Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: fireslight    11/05/2014    3 recensioni
Erano a casa, finalmente. A Grande Inverno, dove sarebbero dovuti rimanere sin dall'inizio di quella guerra troppo lunga.
~
«Cosa significa che hanno avvistato stranieri sulle coste?»
«È così, Maestà. Un uomo e una donna. Avevano due cavalli, la donna quello bianco e l’uomo quello nero.»
~
Legati ad un tronco lì vicino, vi erano due splendidi cavalli, l’uno bianco e l’altro nero come la notte.
La donna si avvicinò. «Sono bellissimi.» disse, senza scomporsi.
L’uomo la guardò, celando un sorrisetto di profonda soddisfazione. «Per te, solo il meglio, sorella.»
~
«Arya.» mormorò infine, riconoscendola. Era lei, la sorellina che quand'era piccola faceva i dispetti a chiunque. «Rickon.» Il fratello così piccolo che si era rifiutato di salutarlo, quand'era partito per la guerra.
Sessant’anni dopo, quando Arya morì in seguito ad un morso di serpente, fra i deserti di Dorne, Rickon Stark non fu più lo stesso. Qualche mese dopo, fu trovato ai piedi di un’alta scogliera che dava sul Mare Stretto, trafitto dalla spada che era stata della sorella, Ago.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arya Stark, Rickon Stark, Robb Stark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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                 It was the taste of Winterfell.
 
 
 
 
 

Now, I've already passed a lot of pain and
I can read my fate as a map full of errors, and when
I do not feel any compassion for myself and
I can browse my existence witho
ut sentimentality, because
I found a relative peace, the only lament loss of innocence.
 
Isabel Allende, “Il piano infinito”
 
 
 
 
 
