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Autore: neonlig    14/05/2014    1 recensioni
“Trümper, cosa ti sei messo oggi? I tuoi vestiti fanno schifo.”
“Sei un ragazzo e ti trucchi anche, fai davvero schifo!”
“Scommetto che sei anche gay, che checca!”
——
“Cosa? Tu vuoi che io...cosa?!”
“Shh,” lo zittì la sua ragazza e lo guardò negli occhi portandosi un indice sulle labbra.. “Hai capito bene, voglio che tu vada al ballo del corpo studentesco con Bill Trümper invece che con me,”
“Ma lui è uno sfigato!” sospirò arrendendosi. Per lei avrebbe fatto di tutto.
——
“C-come sto?” chiese debolmente guardandolo dritto negli occhi.
Tom deglutì e lo guardò da capo a piede. “Sei bellissimo,” e sapeva che stava dicendo la verità.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza
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Just different.

 

1

 

 

 

 

 

 

Bill deglutì e prese un lungo e profondo respiro prima di aprire la porta della scuola superiore situata al centro di Berlino. Come al solito, era il primo ad arrivare. I corridoi erano illuminati e sembravano non finire mai, con tutte quelle porte di legno che portavano alle diverse aule e la scala di marmo che si trovava in fondo. Si avvicinò al suo armadietto e non fu stupito di trovarci sopra una scritta su un foglio di carta che recitava:'Bill Trümper merda'. Sospirò e lo strappò, accartocciandolo e avvicinandosi al cestino della carta per gettarlo via. Si avvicinò di nuovo al suo armadiettro grigio e inserì il codice (1,3,2), aprendolo e prendendo il libro di biologia.

 

La scuola superiore era sempre stata come una giungla, ognuno cercava di sopravvivere come poteva. I leoni, le persone popolari – che erano spesso membri di un club sportivo o erano semplicemente troppo ricchi –, se la prendevano spesso e volentieri con i più deboli. Usavano le loro parole come coltelli e armi e spade fino a farli sentire una nullità. Ma Bill Trümper era lo sfigato per eccellenza, lì. Purtroppo suo padre non aveva un lavoro che gli permettesse un buono stipendio nonostante cercasse di non fargli mancare nulla, e i club sportivi non facevano per lui: aveva un fisico magro – troppo magro per essere ammesso anche in un solo club – e poi preferiva passare il tempo a studiare per il college. Sua madre, invece, era morta subito dopo il parto e non aveva avuto l'opportunità di conoscerla. Andava a trovarla al cimitero e guardava le foto che la ritraevano giovane e felice, ma gli era comunque mancata una figura materna. Molti di quei ragazzi che lo prendevano in giro non lo sapevano, però. Non sapevano che la madre era venuta a mancare e che gli mancava ogni giorno, voleva davvero fare una di quelle chiacchierate madre-figlio che aveva sempre visto solo alla televisione, voleva semplicemente abbracciarla e ringraziarla perchè aveva dato letteralmente la vita per lui. Quei ragazzi con le loro bugie e le loro prese in giro che gli provocavano solo umiliazione evidenziavano solamente i suoi difetti, come se già non li vedesse. Bill non voleva essere popolare, voleva semplicemente avere una vita tranquilla senza che nessuno a scuola lo prendesse in giro e lo picchiasse. Suo padre era sempre dispiaciuto quando lo vedeva tornare a casa con un nuovo livido sul viso o sulla pelle pallida e gli consigliava sempre di cambiare scuola, ma Bill rifiutava. Per prima cosa, ogni altro liceo della città sarebbe stato troppo costoso per poterselo permettere e sapeva che suo padre avrebbe fatto gli straordinari per lui ma Bill non voleva, non voleva che lavorasse ulteriormente, un po' perchè il padre era anziano e un po' perchè voleva passare delle ore con lui senza che il lavoro gli prendesse tutto il tempo che Gordon dedicava al figlio. Seconda cosa, Bill voleva uscire vittorioso. Voleva uscire da quella scuola col massimo dei voti per dimostrare agli altri che ce l'aveva fatta, che era stato coraggioso e forte e che quindi aveva sopportato tutto e tutti, ma ce l'aveva fatta. Un giorno sarà potente abbastanza da non lasciare che gli altri lo abbattano, e tutti i suoi compagni che lo prendevano in giro saranno solamente cattivi, a quel punto saranno loro i perdenti. Bill ci credeva, Bill aveva fede, Bill sapeva che sarebbe successo, prima o poi. Amava immaginare i ragazzi del club di football che lo picchiano in continuazione tra dieci anni, a brontolare tutto il giorno ubriachi in un bar su una partita persa dalla loro squadra del cuore, mentre lui avrà un lavoro rispettabile e vivrà in una grande città.

