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Autore: GhostFace    12/05/2014    1 recensioni
Riflessioni interiori, ma anche azione, istinto ed avventure, senza mai farci mancare qualche risata... Questa è una storia che coinvolgerà tutti i personaggi principali di Dragon Ball, da Goku a Jiaozi! Cercando di mantenermi fedele alle vicende narrate nel manga, vi propongo una serie di avventure da me ideate, con protagonisti Goku ma soprattutto i suoi amici. I fatti narrati si svolgono in alcuni momenti di vuoto di cui Toriyama ci ha detto poco e nulla, a cominciare da quell'anno di attesa trascorso successivamente alla sconfitta di Freezer su Namecc (ignorando o rielaborando alcuni passaggi only anime). Come dice qualcuno in questi casi, Hope You Like It! Buona Lettura!
PS: la storia è stata scritta prima dell'inizio della nuova serie DB Super, quindi alcuni dettagli non combaciano con le novità introdotte negli ultimi anni. Abbiate pazienza e godetevi la storia così com'è, potrebbe piacervi ugualmente. :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Data la calura che opprimeva abitualmente l’area di Dark Pedro, durante il giorno Conga era solito tenere aperte le finestre per favorire la circolazione dell’aria. Ecco perché il gruppo degli avventurieri trovò tutte le finestre aperte e, dopo una rapida ispezione, adocchiò quella che meglio si adattava allo scopo, perché più distante dalla stanza principale della casa, dove Stinson e Makvel stavano eseguendo la loro parte del piano.
«È inutile che entriamo tutti subito… bisogna esplorare la casa in silenzio.» bisbigliò La Tia con aria cospirativa. «Entrerò io perché sono la lider, e Trunks mi farà da guardia del corpo! Insieme troveremo subito il passaggio segreto che porta al piano di sotto! Mentre noi andiamo, voi state buoni qui e non fate casini!» Decisione saggia: Cid era troppo ingombrante con quel suo posteriore da cavallo, per mettersi ad indagare; Lokoto era inaffidabile, in quanto mezzo scemo; Niku, invece, parlando solo nel suo slang non si sarebbe fatto capire da Trunks. I due entrarono e riconobbero in sottofondo la voce di Makvel che pontificava dottrine religiose, ripetendo nozioni apprese su chissà quali volumi; camminando quatti quatti in punta di piedi, si aggirarono per qualche minuto per le poche stanzette della casa, frugalmente arredata come una comune abitazione rustica; trovarono subito l’accesso al piano inferiore.
«Mira, Trunks!» sussurrò La Tia. «Il passaggio segreto!!» esclamò, additando un rudimentale scavo nella pietra del pavimento, accostato ad una parete; lungo di esso correva una lunga rampa di scalini scolpiti nella pietra, che scendeva sempre più giù.
«Ma questo non è un passaggio segreto… sono delle comunissime scale. Anche abbastanza rozze, direi…» commentò Trunks scettico; ma La Tia non lo ascoltava: era già corsa a chiamare il resto del gruppo. “Mah… non mi convincono. Credono che questo sia un castello delle fiabe… magari pensano che ci sarà un drago da sconfiggere, come custode del tesoro…”
Silenziosamente, con passo ovattato, i cinque si introdussero giù per le scale, che attraversavano un tunnel buio illuminato solo dalla luce proveniente dal piano inferiore. Raggiunsero l’ingresso, entrarono nel piano sotterraneo: una visione esaltante li attendeva. Il piano era costituito da un unico grande ambiente, arredato sontuosamente, in sorprendente contrasto con il piano di superficie; il pavimento era rivestito di mattonelle bianche di gres porcellanato, smaltate ed increspate, mentre il muro era pitturato di un grigio leggero tendente all’azzurro. In questo grande salone, un megaschermo ultrapiatto appeso al muro, largo almeno quanto mezza parete; un tavolo da biliardo in legno lucido e scuro, con venature beige; larghi e morbidi divani rivestiti in pelle nera; un tavolinetto dalla struttura metallica con superficie in cristallo, coperta da una fiorente collezione di pornazzi; un lussuoso mobiletto-credenza zeppo di liquori di qualsivoglia tipologia; tappeti e quadri di pregio; ai quattro angoli della stanza, piante di ficus, simbolo del potere!