 
Robb Stark si tolse la corona di ferro dal capo, poggiandola delicatamente sull’enorme tavolo dipinto al centro della sala.
Sospirò, portandosi le dita alle tempie nella speranza di alleviare la stanchezza, il rimorso.
Erano a casa, finalmente. A Grande Inverno, dove sarebbero dovuti rimanere sin dall’inizio, dall’inizio di quella guerra troppo lunga.
Sette anni. Ecco quant’era durata quella guerra, sette anni.
Sette anni di lacrime e sangue, di strategie e alla fine, di alleanze.
Alleanze, quella parola suonava ancora strana.
Stolto chi pensava che dopo trecento anni dalla venuta di Aegon il Conquistatore e delle sue sorelle, i draghi fossero definitivamente scomparsi. Stolto, chi credeva che tutti i Targaryen fossero morti.
Un giorno, - Robb non ricordava esattamente quale giorno – erano nuovamente comparsi i draghi, a Westeros.
E con loro, Daenerys Nata dalla Tempesta, l’ultima della dinastia Targaryen.
Con il fuoco dei draghi, la minaccia degli Estranei a nord della Barriera era stata debellata, la Targaryen era salita sul Trono di Spade, – il medesimo trono di suo padre –, e lui aveva avuto giustizia.
La nobile casa Lannister non godeva esattamente dei privilegi che aveva avuto quando Joffrey Lannister era sul Trono, questo grazie al fatto che, allo sbarco della legittima pretendente ed ormai allo stremo delle forze a Delta delle Acque, Robb aveva deciso che era giunto il momento di farla finita, di sostenere la giusta causa e la legittima sovrana dei Sette Regni.
Daenerys Targaryen era adesso regina di Westeros e protettrice del Reame, e il Nord finalmente indipendente.
E quando Grande Inverno era stata ricostruita, più grande e potente di prima, Robb si era sentito la persona più felice del mondo; anche se in quei sette anni, molte cose erano cambiate.
Cinque anni prima, Talisa gli aveva dato un erede e, disgraziatamente, era morta di parto.
Eddard Stark, secondo del suo nome, era nato in una fredda notte d’inverno, perfettamente in salute; aveva gli occhi azzurri dei Tully ed i capelli d’un morbido castano ramato, ereditati dalla madre.
Eppure, la sua regina era rimasta così contenta di poterlo stringere fra le sue braccia, poco prima di morire..
Perso fra quei lontani pensieri, il Re del Nord non si accorse del fatto che il grande portone a due battenti dell’ampia sala si fosse aperto, né che una delle guardie stesse avanzando sin quasi all’estremità del lungo tavolo.
«Maestà, la lady vostra madre desidera parlarvi.» disse il soldato, facendo un inchino.
Lo congedò con un cenno, voltandosi ad osservare il Trono del Nord, ove sedeva da quasi otto anni.
«Maestà..» Robb sorrise, voltandosi ed incontrando i caldi occhi azzurri di sua madre, velati da uno spesso velo di tristezza.
La sua bellezza non era di certo sfiorita con il passare degli anni; adesso, la sua figura era poco più magra, i capelli fulvi striati di qualche timido filo grigio. Ma era ancora sua madre, Robb lo sapeva bene e non avrebbe mai smesso di guardarla con quei medesimi occhi, così simili ai suoi, che molte e molte volte gli avevano prestato conforto.
«Madre, fatevi stringere.» Catelyn si avvicinò, un sorriso triste sulla labbra sottili; quando il re del Nord la prese fra le braccia, le parve di sentire quel profumo familiare che lo aveva cullato da bambino, soffice e delicato.
Poi, sua madre si accostò al grande tavolo, con un sospiro.
«Ho mandato altri esploratori, madre. E due corvi a lord Umber e a lord Karstark. Se avranno novità, le sentiremo presto.» disse, osservando con finto interesse una mappa stesa sul grande tavolo. Catelyn fece un sorriso triste, consegnandogli poi, una pergamena.
Robb la aprì, osservando distrattamente il sigillo dorato con un sole attraversato da una lancia.
Era una lettera di Sansa.
Alla fine della guerra, Robb aveva deciso che fosse saggio unire il Nord con il Sud.
Non conosceva Doran Martell, questo no, e mai avrebbe potuto immaginare che sotto richiesta del principe Trystane suo figlio, il principe Doran avesse potuto invitare la lady sua sorella a trascorrere un piacevole soggiorno tra il caldo rovente di Dorne.
Quando ne aveva parlato con Sansa, lei lo aveva guardato per un attimo, in quei suoi occhi così simili a quelli della lady loro madre ed aveva annuito, rassegnata. Non avrebbe potuto non acconsentire, sua sorella lo sapeva.
Perché un buon re doveva anteporre il benessere del regno a quello proprio e dei suoi cari.
Ma adesso, a distanza di quasi due mesi, Sansa era così felice di scrivergli almeno una volta a settimana, che Robb sospettava che fra lei e il principe Trystane stesse nascendo qualcosa e che, presto o tardi, lui ne avrebbe chiesto la mano.
«Quelli che sono tornati non hanno trovato nulla?» chiese Catelyn, distraendolo dalla pergamena della sorella.
«No, madre.» disse, «Nessuna traccia di Arya, né tantomeno di Rickon.»
Lei annuì, come se fosse troppo da sopportare.
E Robb non ebbe più il coraggio di guardarla, in quegli occhi che gli avrebbero serbato solo un’inconsapevole accusa.
‘Perché non stai facendo abbastanza per ritrovarli, e sono tuoi fratelli.’
 
 
 
