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Autore: 1rebeccam    12/05/2014    13 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 32
 

 
Era partita a tutto gas, con le mani strette al volante e la mandibola serrata. La fronte del tutto corrucciata e gli occhi fissi davanti a sé.
Castle cercava di tenersi saldo al sedile, ma il formicolio alle mani gli dava la sensazione che fossero anchilosate e non riusciva a mantenere la stretta.
La guardava sott’occhio.
Era tesa e nervosa.
La lite che aveva avuto con se stessa, quando si era rifugiata nel bagno del distretto, l’aveva sfinita ancora di più.
Oltre a questo, la stanchezza cominciava a fare da padrona per tutti e l’unica cosa che li teneva in piedi al momento, era l’adrenalina di potere trovarsi faccia a faccia con il Professore entro pochi minuti.
Castle aveva un brutto presentimento, ma non lo aveva esternato.
Il Professore era un complice, ma Dunn non si sarebbe fermato davanti a niente, soprattutto non era nelle sue corde lasciare testimoni in giro… e il Professore, dava l’aria di essere succube di Dunn, di essere stato costretto a fabbricare la tossina, quindi poteva essere definito un testimone scomodo.
Mentre Kate continuava a pigiare il piede sull’acceleratore, i suoi battiti cardiaci acceleravano in maniera proporzionale.
Era spaventato. La paura che sentiva in corpo era di gran lunga superiore a quella che aveva provato la mattina precedente, quando Dunn lo aveva immobilizzato in mezzo al nulla.
Adesso sentiva una paura incontrollabile, respirava a fatica e non riusciva a calmare i battiti.
Il Professore poteva essere la sua ultima speranza e quella corsa silenziosa e al buio, per non destare sospetti, lo stava mettendo in guardia da quella che poteva essere la realtà.
Dunn non lasciava testimoni.
Dunn dettava le regole.
Dunn era sempre un passo avanti a loro.
Non riusciva a tranquillizzarsi nemmeno guardando Kate.
Era certo che sentisse le stesse sensazioni, perché evitava di guardarlo, come se non volesse agitarlo ulteriormente.
Sospirò ancora una volta, in modo molto pesante. Lei gli mise una mano sulla sua e la strinse così forte, che lui sentì il dolore espandersi per tutta la colonna vertebrale.
Il veleno stava facendo bene il suo lavoro. In maniera lenta e sistematica. Il suo corpo era diventato come un pezzo di cristallo, pronto a rompersi al primo scossone.
Il dottor Travis aveva ragione: per quanto il cervello volesse restare vigile e lucido, il corpo cominciava a non rispondere più.
A questo si univa un pensiero che lo ossessionava ormai da un paio d’ore, da quando cioè, era rimasto solo al distretto senza Kate. Prima o poi avrebbe dovuto cedere e restare in ospedale. Lei avrebbe continuato le indagini e la caccia sfrenata. Non si sarebbe fermata per niente al mondo e questo significava non potere averla vicina.
Questo lo spaventava ancora di più.
-Ci siamo…-
Gli aveva detto Kate, parcheggiando dietro l’auto pattuglia che li stava aspettando. Era scesa velocemente, raggiungendo i colleghi in divisa, chiedendo loro maggiori informazioni su quello che avevano scoperto.
Lui era rimasto in macchina.
Guardava lei, Ryan ed Esposito gesticolare con i colleghi e fare segno con le mani verso la casa, per decidere come agire e come prendere di sorpresa Lester Downing.
Si era voltato a guardare la casa. Se non si fossero fermati frontalmente ad essa, non l’avrebbe nemmeno notata. Il giardino non era illuminato, il cielo era cupo, non c’erano né luna né stelle e l’enorme albero, proprio lì davanti, la nascondeva alla strada.
Si soffermò a guardare proprio quello. L’enorme albero. Una maestosa quercia.
