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Autore: sakura_87    28/07/2008    2 recensioni
Un gruppo di amici dai 15 ai 19 anni, trova una strana pietra con il potere di esaudire desideri. Tra guai, misteri e storie d'amore arriveranno alla fine a trovare la soluzione del mistero? A voi scoprirlo! Sono perfettamente consapevole di non aggiornare da tantissimo. Vi chiedo ancora un po' di pazienza. Appena finirà questa sessione d'esami autunnale tornerò a postare!
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Ehi Giorgia cerchiamo un pallone per giocare? Io mi sto annoiando!- mi chiese Giulia, la mia migliore amica.
- NO! – le rispondemmo in coro noi altri, con gli occhi sbarrati, pensando allo spavento e all’avventura dell’ultima volta che siamo andati in giro a cercare un pallone.
Ora vi chiederete: chi sono “noi altri”? Beh, ve lo racconto in poche parole.
Io sono Giorgia, ed ho 15 anni. Poi c’è Giulia, la mia migliore amica. Siamo in classe insieme e abbiamo la stessa età. Per completare la parte femminile della comitiva, c’è Irene, che ha 17 anni. Ma come in ogni gruppo di amici che si rispetti, non possono mancare i ragazzi! Abbiamo quindi Paolo, che ha 19 anni, ed è il più grande. Poi c’è suo fratello Francesco che ne ha 17. E infine lui, il ragazzo dei miei sogni, Daniele, che ha 18 anni.
Eccoci qui. Abitiamo tutti nella stessa strada in questo paesino sperduto sui colli intorno a Roma. Come avete capito, ho una cotta pazzesca per Daniele. È così carino! Alto, castano e con lo sguardo intenso. E poi è anche dolce e simpatico! Ma in amore sono sempre stata una frana e ho sempre creduto impossibile una storia tra noi.
Ma torniamo al motivo di questo racconto. È strano che dei ragazzi delle nostre età abbiano paura nel mettersi a cercare un pallone, non vi pare? Ma noi siamo giustificati!
Qualche giorno prima di questa fatidica domanda, ci eravamo visti al parco vicino alle nostre case. Eravamo seduti chi sul prato, chi sulle altalene, e stavamo chiacchierando, quando ci venne voglia di giocare un po’ a calcio. Maschi contro femmine. Squadre squilibratissime, ma almeno ci saremmo fatti qualche risata! Era ancora piena estate, periodo in cui il parco si riempie sempre di bambini che giocano a pallone, che spesso e volentieri lanciavano oltre il recinto che è dietro le altalene. Ma a nessuno è mai venuto in mente di scavalcare il muro per andare a recuperare le ormai decine di palle che vi si trovavano.
Quel pomeriggio decidemmo quindi di andare noi a prendere uno dei palloni lì intrappolati. Per riuscire a scavalcare decidemmo che due di noi si mettessero a mo’ di scaletta con le mani e ci aiutassero a superare l’alto muro. Gli infami si misero d’accordo per far andare me e Daniele l’ da soli. Ero euforica, e non credo di essere stata molto pesante sulle mani di Paolo e Francesco dato che volavo già di mio!
Superata la recinzione io e Daniele ci trovammo in un giardino pieno di erbacce che crescevano incolte probabilmente da decenni, e di fronte avevamo una casa, abbandonata forse da un secolo dato che sembrava letteralmente cadere a pezzi.