Il mare era agitato, quella mattina.
Lo era sempre, a dire il vero.
Le onde, altissime volute blu e bianche, si infrangevano senza pietà sulle cose a tratti frastagliate, schizzandole gocce di sale sul volto immobile, quasi di pregiato cristallo.
Cos’era, un cristallo? Non era sicura di avere la risposta, perché non era sicura di ricordarlo.
Si guardò intorno, guardinga. Non era mai stata su quelle coste sconosciute, non era mai stata in nessun luogo di mare che non fosse Skagos.
A parte Braavos, s’intende.
Ad un tratto, il suo campo visivo fu oscurato da una figura alta, massiccia e possente. Sorrise divertita, non poté farne a meno.
Il ragazzo – avrebbe dovuto abituarsi a considerarlo un uomo ormai, – le si accostò vicino, alzandole delicatamente il volto con due dita; poi, le indicò qualcosa alle sue spalle e lei si voltò.
Legati ad un tronco lì vicino, vi erano due splendidi cavalli, l’uno bianco e l’altro nero come la notte.
La donna si avvicinò, seria, carezzando distrattamente la lunga criniera dell’animale bianco. «È bellissimo.» disse, senza scomporsi.
L’uomo la guardò, celando un sorrisetto di profonda soddisfazione. «Per te, solo il meglio, sorella.»
Ma lei non si voltò, e prese le redini, montò sul destriero. Lui fece lo stesso.
«Dove li hai trovati?» Percorsero a ritroso un sentiero disperso tra insidiose foreste, ove alberi, sassi e radici, rendeva complicato se non impossibile, il passaggio di cavalli.
L’uomo gettò il capo all’indietro, ridendo profondamente di quelle semplici parole. «Cosa ti fa pensare, che li abbia trovati
Lei rise, prima di spronare il cavallo ad un galoppo sfrenato tra gli alberi, fermandosi poi presso un’alta collina.
Quando lui la raggiunse, entrambi i cavalli sembravano riposati come se fossero stati fermi un’intera notte.
Rimasero immobili per un po’, ognuno perso fra i propri pensieri.
«Quella dev’essere..»
«Karhold, si.» precisò lei, trattenendo saldamente le redini del cavallo.
«La chiamano il sole del Nord.» disse l’uomo, voltandosi a guardarla. Nonostante ciò, lei non rispose e volse lo sguardo verso l’entroterra, come alla ricerca di qualcosa di troppo lontano, qualcosa che non avrebbe potuto ancora vedere.
«Siamo ancora lontani, fratello.» sussurrò in compenso, senza nulla, nel suo volto, che potesse far comprendere il motivo del suo malessere interiore.
«Cosa ti turba?» Lui fece avvicinare il proprio destriero nero a quello di lei, prendendole gentilmente le redini dalle mani sottili.
«È strano. Ritrovarsi qui, dopo tutto questo tempo.» constatò la donna, lasciando che lui guidasse il cavallo bianco, senza batter ciglio.
L’uomo sorrise, come se in qualche modo, trovasse divertenti quelle parole. Improvvisamente, la donna gli strappò le redini del suo cavallo dalle mani, costringendo l’uomo a voltare precipitatamente il destriero nero.
Lo fissò, in quegli occhi azzurri, talmente chiari da ricordarle il mare di Skagos.
Quei luminosi occhi azzurri che erano la sua ancora nella tempesta e un rifugio sicuro.
«Prometti.» sibilò, gli occhi grigi ridotti a due fessure. «Niente casini, quando arriveremo.»
«E perché?» L’uomo allargò le braccia, in un gesto che aveva un che di teatrale. «Sai quanto me, che è finito, il tempo di stare a quelle stupidi convenzioni.»
«Non è questione di convenzioni. Sai bene chi troveremo. Sai bene cosa ci aspetta.» ribatté seria, quasi infastidita della poca serietà che lui era in grado di mostrare.
Peccato che, quando voleva, di serietà ne aveva anche troppa.
«Hai intenzione di restare, non è così?» Lei poté vedere il volto dell’uomo oscurarsi, gli occhi chiudersi per poi riaprirsi velocemente, come quand’era arrabbiato; gli si avvicinò, toccandogli delicatamente il polso, stringendolo appena.
«No. Abbiamo una casa, fratello. Una casa che non è il luogo nel quale siamo diretti.» disse, alzando lo sguardo ed incontrandone uno azzurro.
Non ebbero bisogno d’altro, poi.
Entrambi spronarono le cavalcature al galoppo, come in una danza antica, facendo a gara a chi sarebbe arrivato dall’altra parte della collina,
Entrambi risero, i lunghi capelli scuri di lei al vento, simili ad una frusta e il mantello di pellicce bianche di lui, simile ad una folata di gelida neve.
 
