“Kore de yokattan desu…”
«Perché
non parli? Sei forse arrabbiato?»
«Arrabbiato,
io? Sono i pollini che mi infastidiscono, smettila di chiedermelo.»
«Non
sei credibile… e comunque va bene, la smetto.»
«Grazie.»
Era
da ore che andavano avanti così. Si erano incontrati in mattinata, erano andati
a pranzare da qualche parte insieme e non si erano quasi scambiati una parola.
Takanori non vedeva l’ora di poter passare un’intera giornata insieme ad Akira
ma, non appena lo vide, ritto in piedi sull’uscio di casa, si rabbuiò
improvvisamente e si ammutolì del tutto, imbronciandosi e sbuffando
infastidito. Quest’ultimo, poi, non riuscì neppure a spiegarsi il comportamento
del piccoletto che, chiudendo la porta dell’appartamento con qualche giro di
chiave, sfrecciò giù per le scale senza perder tempo, tenendosi stretta la
borsa in spalla; un comportamento alquanto strano da parte sua, visto che
rimaneva ad aspettare l’ascensore anche per svariati minuti, finché non si
liberava.
Ora,
camminavano per strada, mantenendo una certa distanza l’uno dall’altro.
Takanori evitava in tutti i modi lo sguardo del compagno, stringendosi fra le
proprie braccia magre e avvolte da una felpa enorme, forse troppo pesante per
la mezza stagione in cui erano; l’inverno era già passato, ma la primavera
sembrava ancora tardare un po’, nonostante i primi pollini che si mescolavano
alla brezza fresca. Di tanto in tanto, abbassando il colletto, si portava una
sigaretta alle labbra e fumava nervosamente, poggiando il filtro fra le labbra
e mordicchiandolo con i denti. Il suo volto pallido e struccato era nascosto
dal solito paio di occhiali da sole dalle lenti grandi e scure, e i capelli
chiari, con un principio di ricrescita, raccolti nel berretto di lana leggera,
anche quello scuro e anonimo.
«Per
quanto continuerai ancora a tenermi il muso? Non sei carino, sai…?» esordì ad
un tratto Akira, con voce profonda e tono lievemente grave, non osando voltarsi
verso di lui – un po’ per timore, un po’ per non stare al suo gioco. Sapeva che
prima o poi si sarebbe stancato e sarebbe esploso, confessandogli tutto, ma
quella volta ci stava mettendo più tempo del previsto. Non riusciva davvero a
spiegarsi cosa gli fosse successo, così improvvisamente, senza un’apparente
ragione valida. Era forse una data importante? No, il suo compleanno era stato
un mese e mezzo prima… che ricordasse, non c’era nulla di importante, era un
giorno come tanti altri, soleggiato e appena ventilato. Così, sistemandosi gli
occhiali da sole sul ponte del naso, andò poi a passarsi una mano fra i capelli
piuttosto disordinati, sospirando rumorosamente da dietro la mascherina bianca
dietro la quale si celava gran parte del suo volto. In più, come se non
bastasse, aveva ben deciso di sistemarsi intorno al collo anche una leggera
sciarpa in cotone, cercando in tutti i modi di passare il più inosservato
possibile.
«Come
sta Koro-chan?» domandò, provando
ancora una volta a parlargli insieme, cercando d’attaccar discorso e di non
lasciar cadere il tutto in meno di tre secondi. Sapeva di non essere il massimo
in quanto a socializzazione, ma se non altro ci provava. Magari insistendo sarebbe
riuscito ad ottenere qualche risultato significante; in caso contrario, si
sarebbe preso un pugno o una testata in pieno stomaco, data l’altezza del
“piccolo” Takanori.
A
quest’ultimo, infatti, non servì molto per smontarlo. «Sta bene.» lo liquidò
nel giro di poco, tenendo la sigaretta stretta fra le labbra, fumando
lentamente e con fare sempre più irritato. Non aveva alcuna voglia di parlare
insieme a lui, non quando anche quel giorno aveva infranto una delle promesse
che si erano fatti tempo prima. Come se fosse la prima volta, per di più…
Akira,
seccato, sbuffò sonoramente e, con fare repentino, gli afferrò il polso e lo
strattonò, bloccandogli la mano e, quindi, il braccio. Fu un gesto istintivo,
non volle farlo di proposito; il suo corpo si era mosso da solo – non avrebbe
mai osato mettere le mani addosso a Takanori, neanche quando era un po’ su di
giri. Non gli era mai successo prima d’ora e, vedendo il mozzicone della
sigaretta cadere sul marciapiede e il suo pallido labbro tremare, lo lasciò andare,
senza dire una parola. Continuò a camminare, sempre più rapidamente, lasciando
l’altro indietro di qualche passo. Imprecò fra sé e sé, buttando uno sguardo al
cielo e arricciandosi nervosamente una ciocca dei capelli biondicci e
disordinati, martoriandosi il labbro inferiore con i denti, da dietro la
mascherina. Di tanto in tanto buttava uno sguardo indietro per tenerlo
d’occhio, per accertarsi che almeno continuasse a seguirlo. Si pentì amaramente
d’averlo trattato in quel modo, era la prima volta in tanto tempo. Si sentì
malissimo.
