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Autore: ElderClaud    27/07/2008    2 recensioni
Anche le macchine piangono... E quando lo fanno, lo fanno con sincerità. Senza per forza essere state programmate per farlo. Come per la morte del proprio creatore.
(piccola one shot sull'alieno Predator! Ripostata e completamente restaurata)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore:
Questa one shot l'avevo pubblicata parecchio tempo fa come fanfiction fantascentifica. Anche se in realtà, di fantascientifico aveva ben poco! Io comunque ci riprovo! L'avevo tolta perchè mi ero accorta che era troppo piena di errori di punteggiatura e la storia era troppo minimalista. Di conseguenza, eccovi la one shot sull'alieno Predator bella che restaurata! Per chi non lo sapesse, predator ( visto per la prima volta nell'omonimo film per poi spopolare maggiormente in fumetti e romanzi) è un cacciatore alieno con l'unico scopo nella sua vita di collezionare trofei ed ottenere così sempre più onore e gloria. Tuttavia possiede un senso dell'onore profondo, che lo porta a non uccidere chi è disarmato e gli innocenti in generale. Per questo lo reputo una creatura estremamente affascinante! anche perchè di lui si sa poco o niente! Si vocifera che i predator siano i discendenti diretti degli Dei, e per questo è spiegata la loro strana colorazione del sangue e la loro lunga vita (campano fino a mille anni). Inoltre, pare che siano pure una società matriarcale... Più interessante di così ^^!
Comunque sia... Buona lettura!


- - - - - - - - - - -


Erano veramente lacrime quelle?


“Cos’è questa cosa?”


Erano umide al tocco, e le facevano male
Da dentro…


“Io sto… Piangendo…?!”


Si sentiva strana.
Il suo corpo sintetico tremava lievemente senza capirne il motivo, ma non vi erano danni alla struttura. Non vi erano rotture di nessun tipo.

Eppure tramava

Non vi erano perdite all’impianto di idrogeno.

Eppure piangeva Era successo tutto così in fretta…
Non se n’era neppure accorta!
Aveva avvertito una presenza estranea all’interno del complesso industriale in cui lei lavorava, ma giù di lì non aveva dato troppo peso alla cosa.
Si trattava di un centro di ricerche dopotutto, e quindi era normale che ci fosse un via vai di gente, camici bianchi, operai, soldati… creature non umane…
Che sbaglio aveva fatto! Solo ora se ne accorgeva! Ora che era lì a terra. Inginocchiata di fronte a un corpo senza testa.
Intenta ad osservare “ il suo” aguzzino che per nulla intimorito dalla sua presenza continuava tranquillamente a straziare quel corpo senza vita.

Il corpo del suo creatore
Non era un essere umano, per quanto ci assomigliasse... Ma non era umano.
Il suo creatore gliene aveva parlato una volta.
O meglio solo accennato…

Un predatore alieno
Venuto dalle stelle
In cerca di trofei
In cerca di gloria
Nient’altro.

Troppo poco come descrizione. Ma era tipico di lui, lasciare tutto nel vago.


“Tu non stare a preoccuparti…”


Le diceva sempre. Il suo creatore era sempre così riservato che lei non se la sentiva mai di insistere. Di disobbedire agli ordini. Non se la sentì neppure di indagare oltre le parole appena accennate su quella strana creatura aliena. Creatura che decise di scrutare con occhi colmi di liquido sconosciuto.
Lo guardò meglio lei. Soffermandosi ad osservare meglio la sua armatura lucente.

Sembra un samurai...

I capelli “rasta” che gli cadevano sulle spalle liberi e sensuali. In contrasto con l'aspetto minaccioso.

Sembra un guerriero masai…

E quelle lame terribili che avevano straziato senza pietà il suo creatore. Macchiandosi di sangue scarlatto e lucente. Spargendolo ovunque sul bianco pavimento di quel laboratorio asettico.
Pianse lei, di nuovo alla vista di quel sangue conosciuto.
Perché stava piangendo?
Non era rotta, questo lo aveva già appurato.
Né le era stato impiantato nessun programma difettoso. Non esistevano programmi difettosi… Lei, loro, dovevano essere perfetti.
Allora perché stava piangendo?


“Tu...”


iniziò a dire lei, quasi senza accorgersene


“Dimmi perché…”


Perché gli stava parlando? non lo avrebbe saputo dire con certezza…lei voleva solo delle risposte in quel momento.


“Io piango…”


La voce rotta dai singhiozzi, le lacrime che le rigavano copiose il volto di porcellana.
Riprese fiato e tornò a parlare con più decisione.


“DIMMI PERCHE’ IO STO PIANGENDO!!!”


urlò infine disperata. Quasi senza accorgersene. Con i circuiti ormai impazziti e con la mente nel passato.
Al giorno in cui era nata, creata, montata, perfezionata. Ed infine plasmata a forma umana.


