Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: DanzaNelFuoco    14/05/2014    3 recensioni
Crossover: "Thor", avvenimenti post "The Avengers", non tiene conto di "Thor: The Dark World".
Loki, dopo aver tentato di distruggere la Terra, viene esiliato dal padre in un luogo di pace e perfezione assoluta. Non sa, perso nel proprio risentimento e dolore, che a non molta distanza si trova un regno prospero e felice, la cui regina condivide lo stesso freddo dono, Elsa.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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1 – Perfezione
 
Odiava quel posto con tutto sé stesso.
Era troppo perfetto, troppo simile alla gabbia dorata in cui l'avevano costretto a vivere.
Era in esilio.
Allontanamento a scopo preventivo, l'avevano chiamato. Potrai tornare quando non sarai più un pericolo, gli avevano detto.
Davvero?
Lui non ne era tanto sicuro. Certamente sarebbe rimasto a marcire in quei prati assolati e verdeggianti di primavera, oppresso dal sole e dal canto degli uccellini.
Sarebbe diventato pazzo e allora sarebbe stato solo un problema suo.
Quel mondo era deserto e decisamente allegro, una combinazione inquietante anche per l'ambiguo Loki.
D'accordo, ammetteva che cercare di radere al suolo la Terra era stata una stupidaggine, ma cosa si aspettavano?
Si era lasciato cadere nello spazio siderale e nemmeno una notizia di suo padre o suo fratello, segno evidente dell'affetto che nutrivano nei suoi confronti. Eppure a guardia del Bifrost stava un essere che poteva vedere attraverso i mondi, difficile che non sapessero dove si trovasse.
Perciò Loki aveva covato rancore e odio, alimentandolo con il risentimento di una bugia finalmente scoperta e l'indifferenza davanti al crimine. Lui era l'eterno secondo e non gli concedevano possibilità di riscatto, perché lo avevano rapito da bambino? Non sarebbe stato meglio lasciarlo morire invece che raccoglierlo e allevarlo come pari, ben sapendo che non lo sarebbe mai stato?
Perciò si era leccato le ferite in un silenzio che sapeva di amaro e aveva escogitato una vendetta, ma ovviamente era destinato a fallire.
Non riusciva a capire dove sbagliasse, perché tutto ciò che faceva diventasse cenere tra le sue mani.
Non era a casa sua, non apparteneva a quel mondo e nonostante lo sapesse desiderava farsi accettare.
Se non era casa sua Asgaard, sicuramente neppure quello strano mondo lo era e non lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio.
Gli prudevano le mani, desiderava che quella perfezione non cozzasse così violentemente con il suo stato d'animo. Una folle brama di distruzione lo coglieva guardando i rami ritorti degli alberi alzarsi elegantemente e armoniosamente verso il cielo, esaminando il prato regolare. Un forte istinto omicida si scatenava contro il canto melodico degli usignoli e il ronzio costante delle api.
Aveva cercato invano di catturare quei fastidiosi mostriciattoli, schegge di legno gli si erano conficcate nelle mani mentre tentava invano di rompere la perfezione di quei rami in un impeto di furore, aveva strappato i fiori del prato che ora giacevano vicini a formare un giaciglio inutilizzato e finalmente la sua furia si era placata. Svuotato si era lasciato cadere sull'erba, guardando le nuvole bianche scivolare sul cielo, una infinita tela con un' unica campitura celeste. Svuotato nel corpo, ma non nella mente che non poteva fare altro che tornare indietro nel tempo, riavvolgere la pellicola conservata nel suo cervello e rivedere il film della sua vita ancora e ancora.
Aveva scoperto di essere uno di quei mostri che gli avevano insegnato a odiare, aveva rifiutato sé stesso, gli altri lo avevano rifiutato. Forse avevano intuito prima di saperlo che lui non era come loro, forse lui emanava un'aura malvagia che allontanava l'intera Asgaard.
Il cielo cambiò tonalità, diventando sempre più scuro, nero, mentre brillanti diamanti incastonati in quello che non sembrava più una tela, ma scuro velluto, rischiaravano il paesaggio.
Non chiuse gli occhi nemmeno un istante, non aveva bisogno di dormire così spesso. Aveva perso il conto dei giorni, dei mesi, aveva continuato a guardare il cielo schiarirsi e scurirsi ciclicamente per un tempo infinito e microscopico.
Eternità era un tempo molto lungo da passare in quel luogo. Eternità. Era certo che non sarebbero mai tornati per lui, non si sarebbero mai fidati. E d'altronde non poteva biasimarli.
Quanto tempo avesse trascorso in quel perenne Eden non avrebbe saputo dirlo il giorno in cui avvertì un cambiamento nell'aria. Era più cristallina, più fredda e pungente. Comunque fosse ciò non gli impedì di ricadere supino, dopo aver alzato  nella posizione che occupava da mesi, disinteressato a tutto.
L'erba accanto a lui ghiacciò in fretta, troppo in fretta per essere naturale.