 
 
«Cosa significa che hanno avvistato stranieri sulle coste?»
«È così, Maestà. Lord Karstark ha mandato qui i due esploratori che si trovavano sulle coste, e che poi, li hanno seguito fin quasi a Karhold, nell’entroterra.» disse l’uomo, uno dei nipoti di lord Rickard Karstark, giunto in quelle ore a Grande Inverno.
«Desidero parlare con loro.» disse Robb.
I due giovani esploratori entrarono con passo incerto nella sala, guadandosi attorno. Si inchinarono di fronte al Re del Nord.
«Descrivete cosa avete visto.» disse il nipote del lord di Karhold.
«Non erano molti, Maestà. Solo due. Un uomo e una donna. Avevano due cavalli, la donna quello bianco e l’uomo quello nero..»
Catelyn Stark, seduta compostamente accanto al proprio figlio, – il suo Re – sentì come un brivido risalire lungo la schiena, come se improvvisamente avesse ricordato qualcosa di importante.
«Và avanti, cavaliere. Com’erano, fisicamente?» disse, colei che anni prima aveva sposato il Nord, e che aveva imparato ad amarlo.
«Si, mia signora. Entrambi non potevano avere più di vent’anni. Il ragazzo era alto e muscoloso, sicuramente un guerriero..»
«I suoi occhi?» chiese Robb, serio.
Se ciò che sospettavano poteva essere un piccolo brandello di verità, di speranza, Robb avrebbe fatto di tutto, per saperne di più.
Anche dopo tanti anni, – troppi, anni – ricordava gli occhi azzurri di Rickon, lievemente più scuri quand’era arrabbiato.
«Da lontano non li abbiamo visti, Maestà.» disse l’esploratore, abbassando il capo.
«E la donna?» Robb percepì il tono di sua madre per com’era realmente.
Come se, finalmente, avesse ripreso a vivere. Come se avesse una ragione in più per farlo.
«La donna aveva lunghi capelli scuri, ed era pallida.»
«Solo questo?» la voce del Re li fece tremare, ma a Catelyn non importò.
«Maestà, da lontano..»
«Si, ho capito.» ribadì Robb, con quella voce così simile al ghiaccio. «Da lontano non avete visto.»
Sospirò, portandosi le dita alle tempie, in un gesto diventato così comune, ormai.
«Potete andare.» ordinò, e lentamente la sala cominciò a svuotarsi.
Catelyn gli andò vicino, sfiorandogli incerta il braccio, finché Robb non alzò lo sguardo su di lei.
«So che non è molto su cui basarsi, ma..»
«No, madre.» la interruppe Robb. «È semplicemente nulla su cui basarsi.» Poi le sorrise, con quell’espressione serena ma triste che Catelyn vedeva rivolgere solo a suo figlio, il piccolo Eddard.
Un sorriso di immensa tristezza, da quando Talisa se n’era andata.
Da quando la regina del Nord era andata via, lasciando sulle spalle del suo Re, un peso forse troppo grande, anche per spalle possenti come quelle di Robb.
Il peso di dover crescere un figlio nella solitudine, nella mancanza di una madre.
Il peso di chiedere troppo, per qualsiasi cosa e la convinzione di potercela fare, nonostante tutto.
«Manderò lord Umber, madre. E andrò anch’io, forse..»
Le porte della sala si aprirono, mentre un bambino di sette anni faceva la sua entrata.
Catelyn vide Robb sorridere come non faceva da troppo tempo.
Eddard Stark II aveva ereditato gli occhi dei Tully, la fierezza e il coraggio degli Stark e la dolcezza – seppur attenuata dalla serietà paterna, –  della madre.
Era un bambino vivace, coraggioso oltre ogni limite, testardo ma allegro, più volte aveva chiesto della regina sua madre.
E quando vedeva l’espressione del Re oscurarsi, gli occhi socchiudersi e riaprirsi velocemente, Eddard sapeva di non dover fare troppe domande.
«Eddard.» lo accolse Robb, sorridendo appena.
Il bambino sorrise, facendo un piccolo inchino con il capo a Catelyn.
«Nonna, è un piacere trovarvi qui.» disse, con quella voce seria che usava durante le occasioni ufficiali, volendo imitare il padre. «È una bella giornata, pensavo che sarebbe stato bello fare una cavalcata nella Foresta del Lupo, padre.» propose, d’un tratto allegro.
Vedendo la serietà nel volto del genitore, si corresse. «Solo se non avete troppo impegni, naturalmente.»
Robb sorrise, chiamando una della guardie.
«Fai preparare tre cavalli.» ordinò. Poi volse lo sguardo alla madre, la quale ricambiò il sorriso di suo figlio. «Sarete dei nostri?»
Catelyn sorrise appena, dirigendosi verso l’uscita della sala, alle sue stanze. «Sarà meglio che mi cambi d’abito, allora.»
 