“Ecco, questo cavo va qui…”


Quelle furono le prime parole che udì.
Un po’ lontane, un po’ disturbate, ma furono comunque le sue prime percezioni
Era la voce di lui. Di colui che le aveva donato la vita.
Davvero difficile da dimenticare.
In quel periodo sentiva solo le voci e basta. Non era in grado né di camminare, né di guardare.
Per cui imparò a conoscere quella voce piano, piano.
E la voce balbettava, rideva, bestemmiava, imprecava quando sbagliava e alla fine... Piangeva anche.

Poi lui le donò la vista.
E si emozionò non poco della cosa. Finalmente poteva vedere il suo volto!
Un uomo.
Né bello, né brutto.
I capelli castani venati di bianco.
Lo sguardo stanco ma felice allo stesso tempo.
Sorrise lei, di rimando a lui. Era ancora troppo presto perché lo facesse di sua spontanea volontà. Come un neonato che reagisce di riflesso istintivo.
Si abituò a quel volto, a quel sorriso caldo e umano. E a quel laboratorio, freddo e squallido.
Poi lui le donò le gambe.
Arti meccanici in lega di titanio per permetterle di “volare”, come diceva sempre lui, sulla terra.
Ed insieme provarono quei primi, incerti passi.
Lui la sorreggeva aiutandola a mantenere l’equilibrio.
Poi la lasciava andare, e si commuoveva alla vista di lei che camminava da sola.
E si preoccupava, quando cadeva miseramente a terra. Come un genitore che assiste ai primi passi del figlio concepito.


“Magari ti installo un programma adatto…”


Diceva lui, aiutandola a tirarsi su. Quasi cercando di discolparsi per i suoi primi errori.
Poi finalmente imparò a camminare. Con somma gioia del suo creatore.
E arrivò quindi il momento di insegnarle a parlare.
Le lettere dell’alfabeto, le prime frasi insensate e quelle coordinate. Fu un'esperienza ancor più difficile dell'imparare a camminare!


“Magari ti sistemo l’audio…”


Sussurrava spesso l'uomo imbarazzato. Per la strana voce della sua creatura. Così cupa e in contrasto con l'aspetto delicato.


“La tua voce… è come dire…Troppo meccanica?!”


E lui come promesso le donò una voce femminile.

E dopo quel dono prezioso non era rado che i due discutevano. Di letteratura e di scienza per lo più.
Lui le faceva leggere tutti quei libri noiosissimi… Era un'autentica tortura!
“I Fiori del Male”…. “Moby Dick” … “Odissea”…
Lei imbronciata, studiava quei titoli, senza comprendere il significato di tale azione… Ma lui le sorrideva dicendole che serviva per farsi una cultura.
Per provare emozioni…
Già emozioni!
Provò qualcosa di simile ad una emozione un giorno di non molto tempo fa. Il suo sguardo cadde su di una foto che li ritraeva assieme.

Strano…

Non avevano mai fatto foto assieme.

E alla domanda innocente di lei che chiedeva quando avessero scattato quella foto, lui si intristì.


“Quella non sei tu…quella è… era mia figlia…


Freddo…

Stranamente provò freddo nel suo cuore meccanico. Era una emozione? Era dolore?
Ad ogni modo, non era nulla in confronto a quello che provava ora. Al fatto che non fosse riuscita a proteggerlo!
Era successo tutto così dannatamente in fretta…
L’alieno si era fiondato dal soffitto del laboratorio con una velocità e una grazia incredibili.
Lei quasi non se ne accorse, fu così silenzioso… Come un rapace notturno che cattura la sua preda di notte.
Ma lui si.
Se ne era accorto e si mise in mezzo tra lei e il cacciatore, con in mano una pistola letale.

Che errore.

Errore che gli costò la vita. Era morto per proteggerla. Lui era morto per proteggere lei, un sintetico.
Sarebbe dovuto succedere l’incontrario, loro, i sintetici , erano programmati per proteggere le persone! E invece…

Perché lui…?

Tornò infine con la mente al presente.
Lei ancora piangeva. Le lacrime ancora scendevano giù sul suo volto stravolto.
Piangeva di dolore.


“Spiegamelo maledizione! Perché sto piangendo?! PERCHÈ?!?”


E lui, il cacciatore, la guardò dall’alto. Piegò il capo con somma grazia e lentezza. Facendo scendere un poco i suoi lucenti rasta decorati di preziosi anelli d'oro.
Il suo volto alieno era coperto da una maschera metallica. Così lucente da sembrare di argento vivo, decorata di intarsi pregiati che la rendevano preziosa e la facevano rendere ancora più in contrasto con l'orrida creatura.
E lui, l'orrida creatura, scrutava con curiosità, mista a sorpresa, la reazione del sintetico. La guardò a lungo e in silenzio. In irritante silenzio.
Poi parlò, con voce fredda e cupa. Camuffata dall’elmo metallico.


“Tu piangi… perché sei umana!”


La voce fredda e metallica parlò così alla miserabile creatura. Pronunciando parole più che vere. Poi, si caricò il cadavere dello scienziato, il suo trofeo, sulle spalle.
E se ne andò definitivamente da quel luogo di morte.
Lasciandola completamente sola.


Al suo dolore


Alla sua umanità


   
 
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