«M-ma… questo… è il paese dei balocchi!» esclamò Cid, con gli occhioni commossi e luccicanti. «L’albero della cuccagna… aspettate che lo veda Stinson!! Impazzirà dalla gioia!»
Venti secondi dopo, il centauro era già spaparanzato con un sigaro in una mano, un calice di whisky nell’altra a sfogliare con sguardo lussurioso una rivista porno con giovani e floride fanciulle demoni. «Cid! Are ya demente??» lo rimproverò la sua ragazza, con il viso che dall’arancio virava verso il rosso intenso, tentando di tenere basso il volume della sua voce. «Es claro che qua non c’è il tesoro… ci sarà un altro piano segreto, più sotto! Dobbiamo andare!»
«Non ora, mi querida…» rispose distrattamente Cid, sbuffando il fumo del sigaro. «Andate avanti, poi vi raggiungo.»
«¡Que idiota!» si lamentò La Tia pestando i piedi.
Lokoto venne illuminato da un pensiero: «¡Entiendo! Tentazioni che inibiscono il volere dei giovani! Deve essere una trappola per bloccare gli invasori che si intrufolano in questa dimora…! Questo palazzo deve essere pieno di trappole per bloccare los visitadores! Chissà…» disse, assumendo un tono piagnucoloso ed un’espressione commossa, con gli occhi a lucciconi dalle lacrime «… chissà quanti poveri giovani demoni sono periti fra le mille tentazioni di questo maledetto luogo.»
«Che scemo…» disse Trunks. «Cercate di non fare troppo rumore: da sopra, potrebbero sentirci.»
«Bravo, Frank, vedo che ti stai calando nello spirito d’avventura della nostra missione.» si complimentò Lokoto. Trunks sospirò, volgendo lo sguardo verso il cielo.
Lokoto, Trunks, La Tia e Niku cercarono indizi sulla presenza del tesoro in quella stanza; non trovarono niente, a conferma di quanto La Tia si era correttamente immaginata. Il tesoro doveva essere altrove, più giù. Niku strattonò la giacchetta della sua amica demone, indicandole un punto ben preciso della stanza. «Mira there.» Il bambino aveva trovato un’altra rampa di scale diretta verso il basso: con tutta evidenza, l’accesso ad un altro piano sotterraneo. Lasciarono Cid tutto assorto nei suoi vizi poco edificanti quali fumo, alcol e pornografia (voi lettori non seguite il suo esempio!), riproponendosi di tornare a chiamarlo quando avessero trovato il tesoro, e si diressero nel passaggio che li avrebbe portati al piano inferiore.
Scendendo, Trunks manifestò ancora i suoi dubbi a La Tia: «Stavo ripensando ancora a Makvel e Stinson… Sei sicura che quei due di sopra riusciranno a tenere impegnato il padrone di casa per tutto questo tempo?»
«Ma certo…» sdrammatizzò la ragazza con un gesto di leggerezza. «Makvel sa un sacco di cose su tutte le branche del sapere, e può parlare a ruota libera per ore! Quando si lascia prendere la mano, non ce n’è para ninguno! Quanto a Stinson… beh, lui è il ciarlatano più in gamba che ci sia dalle nostre parti… ha l’abilità di mille televenditori telefonici! No hay problema!»
 
Il secondo piano sotto terra rappresentava, di primo acchito, una visione atroce e raggelante. L’aria era pesante, umida e stagnante: si vedeva che non era costruita per essere un luogo di relax, a differenza della stanza precedente. Davanti agli occhi del quartetto di avventurieri si apriva un’ampia stanza le cui quattro pareti erano rivestite di mattoni grigio-marroncini. Dagli spigoli di congiunzione tra le pareti e il soffitto penetrava l’acqua del sottosuolo; evidentemente il padrone di casa non aveva interesse a che quel locale non rimanesse in buone condizioni di vivibilità, a differenza quello precedente. Come se il luogo non fosse abbastanza lugubre di suo, l’arredamento non faceva che rendere l’atmosfera ancora più soffocante. Catene con manette alle pareti; lampade alimentate a grasso animale, appese in alto; lungo i muri anneriti dal fumo delle lampade, erano appese armi bianche di vari tipi; un paio di rozzi tavoli in legno e metallo arrugginito al centro della stanza; in un angolo, un grosso forziere robusto e pesante dall’aria spartana e vissuta; in un altro angolo, persino una ghigliottina; per finire, ossa e teschi vari, disseminati agli angoli del pavimento, e chiazze di sangue scuro rappreso, che in questo genere di luoghi non mancano mai e fanno ambiente ed atmosfera. Quella in cui si trovavano aveva tutta l’aria di essere una vera e propria stanza delle torture.