 
 
Non ricordava fosse così impetuoso, il vento.
Suo fratello era accanto a lei, su quello sperone di roccia dal quale dominavano gran parte della Foresta del Lupo.
I loro cavalli nitrivano e scalciavano come se volessero correre sino a morirne. Trattenne saldamente le redini, stringendo i talloni ai fianchi dell’animale bianco.
«Dovremo inoltrarci nella foresta.» asserì l’uomo, facendo strada. Presero un sentiero secondario, trovandosi dopo una buona mezz’ora fra una moltitudine di alberi diga. Lei rallentò, osservando con attenzione gli antichi volti scolpiti nel legno bianco come osso.
‘Anche nostro padre soleva pregare accanto al suo albero del cuore. Ma questo, non lo ha salvato dalla morte.’
«Sorella?» La sua voce la fece rinsavire, così spronò nuovamente il cavallo ad un passo sostenuto.
Per qualche minuto, nella Foresta del Lupo – così vicina a Grande Inverno – regnò assoluto silenzio.
Poi, lentamente, dal folto degli alberi giunsero rumori ovattati.
Il clangore di armi, zoccoli di cavalli, e voci. Voci dappertutto.
«Teniamoci a distanza. Non dobbiamo attirare l’attenzione.» replicò, recuperando quel contegno che la caratterizzava, tornando ad indossare una maschera di gelide emozioni. L’uomo sorrise scuotendo il capo, incapace di comprendere la natura estroversa che la caratterizzava.
Eppure, dopo quasi undici anni, la conosceva troppo bene.
Sua sorella, – l’unica persona che l’avesse mai capito, che non l’avesse abbandonato a sé stesso – era vissuta con la convinzione che a nove anni, le sarebbe stata concessa una spada. Sua sorella, che aveva creduto, che aveva lottato per una vita migliore, perché lui potesse avere una vita migliore.
Non ricordava esattamente cosa volesse significare avere un posto cui tornare la sera, dopo essere stato per giorni nei boschi.
Non ricordava esattamente cosa volesse significare avere una casa, in piena regola.
Ma adesso, adesso che non avvertiva l’aria salmastra invadergli le narici e il vento scostargli i capelli corti come dita affusolate, era consapevole che nel bene e nel male, il luogo dove erano diretti, non era casa.
Per lui, casa erano le coste frastagliate di Skagos, le sue spiagge di soffice sabbia nera, – del colore del carbone.
Per lui, casa erano i branchi di cavalli selvaggi sparsi confusamente tra le foreste, quelle stesse foreste che per anni, erano state il loro rifugio.
«A cosa pensi, fratello?» si sentì domandare, da quella voce remota e fredda come ghiaccio. Sua sorella.
Era diventata una splendida donna, lei.
A volte, aveva come dei lampi davanti agli occhi, ricordava quanto fosse ribelle quando ancora vivevano in quei luoghi, quando ancora, sorridere non era proibito, quando ancora lacrime e sangue non erano cosa gradita.
Ma dopo quasi undici anni, di lacrime e sangue, ne avevano conosciuto anche troppo.
«Al fatto che, probabilmente, a breve mi pentirò di aver fatto tanta strada per vedere un mucchio di alberi.» rispose, storcendo il volto in una smorfia sarcastica. Lei lo fissò, senza capire.
«Avanti, vuoi che gli faccia un fischio?» riprese l’uomo, spronando il proprio cavallo al passo, avvicinandosi a quelle voci. «Magari ti vedono da lontano.»
D’un tratto, poco prima che potesse sparire fra gli alberi, – poco prima che lei potesse rispondergli male, – qualcosa.. No, qualcuno, entrò nel loro campo visivo, facendosi lentamente largo fra le sterpaglie.
Due uomini, poi tre.
Quando furono a poca distanza, entrambi poterono vedere gli stemmi sulle maglie di ferro.
Meta-lupo. Il meta-lupo degli Stark.
Si guardarono, finché una voce tonante li raggiunse.
«Sono loro?» sentirono un urlo dal folto degli alberi, poi altri due uomini raggiunsero i tre a cavallo.
I nuovi arrivati, relativamente giovani, li fissarono.
Solo per una frazione di secondo, lei si sentì vulnerabile e così anche suo fratello. Lentamente, fecero indietreggiare i cavalli.
«Sono loro, si. Ricordo i capelli della donna.» uno degli uomini a piedi la indicò, storcendo l’espressione disgustata.
«E il mantello dell’uomo è lo stesso.» asserì l’altro.
D’un tratto, scambiandosi uno sguardo, loro che per tanti anni erano stati complici, capirono.
Uno strattone alle redini, i talloni nei fianchi dei cavalli, ed erano già lontani.
 
