Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: e m m e    15/05/2014    0 recensioni
Serie di Drabble e Flash-fic che seguono le varie iniziative a cui partecipo.
The Gods give with one hand and take with the other.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Cersei Lannister, Jaime Lannister
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Incest, Spoiler!
Capitoli:
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Parole
Brienne/(Jaime)
184 parole


Gli occhi di Jaime pesano su di lei come ingombranti macigni che soltanto la sua forza di volontà riesce a sostenere.
Gli occhi di Jaime la seguono, nelle notti solitarie, incastrandosi nei suoi sogni come se avesse passato tutta la sua vita ad osservarli.
Gli occhi di Jaime la guardano e la vedono e dicono cose. E lei, che ha amato (ama?) Renly con tutto il suo cuore di cavaliere e di donna, non può fare a meno di paragonare lo sguardo indifferente e divertito, sebbene gentile, del defunto sovrano con quello bruciante e vivido di Jaime.
Forse lui nemmeno si rende conto di quanto un suo solo sguardo sia in grado di comunicare. Forse non si rende conto di non essere davvero in grado di nascondere ciò che pensa, perché, attraverso quel verde incupito dalle sofferenze e dai dubbi, Jaime le parla.
Oppure forse è Brienne che non si rende conto che gli occhi di Jaime parlano e si mostrano a lei, certo, ma che per tutto il resto del mondo restano gli occhi di uno spergiuro, privi di sentimenti, privi di senso.

 

Infanzia

Tyrion
240 parole


Tyrion sbadiglia senza alcun freno e non si disturba nemmeno a mettersi la mano davanti alla bocca, ma la giovane Septa che si occupa di lui non lo rimprovera. Si limita a guardarlo, invece, un cosino minuscolo, dai capelli gialli e arruffati, perduto in quel letto che sarebbe troppo grande anche per un bambino di normale statura.
«Raccontami un’altra storia» le dice Tyrion, con gli occhi pesti di sonno che rischiano di chiudersi da un momento all’altro.
La Septa però lo accontenta, perché quel bambino è così solo e triste che un buon racconto è l’unica consolazione che lei riesca a dargli.
Gli parla di cavalieri e di draghi da sconfiggere e di bellissime principesse imprigionate da crudeli Re senza corona. Gli parla di coraggio e di spade e amore. Tutte cose che lui non avrà mai.
Ma il bambino è contento, sorride, con le palpebre ormai abbassate e poco prima di addormentarsi dice ciò che tutte le sere non riesce a trattenersi dal dire: «È Jaime quel cavaliere» e si addormenta così, sognando di quel fratello – unico al mondo – che lo tratta con dignità, che lo solleva in alto, che una volta, una gloriosa volta, se l’è messo sulle spalle e lo ha portato in giro per il castello finché suo padre non gli ha ordinato di metterlo subito giù.
Dorme, Tyrion, un po’ sognando di essere come suo fratello, e un po’ sognando di essere con suo fratello.


Orso di pezza
Brienne, Galladon
359 parole


Brienne si succhia un dito e stringe la rassicurante zampa del suo orso di pezza con forza inaudita – ha solo tre anni, ma già così tanta forza – mentre all’esterno il temporale rischiara il cielo con lampi spaventosi.
«Non aver paura» dice al suo orso.
Aveva una bambola, una volta, ma le bambole non le piacciono, così come non le piacciono le gonne che suo padre le fa indossare, perché non può correre e non può saltare e non può rotolarsi nell’erba o tuffarsi nel mare.
Preferisce quell’orso senza nome, con gli occhi fatti di bottoni e gli strappi ricuciti di tutte le volte che insieme hanno vissuto mille avventure.
«Non aver paura» ripete, coraggiosa, mentre sussulta per il rombo del tuono. Si era fatto più vicino?
Quando qualcuno le posa una mano sulla spalla la bambina si volta di scatto, i capelli biondi che le coprono gli occhi e le iridi azzurre rivestite di panico.
Ma è solo Galladon, Galladon e il suo sorriso rassicurante.
Galladon le toglie la mano dalla bocca – perché le vere Lady non si succhiano il dito, Brienne – e la stringe tra le proprie dita.
«Hai paura del temporale?» le chiede, bisbigliando.
Suo fratello non è molto più grande di lei, ma è alto e grande e forte e Brienne lo ama follemente.
«Non io» gli spiega con sussiego, «lui» aggiunge mostrandogli la faccia spaventata del suo orso.
Galladon le sorride con i suoi denti grandi e le lentiggini sparse su quel volto largo, tanto simile al suo.
«Allora portalo a dormire nel mio letto» le propone, tirandole indietro una ciocca di capelli.
Brienne non è convinta, non vuole rimanere sola mentre suo fratello e l’orso dormono insieme. «Ma lui non dorme se non ci sono anche io» si risolve a dire, piccata.
«Certo. Lo so» replica Galladon con serietà, «per questo devi venire anche tu.»
Brienne stringe la mano di suo fratello e la zampa dell’orso e tutti e tre insieme tornano al caldo, sotto le coperte. Il temporale imperversa all’esterno, ma Brienne sa che adesso il suo piccolo compagno di giochi non avrà più paura, perché suo fratello lo proteggerebbe contro qualsiasi pericolo.