«M-ma… che diavolo…?» biascicò Trunks basito. «Sembra un posto da film dell’orrore…»
«Lo que dicen about Conga es la verdad, Niku…» disse La Tia ghignando, talmente colpita che per un momento riprese a parlare nel suo dialetto madre al suo piccolo amico. «Conga es un killer.»
«Esta es la room de los juegos.» proclamò solennemente Niku, con il sorriso felice di un bambino in un negozio di giocattoli.
«Mi sembrate quasi felici di vedere questo spettacolo raccapricciante!» disse Trunks. «Voglio farvi notare però che manca un vostro compagno all’appello.»
A quelle parole, La Tia si voltò di scatto. «Dov’è quello scemo di Lokoto?? Non sarà mica muerto??» Non potendo mettersi ad urlare per chiamarlo, i tre diedero un’occhiata per le scale, ma non lo trovarono. Appoggiando la tesi espressa dallo stesso Lokoto poco prima, La Tia strinse un pugno e considerò amaramente: «Dannato Conga! Lokoto aveva ragione, questo postaccio deve essere pieno di trappole e tranelli! Questa deve essere un’altra manovra per eliminarci tutti, uno per uno… stiamo cadendo come mosche!»
Trunks sospirò e scosse la testa: «Vediamo se almeno il tesoro è qua… forse in quel forziere? Sembra un contenitore adatto per un tesoro…»
«Già, il tesoro!» disse La Tia, battendosi il palmo della mano con un pugno, come a riscuotersi dai suoi pensieri. Il gruppo, ormai ridotto ad un terzetto, si accostò al forziere: da vicino, esso sembrava ancora più imponente. Era chiuso semplicemente con un grosso lucchetto di ferro che venne spezzato a mani nude da Niku, senza alcuna difficoltà. Sollevarono il cofano: era pieno sì, ma di armi bianche, luccicanti, in perfette condizioni, quasi fossero appena uscite dalla fucina di un fabbro dall’innata, eccezionale maestria; Niku contemplava quel mirabile spettacolo con gli occhi illuminati da un bagliore d’eccitazione. Spade, pugnali, mazze, scuri, e tanto altro… non mancava proprio nulla! Il bambino sollevò fra le manine una sorta di daga: perfetta, aveva un filo incredibilmente tagliente. Tutto stava nel saperla usare come meritava, rifletté il piccolo.
Se quello era il contenitore delle sole armi, era chiaro che il tesoro doveva essere da un’altra parte. «Questo non è il tesoro… ma è pane per i denti di Niku…» commentò La Tia, strizzando l’occhio verso Trunks; sapeva che l’animo bellicoso del suo piccolo amico stava fremendo alla vista di quegli oggetti. Non a caso, infatti, subito dopo il piccolo demone comunicò una proposta nella lingua natia. «Muy bien…!» acconsentì La Tia sorridendo. «Trunks, io dico che c’è un altro piano sotto questo… quindi dobbiamo trovare l’uscita!»
«Ma che ti ha detto Niku?» domandò Trunks, che non aveva seguito la parlata in stretto dialetto del bambino.
«Più o meno ha detto: io resterò qua a dare un’occhiata a tutti i bei giocattoli che si trovano in questa stanza; così, se serve, potrò coprirvi le spalle nel caso che sbuchi fuori Conga.»
«Quindi il nostro gruppo si restringe sempre di più.» ribatté Trunks con un sorrisetto; sapeva che l’interesse primario della ragazza era un altro: «… però tu sei tranquilla, finché sai che puoi usarmi come guardia del corpo! Non ti importa che gli altri si vadano sparpagliando nei vari piani, purchè io ti segua!» Quella ragazza gli stava simpatica: per certi versi, il suo atteggiamento smaliziato gli ricordava Bulma.