 

La campanella suonò e Bill tremò stringendo tra le braccia il libro di biologia. Il corridoio si riempì lentamente di alunni assonnati e di cheerleader eccitate per la partita di football che si terrà quella sera stessa. Chiuse l'armadietto e si avviò verso il bagno, con l'intenzione di rimanerci fino all'inizio della lezione di biologia, sperando di essere abbastanza fortunato da passare inosservato. Ma qualcuno lo afferrò per la spalla e lo sbattè contro l'armadietto, gemette dal dolore alla schiena. Deglutì e aprì gli occhi lentamente. C'era quel Mark Rooster che gli dava il tormento dal primo momento che aveva messo piede lì. Anche se avesse combattuto, Bill non avrebbe avuto speranza; il tipo era più muscoli che cervello e si sarebbe ridotto solo in condizioni peggiori. Una ragazza carina e bionda, Lea Sue, si avvicinò lentamente alla folla che si era creata intorno a quello sfigato di Trümper e intorno a Mark e ai suoi amichetti. Bill Trümper era la preda di tutti i cacciatori di quella scuola. Non era popolare e non indossava certo abiti di alta moda, ma cercava di apparire sempre al meglio. I capelli corvini gli ricadevano lisci sulle spalle ed il trucco era sempre perfetto, così come i suoi abiti aderenti. Mark gli sferrò un pugno sul muso e Bill sentì il sapore metallico del suo stesso sangue, gemette di dolore e avvicinò le mani tremanti alla ferita, gli sarebbe uscito un livido di sicuro e non aveva idea di come coprirlo, non voleva che Gordon si preoccupasse, papà non doveva saperlo. “Come stai, checca?” gli disse Mark con un ghigno sul viso. Bill alzò gli occhi lucidi e li puntò nei suoi, implorandogli silenziosamente di smettere e di risparmiarlo, almeno per oggi.

 

“A-Abbastanza bene, grazie,” borbottò e Mark lo sbattè nuovamente contro l'armadietto, stavolta con più forza, provocandogli dolore alla nuca. Quando Bill urlò dal dolore, tutti risero, Lea compresa: questo era quello che si meritava per essere nato. Mark gli portò una mano alla gola e lo alzò da terra, mentre il moro posizionava le mani tremanti sul suo polso, cercando di toglierla di lì, non riusciva a respirare.

 

“Sei uno sfigato, finocchio di merda, mi fai schifo,” gli sussurrò e lo lasciò, facendolo accasciare a terra. Le lacrime avevano preso a rigargli il viso e scendevano lungo la ferita sul viso, bruciava. Mark si allontanò e tutti continuarono a guardare lo stato pietoso in cui era ridotto Bill, era quella la parte più bella, vedere Bill soffrire.

 

Lea si avvicinò sorridendo malvagiamente e gli diede un calcio nelle costole, Bill alzò il capo per guardarla e continuò a piangere sileziosamente. “Mark non ha tutti i torti, sfigato di un Trümper, non meriti davvero di vivere,” detto questo girò i tacchi e se ne andò. Era popolare, non poteva permettere che il suo nome venisse cancellato dalla lista delle persone popolari. Perchè andava di moda da cinque anni picchiare Bill ogni giorno.

 

Ogni cellula nel corpo di Bill faceva male, dentro stava gridando che non aveva deciso lui di nascere, che sarebbe stato meglio se la madre avesse deciso di vivere e uccidere lui. Si alzò barcollando e quel ricordo scaturì ulteriore lacrime. Tutti lo stavano guardando in silenzio e questo faceva più male dell'essere picchiato. Tutti quanti lo stavano giudicando, non voleva essere giudicato, voleva essere una persona normale e avere almeno un amico. Non stava chiedendo il mondo, o la luna, voleva solo un amico che gli rimanesse accanto. Superò la fila e corse verso i bagni mentre delle lacrime nere continuarono a bagnare il suo viso pallido e le sue labbra bianche. Nel correre urtò qualcuno ma non si fece molti problemi, si chiuse in bagno accasciandosi dietro la porta e scoppiando in un pianto isterico. Aveva ancora problemi a respirare e si massaggiò il collo, dove Mark prima lo aveva quasi strozzato. Era come se stesse sull'orlo di un burrone e stava cadendo, aveva un bisogno di aiuto, ma appena chiamava o urlava come un pazzo per cercare qualcuno che lo aiutasse, sentiva solamente l'eco della sua voce, le ombre erano l'unica cosa che riusciva a vedere.