Mentre ammirava la sua grandezza, le voci sussurrate di Kate e dei colleghi gli arrivarono ovattate attraverso il finestrino chiuso. Si girò verso di loro senza riuscire a capire cosa dicessero, ma era evidente che i due agenti, che lui non conosceva, mostravano loro la planimetria della casa, dando ad intendere dai movimenti che, oltre il piano terra e il primo piano, c’era anche una cantina sotto il livello della strada.
Dal loro gesticolare capì che, una volta dentro, si sarebbero divisi per cercare proprio la cantina, dove probabilmente c’era il laboratorio in cui il Professore aveva sintetizzato il veleno.
Spostò lo sguardo ancora una volta sulla casa, una villetta a due piani le cui finestre mostravano il buio all’interno; solo al piano terra, da quello che probabilmente era il soggiorno, proveniva una flebile luce.
Sollevò lo sguardo verso il tetto e notò un sottile filo di fumo provenire dalla canna fumaria, che si confondeva con il nero della notte. Probabilmente il Professore aveva lasciato il camino acceso prima di andare a dormire.
Aprì lo sportello e si decise a scendere, lentamente, con difficoltà. Cercò di non darlo a vedere, appoggiandosi al tetto dell’auto con le braccia, continuando a fissare la casa e la quercia.
I rami si muovevano pesanti sotto la neve che si era gelata su ognuno di essi. Dondolavano disegnando a terra strane ombre geometriche.
Corrucciò la fronte e strinse le palpebre per cercare di mettere meglio a fuoco quelle ombre che sul terreno, stranamente, non si muovevano.

-Tu resta qui!-
La voce di Kate lo fa voltare di scatto, dimenticando le ombre, i rami e il silenzio che si è creato intorno a lui.
Senza ribattere nulla, annuisce.
Contrariamente a quello che si aspettava Kate, lui annuisce senza fiatare, senza esitazione, senza nemmeno provare a ribadire  e lei, per un attimo si sente persa, perché il fatto che non voglia seguirla, significa solo che non ne ha la forza.
Il suo viso è stanco e si è accorta che muoversi gli costa grande fatica. E’ preoccupato e non sta bene.
-Non sappiamo se Downing è armato, ma qualunque sia la sua reazione, ci serve vivo.-
Dice ai colleghi senza distogliere lo sguardo da lui, mentre loro si avviano per mettersi in posizione. Carica la pistola e raggiunge Esposito.
Castle li guarda avanzare lentamente e il suo nodo in gola si stringe fino ad impedirgli di respirare. Tossisce un paio di volte e, come attirato da una calamita, il suo sguardo torna sulla quercia, sulle ombre in movimento dei suoi rami, sulle ombre immobili ai piedi dell’enorme tronco.
Stringe ancora gli occhi per cercare di mettere a fuoco quel qualcosa che non vede, ma che è sicuro che c’è.
Sposta di nuovo lo sguardo su Kate, che si avvicina cautamente alla porta d’entrata, per tornare a guardare immediatamente le ombre.
Riesce a fatica a fare il giro dell’auto, appoggia la mano sul portabagagli e fa un respiro profondo, guardando ancora verso i colleghi, che sono ormai sulla porta. Esposito sta armeggiando con la serratura.
Trascinando la gamba destra, che ha deciso improvvisamente di non rispondere più all’ordine del cervello, che urlava di muoversi, si avvia verso il grande albero, con gli occhi sempre puntati su quell’ombra immobile ai suoi piedi. Ogni passo è pesante, sente come se un cappio gli si stringesse intorno al collo impedendogli di respirare a fondo, non solo perché c’è di nuovo quel peso nel petto che gli smorza il respiro o perchè il dolore lo rallenta nei movimenti, ma soprattutto, perché ad ogni passo i suoi occhi si abituano al buio intorno.
Ad ogni passo riesce a delineare i contorni, i contorni prendono forma ed una volta accanto alla quercia, appoggia la mano al tronco, per sorreggersi.
