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Autore: Ily Briarroot    14/05/2014    3 recensioni
Fanfic ispirata direttamente a un sogno che ho fatto stanotte, con gli stessi personaggi e le stesse situazioni.
"Non mi voltai, non sapevo chi ci stesse seguendo. Non capivo perché fossi in pericolo, non riuscivo a riflettere. Non c'era nulla su cui riflettere.
Quando svoltammo l'angolo, una decina di minuti dopo, e mi fermai per prendere fiato, non c'era più lui al mio fianco. Ero da sola. Di nuovo sola."
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In my dream
 
 Una stanza. 
Stava andando tutto per il meglio, finché non mi trovai in una stanza lugubre. 
Rimasi sulla soglia, incerta, mentre qualcosa mi attirava all'interno di essa. Il mio cuore palpitava frenetico contro il petto, mentre combattevo contro la voglia di tornare indietro. 
Percepivo l'eco indistinto delle voci dall'altra parte del corridoio e mi resi conto che la festa rimaneva lì dove l'avevo lasciata, affievolendosi pian piano.
L'atmosfera cambiò in meno di qualche attimo. 
Senza neanche avanzare, percepii immediatamente la tensione che mi circondava. L'oscurità era qualcosa di prepotente, di forte. 
Feci un passo, lentamente. Poi un altro. Quando posai il piede a terra per la seconda volta, lo vidi. 
L'uomo a terra, piegato su se stesso. Gli occhi spalancati dal terrore, la bocca dischiusa. 
Urlai con quanto più fiato avessi in corpo, arretrando bruscamente contro la porta. 
Dopodiché, sentii soltanto dei passi correre nella mia direzione. Le persone entrarono, una ragazza dai lunghi capelli neri rimase pietrificata alla scena che le si era presentata davanti. 
Ebbi uno strano presentimento. Un brivido mi percorse la schiena e non fui capace di mantenere la calma. Per qualche strana e assurda ragione, nonostante fossi abituata a situazioni simili, percepivo qualcosa di strano nell'angoscia che mi attanagliava la gola. 
Ero improvvisamente sola. Non c'era nessuno, accanto a me, che mi avrebbe confortata. Nessuno che mi conoscesse sul serio, nessuno a cui avrei potuto confessare la mia paura. 
All'improvviso, un rumore di vetri assordante. Il panico improvviso, voci che gridavano, implorando aiuto.
Un'arma puntata contro. Uno sparo.
Mi coprii le orecchie con entrambe le mani, stringendo le palpebre. Quelle parole furono un tuffo al cuore. 

"Ran, corri! Scappa!".

Provenienti chissà da dove. Perse da qualche parte, nella mia mente. 
Lui. 
Non era lì con me, non poteva esserci sul serio. Ma non potevo voltarmi per accertarmene.

"Scappa, ora!".

E lo feci. Le gambe presero a muoversi da sole, senza neanche sapere bene il motivo. Non riuscii a pensare più a nulla, se non ad allontanarmi da quel luogo.


Al centro di una grande città, con le bancarelle sparse lungo la via. 
Un ragazzo poco più grande di me mi si avvicinò sorridente, mentre il mio cuore non accennava a regolarizzarsi. 
Ero tranquilla. Questa volta sul serio, mentre le altre persone passeggiavano tranquille senza neanche far caso a me. Mi voltai verso il ragazzo straniero dalla pelle scura che mi aveva fermata poco prima. 
Non riuscivo a capire dove mi trovassi, né tantomeno come avessi fatto ad arrivare in quel posto pieno di vitalità e allegria. 
Mi voltai un secondo e rimasi di pietra. Capelli castani, frangia ribelle. Occhi blu. Fui sicura di averlo intravisto tra la folla, mentre lo perdevo ancora di vista. Era tornato. Non potevo crederci. Dovevo cercarlo, parlargli. Dirgli ciò che sentivo da troppo tempo.
Poi, in meno di qualche attimo più tardi, sentii una spinta dietro la schiena e per poco non caddi in avanti sull'asfalto sconnesso e scivoloso. 
Shinichi mi prese per il polso e si mise a correre, urlando solo il mio nome, mentre mi trascinava a forza dietro di se'.
Correvamo e vedevo quanto fosse magnifica quella città. Correvo e non mi guardavo indietro.

"Ran, corri! Devi correre!".

