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Autore: dilpa93    13/05/2014    10 recensioni
SPOILER FINALE SESTA STAGIONE
"E poi i suoi baci...
Si, i baci che è solito darle sul capo per tranquillizzarla, sulla guancia per farla sorridere, sul collo per farla rabbrividire, sulle labbra per amarla."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Lanie Parish
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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“Cerca dentro di te il luogo dove c'è la gioia e la gioia eliminerà il dolore.”
Joseph Campbell
 

 
 
Toglie l’ultima forcina lasciandola cadere sul piano in marmo così da andare a tener compagnia a quelle che l’hanno preceduta e al braccialetto che fino a poco prima le ornava il fragile polso. Il tintinnio metallico non pare scuotere i suoi sensi intorpiditi. I capelli sono finalmente liberi di respirare, o almeno ci provano, come lei che è incapace di ricavare energie dall’aria che inspira, di trarre beneficio e refrigerio dall’ossigeno che vorrebbe circolare nel suo corpo ma che, come bloccato da un’invisibile barriera, resta fermo in un punto e viene sbattuto via, come spazzatura, con il respiro successivo.

Avevano cercato di portarla via.
Esposito le era corso dietro, il piede premeva incontrollato sull'acceleratore, mentre Ryan, salito al volo al suo fianco, si era tenuto saldo al sedile.
Le mani erano come ventose sul volante rovente, eppure quel caldo era nulla in confronto all'arsura e il calore provato una volta sceso dall’auto.
Le fiamme continuavano a contorcersi, in quell’esasperante e vivace danza, nonostante non fosse rimasto ormai granché da bruciare.
Javier le si era parato davanti. Il tentativo di sospingerla indietro, di portarla lontano dal dolore che, come l’incendio, divampava ad ogni sguardo verso il telaio della macchina, era risultato inutile. La mano gli si era stretta attorno all’esile braccio, appena prima che si sporgesse sul fossato, che il suo piede scivolasse trascinandola con sé in quell’inferno. Le proteste erano state avanzate inutilmente, soffocate dal groppo che le cresceva rapidamente in gola. Le lacrime le bruciavano gli occhi insieme al fumo che saliva sempre più scuro, il cielo non era più così limpido, la giornata di sole era svanita. Ci era voluto poco, troppo poco.
L’aveva presa tra le braccia, l’aveva sentita dimenarsi rendendo difficile il cammino. Non sarebbe spettato a lui tenerla così, sarebbe dovuto essere Castle a sollevarla, tenerla stretta varcando la soglia di casa o semplicemente andando verso la scaletta di quell’aereo pronto a partire e a portarli via per nasconderli al mondo per qualche giorno.
L’aveva intrappolata tra il suo corpo e la vecchia Rolls-Royce. L’autista assisteva inerme alla scena, al riparo dentro l’abitacolo. Non si era mosso, come se un suo spostamento avesse potuto arrecare ulteriori danni.
Lentamente le lacrime avevano cominciato a rigarle il volto, il respiro si era fatto affannoso, il cuore batteva così forte che lo aveva sentito pulsare nelle tempie.
I lampeggianti delle volanti erano ancora accesi.
Era bastato un cenno del capo di Esposito con uno degli agenti per capire. Non era rimasto nulla. Nulla da guardare, nulla da riconoscere, nulla da seppellire.
La portiera della macchina si era riaperta e i sedili posteriori l’avevano accolta nuovamente. La mano di Esposito le aveva carezzato la schiena, i movimenti circolari sembravano aiutarla a respirare mentre teneva il busto piegato in avanti. Nei suoi occhi annebbiati si era riflesso solo il tessuto bianco, sfocato e appannato, del vestito di sua madre, sua salvezza nel momento di massimo bisogno, e che ora la stringeva tanto che si era sentita soffocare.

Mentre Kevin, scosso ed incredulo, era rimasto a supervisionare il lavoro degli apparentemente incapaci poliziotti, l’auto d’epoca era ripartita al massimo della sua velocità, imboccando la stessa strada dalla quale era sopraggiunta poco prima.