 

Tom si girò a guardare la porta del bagno in cui si era appena rifugiata una figura indistinta che prima lo aveva urtato. Riconobbe poi i deboli singhiozzi di Trümper e fece una faccia schifata. Che schifo, quella checca di Bill Trümper l'aveva sfiorato.

 

 

 

 

Lea si sedette all'ultimo banco dell'aula di tedesco e guardò distrattamente la lavagna. Si girò a sinistra sentendo uno strano rumore e vide l'amica Eleanor avvicinare il banco al suo. Gli accennò un sorriso e gli diede un caloroso buongiorno, ma l'amica sembrava di cattivo umore, di fatti, non ricambiò né il sorriso né il buongiorno. “Mi hai deluso molto, Lea,” disse guardandola dritta negli occhi e la ragazza ebbe un colpo al cuore, strabuzzò gli occhi prima di corrugare la fronte. “Ti ho vista oggi, con Trümper intendo. Cosa vi ha fatto di così cattivo quel ragazzo per meritarsi una punizione così dura?”

 

Drizzò la schiena e continuò a guardare Eleanor, i capelli castani e lisci raccolti in uno chignon che rendeva il suo viso ancora più delicato. “Beh, vive, respira, cammina su questo mondo,” disse come se fosse una buona ragione per odiare una persona così fragile.

 

“Ti sembrano dei motivi validi?” disse gesticolando nervosamente e guardando l'amica, non la riconosceva quasi più. “Far sentire una persona l'ultima ruota del carro è la giusta punzione per 'vivere, respirare e camminare su questo mondo'?” Eleanor era sempre stata molto sensibile sull'argomento, non gli piaceva come trattavano Bill e non si faceva problemi ad esporre la sua teoria alle persone che puntualmente lo picchiavano, come Mark Rooster, come Lea Sue, come Luke Snell. “Credo di capire perchè lo odiate. Non vi piacciono i suoi jeans, non vi piace il modo in cui porta i capelli, non vi piace il fatto che si trucchi. È libero di fare qualsiasi cosa lui voglia, chi siete voi per giudicare?”

 

“Non cercare di fare la santa con me, Eleanor, sei brava solo a parole. Non ti ho mai visto proteggere quella checca da quando è qui.” disse Lea cercando di difendersi. Eleanor scosse il capo guardandola amareggiata.

 

“Io non gli lancio cibo in mensa, non lo picchio durante la prima ora, non attacco frasi idiote sul suo armadietto, non gli sputo in faccia appena lo vedo passare per il corridoio,” disse e si sentì male per quel ragazzo che sopportava quella tortura da ben cinque anni. “Avete mai pensato che quel ragazzo abbia anche problemi a casa e non solo a scuola?”

 

“Beh, è uno straccione,” disse girando il capo e alzando un sopracciglio, sentendosi improvvisamente male. Essere povero non era una buona ragione per essere preso in giro da qualcuno.

 

“È vero, il padre guadagna poco, ma lui fa di tutto per sembrare al top, è da apprezzare. Non ho mai visto un buco sulla sua maglietta, non ho mai visto i suoi capelli sporchi o il suo viso trascurato,” gli spiegò e Sue abbassò la testa, deglutendo. Eleanor sospirò e decise di cambiare discorso, l'amica non avrebbe mai imparato la lezione. “Tra poco ci sarà il ballo studentesco, hai già un accompagnatore?” prese a mangiucchiarsi le unghie disinteressata.

 

Sue annuì impercettibilmente. “Sì, Tom mi ha invitato ad andare con lui,” Tom Kaulitz era il ragazzo più popolare di quella scuola. Era il migliore della squadra di baseball e i suoi voti erano ottimi, ogni ragazzo lo ammirava e ogni ragazza gli sbavava dietro. Ma lui, stranamente, aveva deciso di frequentare Sue. Uscivano insieme da circa sei mesi e facevano l'amore da una settimana.

 

“Tom, uhm,” disse la ragazza pensierosa e guardò di sbieco l'amica. “Ti piace proprio tanto, eh?”