Una brace sopita del suo istinto di conservazione lo spinse a scattare in piedi prima di chiedersi se gli importasse sopravvivere. Ghiaccio veloce significava qualcuno che lo producesse e qualcuno significava un potenziale nemico, soprattutto visto che le uniche creature di cui fosse a conoscenza con tali poteri erano i Giganti di Ghiaccio, notoriamente non troppo amichevoli da quando aveva ucciso il loro re è cercato di distruggere il loro intero pianeta con il Bifrost.
Attese, ma la potenziale minaccia non si presentò.
Stava quasi per credere che la sua percezione del tempo fosse già andata a farsi friggere, facendolo rallentare e accelerare in modo casuale, quando udì delle voci.
"Oh, andiamo Olaf!" esclamò una voce femminile prima di scoppiare a ridere.
Voltò la testa di scatto e vide una donna avvicinarsi accompagnata da un... pupazzo di neve?
Indossava un vestito troppo leggero per quel freddo segno che lei non ne pativa conseguenze. Si sistemò i lunghi capelli bianchi dalla spalla dietro la schiena, poi si chinò sul pupazzo di neve gli sistemò la carota che aveva per naso.
Non sembrava vecchia, nonostante il colore dei capelli, ma era troppo lontana per poter stimarne l'età.
Si ricompose e attese che la donna si accorgesse di lui.
Mai si sarebbe aspettato che questa si mettesse a cantare.
Mentre le note pervadevano l'aria gli sembrò tutto improvvisamente più giusto.
Era freddo e lui amava il freddo. C'era ghiaccio attorno a lui e neve, che scendeva dal cielo copiosa.
Chiuse gli occhi, mentre i fiocchi si posavano sulla sua pelle, rendendola bluastra. Si stese a terra mentre la neve lo ricopriva, senza pensare a nulla, lo schermo nella sua mente spento, senza alcun ricordo proiettato sopra. Non aveva mai abbassato la guardia in quel modo, neppure da bambino. D'altronde era solo, poteva permetterselo, la ragazza era lontana...
Qualcosa lo urtò.
"Oddio! Olaf, è morto!"
Gridò la donna, accorgendosi di essere inciampata in quello che sembrava il cadavere di un uomo bluastro per il freddo.
Loki si costrinse a riemergere dalla neve appoggiandosi ad un gomito.
"Ah! Uno zombie!" urlò il pupazzo di neve, Olaf, correndo via a tutta velocità.
"Prego?" chiese confuso.
La ragazza, non poteva avere più di venticinque anni, si chinò su di lui. "Vi sentite bene? Avete bisogno di cure!"
La sua voce era disperata. Il blu sulla pelle dell'uomo le aveva riportato alla memoria quello di Anna.
"Vi ho colpito! Dove?"
Doveva sapere se aveva colpito la testa o il cuore, se poteva salvarlo.
Si rivide davanti agli occhi la sorella, la carnagione bluastra e fredda, le membra rigide, i capelli bianchi. I capelli... I capelli di quell'uomo erano neri come la pece, schiariti dai fiocchi di neve che vi si erano posati sopra.
"Non sono stato colpito."
Elsa ne fu immediatamente sollevata.
"Ma voi siete ghiacciato!"
Loki ghignò: "Difetto congenito. Ci sono nato."
Con un gesto della mano da parte della ragazza la neve cessò.
Quando la neve su Loki si sciolse la sua carnagione tornò normalmente pallida.
"Voi non state bene, un medico deve visitarvi." insistette la ragazza. Non poteva permettersi errori, non dopo essere riuscita a uscire da quella spirale di terrore e vergogna in cui era caduta da bambina. Uccidere un uomo con i suoi poteri sarebbe stato controproducente.
"Vi assicuro che non ne ho bisogno. Devo solo restare qui ad aspettare mio padre o mio fratello, che non arriveranno mai a riprendermi."
Elsa guardò lo strano uomo che non soffriva il freddo.
"Sono certa che vi troveranno ugualmente a palazzo." Ignorò l' assurdità della frase
L'attenzione di Loki fu catalizzata dalle parole di lei. Palazzo?
Loki squadrò la giovane, analizzando le possibilità da volgere a suo vantaggio.
"D'accordo."
La ragazza gli tese la mano, ma lui si alzò da solo, scrollandosi la neve dai vestiti.
"Ce la fate a camminare?" chiese la fanciulla notando l'incertezza dei suo passi.
Mesi e mesi di abbandono gli rendevano difficile camminare normalmente o anche solo muovere le gambe. Tuttavia, l'uomo annuì.
Camminarono sul prato primaverile per un tempo abbastanza lungo e infine scorsero dalla cima della collina la città sotto di loro.
Non era grande come Asgaard, né altrettanto bella o preziosa, ma ugualmente rifulgeva come una gemma sotto lo scintillio del sole.
Loki rimase a guardare quel segno di fermento umano, quel formicaio di persone, emozioni, sentimenti e gesti, che gli erano stati negati così a lungo, chiuso in una solitudine di silenzi ed esclusione lunga una vita intera, la sua.
La donna, forse mal interpretando lo sguardo ammirato di Loki, si rivolse a lui con un sorriso.
"Benvenuto ad Arendelle, straniero. Io sono la regina Elsa."
 
N.d.A. 

Bon, mente bacata alla riscossa. Non potevo non cross-overare una cosa del genere. Ci penso da un bel po' e visto che sono già arrivata al quinto capitolo non ho resistito e ho pubblicato. 
Ci ho provato a mescolare l'angst che mi provoca Loki a tutto il pucciosissimo fluff di Olaf, non so se quel pezzo sia coerente, comunque... (a dire il vero non so neanche se Olaf possa sapere cosa sia uno zombie, ma tant'è!).  
DNF

 
  
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