Lanie era rimasta immobile, in giardino, dondolava avanti e indietro sentendo i tacchi affondare nell’erba fresca. La brezza dell'oceano alle sue spalle le solleticava il corpo smuovendo il tessuto leggero e sgargiante del vestito. La macchina era comparsa come dal nulla alla sua vista dopo che, con un rapido movimento della mano, aveva scostato dal viso quel ciuffo che il vento aveva liberato dall’acconciatura.
L’aveva accolta nel suo abbraccio. Il suo corpo era stato scosso dai brividi e dal tremore che percuotevano quello di Kate.
La camera da letto era una delle poche stanze rimaste intatte, senza essere travolta dai preparativi che avevano messo a soqquadro l’intera tenuta.
L’aveva lasciata andare concentrandosi nel chiudere la porta per poter fare meno rumore possibile. I passi di Kate, che lentamente si era avvicinata al centro della stanza, avevano sovrastato lo schioccare della serratura. La sua immagine si era riflessa nello specchio facendo scattare quella molla che sembrava essere riuscita, anche se per poco, a bloccarle il dolore.
Le mani si erano mosse velocemente lungo il corpo, il vestito la soffocava, il pizzo le irritava la pelle. Dio, voleva solo toglierlo, ma i bottoni sfuggivano al controllo delle sue dita, troppo piccoli e scivolosi. La cerniera non voleva saperne di scendere, non era incastrata, solo si opponeva alla gravità. Il pollice e l’indice avevano stretto la zip, il metallo sottile era affondato nella carne. Bruciava.
Bruciare... non poteva pensare a quella parola, la sua testa si rifiutava di elaborarla e oltre alla zip, adesso, anche la sua mente si era inceppata.
“Non... non riesco a-a... toglierlo.”
Era un urlo soffocato con cui la disperazione che aveva sentito crescerle dentro aveva cercato di venire allo scoperto.
A passi svelti Lanie le si era avvicinata, nessuna parola era servita in quel momento. Le aveva allontanato le mani, preso i polsi facendole aderire le braccia lungo il corpo. Il vestito si era come sottomesso all’anatomopatologa e in pochi secondi le era scivolato fino ai piedi cadendo con un tonfo sordo sul pavimento.
Il petto si era gonfiato regolarmente, ogni respiro faceva male, come una pugnalata. Le era quasi sembrato di riuscire a sentire la lama che le attraversava la carne. Usciva e rientrava...
I pendenti, che sarebbero dovuti essere di buon auspicio secondo la tradizione -qualcosa di vecchio, di prestato, di blu- si erano scontrati con il collo liscio. Li aveva sentiti freddi sulla pelle ancora accaldata nonostante il suo cuore gelato.
Avrebbe voluto strapparli, non pensando al dolore che avrebbe sentito recidendo i lobi. Eppure era riuscita, con gesti stranamente controllati, a sfilarli e lasciarli nel palmo dell’amica.
Si era voltata guardando distrattamente fuori dalla porta vetri che dava sul terrazzino. Aveva incrociato le braccia al petto stringendo forte. Una pressione costante sarebbe riuscita a regolare il rilascio di adrenalina ed endorfine. Non ricordava dove l’avesse letto, ne tanto meno le importava.
“Kate...”
“Ho bisogno... ho bisogno di qualche minuto.” Aveva sospirato scavando dentro di sé per trovare la voce.


Le lacrime hanno smesso di scendere copiose, eppure la sensazione di avere il viso bagnato non riesce a sparire. Con le dita continua a toccarsi le guance arrossate ed impastate cercando di asciugarle da quel pianto inesistente. Si rannicchia sul letto. Con il lenzuolo copre il corpo seminudo.
Se ci fosse lui l’abbraccerebbe.
Sentirebbe le sue mani posarsi sul suo ventre e stringerla a sé.
E poi i suoi baci...
Si, i baci che è solito darle sul capo per tranquillizzarla, sulla guancia per farla sorridere, sul collo per farla rabbrividire, sulle labbra per amarla.
Istintivamente fa scorrere una mano tra i capelli, non c’è traccia di quel bacio di cui avrebbe bisogno. Si rannicchia sempre di più, le gambe le premono, piegate, contro il petto. Si volta e la luce che attraversa la grande vetrata torna ad abbagliarla. Anche se il sole è scomparso oltre le nuvole, o dietro al fumo che si è ormai innalzato sospinto dal vento, i raggi del sole riescono a fuggire dietro piccoli e quasi invisibili spiragli. Sposta il capo sul suo cuscino.
È freddo.
Sono passati mesi dall’ultima volta che hanno trascorso del tempo lì, soli, circondati dalla meraviglia della sabbia cocente nei pomeriggi d’estate, dal riecheggiare dei versi dei gabbiani, dell’infrangersi delle onde contro la scogliera di notte con l’alta marea. Inspira forte ed il suo profumo è ancora lì. Forte e buono, rilassante ed eccitante, capace di farla sentire al sicuro quando lo inspira con la testa poggiata nell’incavo del suo collo.
Il mascara macchia la federa per mezzo di quella lacrima rimasta immobile tra le ciglia a lungo e scesa senza problemi quando la consapevolezza di essere sola, senza lui a rassicurarla, senza nessuno che quella notte l’avrebbe cullata dicendole che tutto sarebbe andato per il meglio, si fa spazio tra i suoi pensieri, tra la tristezza, la frustrazione, la rabbia e l’impotenza. Chiude gli occhi e si lascia cullare dal suono delle acque agitate che la raggiungono dall’esterno come in un’eco, un’eco che porta con sé racchiuse le ultime parole che si sono scambiati, “ti amo”.


Un minuto. Si, chiuderà gli occhi solo un minuto. Sessanta secondi per convincersi che quell’auto non fosse la sua, che lui stia bene e sia solo in ritardo. Sessanta secondi dopo i quali aprirà gli occhi e lui apparirà sulla soglia della camera, con un sorriso sornione ad adornargli le labbra e quello smoking che da settimane sognava di vederli indossare, pronto a rimproverarla scherzosamente per essersi addormentata nel giorno più importante. Il giorno che avrebbe sancito ufficialmente l’inizio della loro vita insieme.
Ripensandoci, un minuto non è abbastanza, e Morfeo arriva a prenderla, trascinandola con sé nel suo regno.
 




Diletta's coroner:
Salutino veloce, anche perchè sono ancor senza parole dopo il season finale e non so cosa dire!
Buona serata
  
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