There’s nothing we can do now
Si trovavano sul ponte della Sunny,
faccia a faccia, pronti ad affrontarsi duramente. Sarebbe sembrato un momento
come tanti, giacché erano soliti scontrarsi, ma quella volta tutto era diverso:
la posta in gioco era fin troppo alta, a differenza dei loro consueti
battibecchi, nati più per gioco che per motivi fondati.
Zoro teneva lo sguardo fisso
sull’oceano, incapace di guardare la persona che aveva di fronte; ormai non
nutriva più alcun rispetto per lei, non la riteneva degna neppure di
un’occhiata in tralice.
Avevano costruito la loro segreta relazione
su due pilastri fondamentali: onestà e fedeltà. Lei non era riuscita a
dimostrare nessuna delle due, mettendo addirittura in mezzo un altro membro
dell’equipaggio ed alterando nuovamente l’equilibrio che si era stabilito tra i
Mugiwara.
Forse l’aria di Water Seven aveva
fatto male alla ciurma, chi poteva dirlo. Al di là di ciò, le colpe della
navigatrice erano indiscutibili ed a causa di esse il Cacciatore di Pirati si
trovava tra due fuochi: il suo orgoglio, che gli urlava di abbandonare i suoi
nakama per leccarsi in solitudine le ferite, ed il suo capitano, che confidava
in tutti loro per realizzare il suo sogno.
Aveva scelto di restare unicamente per
Rufy, ma doveva ancora affrontare la cartografa: da quando Zoro aveva ricevuto
quella “sorpresa”, non si erano più parlati ed ora era giunto il momento di
dirsi la verità. Chissà cosa avrebbe deciso in seguito a quella discussione,
una volta sputato tutto il veleno che aveva in corpo dall’istante in cui Sanji
gli aveva parlato.
In quegli interminabili attimi di
silenzio, lo spadaccino ripercorse quella maledetta sera in cui il suo cuore
andò in frantumi. Tutti erano andati a dormire, così da salpare l’indomani al
pieno delle forze, tuttavia il verde aveva altre intenzioni; visto che avevano
tutte stanze singole, voleva approfittarne per fare visita a Nami e passare del
tempo insieme, senza il timore di essere scoperti dagli altri nakama.
Mentre si avviava senza fare il benché
minimo rumore verso il suo obiettivo, la porta di una camera alle sue spalle si
aprì e ne uscì il cuoco con un sorriso smagliante.
Imprecando tra sé, si voltò e cercò di
assumere la tipica aria strafottente con cui lo guardava.
«Ohi damerino! Che diavolo stai
combinando?» bisbigliò apparentemente annoiato. L’altro sussultò, pur
mantenendo l’espressione felice e beata che aveva, cosa assai rara quando i due
interloquivano.
«Oh! Sei tu Marimo! Potrei chiederti
lo stesso, anche se già immagino le tue intenzioni: dato che sono di buon
umore, ti accompagno in cucina, dai…».
«In cucina?» ripeté interdetto il
ragazzo, non capendo cosa volesse dire il compagno. Il biondo a sua volta
scosse la testa sghignazzando, probabilmente credeva che lui stesse cercando di
negare l’evidenza.
«Avanti, so benissimo che stavi
andando a bere: vengo con te, almeno in questo modo non dovrai spaccare il
lucchetto del frigo…».
Lo spadaccino non poté dimenticare la
quantità di maledizioni che gli mandò contro. Proprio ora che non aveva bisogno
di sakè, quel deficiente gli offriva la sua complicità? Il tempismo non era
esattamente il suo forte…
Suo malgrado, si ritrovò a seguirlo
borbottando una serie di parole sconnesse, ancora ignaro di quanto stava per
accadere. Raggiunsero silenziosamente la piccola stanza, contenente un tavolo
di legno circondato da una dozzina di sedie del medesimo materiale, ed un
frigorifero posto in un angolo.
Il Cacciatore di Pirati prese
svogliatamente posto, accompagnando il gesto con un sonoro sbuffo, mentre
l’altro inseriva la combinazione giusta, in modo da prendere due bottiglie di
liquore. Gliene porse una, sempre con quel sorriso ebete stampato in faccia,
cosa che lo irritava non poco.
«Si può sapere che cavolo hai? Tutta
questa improvvisa gentilezza non mi convince, e quell’espressione odiosa non è
d’aiuto, anzi…».
Il cuoco rimase in silenzio per
qualche attimo, chiedendosi probabilmente se fosse il caso di rilevargli a cosa
stesse pensando. Doveva essere giunto alla conclusione che si trattava di una
bella sorpresa, perché si decise a parlare.
«D’accordo Marimo, hai vinto: ti dirò
tutto! Hai presente quello che è successo ad Enies Lobby? Mi riferisco all’episodio
in cui ho dimostrato a Nami-swan fin dove arriva il mio spirito cavalleresco…»
aggiunse leggendo la perplessità nel suo volto. «Ebbene, io e la mia splendida
dea abbiamo rievocato insieme quel memorabile evento, e indovina un po’? Ci
siamo baciati!!! Ho avuto l’onor…».