Chiude gli occhi e deglutisce.
Il suo presentimento è appena diventato realtà.
Cerca di fare un respiro profondo e istintivamente solleva gli occhi verso il cielo, per riuscire a prendere aria.
In quel momento nota l’ombra che dondola sopra la sua testa.
Una lacrima rossa di sangue sembra scendere lentamente sul viso disperato di una donna, il movimento dei rami fa sembrare vero il percorso che solca la guancia, tanto che per un attimo ha l’impressione che una goccia di quel sangue possa cadergli addosso.
Deglutisce ancora, mentre il respiro diventa tanto pesante, da fargli girare la testa.
Solleva lo sguardo su Beckett, Esposito ha appena fatto scattare la serratura, lo capisce dal movimento del capo di lei, che impugna la pistola all’altezza del viso e si mette in posizione per entrare.
Guarda di nuovo la sagoma immobile ai suoi piedi, fissa gli occhi in quelli vitrei che lo guardano, ma non possono vederlo e chiude la mano appoggiata al tronco in un pugno, senza riuscire a stringerla come vorrebbe la sua rabbia, perché il dolore glielo vieta.
-Beckett!-
Sussurra sollevando la testa.
-Kate!-
Cerca di alzare la voce per attirare la loro attenzione, ma il respiro gli muore in gola, mentre quello sguardo vuoto continua a scrutarlo.
Chiude gli occhi e respira profondamente.
-Kate!-
Non è sicuro di essere riuscito ad alzare la voce, ma quando riapre gli occhi e guarda verso la casa, vede Beckett e gli altri con gli occhi fissi su di lui.
Nota lo sguardo accigliato di Kate, disorientata dal perché si sia allontanato dall’auto, per avvicinarsi a quella quercia. Va verso di lui, facendo segno ai colleghi di aspettare un momento, ma dopo qualche passo si ferma, abbassando lo sguardo. Anche lei ha visto l’ombra.
-Santo cielo!-
La sente esclamare, mentre accelera il passo per correre verso di lui, cosa che fanno anche Ryan, Esposito e gli agenti di rinforzo.
Si fermano ad un passo da lui, con gli occhi sbarrati sopra il corpo senza vita di Lester Downing.
-E’… è il Professore!-
Sussurra Rick in mezzo al silenzio, rotto solo dal fruscio dei rami sopra le loro teste, che si confonde con il suo respiro pesante.
Esposito s’inginocchia per controllare il corpo da vicino.
-Gli ha tagliato la gola da parte a parte…-
Digrigna la mascella, illuminando la zona circostante con una torcia tascabile.
-Non c’è sangue qui intorno.-
-L’avrà ucciso in casa. Ma perché prendersi la briga di trascinarlo qui fuori?-
Chiede Ryan con gli occhi fissi sul cadavere.
-Per essere sicuro che avremmo trovato il suo capolavoro.-
Risponde Castle sollevando gli occhi verso i rami della quercia, mostrando a tutti il manoscritto che ciondola sulla sua testa.
Ha appena il tempo di allungare la mano per prendere il manoscritto, che il fragore dello scoppio e l’onda d’urto che ne segue li scaraventa a terra, senza che riescano a capire cosa li abbia travolti all’improvviso.
Scuotono la testa lentamente, mentre una nube nera e polverosa li avvolge, tanto che per un attimo non riescono nemmeno vedersi l’un l’altro.
-Castle… stai bene?-
Esposito si alza prontamente, aiutando l’amico a rimettersi in piedi, sospirando quando vede i colleghi fare altrettanto.
-Siete tutti interi?-
Chiede Ryan con gli occhi fissi su quello che resta della casa di Lester Downing. Restano accucciati su se stessi per qualche secondo, mentre ancora i resti dell’esplosione volano in aria e ricadono rovinosamente anche vicino a loro.