 
Capì immediatamente che fosse successo qualcosa.
Robb lo capì dai volti terrei degli esploratori, che aveva mandato avanti rispetto alla lady sua madre e al figlio, perché controllassero quei sentieri. Raggiunse uno dei due giovani, coloro che a Karhold avevano avvistato gli stranieri.
«Cos’è successo?» disse, il tono imperioso. Catelyn e il principe Eddard lo seguirono a distanza.
«Erano qui, Maestà. Sono fuggiti.» osò dire uno dei ragazzi, con volto pallido.
Trattenne un’imprecazione fra i denti.
«Madre, Eddard, rimanete qui.» disse, avanzando a cavallo. Si avvicinò a una della guardie, «Se gli succede qualcosa.» minacciò, poco prima di lanciarsi al galoppo fra gli alberi, seguendo il sentiero di erbe e rami spezzati lasciato dagli stranieri.
Il sentiero era ormai delineato, una distesa anonima di rami spezzati e foglie cadute.
Avanzò stringendo fra le mani le redini del destriero, ogni senso all’erta.
Sentendo un fruscio alle sue spalle, si voltò.
Tutto ciò che vide fu una donna a cavallo d’un destriero candido come neve; si guardò intorno, volendosi assicurare che non vi fosse nessun altro. Fissò nuovamente lo sguardo su quella figura che aveva qualcosa di familiare, – la forma del viso, tonalità degli occhi, lineamenti – senza però essere davvero sicuro dei suoi ricordi, troppo sfocati perché potesse metterli a confronto con quanto aveva in quel momento.
Aveva lunghi capelli color mogano, talmente scuri da sembrare quasi neri, la forma del viso allungato, occhi grigi, lineamenti armoniosi che, al tempo stesso, conservavano una linea di vaga infantilità.
«Chi siete?» domandò Robb, guardandola profondamente. Lei non diede segno di cedimento, non cambiò espressione.
«Non ha importanza, ormai.» disse lei, facendo voltare il cavallo e facendo per scomparire nuovamente nei boschi.
Robb la seguì per un breve tratto.
«Chi siete?» domandò una seconda volta, superando il suo cavallo e tagliandole la strada.
Erano talmente vicini che Robb poté osservare attentamente quegli occhi grigi.
‘Non può essere. Vi era un’unica persona che avesse mai avuto quegli occhi grigi..’
Lei ricambiò lo sguardo, come se in quegli occhi azzurri potesse vedere qualcosa di perduto, qualcosa che aveva perso molti anni fa.
«Il mio nome è Etein.» disse, fissandolo intensamente. «Il resto non conta.» fece per superarlo, quando una voce li raggiunse.
Robb vide un uomo su un destriero nero come la notte apparire da un sentiero lì vicino, dirigendosi verso la donna.
«Sorella. Con chi abbiamo a che fare?» le chiese ad alta voce, voltando il cavallo e osservandolo con aria divertita.
«Robb Stark.»
L’uomo fece una smorfia risentita, come se non credesse a quelle parole. Robb vide la donna incupirsi, osservò come le sue spalle fossero diventate rigide in pochi secondi. Decisamente, c’era qualcosa che non andava.
«Robb Stark.» l’uomo masticò quel nome dall’accento sconosciuto, mettendo in evidenza il cognome. «Si, una volta ho conosciuto degli Stark. disse, in un tono che a Robb parve eccessivamente teatrale.
Lei si voltò inquieta, afferrando le redini del proprio cavallo.
«Andiamo, fratello.» mormorò.
«Non fuggire, Etein.» le gridò dietro l’uomo, facendo in modo che lei si voltasse.
Robb lo osservò attentamente.
Era alto e muscoloso, poteva avere non meno di vent’anni. I capelli erano scuri e tagliati corti, gli occhi – adesso che li notava, – azzurri come il cielo d’estate. E la voce, quella non l’aveva mai sentita.
La ragazza tornò lentamente indietro, fulminando quello che doveva essere il fratello con gli occhi.
«Avete ucciso persone innocenti a Karhold.» disse Robb, improvvisamene serio. «Vorrei sapere perché.»
«Ne avevamo necessità.» rispose lo straniero, scrollando le spalle. «Il Re del Nord dovrebbe avere altre occupazioni che dare la caccia a due forestieri.»
Robb fissò intensamente la donna, che a sua volta non distolse mai lo sguardo dal suo.
Era come se la conoscesse, qualcosa che gli suggeriva prepotentemente di averla già vista.
D’un tratto, ogni cosa gli fu chiara.
Occhi grigi, volto allungato tipico degli Stark, capelli scuri come l’ebano dai riflessi rossastri.
Aveva impiegato sette anni a cercarla, a tentar di ritrovare il minimo indizio per ritrovarla, per riportarla a casa..
«Arya.» mormorò infine, riconoscendola. Era lei, la sorellina che quand’era piccola faceva i dispetti a chiunque, unicamente per il gusto di farlo.
La donna lo guardò per un lungo momento, infine sorrise. «Ce ne hai messo di tempo, fratello.»
Robb voltò lo sguardo verso l’uomo, che adesso sorrideva come se si aspettasse anche lui d’essere riconosciuto; il Re del Nord ricordava vagamente l’ultimo dei suoi fratelli, quando prima di partire per la guerra, quello l’aveva salutato solo perché costretto da maestro Luwin.
«Rickon.» disse, quasi del tutto stupito.
Rickon Stark allargò le braccia nel medesimo gesto teatrale di prima, quella volta, sorrise sinceramente.
«Felice di sapere che dopo sette anni, ti ricordi ancora di averlo un fratello.» sorrise.
 