Smettemmo quasi subito di esaminare il luogo, per dedicarci alla ricerca per la quale eravamo lì. Controllammo un po’ di palloni, tutti bucati, ma continuammo a spostare erbacce, quando, ad un certo punto, scoprii una fortissima luce rossa proveniente da un foro nel terreno. Chiamai Daniele e insieme cercammo di scavare più possibile, finché scoprimmo la fonte della luce. Dalla terra saltò fuori una pietra, che a prima vista sembrava un enorme rubino e che risplendeva di luce propria. Non riuscivamo a capire cosa fosse, nonostante le mille supposizioni che uscirono dai nostri cervelli, bacati viste le idee che ci erano balenate davanti. Pensammo persino che fosse una pietra dei desideri, e di fatto questa fu l’ipotesi più corretta perché quando stavamo per tornare indietro non ci andava gran ché di attaccarci alla corda che i nostri amici ci lanciavano. (Ma da dove l’avevano presa?) O meglio non andava a me. Non sono mai stata brava nell’arrampicata, neanche a educazione fisica quando il prof. ce la faceva fare come esercizio. Mi vergognavo troppo a chiedere a Daniele di aiutarmi e farmi spingere da dietro! Così mi venne spontaneo dire:
- Come vorrei che nel muro ci fosse un passaggio!
Improvvisamente si aprì un arco e potemmo vedere i volti stupefatti dei nostri amici che si stavano iniziando a chiedere perché ci avessimo messo tanto. Rimanemmo tutti a bocca aperta e quando riuscimmo a riprenderci dalla sorpresa gli altri iniziarono a chiederci cosa fosse successo. Noi raccontammo tutto, mentre ci andavamo a sedere su una panchina, e gli altri pendevano dalle nostre labbra. Poi le ragazze, maliziose come sempre, mi presero da parte e mi chiesero se era successo altro. Quando risposi che eravamo troppo presi a capire cos’era quella pietra per poter pensare ad altro, fecero una faccia come a dire “potevi provarci, scema!”
Tornammo dai fanciulli e anche loro iniziarono a chiedere cos’era successo oltre alla scoperta della pietra. Daniele sembrava non capire a cosa si riferissero, ed essendosi spazientito esclamò:
- Perché non state zitti cinque minuti?
Detto fatto. Un silenzio di tomba calò sui nostri amici e noi fummo presi dal panico. Quanto poteva durare l’effetto di un incantesimo di quella pietra? E se fosse stato perenne? Per noi due furono i cinque minuti peggiori della nostra vita. Non sapevamo più che cosa fare. Se i nostri amici fossero rimasti muti per sempre sarebbe stata colpa nostra. Lo spavento fu enorme. Finalmente dopo i cinque minuti gli altri ricominciarono a parlare, ma non chiesero più nulla riguardo l’accaduto. Avevamo capito che quella pietra era strana, non c’erano altre spiegazioni per i due “miracoli” degli ultimi minuti, e iniziavamo ad avere paura. Poteva causare guai immensi, quindi decidemmo di far tornare il muro al suo posto e sotterrare nuovamente quella fonte di fifa.
- Tu hai trovato la pietra, quindi a te l’onore di riseppellirla.
Furono queste le parole di Daniele mentre mi porgeva l’oggetto.
Mentre scavavo una buca che la contenesse, pensai a come sarei stata felice se Daniele avesse capito che mi piaceva e avesse ricambiato, e iniziai a fantasticare su quello che sarebbe potuto succedere al di là di quel muro se non avessi trovato la pietra.
Interruppi i miei pensieri quando mi tagliai il dito con un vetrino che si trovava lì per terra. Non feci troppo caso al taglio e infilai nella buca il grosso rubino che fino a quel momento avevo tenuto poggiato sulle gambe. Lo ricoprii di terra e mi andai a sciacquare le mani. Come luogo di seppellimento (macabra come immagine mi sa), avevamo scelto un terreno sotto uno degli alberi del parco in modo che fosse facile da trovare nel caso ci fosse stata qualche emergenza. Ci faceva paura, certo, ma non potevamo dimenticare che in caso di bisogno avrebbe espresso ogni nostro desiderio!
Tornammo verso casa, ormai era ora di cena, e come al solito io e Daniele fummo gli ultimi a rientrare visto che eravamo quelli più in fondo alla via. E da quel momento, solo per qualche girono, nessuno pensò più alla pietra, o almeno se ci pensammo non ne parlammo mai ad alta voce tra di noi. Finché Giulia non fece quella fatidica domanda.
- Che dite, è ancora dove l’ho sotterrata?