-E così ha cancellato ogni traccia possibile!-
Sussurra Beckett mentre tutti guardano nella stessa direzione e la nube di fumo, dall’odore acre e pungente, continua ad avvolgerli.
-Oltre ad uccidere noi!-
Esclama Ryan.
-Se Castle non avesse notato il cadavere…-
Lascia la frase in tronco e si volta a guardare l’amico, che deglutisce.
Attraverso la polvere densa e i detriti che continuano a cadere lenti verso il terreno, si intravedono fiamme sempre più alte provenire da sotto le macerie.
-Dobbiamo spegnere l’incendio, aiutatemi!-
Esclama Kate, avviandosi a passi svelti verso la casa.
-Beckett fermati!-
Le urla Esposito, mentre lei continua ad avanzare verso l’ammasso di rovine e fuoco.
-Dobbiamo spegnere l’incendio…-
Ripete, senza fermarsi. Prima che i colleghi possano raggiungerla, sparisce alla loro vista dentro la nuvola di fumo e polvere e a Castle si blocca il respiro. Cerca di correre anche lui verso il punto in cui l’ha persa di vista, ma non riesce a muoversi, perché i suoi piedi sono radicati al terreno come le radici della quercia a cui si sorregge. Mentre cerca di convincere il suo corpo a muoversi, si rende conto che i colleghi sono già su di lei. In mezzo al fumo riesce a vedere Esposito che la trattiene per le braccia.
Torna a respirare, continuando a sorreggersi alla grande quercia, quando sente la sua voce ordinare ad Esposito di lasciarla.
-Dobbiamo salvare il laboratorio, ci deve essere una traccia lì dentro…-
-Quale laboratorio Beckett? La casa è distrutta!-
Cerca di dirle Ryan, ma lei lo strattona, correndo ancora veloce verso le rovine ormai completamente avvolte dalle fiamme.
Castle sposta lo sguardo dal cumulo di macerie a lei. Spalanca gli occhi e cerca di chiamarla, ma non riesce a dare voce alla paura che lo attanaglia.
-Kate!-
Cerca di urlare, ma quello che sente è solo un sussurro. Spalanca gli occhi ancora più spaventato quando sente Esposito gridare a squarciagola come avrebbe voluto fare lui.
-Beckett!-
La guarda terrorizzato, senza riuscire a muoversi di un passo, mentre Kate è ormai ad un paio di metri dalle fiamme.
-Per l’amor del cielo Espo, fermatela!-
Riesce a urlare con la forza della disperazione.
Le sirene dei vigili del fuoco risuonano in lontananza, il fumo causato dall’esplosione si sta diradando, lasciando il posto solo alla polvere e ai detriti che, lenti, si depositano sulle loro teste e sul terreno.
Esposito riesce a raggiungerla, le attorciglia le braccia attorno al corpo e la solleva di peso, portandola lontano dal pericolo, mentre lei si dimena.
Le autopompe si fermano davanti a loro, i pompieri districano le pompe dell’acqua velocemente e si mettono a lavoro.
Quando Esposito la sente calmarsi tra le sue braccia, la mette a terra e restano a guardare la frenesia con cui i pompieri cercano di spegnere l’incendio.
-Era l’ultima traccia utile che avevamo!-
Sussurra lei con lo sguardo velato dalle lacrime che non è riuscita a trattenere, dal macello venutosi a creare davanti a loro.
-E’ la sua trama…-
Si girano di colpo, come risvegliati da un incubo, trovandosi Castle alle spalle.
-…è lui lo scrittore…-
Continua guardando i getti di acqua che piovono potenti sulle ceneri della sua speranza.
-…lui conosce già l’epilogo e scriverà tutto in modo di arrivarci. Lui sarà sempre un passo avanti a noi!-
Posa lo sguardo su Kate. Le passa la mano sul viso sporco di polvere e sospira.
-Non… mi sento bene!-
Sussurra, lasciandosi andare a terra, sconfitto dal dolore.