 

Lea ridacchiò nervosamente e le sue gote si colorarono di rosso. Annuì e tra loro due calò il silenzio. Aveva una domanda da porgere all'amica ma era un po' preoccupata della risposta. La guardò a lungo mordendosi l'interno della guancia e decise di buttarsi. “Bill non andrà al ballo, vero?”

 

Eleanor si girò verso di lei genuinamente sorpresa della domanda e alzò un sopracciglio. “E come potrebbe? È solo al mondo, povero ragazzo,” disse lentamente dato che era appena entrata la professoressa di tedesco. “Sai che chi non ha un accompagnatore non si presenta al ballo. Sinceramente, in questi cinque anni non ho mai visto Bill Trümper ad un ballo studentesco,” Lea si sentì malissimo. Lei era andata al ballo del corpo studentesco ogni anno con un accompagnatore diverso, era sempre stata incoronata regina e per quello era diventata popolare. Ma mentre lei si divertiva a ballare e a bere punch con il ragazzo che l'aveva invitata, Bill rimaneva solo a casa a fare chissà che cosa. Sospirò e si girò in direzione della lavagna mentre la professoressa iniziava a spiegare.

 

 

 

Quando sentì scattare la serratura, Bill sorrise e corse verso l'entrata per accogliere il padre. Gordon lavorava in una lavanderia dalle sette della mattina alle cinque del pomeriggio, Bill lo aspettava ogni volta per mangiare perchè si sentiva male al pensiero di mangiare da solo. Nonostante non lo desse a vedere, non amava sentirsi solo. “Buon pomeriggio, papà,” disse con un sorriso e Gordon gli ricambiò uno stanco sorriso. “Ti ho aspettato per mangiare, è tutto pronto,” incrociò le mani dietro la schiena e dondolò avanti e indietro felice. Il padre era l'unico che lo volesse bene, e ora che era a casa si sentiva così felice.

 

“Non dovevi, Bill,” disse e chiuse la porta con i piedi, posando poi le chiavi sul tavolo vicino la porta. “Avrai fame, andiamo a mangiare,” Bill annuì e si avviò in cucina, seguito dal padre. Alla fine era riuscito a coprire il livido con un sacco di fondotinta, ma se qualcuno avesse visto meglio e da vicino, l'avrebbe notato. Sperò che il padre non gli ispezionasse il viso come di solito faceva, oggi era più stanco del solito e sperò che non lo facesse. Gordon si sedette a tavola e Bill posò una ciotola piena d'insalata di fronte a lui, per poi prendere due piatti con la carne e posarlo uno davanti al padre e uno al suo posto di fronte a lui. Non era un piatto da re, ma a lui andava bene così se era tutto quello che potevano permettersi. Bastava stare con Gordon e tutto sarebbe andato bene. “Hai già iniziato a studiare?” gli chiese l'uomo servendosi un po' d'insalta verde e guardando poi il figlio che dondolò felice i piedi sotto al tavolo.

 

“Inizio più tardi, sono pochi i compiti per domani,” disse con un sorriso e anche Gordon gli ricambiò il sorriso, guardandolo a lungo. Non chiedermi del livido, non chiedermi del livido, non chiedermi del

 

“E quello come te lo sei fatto?” chiese Gordon puntando il viso del figlio, che si toccò il punto indicato e guardò il padre a lungo.

 

“S-Sono caduto dalle scale prima, sai quanto io sia sbadato,” mentì fingendo un sorriso e tagliò un pezzo di carne portandoselo alla bocca e iniziando a masticare debolmente. Gordon rimase in silenzio a guardare il figlio mangiare a testa bassa. Incurvò le labbra verso il basso e incrociò le mani poggiando i gomiti sul tavolo, gli dispiaceva enormemente per il figlio. Era vero, non avevano tanti soldi perchè Bill fosse popolare, ma lui lavorava duramente per accontentare Bill, che però non gli chiedeva mai di comprargli nulla. Non avevano mai festeggiato il suo compleanno, non aveva mai nemmeno chiesto un regalo, non voleva che il padre spendesse dei soldi inutili, sapeva che servivano a pagare l'affitto, lo sapeva questo.

 

“Bill,” lo chiamò dolcemente il padre e il figlio alzò il viso, i suoi occhi erano lucidi e le sue labbra arrossate. Una lacrima gli sfuggì e lui se l'asciugò velocemente con il palmo della mano. “Perchè non cambi scuola?”