Non fu difficile trovare l’uscita che portasse fuori dalla sala delle torture: sul pavimento, adiacente ad una delle pareti della sala delle torture, una botola di legno robusto e verniciato conduceva, tramite scale, al piano inferiore. Salutarono Niku, dandosi appuntamento a  dopo.
 
Nel frattempo, al primo piano, Conga stava per assopirsi. La mole di ciance da cui era stato investito era tale, che cominciò a stentare nel tenere gli occhi aperti, e le palpebre diventavano sempre più pesanti.
“Ih ih ih…” ghignò fra sé Stinson scambiandosi un’occhiata astuta col suo complice. “Ancora poco, e sarà quasi cotto a puntino, l’idiota! Poi io e Makvel potremo riunirci agli altri… e questa resterà nota come la più leggendaria performance di Stinson, l’imbroglione!”
 
Mentre il bambino si gingillava coi suoi nuovi balocchi – ossia, nello specifico, esaminava il taglio affilato di alcune spade – Trunks e La Tia percorsero la rampa di scale, che era ancora più lunga rispetto alle due precedenti: segno del fatto che il locale dove erano in procinto di entrare doveva essere davvero gigantesco. Probabilmente il mostro albergava lì. Avvicinandosi alla porta, sentirono avvicinarsi sempre di più un respiro pesante, e un brontolio sommesso. La Tia provò un brivido che la mise a disagio: nonostante fosse con Trunks, tutta la spavalderia e la trepidazione le scemarono di colpo, al pensiero che probabilmente il famoso e terribile Monster di Dark Pedro poteva essere a pochi metri di distanza. Dominata dall’incoscienza, fino ad allora non si era posta alcun problema… ma ora?
Ormai erano lì, quindi non era più tempo di esitare; entrarono. L’ambiente era grandissimo, come era facile pronosticare per via della lunghissima gradinata. Non vi erano torce: l’illuminazione era procurata da ua grande lampada a globo, bianca, appesa al soffitto come una luna piena; non c’era puzza, quindi doveva esserci anche qualche forma di areazione apparentemente non visibile. «Chi l’avrebbe detto che sotto quella capanna insignificante si nascondevano tutti questi piani? Pazzesco…»
Del resto, era idoneo ad ospitare l’enorme, gigantesca belva che, acciambellata su sé stessa, sonnecchiava in dormiveglia. O almeno, restò in tale posizione finché non avvertì lo scalpiccio delle scarpe dei nuovi arrivati; ma l’arrivo dei due gli fece drizzare il collo e sollevare la testa. Ad occhio, doveva essere alto come minimo cinque metri. Una folta pelliccia ricopriva il suo corpo, dalla testa alla lunga coda da rettile, e univa striature nere ed arancio-marroni sul dorso; il ventre, da dinosauro, era di color bianco sporco. Aveva due occhi che ricordavano contemporaneamente sia quelli di un felino che quelli di un rettile, giallo-verdi con la pupilla nera stretta ed allungata; il muso, dai cui lati sbucavano ciuffetti di vibrisse, era quello di un dinosauro; il pelo, infatti, lasciava scoperto il viso arrestandosi alla fronte. Dalla pelliccia che copriva la testa facevano capolino due corna. La creatura si sollevò sulle quattro zampe, glabre fino alla caviglia e coperte di pelliccia dalla caviglia in su; si stiracchiò, allungando la schiena.
«M-ma… che razza di…?» balbettò Trunks spalancando gli occhi, alla vista di quella inverosimile creatura.
«El Monster…» riuscì solo a strascicare La Tia, in un cocktail di emozioni contrastanti.
La belva si buttò a terra e, socchiudendo gli occhi, si rotolò un paio di volte per terra e poi, accovacciandosi come una sfinge egizia, aprì le fauci e, con un brontolio all’altezza del diaframma, emise il suo profondo e roboante verso: «Rrrrrrrrrrrrrrrrr… Meow.»
 
Le grottesche fusa della gigantesca bestia fecero sussultare tutti i personaggi dislocati ai vari piani; in particolare, Conga si riscosse dal torpore, con il disappunto di Stinson che sperava di farlo scivolare nel mondo dei sogni a suon di chiacchiere. «Cos’è stato?!» si domandò il robusto demone meticcio.