«Cosa hai detto?» gli chiese tra i denti, il
cuore che batteva all’impazzata ed il sangue che saliva al cervello.
Continuava a ripetersi che non poteva
essere vero, che doveva essere un’altra delle sue fantasie, che la navigatrice
non gli avrebbe mai fatto questo.
«Hai capito bene! Finalmente ho potuto
assaggiare quelle deliziose labbra rosate, da me tanto agognate! Aaaah! Non
immagini neanche di quale delizia si tratti, un’estasi indescrivibile…».
Mentre quello descriveva ogni
dettaglio di quel momento, Zoro si sentì morire: aveva abbassato la barriera
che proteggeva i suoi sentimenti dal mondo per condividerli con quella strega
ingrata?
Come aveva fatto ad essere così sciocco
da lasciarsi prendere in giro?
Allora era quello il motivo per cui
lei non voleva sbandierare ai quattro venti la loro relazione: in questo modo
avrebbe avuto campo libero con Sanji e con tutti quelli che le facevano il
filo.
Quanto era stato stupido!
Il cuoco doveva aver compreso
qualcosa, forse aveva notato il suo irrigidimento, perché gli domandò cosa
avesse. Per tutta risposta, il Cacciatore di Pirati gli aveva intimato di
andarsene, gli occhi neri fiammeggianti ed il volto sfigurato dall’ira.
Borbottando il suo dissenso, il nakama
tornò nella sua camera, lasciandolo solo con l’alcol, la rabbia e la
sofferenza. Passò tutta la notte a bere, meditando sul da farsi.
La sua anima chiedeva a gran voce
vendetta, ma lui non voleva infrangere il suo codice d’onore; d’altra parte era
talmente furente da sapere di non poter trattenersi, ragion per cui cominciò a
valutare la possibilità di abbandonare la ciurma.
Perché doveva restare in compagnia di
una strega per cui non nutriva alcun rispetto? Come avrebbe fatto a garantire
l’incolumità di una persona che disprezzava? Sarebbe stato controproducente per
tutti, di questo era sicuro, ma Rufy l’avrebbe pensata allo stesso modo?
Sicuramente no, quindi?
Si sentiva confuso, frustrato,
furioso, devastato; stava precipitando in un baratro oscuro e profondo, senza
aver la minima idea di come sottrarsi a quel misero destino.
Aveva perso il suo punto di
riferimento principale: lei era il suo sole, capace di illuminare le giornate
grigie. Era la sua terra, in grado di sostenerlo quando si sentiva vacillare.
Gli aveva detto che lo amava e lui le
aveva creduto, sembrava così sincera: ma allora perché lo aveva lasciato da
solo? Perché lo aveva tradito?
Bottiglia dopo bottiglia, si rese
conto di non poter fingere di non sapere: doveva dirglielo, o non sarebbe più
riuscito a guardarsi allo specchio. In fin dei conti, pensò, non era mai
riuscito a tacere ogniqualvolta qualcuno lo feriva nell’orgoglio, era più forte
di lui.
Fu così che, passata la notte e
scampati alla Marina, si era recato sul ponte di poppa, in attesa del fatidico
scontro. Sapeva che Nami lo avrebbe raggiunto, sebbene non fosse certo delle
motivazioni che l’avrebbero spinta.
Aveva imparato a comprendere le sue
intenzioni dal rumore dei suoi passi: quella volta i tacchi emettevano flebili
suoni, come se fossero intimoriti e colpevoli.
Si voltò lentamente, pronto a rivolgerle
un rapido sguardo colmo di delusione ed amarezza. Vedendo quella reazione, gli
occhi nocciola di lei furono attraversati da un insieme confuso di emozioni: il
timore lasciò spazio allo stupore, seguito dal tormento per poi cedere il posto
alla paura.
Scuotendo la testa, il verde spostò la
sua attenzione verso il mare, unico testimone del dialogo che minacciava di
destabilizzare gli equilibri all’interno della ciurma.
La navigatrice aprì la bocca un paio
di volte, ma non ne uscì alcun suono. La gola le si era occlusa, la voce le si
era spenta, la lingua le si era annodata.
Zoro sorrise amaramente, per la prima
volta era riuscito a lasciarla senza parole; se fosse stata un’altra occasione,
ne avrebbe certamente gioito, però in quel frangente non ne era capace.
«Non serve che tu dica cosa hai fatto,
strega…» disse con voce tagliente lo spadaccino, «Lo so già, l’ho scoperto
grazie al cuoco!».
Guardò di sottecchi la rossa e la vide
tremare, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime; abbassò mesta lo
sguardo, mordendosi il labbro inferiore per non piangere. Il Cacciatore di
Pirati sentiva tutta la rabbia accumulata premergli contro il petto, desiderosa
di fuoriuscire per annientarla.