Ryan cerca di dargli aiuto. Kate gli solleva la testa sulle sue ginocchie, accarezzandogli il viso.
-Credo… credo sia ora… di andare in osp… ospedale…-
Ryan ed Esposito si guardano seri e Kate deglutisce, senza dire una parola. Aveva sperato di non arrivare a questo punto. Aveva sperato con tutta se stessa di poter trovare quel maledetto veleno prima di vederlo crollare, inerme e senza forze, ma non era stata capace di fare bene il suo lavoro. Dunn le era scappato, aveva cancellato testimoni e tracce e Rick ne stava pagando le conseguenze.
-Non… non… mi sento… per niente bene!-
Le dice tossendo e lei stringe le labbra.
-Espo, porta la macchina qui davanti… è meglio che guidi tu!-
Esclama, consapevole che le sue mani tremano troppo per poter guidare. Il collega annuisce e lei si rivolge a Ryan.
-Tu resta qui, occupati del cadavere.-
Prende il manoscritto tra le mani, guarda verso la casa distrutta e corruga la fronte.
-Il laboratorio era sicuramente interrato. Magari l’esplosione non l’ha distrutto del tutto. Quando i pompieri avranno finito, vedi se riuscite a trovare qualcosa.-
Ryan resta a guardare l’auto che si allontana, solleva gli occhi al cielo e, in mezzo alla polvere e al fumo che si dirada lentamente, vede combattere la prima luce del nuovo giorno con i nuvoloni carichi di pioggia che arrivano da nord.
Guarda ancora verso l’auto, ormai in fondo all’isolato.
Scott Dunn è come quelle nuvole che ricoprono la luce. Sta sconvolgendo tutta la loro vita, il loro quotidiano, le loro poche certezze. Li sta costringendo a vivere una notte senza fine.
 
 
Dopo che aveva praticamente cacciato Abraham da casa, il Professore era rimasto a fissare la grande quercia.
Cercava d’intravedere tra le ombre, quella oscura e malvagia che sarebbe venuta a portarselo via.
Dopo un tempo indefinito si rese conto di stare tremando, si voltò verso il camino e si accorse che le fiamme si erano affievolite.
Il tempo era trascorso veloce, ma lui non se n’era accorto.
Si avvicinò al camino, lo riempì di una buona quantità di legna e attizzò il fuoco.
In prigione succedeva tutto il contrario.
Il tempo non passava mai, giorno e notte erano uguali.
Sospiri, voci concitate, urla improvvise. Queste erano le sue notti e i suoi giorni dentro quelle quattro mura.
Adesso il tempo trascorreva in fretta, andava avanti senza che lui potesse rallentarlo.
Fissò lo sguardo sull’orologio a muro sopra il camino.
Non aveva mai fatto caso al tempo, non era importante per lui, non quando era da solo nel suo laboratorio e lavorava.
Invece quelle lancette, adesso erano come una calamita. Non riusciva a non guardarle.
La lancetta dei secondi sembrava correre e, ad ogni scatto di quella dei minuti, il suo cuore sobbalzava.
Guardava il passare del tempo con orrore.
Ogni movimento di quel meccanismo risuonava di morte.
Erano quasi le quattro del mattino, stava seduto davanti al camino, con le mani strette ai braccioli della poltrona e continuava a fissare l’orologio, sperando che Abraham non tornasse.
Il suo buon amico lo aveva supplicato, ma lui era stato codardo come al solito.
Doveva solo uscire, entrare in un distretto di polizia e consegnare quella formula.
Ma non ne aveva avuto il coraggio.
Continuava a ripetersi che voleva solo salvare la propria vita e quella di Abraham.
Continuava a ripetersi che, finchè avesse eseguito i suoi ordini, sarebbero stati al sicuro.