I due ospiti si scambiarono uno sguardo complice d’intesa, pensando entrambi: “Era sicuramente El Monster…”, poi Stinson fornì al suo interlocutore una spiegazione più innocua: «Era solo lo stomaco del mio amico. La parola di Darbula merita di essere diffusa a prescindere dai bisogni fisici dei suoi seguaci, ma talora lo stomaco non sente ragioni… nevvero, collega?»
«Certamente.» aggiunse Makvel, in evidente imbarazzo.
«Cerchiamo di completare la discussione, ragazzi, perché ho da fare…» disse allora Conga, cominciando a mostrare i primi segni di impazienza.
«Ma certo, signore.» replicò Stinson. Come sanno tutti i bravi imbroglioni, uno dei modi più efficaci di prolungare una discussione inutile è quella di far credere all’interlocutore che essa volga al termine; e, al contempo, trovare nuovi argomenti per protrarla ulteriormente in modo naturale, senza dare nell’occhio. Insomma: “stiamo finendo, stiamo finendo!”, e non si finisce mai!
 
Nel frattempo, La Tia si era ficcata in testa l’idea malsana di prendere confidenza con quell’eccezionale creatura: «Ma è… è… è dolcinoooooo!!» esclamò con i suoi classici occhi trasformati in due teschietti viola. Così, mentre l’animale era ancora sdraiato per terra, gli si avvicinò ed iniziò a fargli degli energici grattini a due mani dietro uno dei due corni della testa. «Ma sei pazza, Tia??» domandò Trunks scandalizzato. «Quel mostro ha un’aura incredibilmente potente… una sola zampata, e ti riduce in poltiglia!»
«Ma noooo!» rispose lei con leggerezza, come a voler sdrammatizzare le catastrofiche previsioni dell’umano. «Guarda come gode… scommetto che dei grattini così, il tuo padrone non te li fa mai!» In effetti, la belva sembrava apprezzare: ad occhi socchiusi, se ne stava distesa sulla schiena continuando ad emettere miagolii e fusa rombanti: «Rrrrrrrrrr… meowwoooweeooowww…!»
«Eppure alcune cose non mi tornano.» osservò Trunks perplesso. «Avrà anche un’aura straordinariamente forte, ma mi sembra molto mansueto! Come può rappresentare un pericolo…? E poi, altra domanda… dov’è il vostro famoso tesoro?» Così, vedendo che La Tia era assorta nel gioco con l’animale, si fece carico di ispezionare la stanza; ma trovò solo un gigantesco recipiente che faceva da scodella per l’acqua, un’altro che conteneva il cibo e, in un altro angolo, una lettiera per le feci. Di eventuali tesori, neanche l’ombra.
«Non solo…» precisò con delusione il mezzo Saiyan. «…ho cercato bene e, a parte il fatto che il tesoro non si trova, non c’è nemmeno l’accesso per un eventuale altro piano inferiore. Il che significa che siamo arrivati al capolinea. Ma mi ascolti, mentre ti parlo?!» domandò stizzito, vedendo che la demone sembrava più interessata a coccolare l’animale che all’adempimento della loro missione. «Mi sembra di essere rimasto l’unico, qua, a preoccuparsi del tesoro!!»
«Mh? Eh? Cosa..?» chiese La Tia, cadendo dalle nuvole. «Ho capito… fa tutto parte del piano di Conga per bloccare eventuali invasori ed intrusi!!»
«Ancora questa storia? Ma è una palese scemenza!»
«Pensaci… lussi e pornografia per bloccare gli scansafatiche come Cid… armi per gli amanti della guerra, come Niku… trappole per i cretini come Lokoto, e cuccioli dolci per le persone normali e perfettamente sane di mente come me! Ce n’è per tutti i gusti!»
«Tu sei tutta matta, lasciatelo dire…» sbuffò il giovane.
«Se ci fosse Makvel, saprebbe guidarci al meglio…» si lagnò la ragazza.
 
Nel frattempo, i sussulti causati dai continui rotolamenti del bizzarro animale incontrato da Trunks e La Tia  cominciarono a far preoccupare il proprietario della casa.