Notai il suo sguardo terrorizzato, il sudore sulla fronte. 
Rumori di spari che ci inseguivano, proiettili che rimbalzavano a terra. Persone che si scostavano dalla traiettoria, quasi senza dire nulla. Shinichi stringeva la presa e mi correva davanti, mentre io faticavo a stare al suo passo. 

"Coraggio!".

Non mi voltai, non sapevo chi ci stesse seguendo. Non capivo perché fossi in pericolo, non riuscivo a riflettere. Non c'era nulla su cui riflettere.
Quando svoltammo l'angolo, una decina di minuti dopo, e mi fermai per prendere fiato, non c'era più lui al mio fianco. Ero da sola. Di nuovo sola.
Mi asciugai il sudore dalle tempie, spaventata che chi ci inseguiva fosse vicino, e un altro tizio mi comparve accanto.
Sempre lui, il ragazzo straniero. Mi sorrise e mi prese per mano, guidandomi ancora verso vicoli stretti, di corsa, senza fiatare. 
Quando mi lasciò andare, capii di essere al sicuro. Dal suo sguardo, probabilmente. Dal suo sorriso. 
Fui nuovamente calma, rilassata. Come se non fosse avvenuto niente di tutto ciò. 
Camminai da sola, senza sapere dove dirigermi, né cosa fare. Proseguivo da qualche minuto lungo quella che doveva essere la strada principale, quando successe.

"RAN!"

Non mi ero accorta dei passi che mi si avvicinavano veloci. Non mi ero accorta dell'arma che aveva la mira ben puntata contro il mio petto. L'uomo coperto da un cappuccio nero era davanti a me, adesso. Percepii il proiettile e chiusi gli occhi, attendendo di sentire il dolore lancinante che mi avrebbe trafitto il torace. 
E invece, arrivò un gemito. Vicino, troppo vicino. Una voce appartenere a ciò che più amavo al mondo. 
Shinichi era davanti a me, in piedi a fatica, la mano premuta contro l'addome. 

"Shinichi... " dissi appena, non credendo ai miei occhi. Tremante, il respiro mozzato. Sgranai gli occhi, totalmente incapace di ragionare. Vidi il criminale scappare, la gente attorniarsi attorno al ragazzo. 
Non riuscii ad avvicinarmi a lui.
"Shinichi!".
Vidi il suo sangue scivolare lungo il dorso della sua mano e le dita, mentre spingevo qua e là nel tentativo di raggiungerlo. 
Lo vidi crollare a terra e poi più niente.

"SHINICHI!".

Mi alzai di scatto, raddrizzando la schiena. Aprii gli occhi di scatto e mi accorsi di essere sudata fradicia. 
Stringevo il lenzuolo bianco con una mano, mentre cercavo di riprendere a respirare. Era solo un sogno. Soltanto uno stupido sogno. 
Mi voltai verso la finestra, notando la fioca luce mattutina provenire dai vetri della finestra. Abbozzai un sorriso, dandomi mentalmente della stupida. Shinichi stava bene. Lo sapevo. Stava bene. 
Ringraziai il cielo che nessuno mi avesse sentita urlare, che Conan fosse rimasto a dormire dal dottor Agasa per tenere sotto controllo la febbre di Ai e che mio padre stesse dormendo così profondamente dopo la sbornia della sera prima che non si sarebbe svegliato così facilmente. 
Dovevo uscire, dovevo muovermi, fare qualcosa. Dovevo trovare qualcosa che mi distraesse per non pensare ancora una volta a lui. Sarei passata a trovare la piccola con l'influenza e le avrei preparato qualcosa di caldo da mangiare, ma c'era una cosa che non potevo assolutamente evitare.
Mi buttai giù dal letto e raggiusi in fretta il cellulare, componendo alla svelta il numero. Il cuore palpitava ancora, forte, automatico. Non accennava a rallentare, non ne aveva la minima intenzione.
"Pronto? Ran?".
Sorrisi sinceramente, stavolta, sospirando dal sollievo. Stava bene, sì. Sul serio. Ora potevo esserne sicura. E sarei rimasta al telefono a parlargli, a raccontargli del sogno, a sentirlo ridere per una cosa così ridicola - perché lui non si sarebbe mai ferito a quel modo - a prendermi in giro per la demenzialità dei miei incubi, a offendermi per le sue battute. Finché lui non mi avesse interrotta, finché non mi avesse detto che doveva andare, sarei rimasta lì per sentirlo, per sentire la sua voce. Per essere certa che stesse bene. Perché mi mancava.
Mi mancava davvero. 
  
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