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Autore: Soqquadro04    13/05/2014    4 recensioni
[Spoiler!5x21 | DamonCentred | H/C!Delena | Angst | Possibilissimo OOC | Implied!Delena | No, non sono pronta]
Non gli erano mai piaciuti troppo, i neonati – a sei anni, per lui erano solo bamboline ben agghindate, con cui non si poteva giocare, parlare, che a volte strillavano e strepitavano senza alcun motivo. L'unico aspetto positivo era che, durante i pomeriggi infiniti passati nei salottini eleganti delle gentildonne di Mystic Falls, un bambino riusciva a distogliere le attenzioni da lui quanto bastava a dargli modo di nascondere discretamente qualche biscotto dentro le tasche.
Eppure quando si era avvicinato al letto, una notte di novembre (e sembra un'altra vita – lo è), aveva trovato che suo fratello fosse semplicemente perfetto.

Stefan è nato una gelida notte di novembre - ed è morto in una notte altrettanto fredda, ma Damon non era lì.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Autore: Soqquadro04
Fandom: The Vampire Diaries
Disclaimer: non mi appartengono o non saremmo messe così, ve lo garantisco ç__ç
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Angst
Avvertimenti: possibilissimo OOC, What if?, Spoiler!5x21, H/C!Delena, Implied!Delena
Rating: Verde
N/A - Note dell'Autrice:
Ve l'avevo detto che non potevo ignorare un Damon Salvatore in lacrime.
Non potevo non scrivere niente su... su questo. La vita, la morte, la nascita - e una notte di novembre.
Questa volta avremo un maledetto abbraccio e un ancora più maledetto "ti voglio bene, idiota, non ti azzardare a morire mai più".
E ovviamente i parallelismi col 1864 cadranno a fiumi e farà male. ç________________ç

Note tecniche:

*1 La mia Anaïs la conoscete, se avete letto “Roses (in the dust)” - comunque, nella mia testa, è la nannie di Elizabeth, che poi è diventata di Damon e Stefan.
*2 Non mi ricordo se Giuseppe avesse gli occhi verdi, sinceramente – mi sembra fossero scuri, ma chiamiamola licenza poetica.

A presto,
la vostra Soqquadro

_______________________________________________________________________________________________________

 

Una notte di novembre



 

Le famiglie sono un disastro. E le famiglie immortali sono un disastro eterno.
Rick Riordan

 

Stefan se n'è andato una notte fredda quanto quella in cui è nato – ma, a differenza d'allora, lui non è stato lì.

 

Prova a dimenticare il respiro terrorizzato di Caroline quando le si era lanciato contro – il grido di Elena quando si era frapposta fra loro, dando le spalle alle lacrime dell'amica di sempre per trattenere lui (per aiutare lui – la rabbia e la sua anima sfasciata e l'odio verso ricordi troppo vividi e la perdita e la paura, ogni cosa che risaliva da un passato antico e gli inumidiva gli occhi, i pugni stretti lungo i fianchi e le sue lacrime che bruciavano dietro le palpebre serrate e un istinto di conservazione vecchio quanto il mondo che gli gridava di non cedere a tutto quel dolore, di scappare, di farlo finire – in qualche modo, in qualsiasi modo, perché non sarebbe mai più riuscito ad essere intero se non l'avesse fatto, non sarebbe più guarito).

 

Ricorda che le grida sfinite di sua madre rimbombavano ancora fra le pareti di Villa Veritas – così enorme e così bianca e così infinitamente vuota, con i suoi soffitti altissimi e i pavimenti di marmo – quando un lamento flebile si era mescolato all'eco. Aveva alzato di scatto la testa, seduto in corridoio, le ginocchia strette al petto – aveva corrugato la fronte e stretto gli occhi (la porta era proprio davanti a lui eppure non era entrato, la paura di qualcosa di non definito che lo teneva inchiodato a terra).

Poi di nuovo quel singhiozzare leggero, quel suono lieve – aveva inclinato il capo di lato e preso coraggio, perché ormai aveva sei anni e a sei anni pensava di dover essere un uomo, e un uomo non ha certo paura di un neonato (neanche se era stato abbastanza forte da far urlare la mamma e nemmeno se aveva fatto versare tanto sangue da tingere di rosso le lenzuola – quando Anaïs*1 era uscita di corsa, portando fra le braccia stracci tinti di carminio, aveva tremato e si era raggomitolato in un abbraccio senza calore, un po' più stretto, un po' più ansioso).

Ma lui era un uomo – gli uomini non hanno paura.
E allora si era affacciato alla porta, quasi titubante – e la prima cosa che aveva visto non era stato il sangue, non era stato un dolore tanto straziante da impregnare i muri.

Aveva visto sua madre sdraiata a letto, il viso imperlato di sudore e un sorriso che pareva poter illuminare il mondo – e, appoggiato al suo seno, un fagotto che un po' si agitava, un poco piangeva mentre lei lo cullava e mormorava cose che non può ricordare).

Si era fermato di colpo, stupito, curioso, e forse gli era scappato un verso sorpreso, perché Elizabeth aveva alzato gli occhi e all'improvviso quel sorriso era stato anche per lui.

 

«Vattene, Caroline. Ti prego.» il tono era basso (era vattene-ora-devo-rimanere-verrò-da-te-più-tardi-mi-dispiace) e lei aveva continuato a tenerlo – una presa che sarebbe stata inutile, se solo fosse stato in grado di muoversi o di pensare o di fare qualsiasi altra cosa che non fosse cercare di tenere insieme i brandelli di sé, il respiro solamente un ansito confuso.