«Scusate…» disse il demone nerboruto, alzandosi in piedi. «C’è un po’ di agitazione al piano inferiore...» e con queste parole si allontanò, senza dare a Stinson il tempo di bloccarlo con qualche altra chiacchiera.
«Dannazione…» imprecò Makvel, quando Conga si allontanò. «Scoprirà gli altri! È vero che Niku e Trunks sono perfettamente in grado di tenere testa a tutti i pericoli, però… quando tornerà, potrebbe intuire che facciamo tutti parte di uno stesso gruppo.»
«Ce le suonerà di santa ragione! Propongo di volatilizzarci.» disse Stinson.
«Chissà se avranno trovato qualcosa di valore, però…» si domandò l’intellettuale. «Se i due più forti devono combattere, noi dobbiamo senz’altro aiutare gli altri a portare via tutta la roba più pesante…»
«Anche su questo hai ragione.» osservò il biondo damerino accarezzandosi il mento con la mano. «Scendiamo pure noi, ma con cautela e in silenzio…!»
Quindi la coppia di amici scese, trovando quelle stesse scale da cui i loro amici erano scesi prima. Ipotizzarono che anche Conga fosse passato di là nemmeno qualche minuto prima; eppure, dal piano inferiore, silenzio: non si sentivano voci o rumori che segnalassero la presenza di altre persone. Cosa stava accadendo? I due amici si fecero coraggio e si convinsero a scendere, come era necessario per chiarirsi le idee.
Si trovarono davanti lo sfarzoso arredamento del salone dove Cid si era fermato a sollazzarsi, e dove ancora si trovava, a sfogliare le riviste spintarelle tra uno scotch e un sigaro. La reazione di Stinson davanti a tutto quel lusso fu eccitata e commossa, come aveva previsto lo stesso Cid prima.
«Holla, people!» li salutò il centauro, non appena li vide entrare. «Volete favorire?» disse, allungando una scatola portasigari; mentre Stinson raccoglieva l’invito e si portava alla bocca un sigaro, Makvel interrogò Cid su quanto stesse accadendo. «…finora gli altri non si sono sentiti; non ho nemmeno sentito il segnale che avevamo concordato.»
«La cosa più strana è che non hai visto passare Conga da qui.» constatò Makvel. «¿Como es posible? Significherebbe che ci deve essere un altro passaggio, eppure sopra non mi pare di aver visto altri ingressi, a parte queste scale…»
 
La congettura appena formulata da Makvel trovò tempestiva conferma negli eventi che si stavano verificando al secondo piano sotto terra. Ivi era Niku, che controllava le varie armi trovate, desideroso di appropriarsene. Stava esaminando la lama di una scure il cui manico luccicante in metallo lo aveva eccitato fin da subito, quando sentì un rumore pesante di un masso che si spostava: in uno dei muri, una sorta di parete mobile si aprì. Da esso entrò Conga, che reggeva sotto braccio Lokoto. «Non so chi tu sia, ragazzino…»
«Mi chiamo Lokoto, signore.»
«… non mi interessa saperlo.» sbottò seccato Conga.
«Ah beh, no, siccome ha iniziato la frase dicendo “non so chi tu sia”, pensavo le interessasse.»
«Hai voglia di fare dello spirito? Per il momento ti incateno qua… oggi stanno accadendo delle cose che non mi piacciono molto.»
«Succede, signore!» disse il ragazzo con un sorriso ebete. «Le chiamano “giornate no”.»
«Non capisco se mi pigli per il culo o semplicemente sei un deficiente, sta di fatto che dopo sarò io a divertirmi… ah ah ah…» sghignazzò Conga, portandosi il giovane intruso all’altezza del proprio viso, in modo che i loro occhi si trovarono allineati per qualche istante: una luce di perfido sadismo brillava negli occhi di Conga. Il tono minaccioso della sua risata era messo in risalto dall’ambiente lugubre nel quale si trovavano. «Signore, ci sta provando con me?» domandò Lokoto con un sorriso sciocco, causando la furia del suo aguzzino, che lo scagliò violentemente sul pavimento dall’altra parte della stanza.
«Ho una voglia di schiacciarti la testa con una pedata che non ti immagini, idiota di un bastardo!» gridò Conga ma, mentre si dirigeva a passo svelto verso la sua vittima designata, si trovò davanti lo sguardo contrariato del piccolo Niku che gli si parava dinanzi.
