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Autore: W I Z a r d    16/05/2014    4 recensioni
Una One shot dedicata alla mia migliore amica, che è dovuta andarsene prima del tempo. E' una storia vera, spero che non vi sembri troppo drammatica. Devo scriverla, per forza. Un tributo alla sua corta vita. Sperando che sia in un posto migliore.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Abito a Padova, un po’ fuori città. E’ successo l’anno scorso, avevo sedici anni. Quel giorno, dopo una mattinata di scuola, correvo verso casa mia, contenta di aver preso il mio primo 10 nella verifica di storia. Non prendevo mai bei voti, soprattutto sei si trattava di materie di studio. Che dire, mi sentivo la più felice del mondo. Più felice di quando mi regalarono la bicicletta nuova al mio sesto compleanno. Me la ricordavo ancora, quella bicicletta. Era delle barbie, colorata di rosa con dei cuori rossi.
La smisi di fantasticare quando, mentre stavo attraversando la strada, il pittbull nero della mia migliore amica mi venne incontro abbaiando.
Arrivata sull’altro lato della strada, cominciai ad accarezzare il cane.
“Ehy” dissi piano. “Qualche problema?”
Sapevo che la mia migliore amica, Alessandra detta Ale, era rimasta a casa da scuola perché aveva un po’ di febbre e molta tosse.
Flin, il suo adorato cane, mi portò fino davanti a casa sua.
C’era un’ambulanza e subito lasciai cadere lo zaino e corsi verso di essa.
C’erano la madre, il padre e il fratello di Alessandra, proprio vicino all’odioso camioncino.
Sopra c’era la mia migliore amica, con gli occhi chiusi.
“Cos’è successo?” chiesi quasi urlando.
“Vieni con me” disse Giovanni, suo fratello.
Mi portò dentro casa con aria preoccupata.
“Ale è svenuta, ma i dottori hanno detto che si riprenderà. Devono fargli degli esami… al cuore.”
“Al cuore?” ripetei.
“Al cuore” confermò Giovanni. Si passò una mano tra i capelli. “Adesso vai a casa tua. I tuoi genitori già lo sanno. Ti informeremo”
Lo abbracciai. Lo strinsi come non avevo mai fatto. Ha vent’anni e mi piace. Ma io non piacevo a lui, credo. In ogni caso avevo trovato una scusa per buttarmi tra le braccia muscolose. Mi strinse anche lui, e io mi sentivo un po’ meno triste. Era impossibile da come sono passata da felicissima per il mio voto di scuola, a tristissima per una brutta notizia della mia migliore amica.
Il punto è che sapevo che sarebbe guarita. Io mi immaginavo le scene di come l’avrei riabbracciata.
Giovanni mi lasciò e mi sorrise. Io feci lo stesso, per ringraziarlo. Uscii fuori, raccolsi lo zaino, salutai tutti e corsi a casa mia.
Mi aspettavano mia sorella di sette anni e i miei genitori.
Appena Gioia, mia sorella, mi aprì la porta, mi trovai il viso pallido dei miei genitori davanti.
“So già tutto” dissi semplicemente. Loro si sciolsero un po’.
“Figliola, è successo anche a me quando ero al liceo. Ma poi non avevo assolutamente nulla” mi consolò mio padre.
“Ti ho preparato le ciambelle dopo pranzo. Vuoi mangiare?” chiese mia madre.
“Mamma, non mi compri nemmeno con le ciambelle oggi. Non ho fame”
E mi diressi al piano di sopra, in salotto. Acchiappai il cellulare e cominciai a scrivermi con i miei compagni di classe. Non dissi nulla di Alessandra, non volevo divagare la notizia.
Accesi anche la televisione, per passare via il tempo. Giocherellai addirittura con mia sorella, con i suoi pupazzi, ma poi mi stancai e presi i compiti.
Matematica.
Bene, l’unica materia in cui vado bene forse. Feci tutti i sette esercizi dettati dalla professoressa e arrivarono così in fretta le quattro del pomeriggio.
“Giuly?” Mia sorella mi chiama con il mio soprannome, mentre in realtà mi chiamo Giulia.
“Che c’è, Gioia?” risposi io.
In due secondi me la ritrovai davanti con il pupazzo di Winnie The Pooh.
“Giochi con me?”
“No” risposi secca e la spinsi un po’ via. “Sto studiando”
“Dai” insisté lei, tirandomi per la manica della felpa. “Mamma e papà sono a lavorare e io sono da sola”
“Chiama qualche tua amica” dissi.
“Non so usare il telefono.”
“La chiamo io, Gioia, non complicarmi la vita”
“Non sai usare il telefono” rispose lei ridendo sotto i baffi.
“Sì che lo so usare.”
“No che non lo sai usare”
Iniziai a fargli il solletico per distrarla un po’.
All’improvviso il campanello suonò e io corsi giù per le scale seguita da mia sorella.
Aprii la porta e mi ritrovai davanti il padre di Alessandra.
“Aveva il cuore troppo grande. È morta”
A quelle parole, mi appoggiai al tavolino in legno che c’era all’entrata e rimasi lì trenta secondi contati. Alzai leggermente gli occhi, aspettando che lui esclamasse “E’ uno scherzo!” però non lo fece. Mi guardò con occhi stanchi, traboccanti di tristezza e rancore.
Non ci posso credere. Non può essere vero. La mia migliore amica no, non lei.
Sentii mia sorella singhiozzare. Lei però non capisce cosa vuol dire perdere un’amica importante. Ma dato che piangevamo tutti pianse anche lei. Aveva solo sette anni, non sentiva il vuoto che provai io.
Un vuoto incolmabile, che mi deluse, che mi trapassò l’anima. Come se fossi andata anch’io con lei.
Aveva solo sedici anni come me.
Non era successo niente di grave nei giorni precedenti.
Eppure la vita gioca brutti scherzi. Lei era sana, non beveva, non fumava, non aveva niente a  che fare con la droga, aveva un’alimentazione sana.
No, non lei. Non può essere proprio lei.
Perché lei?






Non ho bisogno di un'angolo autrice per spiegare cosa intendeva la mia fanfiction, era tutto reale e ho dovuto scriverla oppure non mi sentivo completa. Rispondo alle recensioni, se ce ne saranno. Grazie lo stesso.
W I Z a r d
  
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