Ma non ci riesce – un giocattolo rotto, un essere svuotato in un secondo (in dieci parole e un paio di singulti sofferenti – Stefan... Julian... gli ha strappato il cuore. Il cuore. Damon...).

Inutile – immobile.
Fragile.

Non è più niente.

 

Non gli erano mai piaciuti troppo, i neonati – a sei anni, per lui erano solo bamboline ben agghindate, con cui non si poteva giocare, parlare, che a volte strillavano e strepitavano senza alcun motivo. L'unico aspetto positivo era che, durante i pomeriggi infiniti passati nei salottini eleganti delle gentildonne di Mystic Falls, un bambino riusciva a distogliere le attenzioni da lui quanto bastava a dargli modo di nascondere discretamente qualche biscotto dentro le tasche.

Eppure quando si era avvicinato al letto, una notte di novembre (e sembra un'altra vita – lo è), aveva trovato che suo fratello fosse semplicemente perfetto.
Già si intuiva che gli occhi sarebbero diventati verdi, come quelli di Giuseppe*2 – nell'azzurro chiarissimo compariva appena un velo di colore, solo un accenno (una promessa, più che altro) –, e i capelli avevano già preso il castano di una nonna semi-sconosciuta.

Elizabeth aveva sorriso ancora di più e l'aveva cautamente avvicinato a sé con un braccio, attenta a non lasciarlo cadere – gli aveva baciato una spalla e gli aveva sussurrato il suo nome.
«Stefan. Lui è Stefan.»

 

«Guardami.» la voce di Elena non trema, il respiro non si spezza – quando si arrende e si lascia plasmare come creta umida dalle sue mani, sollevando lo sguardo (iridi marine bagnate liquefatte), Damon nota che la sua anima sembra sana e scopre che anche se ora davvero è un uomo la paura è forse più forte di quanto è mai stata (più profonda radicata angosciante di quando era legato ad un lettino e la luce gli feriva gli occhi – più di quanto lo era stata mentre osservava una porta chiusa e ascoltava la tosse di sua madre, e anche di quando aveva visto una bara coperta sparire nella terra, mentre sedeva accanto ad una donna dall'accento francese e teneva una manina dalle dita sottili nella sua).

«Guardami.» lo ripete – anche se è inutile perché lo sta già facendo, già la sta guardando – ed è più dolce (e anche se gli occhi sono lucidi la sente in tensione – non permette a se stessa di far scendere una lacrima e in una qualche parte della sua mente spezzata Damon è consapevole del fatto che sta cercando di essere forte anche per lui).

E il cuore sanguina anche da fermo – anche se non è nulla più che un muscolo gelido si crepa, e fa male (se potesse non soffrirebbe più – se potesse farlo, quel dolore sarebbe già sparito, lontano, qualcosa che non gli apparterebbe nemmeno. Se solo potesse – se non ci fosse lei).

Ma Elena è lì – Elena che si impedisce di piangere, Elena che gli stringe il viso per obbligarlo a rimanere immobile, a respirare, a lasciar passare la prima ondata di rifiuto (Elena che quando sente il pianto bloccarglisi in gola lo lascia andare – Elena che scompare in un battito di ciglia e lascia che gridi, che frantumi i ricordi, che distrugga quel che può essere distrutto perché tutta quella rabbia, tutta quella sofferenza da qualche parte devono uscire oppure impazzirà).

 

Lo aveva tenuto in braccio – l'aveva preso in collo persino prima di quanto avesse fatto suo padre, ed era stato strano sentire fra le braccia il peso quasi esagerato, rispetto ad un corpicino così piccolo, e studiarlo mentre scivolava nel sonno (aveva provato, quasi impaurito, a porgergli un dito – lui l'aveva stretto come si stringe un salvagente in mezzo all'acqua, aveva sbadigliato e si era addormentato così; e come puoi spiegarla la tenerezza, l'incredulità, l'amore?).

 

Ricorda che aveva sorriso e aveva pensato che la loro vita sarebbe stata perfetta – e ora quello stesso bambino è morto a causa sua. Bella famiglia gli è rimasta, bel fratello, uno che non è neppure riuscito a preservare una vita che avrebbe dovuto essere eterna – ed è la prima volta in quasi due secoli che rimpiange di non essere morto davvero, quella notte che odorava di fumo e di fuoco e di polvere da sparo.

Si lascia cadere a terra e non ha più la forza nemmeno di respirare – getta il capo all'indietro e le lacrime continuano a scendere e a che serve darsi la pena di asciugarle, se non può fermarle (e solo Dio sa quanto vorrebbe poterlo fare – perché odia sapere di poter ridursi così, nonostante tutto ancora detesta la possibilità che ci siano persone in grado di farlo soffrire così)?

A che serve rimanere ancora, ostinarsi ancora a cercare di salvare il mondo?
A cosa serve?

 

Quando Elena torna lo trova seduto nel mezzo di un salone devastato – non c'è più nulla d'intero (ed è quasi ironico come pare non esserci anche in ogni angolo di lui), nulla di salvabile.

Elena torna e si vede che ha pianto – Elena torna e lo sa che nemmeno il tempo è abbastanza per guarire certe ferite (ferite che non diventano mai neppure cicatrici – sanguinano sempre, ad ogni pretesto, ogni ora minuto secondo).
Elena torna e la prima cosa che gli dice non è mi dispiace, non è – non è andrà tutto bene (perché lo sa che non andrà tutto bene – mai più)

Elena torna e la prima cosa che gli dice è l'unica realtà che è in grado di accettare.
«Troveremo un modo – tornerà, Damon.»

 
   
 
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