Voltandosi
per l’ennesima volta, sentì il proprio cuore perdere di un battito: Takanori
non era più lì. Allarmato, si guardò intorno e, quando rivolse ancora il viso
davanti a sé, allungando la gamba sottile per fare un passo alquanto lungo. «R-Ruki?»
cercò di chiamarlo, prima di imbattersi in qualcosa. Chiuse gli occhi e,
cercando di non perdere l’equilibrio, mise a fuoco ciò che lo intralciava,
alzando un sopracciglio e sospirando dal sollievo: eccolo lì, proprio di fronte
a sé, almeno in senso figurato. «Eccoti qua…» sorrise, dandogli un buffetto in
testa. «Non ti credevo così veloce, mh…» continuò, facendo quindi per
scostarsi.
«Sei
così… così fastidioso.» sibilò
Takanori, scandendo sillaba dopo sillaba quell’ultima parola, non riuscendo a
trovare qualcosa di più crudele e cattivo. Con mano rapida, gli slegò in fretta
e furia la sciarpa leggera che teneva al collo, rischiando di soffocarlo per il
nervosismo dei propri gesti maldestri. «Non solo ti ostini a coprirti questo
stramaledetto naso anche quando non lavori, ma mi chiami pure con un nome che
non è il mio.» strillò, prima che la propria voce tremante e insicura venisse
mozzata da un singhiozzo che lo portò a mordersi il labbro inferiore per non
aggiungere altro. Gli tolse quindi la sciarpa e gli abbassò la mascherina,
strappandogliela poi letteralmente dal volto, lasciandogli impresso sulle
guance magre il segno degli elastici che si erano spezzati. Senza troppa gentilezza,
gli alzò anche gli occhiali da sole e glieli posò sulla fronte, tirando
indietro il ciuffi di capelli che gli coprivano gli occhi piccoli, dal taglio
sottile. «Dio santo, come devo dirtelo che detesto, odio, quando ti copri così?» mormorò ancora, per non attirare la
gente che, come loro, si riversava nelle strade. Bella seccatura se fossero
stati scoperti in quel momento, in mezzo a tutte quelle persone.
«Hey,
non c’è bisogno di prendersela tanto…» borbottò Akira tra sé e sé, strizzando
gli occhi che ancora non s’erano abituati a tutta quella luce, mettendo a fuoco
il biondino solo dopo una bella manciata di secondi. Rimanendo praticamente a
volto scoperto, si grattò l’angolo del naso e storse le labbra sottili in una
piccola smorfia, per poi tornare con la sua solita espressione, un po’ persa e
assorta in pensieri. Osservò il suo viso serio e indecifrabile, chiedendosi
cosa gli passasse per la testa. «Adesso non sei contento?» gli domandò
inutilmente, senza ottenere risposta. Doveva immaginarselo, dal modo in cui
l’aveva trattato e da come s’era bellamente scordato di due piccole ma
importanti promesse che si erano scambiati tempo prima. Non sapendo che altro
fare, gli alzò anche a lui gli occhiali da sole sulla fronte, mettendo in
mostra quegli occhietti piccoli e sicuri, dalle ciglia corte e sottili. Così,
gli slacciò anche il colletto rigido della felpa, scoprendogli la bocca piccola
e il mento, intravedendo anche quel neo che tanto gli piaceva.
Takanori,
rimanendo fermo ed in silenzio per far sbollire la rabbia, aveva ben ragione di
prendersela con lui, specialmente ripensando a tutte quelle volte in cui, presi
dalla foga e dall’eccitazione, si trovavano a far l’amore subito dopo aver
concluso un concerto, rinchiudendosi in una stanzetta lontana da tutto e da
tutti. Ovviamente non se la prendeva per quello, assolutamente, ma rimaneva
parecchio deluso ed irritato ogni volta che Akira, o meglio, Reita, appena sceso dal palco, trovasse
tutto il tempo e la calma di togliersi i pantaloni, di slacciarsi la cintura e
quant’altro, ma non trovasse invece il tempo di togliersi quella dannata
noseband che gli nascondeva il volto. Gliel’avrebbe volentieri strappata a
morsi, se solo ne avesse avuta l’occasione e non venisse immobilizzato da lui
ogni volta – i loro corpi inchiodati l’un l’altro che si cercavano. Uscendo da
quel vortice di pensieri, abbassò lo sguardo e un’espressione dura gli
accartocciò il volto.