 

Scrivere una storia in cui avviene l’ultimo incontro tra Jaime e Brienne.
Jaime/Brienne

611 parole


Nelle rare, irreali notti in cui lui e Cersei avevano potuto dormire insieme anche dopo l’infelice matrimonio di lei e l’infelice cavalierato di lui, Jaime non chiudeva mai gli occhi. Rimaneva lì, nel buio, intento a fissare la sorella addormentata tra le sue braccia, con il panico che gli occludeva la gola e i sensi accelerati.
Non temeva di essere scoperto, no. La sua paura – inconscia e forse sciocca – era che Cersei svanisse nel nulla, come se per tutta la notte Jaime non stesse stringendo nient’altro che un refolo di fumo.
Anni dopo si sarebbe reso conto che, in effetti, era proprio così, che per qualche motivo Cersei gli era lontana, preclusa, che la sentiva davvero sua soltanto nel momento dell’unione fisica, mentre passava il resto del tempo a desiderare di poterla toccare di nuovo, solo per sincerarsi che fosse ancora con lui, la parte di lui da cui era stato separato al momento della nascita.
Con Brienne invece chiudeva gli occhi, dormiva, si girava nel letto, nell’incoscienza si allontanava da lei, ma lei era sempre lì.
Il suo calore, il suo respiro, il suo odore. Persino nei suoi sonni più profondi Jaime era consapevole dell’ingombrante presenza della donna accanto a sé.
Nelle fredde notti invernali, quando il calore fuggiva via dai corpi addormentati, nelle taverne rischiarate dai fuochi perenni, nelle grandi camere gelide dei castelli che avevano assaltato, in mezzo al campo eretto nella notte e distrutto durante il giorno... Brienne era sempre lì, sia che Jaime dormisse o che mantenesse gli occhi sgranati nel buio, con la testa piena di pensieri e di parole ingarbugliati tra di loro.
Forse è questa la normalità, pensò Jaime, mentre ascoltava il respiro di Brienne, distesa accanto a lui, forse due amanti non hanno bisogno di aprire gli occhi per sapere di poter contare sempre l’uno sull’altro.
Ma quella notte Jaime non aveva intenzione di dormire. La sua prima, impellente necessità era quella di seppellirsi dentro di lei, dimenticare se stesso, dimenticare il proprio nome e il proprio dovere, percepire soltanto il sangue martellare nelle tempie e le dita di Brienne intrecciarsi con i ciuffi sudati dei suoi capelli e il respiro di lei, franto in spasmi concitati, contro le sue orecchie.
L’ultima notte, l’ultima rimanente briciola di normalità della sua vita che svaniva, infine, come fumo, senza che Jaime potesse fare niente per impedirglielo.
Allungò una mano nel buio e incontrò una guancia di Brienne – quella ancora intatta, con la pelle chiara e accaldata spruzzata di lentiggini – la sentì umida e decise di interpretarlo come un residuo di sudore.
Brienne si voltò verso di lui e Jaime poté incontrare la sua bocca e soffocare il suo singhiozzo con la propria lingua e le proprie dita contro la sua pelle e il proprio corpo contro il suo ventre.
«È un grande onore, quello che hai ottenuto» le disse. Parole goffe, inutili: niente avrebbe potuto far dimenticare loro che era l’ultima notte.
Brienne lo sapeva bene, forse meglio di lui, e non rispose niente, non disse niente di niente e le sue grandi mani da cavaliere si strinsero con delicata disperazione alle spalle di Jaime.
Accanto a loro, abbandonato su una sedia – ma mai, mai dimenticato – giaceva una mantello bianco. Il peso dell’onore che il giorno dopo sarebbe stato drappeggiato sulle spalle di Brienne, la Vergine di Tarth, posta ad eterna protezione di una Regina alla quale era legata da qualcosa di più profondo di ciò che la legava ad un uomo come Jaime Lannister.
Con lei non fallirà, pensò Jaime mentre nascondeva la parte peggiore di se stesso tra le braccia di quella donna brutta e coraggiosa. Con me non ha mai fallito.