- Io avrei voglia di tirarla fuori, - disse Paolo.
- Dai vediamo un po’, in fondo non può mica farci nulla se stiamo attenti a come parliamo! – intervenne Daniele.
Arrivati sotto l’albero, che tutti ricordavamo perfettamente, notammo un buco nella terra, la pietra non c’era, e al suo posto trovammo un pezzetto di vetro con una goccia di sangue.
- Ma quello è il vetrino con cui mi sono tagliata quando ho scavato la terra! Ma sono sicura che era caduto sotto la pietra quando l’abbiamo messa dentro.
Eravamo perplessi, non riuscivamo a spiegarci cosa potesse essere successo. Ancora una volta il comportamento e gli strani eventi intorno a quell’oggetto misterioso ci fecero venire la pelle d’oca e i brividi, nonostante il caldo della stagione.
- Voglio andare a vedere al di là del muro, dove l’abbiamo trovata la prima volta. – dissi. Non so da dove riuscii a trovare il coraggio. Avevo una paura enorme! Ma nonostante ciò sentivo che era giusto fare così.
- Quindi andate di nuovo tu e Daniele, - intervenne Irene, - dato che siete quelli che sanno dove stava.
Noi due annuimmo e come la volta precedente scavalcammo il muro. Ci avvicinammo al luogo dove la prima volta avevamo dissotterrato la pietra e scostammo le erbacce. La stessa familiare luce rossa che ci aveva investiti la prima volta, ci avvolse di nuovo. Ci chinammo in contemporanea per raccogliere l’oggetto e senza volerlo le nostre mani dapprima si sfiorarono e poi si intrecciarono. Ci guardammo negli occhi. Mi sentii stranissima per alcuni secondi. Poi ci alzammo e le nostre mani erano ancora legate insieme come se ci fossero stati dei fili invisibili ad impedirci di separarle. Poi i nostri volti si avvicinarono e ci baciammo. Poi lui si staccò lentamente continuando a tenere il suo sguardo fisso nel mio solo per poco, perché si voltò di scatto. Avrei voluto chiedergli il motivo ma mi anticipò.
- Scusa, non avrei dovuto farlo. Forse era meglio parlartene prima.
Bene, in quel momento decisi che era proprio un idiota patentato perché a quanto pareva sul serio non aveva mai capito nulla. Credevo che semplicemente evitasse di farmi vedere che sapeva mi piacesse perché in realtà a lui non interessavo, ma voleva comunque mantenere l’amicizia. Volevo dirgli quanto era stupido.
- Parlarmi di cosa? Ma tu lo sai perché sia l’altra volta che ora hanno mandato qui solo noi due? Cavoli, invece che te potevano far venire Giulia, è molto più leggera da far salire, almeno quei due non si sarebbero spaccati la schiena sollevando te!
Ok, forse stavo esagerando, sembrava una vera e propria ramanzina. Ma dovevo svegliarlo in qualche modo, no?
- Ora che mi ci fai pensare è vero. Non ci avevo pensato, sul serio.
Lo interruppi abbracciandolo da dietro dato che ancora non si era girato. Avevo seguito il mio istinto e a quanto pareva aveva funzionato. Tremò un po’ nel mio abbraccio. Caspita, sembravo io però l’uomo della situazione. Un tempo non erano i ragazzi a prendere le iniziative?
- Non pensarci, - gli dissi. – Non dovevi chiedermi scusa, non dovevi preoccuparti di quel bacio. Non ci credo però che non ti sei mai accorto di niente. Ti vengo dietro da mesi.
E dopo questa mia confessione sul serio temetti una sua reazione negativa. Mi aveva baciata, ok, ma chi mi diceva che non ci avesse già ripensato? Magari gli aveva fatto schifo. Che ragazza complessata che ero.
Invece lui si girò nell’abbraccio e mi strinse rivolgendomi il sorriso più dolce che gli ho mai visto e mi sussurrò una frase all’orecchio che mi mandò in estasi:
- Mi piaci da impazzire.