Continuava a ripeterselo anche adesso, seduto su quella poltrona, con gli occhi fissi sul tempo che non lo aveva mai preoccupato, sentendo però, all’interno della sua anima, che la realtà era ben diversa.
Quella sensazione l’aveva da tutto il giorno e per tutto il giorno aveva avuto la consapevolezza che sarebbe finita presto.
Per questo aveva trattato male Abraham.
Per questo lo aveva cacciato, insultandolo.
Era l’unico modo per farlo allontanare.
La lancetta dei minuti scattò per l’ennesima volta, il suo suono fu più sordo dei precedenti e balzò in piedi con il cuore in gola.
Distolse lo sguardo e si avvicinò alle fiamme del camino per cercare di scacciare il freddo gelido che sentiva sempre più forte nelle vene.
Ad un tratto sollevò la testa, posando lo sguardo sulla parete davanti a lui, si appoggiò alla mensola del camino e sospirò.
Sentì uno strano calore fino a dentro l’anima, come se la sua ossessione e la sua paura fossero sparite d’improvviso, lasciandogli una sola consapevolezza.
Fine.
-Ti stavo aspettando!-
Disse con voce ferma ed una calma che non gli erano familiari.
Il calore si sparse per tutto il corpo e si sentì bene, per la prima volta, dopo ore.
Una mano si posò sulla sua spalla, ma stavolta non sussultò, non tremò e nemmeno si mosse.
-Dov’è il tuo amico storpio?-
Si girò lentamente, guardandolo dritto negli occhi, quegli occhi che prima, camuffati, avevano il colore della pece, mentre adesso rilucevano come il ghiaccio. Non aveva più bisogno dei suoi travestimenti, era lì, davanti a lui con la sua vera faccia, con i suoi occhi freddi e senz’anima.
-Hai pronto un nuovo capitolo con me come protagonista?-
Gli chiese deviando il discorso su Abraham e Scott Dunn sorrise, allontanandosi per sedersi sulla poltrona.
-Non sembri sorpreso di vedermi!-
-E non sono nemmeno impaurito dal fatto che sei qui… non puoi più spaventarmi Scott!-
La sua risata echeggiò per tutta la casa. La stanza era illuminata soltanto dalle fiamme del camino che distorcevano ancora di più la sua espressione.
-Come si chiama questo? Coraggio? Lo hai trovato improvvisamente in cantina?-
Il Professore si avvicinò alla finestra dandogli le spalle.
-Credevo che mi avresti lasciato in pace, ma era solo una convinzione disperata. Sapevo benissimo che saresti tornato… sono pericoloso Scott, io conosco la formula e per quante volte possa distruggerla, niente la cancellerà dalla mia mente.-
Lui si alzò e gli andò vicino, era più alto di parecchi centimetri e la sua ombra lo coprì del tutto.
Il vento scuoteva con forza i rami della grande quercia, disegnando sui loro visi e all’interno della casa, strani giochi di ombre macabre.
-Ora che hai preso coraggio, vorresti cambiare il finale del mio libro?-
Il Professore sorrise amaramente, scuotendo la testa.
-Avrei dovuto farlo… ma come ben sai, sono un codardo… io non conosco il coraggio!-
Dunn si avvicinò al suo orecchio, il Professore sentì il suo fiato sul collo e chiuse gli occhi sospirando.
-Ho sempre pensato che la tua bontà fosse un punto debole. Un uomo che fa quello che hai fatto tu, che finisce in prigione per questo, non può avere un cuore… come te.-
Il Professore strinse i pugni.
-E’ vero, ho fatto cose di cui non vado fiero, ma non avrei mai fatto del male a nessuna di loro. Erano solo dei corpi splendidi, da venerare, adorare e ammirare. Mi piacevano e forse era sbagliato, ma non le avrei mai toccate, nemmeno per sfiorarle…-
Lui rise ancora una volta.