«Takanori,
vivi? No, perché mi sto preoccupan--» interloquì ancora una volta Akira, poco
prima di venir interrotto da qualcosa di tanto inaspettato, quanto gradito e
dolce: difatti, le labbra di Takanori incrociarono le proprie in un bacio soffice
e fugace, come non se ne scambiavano da tempo. Il piccoletto s’era dovuto
alzare sulle punte per poterlo raggiungere e s’era stretto al suo busto come un
koala al proprio albero di eucalipto, premendo il corpo contro il suo per bilanciarsi
come meglio poteva. Senza pensarci troppo, si trovò a ricambiare quel tenero
contatto, schiudendo la bocca contro la sua, prima che egli si staccasse,
tornando con i piedi in terra. Gli rimase vicino, carezzandogli affettuosamente
la guancia e osservava la sua espressione ora leggermente più raddolcita. «Potevi
almeno avvertirmi…» ridacchiò un po’ imbarazzato, appallottolandosi la sciarpa
leggera fra le mani, mentre abbandonava la mascherina ormai inutilizzabile in
un cestino dell’immondizia lì vicino, tornando almeno a coprirsi il volto con
gli occhiali da sole.
Takanori
fece lo stesso e, affondando le mani nelle tasche grandi e calde della felpa
larga, tornò a camminare con passo spedito, reprimendo a forza quella voglia di
tirargli una pacca sulla spalla. Gli era già capitato di doversi rovinare le
unghie nel farlo o, peggio, di doversene spezzare una, quindi rinunciò a
mettere in atto quella brillante ed innocente idea. Avrebbe avuto modo di
vendicarsi, magari anche in serata se Akira non aveva niente di meglio da fare.
«Non essere stupido… se vuoi che ti avverta prima di ogni bacio che voglio darti,
allora tu dovrai avvertirmi ogni volta che stai per entrare in me. È semplice
ed equo, no?» disse con un ghigno, assottigliando lo sguardo e lanciando una
frecciatina al diretto interessato che, dal canto suo, sembrava starsene con la
testa fra le nuvole. «Mi hai ascoltato o facevi finta?» gli chiese pacatamente,
mascherando quella vena di rabbia mista a tenerezza che gli piegava gli angoli
delle labbra in un sorrisetto.
«Certo
che ti stavo ascoltando… comunque, non credo che sia necessario avvertirti.»
gli rispose, prendendolo a braccetto e tenendolo stretto a sé, decidendo che
non l’avrebbe mollato neppure davanti ad una protesta apocalittica.
«D’accordo.»
sussurrò appena Takanori, sentendosi leggermente stanco. Inizialmente cercò di
evitare il braccio di Akira intrecciato al proprio, ma dovette rassegnarsi e si
strinse un poco a lui, tenendo il passo e camminando normalmente, senza fretta.
«Torniamo a casa? Sono un po’ stanco e non ho molta voglia di stare in giro
ancora.» ammise poi, voltando i tacchi e riprendendo il percorso inverso a
quello che stavano seguendo, trascinando con sé anche il bassista. Quest’ultimo
annuì, acconsentendo a quella sua richiesta. Per quel giorno poteva anche
andare a finire così. Non poteva credere che il piccoletto fosse stato zitto
per tutto quel tempo. Non sapeva se interpretare quel suo comportamento come un
punto di svolta o forse come un punto di regressione, ma per il momento non
voleva pensarci. Avevano chiarito tutto ed ora erano in pace l’uno con l’altro.
E poi, se non altro, Akira aveva imparato la lezione una volta per tutte:
niente più faccia coperta e soprannomi al di fuori del lavoro. Chissà se
sarebbe mai riuscito a farsi perdonare del tutto… magari con una bottiglia da
un litro e mezzo di Orangina? Anche quella era un’idea da prendere in
considerazione…!
Uhm… beh, non credo d’aver molto da dire. So che questa
è una fic davvero banale ed inutile, ma era da un po’ di tempo che l’avevo in
testa (diciamo da dicembre scorso, ehm) e ho sempre desiderato scriverla anche
se, come vedete, non è davvero nulla di speciale. Perdonatemi eventuali errori
grammaticali o di battitura, ma purtroppo i più piccoli sfuggono al correttore
di Word e alla mia – pessima – vista.
A proposito: il titolo non c’entra nulla con la fic (o forse sì?). L’ho scelto
solo per il significato del titolo in sé (“Finora andava tutto bene…”), non per
le lyrics della canzone. Altrimenti avrei detto che s trattava di una songfic,
no?
Spero almeno vi possa piacere! Recensioni e commenti sono ben accetti – sarò
lieta di sapere cosa ne pensate! Conto di tornare a pubblicare qualcosa in
questo fandom, magari qualcosa di più “serio” e accattivante. Spero tanto che i
mesi estivi portino un po’ d’ispirazione alla sottoscritta…
A presto!