Non riuscii a rispondere. Ero paralizzata dalla gioia e un nuovo bacio ci coinvolse. Forse un po’ troppo a lungo, perché iniziò a squillarmi il cellulare con la suoneria personalizzata di Giulia.
- Si staranno preoccupando, andiamo.
Presi la pietra e ci avviammo verso il muro, aprendo di nuovo l’arco per evitarci la faticata di scavalcare, pronti a rispondere a tono alle loro domande sul che fine avevamo fatto.
- Non trovavamo la pietra! – rispondemmo in coro. Ma dalla nostra voce era uscita una nota traditrice. Si era capito benissimo che mentivamo. Così cercai di deviare il discorso.
- Andiamo a ballare stasera?
L’assenso fu unanime. Ci mettemmo d’accordo per il solito appuntamento, al parco alle 22 e ci avviammo verso casa. C’era un tacito accordo tra me e Daniele di non dire ancora niente a nessuno di quello che era successo.
Rimasti solo noi, come al solito, mi spiazzò con una proposta inaspettata.
- Perché non diamo buca agli altri e ce ne stiamo per conto nostro?
Acconsentii, ma ad una condizione. Non volevo far insospettire gli altri. Non ancora almeno, quindi dovevamo organizzare un diversivo. La mia mente diabolica stava già organizzando tutto: Daniele avrebbe finto di non stare bene e si sarebbe allontanato facendomi poi uno squillo sul cellulare. Io avrei finto che fossero i miei carcerieri..ops, intendevo i miei genitori, e sarei andata via.
Mi diede un bacio a stampo, dolcissimo, e si allontanò verso il suo cancello, mentre io entravo in casa, dove mia madre era seduta in salone a guardare la tv.
- Chi prepara la cena? – chiesi dubbiosa, vedendola lì in ozio.
- Tuo padre. È ai fornelli.
Wow, papà se l’è sempre cavata bene in cucina. Merito della nonna che gli ha insegnato a cavarsela da solo in ogni occasione.
Mi diressi verso la cucina e iniziai a fare gli occhi dolci.
- Paparino, posso uscire stasera?
- Dove? Con chi?
Ecco l’interrogatorio.
- Andiamo al solito discopub, con Giuly, Paolo, Fra, Daniele e Irene. E prima che dici altro. Ci vediamo al solito orario al parco e torno per l’1. Starò attenta, non toccherò alcolici, solo coca-cola e starò sempre vicina agli altri senza dare confidenza agli sconosciuti. Tranquillo.
Ormai le conoscevo a memoria le sue raccomandazioni. E subito dopo aver strappato questo permesso volai al piano di sopra in camera mia, da dove potevo vedere la stanza di Daniele. Anche lui era in finestra e guardava dalla mia parte. A volte ci urlavamo da una finestra all’altra se dovevamo dirci qualcosa. E i vicini non ne erano molto contenti. Quel giorno non urlammo, ma ci bastò qualche sguardo, quasi come telepatia. Poi mi venne un’idea e gli feci cenno di aspettare lì mentre mi infilavo nell’armadio. Tirai fuori un vestitino nero aderente, con le bretelline e la mini e uno scollo a V pazzesco, e un altro identico ma azzurro. Non sapevo che colore scegliere. Mi affacciai con i due vestiti che penzolavano fuori dalla finestra facendo decidere a Daniele il colore.
- Andiamo a ballare, non a un funerale!
E dalla frase capii che optava per l’azzurro. Poi mi mandò un bacio e andò a mangiare, cosa che feci anche io nel giro di pochi minuti. E durante la cena, mia madre lanciava frecciatine su Daniele, dicendo quanto andavamo d’accordo ultimamente, oppure facendomi notare che ragazzo carino che era diventato (come se non l’avessi notato da sola). Forse avevano intuito qualcosa ma continua a fare la vaga, sperando che non approfondissero il discorso.