Le mura di Grande Inverno erano più alte dell’ultima volta in cui le aveva viste.
In un certo senso, tornare in quel lungo faceva uno strano effetto, come se fossero stati lontani così a lungo da non ricordarsene.
Rickon procedeva a cavallo accanto a lei, serio e imperturbabile come acqua stagnate. Sembrava che non dovesse importargli più di tanto, sui luoghi che avevano accolto molto tempo prima le loro risate, le loro piccole battaglie con spade di legno, la loro infanzia rubata e squarciata in mille pezzi.
Arya non era sicura del fatto che avrebbe potuto riconoscere o meno la loro madre, mentre attraversavano l’imponente ponte levatoio del castello. Sicuramente, il loro aspetto e l’abbigliamento molto poco reale non avrebbero facilitato la situazione.
Scesero silenziosamente da cavallo, entrarono per l’immenso portone della fortezza, e fu come perdersi nel tempo.
«Sembra come dieci anni fa. Non trovi?» Rickon la circondò la vita con un braccio, sorridendole.
In qualche luogo oscuro della propria mente, Arya trovò la forza di ricambiare quel sorriso.
«Non ricordavo fosse così, in realtà. Suppongo sia per il fatto che l’abbiano ricostruita.» mormorò.
Adesso che Robb aveva rivelato le loro identità, servi e guardie si inchinavano al loro passaggio silenzioso e Rickon ne sembrava volutamente divertito.
Era felice che il Nord fosse rimasto indipendente, ma per quanto ancora sarebbe stato così?
Aveva imparato a sue spese che il mondo non era altro che un immenso campo di battaglia dal quale ritirarsi ogni tanto, e quei periodi di relativa tranquillità, aveva imparato a chiamarli col nome di pace.
D’un tratto, nell’immensa sala grande, apparve una figura minuta dai lunghi capelli fulvi, striati di qualche filo grigio.
Vide Rickon sorridere curioso, come se stesse cercando di ricordare e nello stesso istante l’avesse già fatto, come se non si fossero mai lasciati davvero. La lady loro madre aveva gli occhi azzurri velati di lacrime, che ostinatamente, riusciva a non far cadere.
«Arya.» mormorò con voce emozionata, stringendola improvvisamente fra le braccia; fece la stessa cosa con Rickon, carezzandogli dolcemente il viso, e stringendolo forte a sé.
«Vi abbiamo cercati per sette anni, così tanto tempo.» sussurrò Catelyn, stringendo forte le loro mani, come se avessero potuto scappare di corsa e lasciarla lì, con lo spettro dei figli che per molto tempo erano stati creduti morti. «Dov’eravate?»
Fu suo fratello a prendere la parola, questa volta.
«Io e Arya ci siamo incontrati a Braavos, madre. Abbiamo trascorso qualche mese lì, poi avevamo deciso di tornare, ma la nave sulla quale ci imbarcammo fu assalita dai pirati e naufragò verso Skagos.»
«Siamo rimasti lì, sostanzialmente, a cercare di sopravvivere e ad evitare gli indigeni cannibali.» sorrise Arya.
«Madre.» Robb richiamò benevolmente Catelyn, sorridendo ai fratelli «Saranno stanche per il viaggio, avranno bisogno di riposare. Parleremo più tardi.»
Non poté non accorgersi, Arya, di quanto la corona di ferro degli antichi re del Nord, stesse bene sulla fronte di suo fratello.
 
