Seduto sul seggiolino posteriore di una macchina un bambino di circa dieci anni, guarda annoiato fuori dal finestrino. Quello doveva essere il giorno più divertente della sua vita e invece si era rivelato l’ennesimo giorno noioso.

Il piccolo sbuffò passandosi una mano sui corti capelli a spazzola, la sua attenzione passò dal finestrino, dal quale non aveva staccato lo sguardo da quando suo padre era uscito: assicurandogli che ci avrebbe messo solo pochi minuti per poi tornare da lui, al suo orologio. Era già passata mezz’ora e loro stavano facendo tardi. Guardò l’autista intento a leggere il giornale, non lo stava minimamente considerando, non che la cosa gli interessasse particolarmente.

-Vado un attimo in bagno! – esclamò il bambino scendendo dall’auto e correndo dentro l’edificio dove poco prima era entrato anche il padre.

L’ingresso di quel grattacielo era austero e sobrio, la presenza di un bambino stonava in quel contesto, ma nessuno sembrava fare caso a lui, che rapido aveva attraversato l’ingresso e puntava dritto fino all’ascensore. Con un salto premette il pulsante dell’attico: quella era la sua destinazione. Niente gli avrebbe fatto abbandonare il suo intento: sarebbe arrivato, entrato nell’ufficio del capo di quell’azienda e l’avrebbe trascinato fuori infischiandosene se fosse in riunione, dovevano andare alla partita di baseball.

Era a metà del suo tragitto quando le porte dell’ascensore si aprirono per far uscire alcune persone. Qualcosa attirò la sua attenzione. Le sue gambe si mossero prima che il suo cervello comprendesse cosa stesse facendo, scese dall’ascensore e si guardò attorno, aveva visto qualcosa di dorato muoversi e scomparire dietro una scrivania. Si guardò attorno, era sceso al piano informatico, non c’era mai stato li, solitamente quando entrava nell’edificio saliva su fino all’ufficio di suo padre e li rimaneva, al massimo scendeva di un piano, dove c’era una donna simpatica che gli regalava sempre del cioccolato, iniziò a muoversi tra i tavoli, quel posto era buio, la luce soffusa che proveniva dalle lampade emanava una luce di color blu che illuminava appena le varie stanze. Con quel buio inciampò in uno dei cavi e si trovava a terra.

-Accidenti a questa luce! – sibilò infastidito.

-Questa luce è perfetta per stare al computer, evita che si stanchi troppo la vista. – si voltò sentendo una voce dietro di lui, a parlare era stata una bambina di qualche anno più piccola di lui, che lo guardava attentamente. Si alzò velocemente e la squadrò per bene: partì dai piedi dove indossava un paio di scarpe nere lucide, aveva le calze bianche e portava un vestito rosso e nero che gli ricordava le gonne delle sue compagne a scuola. Infine si fermò sul viso, le labbra piegate in un sorriso, gli occhi li aveva di un azzurro intenso, erano grandi anche se nascosti dietro un paio di occhiali da vista, i capelli biondi erano legati in una coda alta che si muoveva insieme a lei: ecco cosa aveva attirato la sua attenzione, i capelli di quella bambina.

-E tu che ne sai? – chiese risentito dal comportamento della bambina, era sbucata fuori dal nulla e lo stava guardando dall’alto in basso e questo non gli piaceva per niente.

-Mi piacciono i computer, li trovo più interessanti delle persone. – rispose chinandosi verso di lui. Si era inginocchiata al suo fianco e aveva inclinato la testa di lato studiando lo strano bambino che era improvvisamente comparso.

-I computer? – chiese lui alzandosi da terra cercando di ignorare lo sguardo che lo stava scrutando.

-Si, le persone hanno segreti, i computer no. – rispose cristallina lei con un sorriso, stava per aggiungere qualcosa ma le luci giù basse si spensero del tutto facendo così calare il buio attorno a loro.

-Oddio… Che succede? – chiese nel panico la bambina, si guardava attorno cercando di vedere o almeno di intravedere qualcosa, ma il buio era così fitto che non le permetteva di vedere nemmeno i suoi piedi.

-E’ saltata la luce… - sbottò scocciato il bambino. La bimba si voltò verso la direzione da cui proveniva la voce, era convinta che fosse accanto a lei eppure la voce arrivava da lontano, fece un paio di passi e lo intravide vicino alla finestra, da quella posizione i due avevano la visuale su buona parte della città e si resero conto che non solo la loro stanza era al buio, ma la maggior parte dei palazzi e delle strade attorno all’edificio erano rimasti senza corrente.

Con un atto di coraggio la bionda afferrò la manica del bambino così che non potesse allontanarsi di nuovo lasciandola li da sola.

-Ehy, che fai? – chiese voltandosi e guardando la piccola mano stringere convulsamente la sua manica.

-Ho il terrore del buio, ti prego, non lasciarmi sola! – il bambino la guardo con uno sguardo di superiorità, felice che quella mocciosa avesse un punto debole.