«Esto es ma compañero. Fight conmigo! Yo soy… ya enemy!»
«Non capisco bene la tua parlata gergale… credo che tu venga dalla periferia estrema, non è vero? Si sente anche dall’accento di quell’altro! Cosa diavolo vuoi fare qua? Siete assieme, tu e quel deficiente?»
Come si sarà capito, Niku non era un amante delle chiacchierate e delle spiegazioni; oltre tutto, il dialogo risultava difficile per incompatibilità tra le due lingue. Senza indugi, il bambino demone sganciò la fibbia della sua ascia bipenne e la impugnò a due mani, con decisione, come se si apprestasse a compiere la battaglia più seria del mondo… ovvero quella che per lui era una delle tante battaglie.
«Vuoi suonarmele con la tua bella arma?!» chiese stupefatto il padrone di casa con un tono derisorio. «Tornatene a casa a ciucciare il latte della mamma, nanerottolo!»
A quelle provocazioni Niku – che, a differenza di Conga, capiva la lingua dell’avversario – balzò verso l’alto e si preparò a lanciare un fendente con l’ascia verso il basso, indirizzato alla testa di Conga. Il robusto demone saltò all’indietro, schivando per un soffio quel micidiale attacco. Poi, imbufalito come una fiera, staccò dalla parete un’alabarda, una delle tante armi appese a guisa di trofei, gridando: «Fai sul serio?! Come ti permetti di intrufolarti in casa mia e sfidarmi, bastardello!? Ora ti ammazzo come un cane!»
«Conga!» gli si rivolse Niku, minaccioso più che mai. «I’mma drinka… ya sangre!»
Lokoto si ritrasse e si rincantucciò in un angolo della stanza, per seguire il duello tra le due potenze. Lo scontro ebbe inizio con ardore: i due avversari incrociarono le lame con un poderoso fendente, dopo cominciarono a far tintinnare il metallo delle rispettive armi. «Mi sembra che questo antagonista manchi di una valida caratterizzazione psicologica… se ne sono visti di migliori.»
Poiché quei due sconsiderati di Cid e Stinson preferivano di gran lunga godersi i lussi del primo piano, Makvel si vide costretto ad avviarsi da solo verso il secondo piano. “Mi lasciano andare da solo per questa specie di palazzo… ignoranti como dos donkeys…” Mentre malediceva mentalmente i suoi due compagni con uno stato d’animo a metà fra la bonarietà e il disappunto, percorse celermente le scale e sfociò nella sala delle torture. Nemmeno a farlo apposta, l’ingresso si trovava vicino all’angolo da cui Lokoto stava facendo da spettatore; così i due amici si ritrovarono imprevedibilmente fianco a fianco. «Trunks e La Tia? Li ho persi di vista!» spiegò Lokoto, dimentico del fatto che invece era proprio lui ad essere scomparso poco prima, quando erano giunti in quel piano, senza nemmeno essersi reso conto del modo in cui ciò era accaduto.
«Lascia stare: ho intravisto delle scale là, vedi? Nell’altra parete… le avranno viste anche i nostri amigos, e saranno sicuramente scesi!» Così, serpeggiando lungo la parete, l’intellettuale si avvicinò alla porta che conduceva al livello inferiore, sparendo dalla vista senza essere adocchiato da Conga. Arrivò nella sala del Monster, e si trovò davanti la seguente scena: la gigantesca creatura era distesa sulla pancia, mentre La Tia le si era arrampicata addosso e le faceva i grattini e i massaggi sull’addome. La bestia scodinzolava festosa. «Ma... que d-diablo…??»
«Makvel!» esclamarono in coro i suoi due compagni di viaggio.
«Cosa sta succedendo qua?» li interrogò allora Makvel.
«Questa è l’ultima stanza dell’edificio! Pensavamo che fosse la stanza del tesoro, ma… niente tesoro! Ci sono solo quel gatto gigante… la lettiera, e la pappa per il micio!» fu la spiegazione frettolosa di Trunks.