-Visto che ho ragione? Tu provavi delle sensazioni nel guardarle, ma avresti dovuto spingerti oltre per appagare tutto il tuo essere. Invece ti limitavi a guardare… come hai sempre fatto… hai sempre guardato le vite degli altri. Sei un uomo troppo debole Professore!-
-Io non sono un assassino!-
Lo disse con convinzione, consapevole di averlo aiutato e di non essere riuscito a contrastarlo, ma era pronto a pagare… da solo.
-Per questo dovevo tornare…-
Sussurrò lui e il Professore annuì.
-Te l’ho detto che ti stavo aspettando… e sono pronto!-
Sapeva che l’unico modo per pagare il suo debito era quello di chiudere il suo capitolo.
-Dov’è il tuo amico storpio?-
Chiese di nuovo Dunn e il Professore rispose senza esitazione.
-Sta dormendo in camera sua. Lui tienilo fuori. Non conosce la formula, non può cambiare la tua trama…-
Vide, attraverso il riflesso del vetro della finestra, la mano di Dunn alzarsi lentamente, qualcosa luccicò alla sua vista e lui chiuse gli occhi un momento, per riaprirli subito dopo.
Per una volta non sarebbe stato codardo.
Per una volta avrebbe affrontato tutto con la testa alta.
Per una volta avrebbe capito il significato della parola coraggio.
Si raddrizzò, puntando gli occhi sulla quercia.
Quelle grandi braccia che lo avevano protetto fino a quel momento, sembrarono rivolgersi verso di lui per poterlo aiutare ancora una volta.
Vide la lama attraverso il vetro, restò immobile, continuando ad ammirare il suo albero.
-Sarà un grande capitolo Lester…-
Sorrise dentro di sé, nessuno lo chiamava più con quel nome da tanto.
Sentì il freddo della lama poggiarsi sulla pelle.
Il braccio passargli intorno al collo.
La mano muoversi in orizzontale sulla gola.
Il calore del sangue colare sul petto.
Si accasciò a terra lentamente, con gli occhi rivolti al suo assassino.
Si portò per un attimo la mano alla gola.
-Esp… espiaz…-
La parola gli morì sulle labbra, sbarrò gli occhi. La mano, dalla gola ricadde pesante sul pavimento, lasciando un’impronta di sangue.
-Espiazione!-
Esclamò Dunn chinandosi su di lui, usando un lembo del suo camice bianco per pulire la lama del coltello, sporca di rosso.
-Proprio questo è il titolo: Espiazione.-
Si alzò, guardò fuori dalla finestra, scrutò al di là della grande quercia e i suoi occhi brillarono.
Prese le mani del Professore e trascinò il suo corpo inerme fino alla porta d’entrata.
Guardò la scia di sangue che aveva lasciato sul pavimento e gli occhi luccicarono ancora una volta.
I suoi primi omicidi erano così.
Pieni di sangue e di orrore.
Sentiva di essere tornato alle origini.
Aprì la porta, sollevò il corpo con forza, sempre trascinandolo per le mani e lo portò sotto la grande quercia.
Lui amava quell’albero. Lo aveva capito sin dalla prima volta che era stato lì.
Gli tolse gli occhiali e li pose dentro al taschino del suo camice, che di candido non aveva più nulla.
Guardò l’orologio e si avviò ancora verso la casa.
In assoluto silenzio salì le scale, aprì la porta della camera dell’omino storpio e ricurvo e lo vide dormire tranquillo, rannicchiato sotto le coperte come un bambino.
Sorrise e richiuse la porta.
Presto non sarebbe rimasto niente di loro… prese il suo zaino e, con molta calma, si diresse di nuovo nella sala per finire il suo capitolo.


Angolo di Rebecca:

Il Professore è morto. 
Rick è messo male.
Il laboratorio è distrutto.
Kate è più arrabbiata di prima.
LA QUERCIA è SALVAAAA!!! 

Batticuore per il finale di stagione!
Buona visione *-*


 
  
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