 

“A cosa servirebbe, papà? Devo resistere altri due mesi e me ne andrò al college, sarebbe inutile cambiare scuola,” disse tirando su col naso e Gordon si spalmò sulla sedia guardando il figlio piangere silenziosamente. “Non voglio arrendermi, comunque,”

 

Sospirò. “Lo so, Bill, sei forte,” disse e si alzò, circondando il corpo del figlio con le sue braccia, permettendogli di macchiare la sua divisa con le sue lacrime. “Non ascoltarli, sei bellissimo,” gli sussurò nell'orecchio e Bill scoppiò ulteriormente a piangere stringendogli la divisa tra le mani, e tutto questo a Gordon faceva solamente male.

 

 

 

 

Lea gemette e Tom crollò su di lei, mentre lei lo abbracciava debolmente. Questa volta non era stata come le altre volte. Tom era bravissimo a fare l'amore, ma era stata così distratta che non se n'era nemmeno accorta che Tom era venuto e aveva smesso di spingere. Il biondo alzò lo sguardo su di lei e le accarezzò una guancia dolcemente. “Cosa c'è, piccola? Sei strana,” gli disse e uscì da lei mettendosi seduto sul divano di pelle della sua famiglia e Lea si sedette lentamente, guardando Tom andare a buttare il preservativo usato.

 

“Tom, secondo te sono una cattiva persona?” gli chiese e Tom corrugò la fronte mentre indossava i boxer e poi si rialzava i pantaloni.

 

“Cosa? No, certo che non lo sei,” disse e ritornò a sedersi vicino a lei, che cercava di mettersi il reggiseno, ma le sue mani tremanti glielo impedirono. Tom si avvicinò a lei e glielo sistemò, guadagnandosi un casto bacio sulle labbra. “Perchè me lo chiedi, comunque?”

 

“I-Io ho...” deglutì e guardò il suo ragazzo. Sapeva che non l'avrebbe giudicata e non gli avrebbe nemmeno detto qualche brutta parola, per questo lui era l'unica persona con cui si confidava. “Io ho picchiato Bill Kaulitz,” una lacrima le scese lungo la guancia e si chiese perchè stesse piangendo. Forse perchè si era resa conto di quanto fosse stata cattiva in tutti quei cinque anni.

 

“Tutti hanno picchiato Bill Kaulitz, Lea, non fartene un problema,” le disse dolcemente guardando la sua ragazza piangere. La strinse tra le sue braccia e le accarezzò la schiena lentamente.

 

“Tu non l'hai mai fatto,” gli ricordò lei e sentì Tom annuire sulla sua spalla.

 

“Non mi piace prendermela con i più deboli,” Sue scoppiò ancora a piangere, Bill era più debole di lei.

 

Si staccò dall'abbraccio e poggiò le mani sul suo petto nudo e caldo. “H-Ho sbagliato e voglio scusarmi,” Tom stava per aprire la bocca ma lei lo interruppe. “Non voglio andare vicino a lui e chiedergli esplicitamente scusa, mi prenderebbero solamente in giro,” Tom ci pensò un po' su e poi annuì, a Lea importava della sua popolarità. A lui, invece, un po' meno: non era voluto diventare popolare a tutti i costi, ci si era ritrovato in mezzo senza sapere cosa fare. “Voglio che tu lo inviti al ballo,”

 

Stralunò gli occhi e corrugò le sopracciglia, guardandola in modo strano. “Cosa? Tu vuoi che io...cosa?!” disse alzando di poco il tono della voce.

 

“Shh,” lo zittì la sua ragazza e lo guardò negli occhi portandosi un indice sulle labbra. “Hai capito bene, voglio che tu vada al ballo del corpo studentesco con Bill Trümper invece che con me,”

 

“Ma lui è uno sfigato!” disse e guardò di nuovo la sua ragazza. Aveva uno sguardo amareggiato e gli occhi ancora velati di lacrime, sospirò arrendendosi. Per lei avrebbe fatto di tutto. “E va bene, ma non è detto che accetti,”

 

Sue sorrise raggiante e si sistemò i capelli corti e biondi sulle spalle. “Vedrai che accetterà, tutti accetterebbero se fossi tu a chiederglielo,” si alzò e cercò le sue mutandine bianche per la stanza, le indossò. Si avvicinò a lui e lo abbracciò baciandogli una spalla. “Ti amo,”

 

Tom le accarezzò i capelli dolcemente e deglutì, era la prima volta che glielo diceva ma non era sicuro di ricambiare appieno i suoi sentimenti. “Anche io,” mentì e la strinse a sé chiudendo gli occhi e godendosi quell'abbraccio caldo.

  
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