Makvel diede un’occhiata più attenta alla bestia: date le dimensioni, non era facile riconoscerla subito, in uno sguardo d’insieme. A un tratto, l’animale interruppe le fusa con un rantolo e sbuffò dal muso di rettile un soffio di fiamma. «Che alitino focoso!» commentò divertita La Tia, ad occhi sgranati. Quel comportamento suscitò un ricordo nella mente dell’intellettuale, tratto dall’Enciclopedia degli animali demoniaci: «Quello… è un dragolince!»
 
Il duello imperversava. I colpi dei due contendenti si susseguivano rapidi, e l’eco metallica delle rispettive lame risuonava incalzante e poderosa nella sala delle torture. C’è da dire che Niku aveva a proprio favore uno o due secoli di allenamento, avendo iniziato da piccolissimo, quindi poteva vantare un paio di trucchetti elementari che Conga sconosceva. Dal canto suo, Conga godeva del vantaggio rappresentato dalla propria corporatura, nettamente più possente rispetto a quella del bambino: era un vero e proprio energumeno, e ciò gli consentiva di difendersi da buona parte dei colpi che l’avversario tentava di assestare. Fino ad allora, nessuno dei due era riuscito a danneggiare l’altro in modo profondo, sicché le loro braccia e i loro abiti esibivano solo tagli superficiali. Sembrava che maggiori danni avesse riportato l’arredamento rudimentale della stanza: il tavolo più grande era ridotto a pezzi, e qua e là nelle pareti si notavano alcune falle e crepe, ed alcune notevoli spaccature nelle pietre che le componevano; mucchi di pietrisco si erano accumulati sul pavimento, in corrispondenza delle rotture.
«Più o meno sono forti uguali!» si disse Lokoto, unico spettatore dello scontro, che sembrava avere qualche idea a riguardo, qualche piano che gli frullava per la mente. «Sono due champions, per resistere alle ferite delle armi che stanno usando… scommetto che sono quel genere di armi che piace tanto a Niku… e, quando dico QUEL GENERE, cari lettori, leggetelo con una particolare sottolineatura, perché è un elemento importante ai fini della trama.» concluse Lokoto strizzando un occhio e spezzando la barriera che lo divideva - come tutti i personaggi del nostro racconto - da voi, amici lettori.
«Mi stai distruggendo la casa, stronzetto!» sbraitò furibondo Conga, aspirando un paio di boccate d’aria per recuperare il fiato. Non riusciva a venire a capo del duello, e ciò lo esasperava. Il bambino era in posizione di guardia: il suo sguardo da felino predatore preannunciava come egli stesse elaborando un attacco. Conga comprese i suoi intenti: doveva a tutti i costi far fallire il prossimo colpo del bambino, qualunque cosa accadesse. Tutto si svolse nel giro di pochi secondi: Niku aveva intenzione di compiere una finta, saltando e ostentando di voler muovere l’ascia in senso verticale, dall’alto verso il basso, mentre all’ultimo momento avrebbe colpito trasversalmente. L’azione non avvenne: mentre il piede di Niku era puntato in avanti per dare lo slancio al corpo, Conga fu celere nel fare lo sgambetto al bambino con il manico dell’alabarda. Niku rovinò a terra, imprecando: «¡Mierda! Maldido hijo de puta!!» Conga ne approfittò per dargli un colpo di alabarda sulla testa.
«No! Niku!! E ora chi la sente, La Tia!?» esclamò Lokoto.
Sorprendentemente, Niku si rimise in piedi, seppur frastornato: sotto la maschera, però, dei rivoli di sangue rosso-purpureo scorrevano fino a colare lungo gli zigomi e ad affiorare lungo la porzione visibile del visetto arancione.
«M-ma… forse il mio colpo non era abbastanza energico?» iniziò a dubitare Conga. «Come può resistere?!»
“Possibile che non sappia come funzionano queste armi?” si domandava invece Lokoto. “Niku è un po’ più forte di lui… non di tanto, però, quindi…” ragionò, per poi annunciare a voce alta: «Niku… it’s time por el powa up!!»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE.
Per questo capitolo non mi vengono in mente precisazioni da fare; probabilmente avrete delle perplessità legate a dei punti rimasti in sospeso, ma il prossimo capitolo risolverà un bel po’ di cose! :-)

In questo capitolo ho introdotto Conga. Ecco a voi il suo aspetto:
  
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