Fortunatamente finii presto di mangiare e corsi in camera. Guardai l’orologio. 21.30. Cavoli, era tardissimo. Mi lanciai in bagno dove ebbe inizio l’opera di restauro. Trucco e parrucco furono pronti a tempo di record. Tornai in camera, infilai il vestito e guardai di nuovo l’ora. 21.45. Sospiro di sollievo. Ancora qualche minuto e… Squillò il cellulare. Daniele. Mi affacciai e lo vidi in strada che mi faceva cenno di scendere. Infilai le scarpe, presi la borsa e scesi.
Quando fui in strada avevo la strana sensazione di essere spiata e quando Daniele fece ber baciarmi lo dirottai sulla guancia. I suoi occhi sembravano due punti interrogativi e gli feci cenno che gli avrei spiegato dopo.
Appena ci fummo allontanati un po’ gli saltai al collo e lo baciai.
- Scusa, prima i miei ci guardavano. – gli sussurrai a fior di labbra. – Ora però andiamo a raggiungere gli altri.
Li raggiungemmo, ma quando loro fecero per andare, Daniele utilizzò la scusa del malato immaginario. E si dileguò, facendomi di nascosto l’occhiolino. Io intanto chiacchieravo con gli altri, e poco dopo mi suonò il telefono. Feci cadere la linea e feci finta di rispondere.
- Pronto.. Ciao pà, che c’è?... Cosa? Ma sono appena uscita!... Dai per favore…. Va bene, torno. Ragazzi i carcerieri chiamano. Non so cosa sia successo ma sembrano furiosi. Devo darvi buca.
E salutando tutti, con aria finta triste, mi allontanai. C’erano cascati con tutte le scarpe, non ci speravo. E mentre mi dirigevo verso l’uscita del parco, dove mi doveva aspettare Daniele, un motorino, infrangendo no so quanti divieti, passò sulla pista ciclabile a quell’ora vuota, puntando dritto verso di me. Ero paralizzata dal terrore
- Spostati Giò!
Daniele gridava ma non lo sentivo. Il motorino era sempre più vicino. Afferrai la borsa, pregando di salvarmi ed ecco che all’improvviso venni sbalzata via, come se qualcuno mi avesse tirata per un braccio.
- Ti sei fatta male?
Daniele si era avvicinato mentre il pirata della pista ciclabile si era allontanato dal luogo del misfatto. Provai ad alzarmi ma non ce la feci.
- Credo di essermi slogata una caviglia.
Il mio ragazzo mi aiutò ad andarmi a sedere sulla nostra solita panchina.
- Perché ci hai messo tanto a scansarti? Ancora qualche secondo e ti avrebbe presa in pieno.
- Ma io non mi sono scansata. Qualcuno mi ha tirato e sono caduta di lato.
Lo stupore sul suo viso era palese. La mia borsa vibrò e pensando fosse il cellulare la aprii, e mi ritrovai invece investita dalla magica luce della pietra.
- Ecco come mi sono salvata.
Ma alla vista dell’oggetto magico, Daniele si era rabbuiato. Non capivo perché e nonostante le mie insistenti domande sembrava non volermi dire nulla. Feci finta di essere offesa e alla fine cedette.
- Voglio essere sincero con te. La prima volta che presi in mano la pietra desiderai sul serio che tu ti innamorassi di me. E ora non voglio che stiamo insieme solo per un incantesimo, o qualsiasi cosa sia ciò che fa questo coso.
Lo guardai un attimo, poi scoppiai a ridere causando la sua rabbia.
- Dai scusa, - dissi quando mi ripresi, - ma la situazione è comica. Ho pensato la stessa cosa io quando l’ho tenuta in mano! A questo punto posso con ragione affermare che la pietra ci ha solo dato una mano a svegliarci tutti e due.
Non ci riuscivamo a credere, avevamo avuto lo stesso desiderio. Ma non pensai oltre perché si avvicinò e mi baciò. Ero talmente felice che pensai “Vorrei che questo momento non finisse mai”.