 



Quando Rickon e Arya Stark avevano deciso di visitare i Sette Regni, niente e nessuno riuscì a impedirlo.
Dopo essere rimasti per qualche tempo a Grande Inverno, i due fratelli viaggiarono da Nord a Sud, visitando Approdo del Re e rendendo omaggio alla regina, spostandosi per le Terre dei Fiumi e attraversando i caldi deserti di Dorne.
Sessant’anni dopo, stabilitisi a Dorne, poco lontano da Lancia del Sole, Arya e Rickon incontrarono Sansa, che nel frattempo aveva sposato il principe Trystane.
Arya non fu mai così felice di rivedere la sorella con la quale da bambina aveva litigato così tanto, e Sansa, dal canto suo, non fu mai così felice di rivedere la sorella che da bambina aveva amato più le spade che l’ago per cucire.
 
Sessant’anni dopo, quando Arya morì in seguito ad un morso di serpente, fra i deserti di Dorne, Rickon Stark non fu più lo stesso.
Desiderò morire egli stesso, così da poterla rivedere, ma una certa Myrcella Lannister, rimasta a Dorne dopo essere stata esiliata per i crimini commessi dalla sua famiglia in passato, glielo impedì. Rickon riportò il corpo dell’amata sorella a Grande Inverno e, in quanto principe del Nord, ordinò che fosse realizzata una statua per lei, vicino a quella di Lyanna Stark e fra gli antichi re del Nord, perché finalmente, dopo così tanti anni, Arya potesse sentirsi a casa.
Qualche mese dopo, Rickon Stark fu trovato ai piedi di un’alta scogliera che dava sul Mare Stretto, trafitto dalla spada che era stata della sorella, Ago.
 







E niente, esperiment riuscito-forse-no di qualcuno che ama immensament Game of Thrones/ASOIAF.
Semplicemente, avrei voluto che Robb non morisse alle Nozze Rosse (maddai), e che Arya e Rickon si incontrassero in un fututo non troppo lontano. Spero possa aver reso bene questo incontro tra fratelli, cosa estremamente triste, a parer mio che potrebbe succedere, ma conoscendo zio Martin non accadrà o se accadrà sarà in modo turpe. 
Mi farebbe piacere se qualche anima gentile lasciasse un pensiero, una recensione, qualcosa.
A presto, perchè so che comparirò ancora,
fireslight.

 
  
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