-Forza andiamo via da qui. – con attenzione iniziò a farle strada attraverso la stanza, non conosceva bene quel piano e doveva stare attendo a non andare a sbattere contro le cose, ma tutto il palazzo era fatto bene o male allo stesso modo. Nel corridoio dovevano esserci delle maledette luci di emergenza, ma per via della particolarità di quel piano non c’erano luci bianche ad indicare loro la strada verso l’uscita.

-Perché i computer vanno ancora? – chiese ad un certo punto il bambino. La bimba allungo il collo per guardare nella direzione del nuovo amico e notò con sua sorpresa che lo schermo di un computer emanava luce.

-Sicuramente saranno alimentati con un generatore di emergenza, per essere sicuri di non perdere i dati in caso la luce vada via. – ipotizzò lei, anche se piccola quella bambina sembrava sapere esattamente cosa dicesse e sembrava saperne molto di computer.

-Per ora non possiamo fare molto, non credo che tu voglia farti diciotto piani a piedi? –

-Perché diciotto? – chiese ingenuamente. Lui la guardò sorpreso, tra quel piano e l’ufficio di suo padre c’erano diciotto piani e lui era li che doveva andare, ma ora che ci pensava, non aveva idea di chi fosse quella bambina e cosa ci facesse li, forse era la figlia di un impiegato che era stato chiamato per un urgenza e se l’era portata dietro.

-E’ dove si trova l’ufficio di mio padre. – rispose lui.

-Ah, beato te che sai dove trovarlo. – commentò lei triste.

-Come hai fatto ad arrivare qui? – chiese il bambino sospettoso.

-Ero con mia mamma, ma mi sono allontanata e ora non so dove sia.- borbottò lei abbassando lo sguardo senza però lasciare la manica della maglia, la consapevolezza di essersi persa in un posto così grande e di essere al buio le fece venire le lacrime agli occhi.

-Forza seguimi. –

I due bambini uscirono dalla stanza dei computer, il corridoio però non era molto più illuminato, le luci di emergenza emanavano una luce leggera quasi inesistente che illuminava appena il corridoio.

-Io ho paura… - disse la bambina stringendo la presa sulla manica della maglia, il bambino alzò gli occhi al cielo e sbuffò, come poteva una bambina della sua età avere ancora paura del buio.

-Non sei grande per aver paura del buio? – chiese lui. La piccola si fermò: la bocca mezza aperta e gli occhi spalancati per la sorpresa, non credeva a quello che aveva sentito.

-Sei un cafone! – fece lasciando la manica e voltandosi per proseguire in un'altra direzione, non sarebbe stata un minuti di più con quel bambino cattivo.

-Dove vai? – le chiese quando la vide correre nella direzione dalla quale erano arrivati, la piccola però non rispose continuò a correre usando tutta l’aria che aveva nei polmoni e correndo fino a che le gambe non iniziarono a farle male.

-Che faccia quello che vuole. – sibilò riprendendo a camminare verso l’ufficio del padre, a lui non interessava un bel niente di quella mocciosa piagnucolona, che si arrangiasse.

Continuò a camminare per un po’ ripetendosi che non era un problema suo se si fosse persa o se si fosse fatta male, non era stato lui ha dirle di andarsene in quel modo.

-Oh, accidenti! – esclamò fermandosi e  tornando su i suoi passi, sperando di ritrovarla.

 

La bambina intanto aveva smesso di correre, si guardava attorno sperando di scorgere qualcosa che l’aiutasse a capire dove fosse finita, ma era così buio attorno a lei che non riusciva a vedere niente, le luci di emergenza si erano spente all’improvviso e lei si era trovata immersa nel buio più totale in un posto che non conosceva, si maledì per la sua impulsiva decisione di lasciare il bambino, anche se non era stato simpatico con lei, conosceva il posto e l’avrebbe potuta aiutare a trovare sua madre.

-Mamma?! – chiamò esitante, si voltò sentendo un rumore dietro di lei.

-Mamma?!- provò ancora alzando un po’ di più la voce, ma nessuno rispose, fece un passo indietro spaventata, i suoi piedi urtarono qualcosa che la face così cadere per terra.

 

-Ehy! Mi senti! – il bambino camminava per i corridoi, le luci di emergenza si erano spente e ora non riusciva a vedere proprio nulla, non era stata una buona idea quella di farla allontanare da sola, ora con quel buio non sarebbe mai riuscito a trovarla.

-Ehy! Bambina mi senti? – in quel momento si rese conto di non sapere nemmeno il suo nome, non si erano presentati. Continuò a vagare per quei corridoi anonimi e identici fino a che non sentì qualcuno piangere, affrettò il passo e voltato l’angolo si trovò in una parte in disuso dell’azienda, si fece coraggio e oltrepassò la  barricata che segnalava il divieto d’accesso, in quella parte ci stavano facendo dei lavori ed era pericoloso addentrarsi, sicuramente per colpa del buio la bambina non aveva visto i cartelli che segnalavano il divieto d’accesso.

 -Ehy! – la chiamò, i singhiozzi si erano fatti più forti segno che ormai non doveva essere lontana.

-Mi senti? – chiese lui sperando che la sua voce sovrastasse il pianto della bambina.