Dovevo decisamente stare più attenta ai miei desideri! Dopo più di un’ora eravamo ancora incollati e avevamo bisogno di respirare. Non capivamo più nulla. Guardai l’ora, non so neanche perché, e vidi che erano le 22.35. Ma non era fisicamente possibile una cosa del genere. Non erano passati solo cinque minuti!
Poi compresi. “Deve tornare tutto alla normalità”, pensai stringendo la borsa. Il tempo tornò a scorrere e l’orologio segnò 23.35.
- Cos’è successo?
- Ecco, ho desiderato che quel momento non finisse mai, e credo che la pietra mi abbia esaudita. Un po’ troppo efficientemente credo.
Decidemmo di tornare verso casa con calma. Era presto ancora. Mano nella mano passeggiammo, e lui mi sosteneva quando la caviglia dolorante cedeva. Arrivati alla mia porta ci salutammo come normali amici, ma mi avvicinai al suo orecchio.
- Senza farti vedere, tra due minuti trovati sotto la mia finestra.
Entrai in casa e controllai la camera dei miei. Si erano addormentati, per fortuna. Arrivai in camera con calma, mi infilai il pigiama in meno di trenta secondi e aprii la finestra.
Daniele salì grazie alla rete dei fiori e ancora appeso lì fuori mi baciò. Sembrava la scena di un film.
- Scusa ma dovevo farlo. – mi disse.
Gli sorrisi facendogli spazio per entrare e ci sedemmo sul letto facendo meno rumore possibile. E dopo qualche altro bacio se ne uscì con una domanda che mi sembrò perfettamente fuori luogo.
- Hai già comprato il diario nuovo?
Cosa? Era in camera mia, seduto sul mio letto, mi stava baciando, e mi chiedeva se avevo già il diario di scuola? Non che volessi fare niente di sconcio, cavoli ero piccola. Ma mi sembrò proprio ridicola come domanda. Comunque, per semplice spirito di educazione gli risposi, anche se un po’ scocciata.
- Sì, perché?
- Dammelo insieme a una penna.
Feci come mi aveva detto, anche se ancora mi sfuggiva il senso di tutto ciò. Lui iniziò a scrivere ed io rimasi incantata a guardarlo. Quanto era bello. Non riuscivo a credere che finalmente stavamo insieme.
Quando finalmente terminò la lettera, richiuse il diario e lo posò sulla mia scrivania super disordinata, per poi tornare a sedersi accanto a me.
- Che bel peluche! Dove l’hai preso?
- Quello è Fuffy, - gli risposi. Ma saltava così da un argomento all’altro? Vai a capire gli uomini. – è il mio preferito. Me lo ha regalato mia nonna quando avevo sei anni. Ci sono affezionatissima, anche perché è uno dei pochi ricordi che ho di lei.
- Quando è morta? Se ti va di parlarne.
Se mi andava? Mi sono sempre sfogata poco su quell’argomento. Certo che volevo parlarne.
- Poco tempo dopo avermi regalato Fuffy. Ricordo ancora che quando con i miei genitori andavo a casa sua e del nonno se ero triste mi portava in cucina, apriva lo sportello a vetri della credenza, e mi faceva scegliere un cioccolatino. Mi ricordo che erano tutti a forma di campanello e la carta era argentata sul verde, giallo o rosso. Poi mangiavamo insieme il cioccolatino e tornavamo dagli altri sorridenti.
Non me ne accorsi, ma una lacrima solitaria aveva superato le ciglia e scendeva lungo la mia guancia destra. Daniele la vide e me l’asciugò con un dito. Poi mi abbracciò in silenzio. Non c’era bisogno di parole. E mi calmai, tornai calma e lo guardai.
- È ora che io vada. – mi sussurrò.
Ci scambiammo un altro bacio e scavalcando il davanzale uscì.
- Buonanotte principessa,- disse una volta arrivato in basso, poi corse verso casa sua.
Tornata a letto ero troppo felice per pensare al sonno, ma non appena la mia testa toccò il cuscino crollai addormentata.
  
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