Si volse nuovamente verso di lei, stringendo
i pugni talmente forte da far diventare le nocche bianche.
«Vedo che hai preso al volo
l’occasione ed hai fatto altri piani, senza preoccuparti di me, di NOI, giusto?».
La ragazza continuava a fissare il
pavimento in silenzio, schiacciata dalle sue stesse colpe.
«Fammi indovinare: era da un po’ di
tempo che provavi qualcosa per Sanji, ma in principio non ti sembrava corretto
nei miei confronti. Solo che, invece di parlarne con me, ti sei tenuta tutto
dentro, finché non hai visto di cosa era capace la galanteria di quello
stupido, dico bene?».
La cartografa tacque.
«Così hai iniziato ad immaginare la
tua vita con quel damerino, arrivando al punto di baciarlo… Gran bella
trovata, lasciamelo dire…».
Ancora silenzio; il ragazzo
s’infervorò al punto tale da iniziare a camminare avanti e indietro davanti a
lei, il volto arrossato e lo sguardo infiammato.
«Scommetto che non hai pensato che
quello che stavi creando sarebbe andato distruggendosi: tu che sei tanto brava
a fare i conti, hai fatto un errore di calcolo, che buffo! Non hai pensato che
il cuocastro rivolge quelle attenzioni a tutte le donne, e non solo a te come
desideravi? Inoltre, non hai tenuto in considerazione i sensi di colpa nei miei
confronti, corretto?».
Di fronte a quell’ostinato mutismo,
Zoro digrignò i denti, domandandosi cosa diavolo stavano facendo. Stava per
perdere definitivamente la pazienza, quando finalmente Nami ritrovò l’usò della
parola.
«I-io… Io ho sbagliato, lo so bene
questo, così come so che non c’è nulla che io possa dire per scusarmi. Sono
stata sciocca e capisco che tu sia arrabbiato, tuttavia sono certa che insieme
potremo superare tutto questo, magari col tempo…».
Sentendo ciò, lo spadaccino andò su
tutte le furie: come poteva anche solo sperare in una cosa del genere? Con
quale coraggio pensava che le avrebbe concesso una seconda occasione per
spezzargli il cuore?
«Certo che hai davvero una gran faccia
tosta! Prima tradisci la mia fiducia e poi mi chiedi di superare tutto questo?!
Ma per chi mi hai preso?! Devi avermi confuso con qualche altro ragazzo…»
aggiunse sprezzante. Il volto della rossa venne solcato dalle prime lacrime,
mentre lei perdeva ogni ritegno: dopo quello che aveva fatto, non poteva
pretendere di uscirne indenne, per questo motivo cadde in ginocchio e si
aggrappò alla pancera per pregarlo.
«Ti scongiuro, non farlo Zoro: sono
sicura che tra noi c’è ancora qualcosa, il nostro è sempre stato un legame
forte…».
Il giovane scoppiò a ridere,
palesemente disgustato dalla compagna. Se credeva che bastavano un paio di
frasi pronunciate con tono supplichevole per sistemare tutto si sbagliava:
aveva scherzato col fuoco ed ora era troppo tardi per arrestare quell’incendio,
le cui fiamme erano piene di ira e delusione.
«I tuoi ponti sono stati bruciati: ora
è il tuo turno di piangere per me un fiume di lacrime, mi dispiace strega!».
La cartografa continuò ad implorarlo,
rimettendosi in piedi e cercando di prendere il suo viso tra le mani tremanti,
ma fu tutto inutile: lo spadaccino la allontanava, irremovibile nella sua
decisione, al punto da costringere Nami a giocarsi la carta finale.
«Io non ti credo, se fossi davvero
così inflessibile, allora perché ti saresti imbarcato sulla Sunny? Sappiamo
entrambi che la situazione diverrebbe insostenibile per tutta la ciurma se ci
lasciassimo. Dopo quello che abbiamo passato, daresti un simile dispiacere agli
altri?».
Il guerriero la fissò sgomento e nel
contempo furibondo, ci voleva proprio un bel coraggio per cercare di ricattarlo
dopo quanto era accaduto.
«Vedi Nami, io non sto giocando a fare
il pirata: se mi sono unito a Rufy, è stato per realizzare il mio sogno e per
aiutarlo a realizzare il suo. IO mantengo sempre la parola data, perciò ho
deciso di restare, al di là delle nostre divergenze…» affermò con voce
perentoria, spostando lo sguardo da lei alla Jolly Roger e viceversa.
«Il danno è fatto, strega: vedi di
fare buon viso a cattivo gioco, fine della discussione!».
Prima che lei potesse dire o fare
altro, Zoro si avviò verso la palestra, pronto ad allenarsi per scaricare la
tensione accumulata. Non c’era nulla che potessero fare ora, la loro passione
era stata spenta dal gelido vento del tradimento, spargendo nell’aria i
frammenti del suo cuore come se fossero stati fatti di cenere.