-Si, sono qui! – finalmente gli rispose, anche se il “qui” gli risultava molto vago, il suono della sua voce lo aiutò a trovarla.

-Stai bene? – le chiese.

-Si, sono caduta, non so come uscire. – rispose lei guardando verso l’alto, per colpa della paura non si era accorta che nel pavimento c’era un buco e lei ci era cascata dentro e ora non riusciva più ad uscirne.

-Ti fa male qualcosa? –

-La gamba… - piagnucolò lei.

-Okay, vengo a prenderti. –

Con attenzione il bambino scese nel buco stando attento a dove metteva i piedi, per fortuna non era molto profondo, la testa infatti usciva dal buco nel pavimento, sarebbero riusciti ad uscire di li senza problemi.

-Fammi vedere.. – la piccola gli allungò la gamba dolorante, non c’era niente, non si era nemmeno ferita, ma il fatto che non ci fosse sangue non voleva dire che non sentisse male, lui lo sapeva bene, era caduto un sacco di volte e anche se non gli usciva il sangue sentiva comunque male.

-Ti do una mano. – l’aiutò ad alzarsi e ad uscire dal buco deve era caduta. Zoppicando i due tornarono verso il corridoio, non c’era molto da fare, dovevano aspettare che tornasse la luce, prende l’ascensore e andare verso l’ufficio del padre.

-Mi dispiace… - mormorò lei, si sentiva in colpa, se non fosse scappata da lui non si sarebbe fatta male e avrebbero potuto prendere le scale per salire, non era umanamente possibile che si facessero tutti quei piani a piedi, ma almeno potevano provare a fare qualcosa.

-Non ti preoccupare, tra poco la luce tornerà e noi troveremo tua madre. – la sentì annuire contro la sua spalla, c’era qualcosa in quella bambina che tirava fuori il suo lato protettivo, lui che non era mai stato protettivo con nessuno, però ora che ci pensava non gli sarebbe dispiaciuto avere una sorellina più piccola.

-So dove siamo! – esclamò lui ad un tratto guardandosi attorno, anche con quel buio era riuscito finalmente a riconoscere dove era, li vicino c’era una stanza adibita a caffetteria dove solitamente la segretaria di suo padre lo accompagnava per prendere qualcosa da mangiare mentre suo padre era occupato con qualche cliente importante..

-Ce la fai a camminare? – la senti annuire e insieme di avviarono verso la piccola caffetteria. Come aveva intuito il bambino la caffetteria era proprio dietro l’angolo, saltellando un po’ i due riuscirono ad arrivare.

Entrati fece sedere la bambina sul divanetto mentre lui si arrampicava e prendeva i biscotti e il latte al cioccolato dal frigo.

-Ecco qua! -  esclamò andando a sedersi sul divano e porgendo i biscotti e la bevanda fresca.

 

***

 

-OLIVER! – sentendosi chiamare il bambino aprì gli occhi, si era addormentato sul divano insieme alla strana bambina. Si guardò attorno e vide il padre fermo sulla soglia che lo guardava sollevato, accanto a lui c’era una donna: bionda, con gli occhi verdi che guardava nella sua direzione, non aveva mai visto quella donna, ma anche se guardava verso di lui, non stava realmente guardando lui, guardava qualcosa accanto a lui.

-Ecco dove ti eri cacciata, piccola peste! – fece la donna, anche se le parole non erano delle più amorevoli, non sembrava arrabbiata, sorrideva sollevata e felice.

-MAMMA! – urlò la bambina accanto a lui. La luce era finalmente tornata, ma loro non se ne erano accorti visto che dormivano beatamente.

-Non devi allontanarti senza dirmelo, lo sai che mi preoccupo! – la rimproverò.

-Scusa… Ma io ero al sicuro, ero con lui! – disse indicando Oliver il quale arrossì imbarazzato da quell’affermazione.

-Forza a casa che è tardi. –

-Grazie Mr Queen per avermi ricevuta di sabato.-

-Non si preoccupi signora Smoak è stato un piacere, faremmo grandi cose insieme. – i due adulti si salutarono.

-Andiamo piccola, si torna a casa. – con attenzione scese dal divano e costatò che la caviglia non le faceva più male.

-Ehy! Come ti chiami? – le chiese Oliver prima che sparisse per il corridoio con la madre.

-Felicity. Smoak. – rispose la bambina fermandosi sulla soglia e regalandogli un meraviglioso sorriso.

-Quando sarai grande Felicity, tu lavorerai per me. – esclamò il bambino sicuro di se.

-No, quando sarò grande io lavorerò con te. – rispose lei prima di correre dalla madre che la stava chiamando dall’ascensore.

 

Fine

 

 

Ecco qua! Lo so che non è esattamente niente di che, ma era così carino immaginarsi loro due da piccoli, Oliver doveva essere veramente PUCCUOSISSIMO! xD così ecco un piccolo momento per voi! ^.^

La storia del pargolo è in fase di scrittura  anche se va a rilento perchè non ho molta voglia di scrivere ultimamente.

 Un bacione a presto

Mia

   
 
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