 

Scrivere una storia in cui Jaime si rende conto con sorpresa di essere attratto da Brienne.
Jaime/Brienne
498 parole


Jaime si bea dell’ultimo sole di quella lunga estate e, per una volta, la sua mente è scevra di ogni pensiero conscio.
Lontano da Cersei, lontano da Aeris, lontano dalla propria mano perduta e dal pensiero di quei figli che mai davvero gli sono appartenuti, lontano dai propri doveri e dai propri desideri. Per un solo, fulgido attimo Jaime è solo Jaime, un uomo che affila la propria spada in mezzo alla neve di un inverno incipiente.
Poi il rumore di due lame che cozzano lo riscuote e si alza in piedi, brandendo l’arma. È un riflesso incondizionato che lo porta a sospirare scocciato quando si rende conto che il rumore è stato prodotto da Brienne e Hunt che stanno mostrando al giovane Pod uno dei movimenti base della lotta corpo a corpo.
Si siede di nuovo e li osserva, con gli occhi vagamente assenti.
Si muovono lentamente, quasi che fossero bloccati da lacci invisibili, in modo che il ragazzino possa osservarli bene e imprimersi nella mente ogni loro mossa.
Brienne solleva il gomito destro, la lama guizza verso il basso parando un affondo di Hunt, e la luce danza per un lungo attimo sul suo volto lentigginoso, reso ancora più grottesco dalla cicatrice rosea che le deturpa la guancia.
Gli occhi di Brienne sono spalancati e attenti, ad ogni singolo movimento che compie tenta di spiegare a Pod con parole semplici il motivo e la tecnica che l’hanno portata a compierlo. I suoi piedi calpestano la neve in una danza quasi ipnotica e Jaime si trova a seguirli, immobile, dimentico del lavoro che sta compiendo sulla propria spada.
All’improvviso prova un odio quasi bruciante per Hunt: all’improvviso vorrebbe avere entrambe le mani per l’unico, inebriante scopo di incrociare di nuovo la spada con Brienne, anche soltanto per mostrare i movimenti base di quel ballo aggraziato ad un ragazzino che puzza ancora di latte.
Guarda Brienne, i suoi capelli biondo pallido che volteggiano nell’aria, troppo corti per essere legati, troppo lunghi perché rimangano incollati alla sua fronte, coperta di una lieve patina di sudore.
Guarda Brienne, le sue lunghe gambe che saggiano il terreno... così goffa in qualsiasi altra occasione e così aggraziata con una spada stretta tra le dita.
Guarda Brienne, le cicatrici che le solcano le mani, il collo, la faccia.
Guarda Brienne e, all’improvviso, la luce di divertimento che riesce a leggere nei suoi occhi azzurri è quasi più calda di quella del sole che brilla su di loro.
Si chiede se anche lui sarebbe capace di provocare in lei lo stesso compiacimento, se anche uno storpio con una mano posticcia potrebbe generare un sorriso sulle sue labbra, esattamente come quello che sta sorgendo in quel momento, indesiderato, forse, ma impossibile da arginare.
Si chiede, con subitaneo, infantile sgomento se uno storpio come lui sarebbe in grado di cancellare poi quel sorriso con un bacio. E, subito dopo, se sia possibile mantenerlo lì, rivolto a lui e non ad una spada, con un secondo bacio.

  
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