Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: Azumi    17/05/2014    10 recensioni
Il viaggio interiore di un ragazzo che in seguito ad un'esperienza che non si sarebbe mai aspettato di affrontare, intraprenderà la strada che lo porterà a diventare un uomo.
[...] Quella di diventare l'Agente F111 era stata la sua punizione e la sua forma di redenzione, questo gl'aveva detto. Ma non l'avrebbe mai perdonato, né per quello che aveva fatto a lui, né tantomeno per quello che aveva fatto a lei. Quello che non sapeva suo fratello, era che nemmeno lui avrebbe fatto lo stesso. [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harlock, Yama
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti ^^

Prima che vi apprestiate a leggere volevo fare alcune precisazioni. 

Questa storia vuole essere la mia personale interpretazione del "percorso" interiore che ha intrapreso Yama durante l'evolversi della storia, in pratica, se vogliamo dirla in termini semplici, questo è quello che ho capito io vedendo il film XD. Nella storia sono riportate alcune frasi prese pari pari dalla versione italiana, altre invece sono state rielaborate dalla versione estesa, insomma... ho studiato e ho fatto più volte riferimento alla pellicola per scrivere questa storia. Spero sia di vostro gradimento.


Un affettuoso grazie alla Moni, che se sono a pubblicare questa storia e con questo titolo è soprattutto merito suo.

Cara amica mia, continua così che fai le buche in terra! ;*

Bene vi lascio alla lettura adesso. 




EF TRIPLE ONE

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Osservò il riflesso nello specchio.

Lo sguardo fisso, quasi spento.  

Si abbottonò la giacca della divisa verde bottiglia, lentamente. Senza fretta e con perizia. Ad ogni bottone infilato, un pensiero sfuggiva al controllo della ragione e così alcune riflessioni si accavallavano, correndo veloci. Tanto che arrivò a chiedersi se fosse stato davvero per compiacere suo fratello, che avesse accettato. 

O forse, era soltanto un modo per autopunirsi? Infliggersi una condanna in modo pieno e consapevole, per espiare la colpa grave di cui in passato si era macchiato e che mai si sarebbe perdonato? 

Si aggiustò il colletto, fissando nuovamente quell’immagine. L’immagine di un ragazzo che si stava privando coscientemente della libertà.

Quello che si apprestava a fare, avrebbe cambiato con molta probabilità in modo radicale la sua vita. Avrebbe anche potuto non fare ritorno. Lo sapeva.

E aveva comunque deciso.

Si lisciò la giacca, strattonandola leggermente per il bordo inferiore.

Era pronto.

Non serviva più scrutare quel riflesso, il ragazzo che voleva fare il botanico era scomparso. Nascosto chissà dove, nei meandri della propria anima. E lì sarebbe dovuto rimanere, ricordo lontano di un passato che mai sarebbe tornato. S'adombrò appena e l'immagine che lo specchio gli restituì fu quella di un giovane uomo, negli occhi e nel cuore una decisione, la volontà di portare avanti la scelta fatta. Qualunque cosa questo avesse comportato. Persino l'annientarsi della propria natura.

Rimase immobile. Ascoltando il proprio respiro regolare, gli occhi chiusi ed il rintocco del cuore, leggermente accelerato. Strinse i pugni e l'immagine di sua madre sorridente gli attraversò la mente per un secondo.

Aprì gli occhi.

Il momento era arrivato, si voltò e senza guardarsi indietro, né rivolgere un ultimo muto saluto alla propria immagine, si diresse verso la porta, l'aprì e se la richiuse alle spalle.

I passi risuonarono cadenzati nel silenzio del corridoio, mentre la sua vera anima gridava, supplicava, una richiesta d'aiuto che difficilmente qualcuno avrebbe raccolto.

Rammentava perfettamente quando seduto al bancone di quello che voleva sembrare un vecchio saloon, memoria di un tempo ormai antico, fissava il bicchiere che stringeva tra le mani, mentre gli avventori s'interrogavano su quale sorte sarebbe toccata agli abitanti di quella colonia terrestre. Gli informatori di suo fratello sostenevano che l'Arcadia sarebbe approdata su quel pianeta per reclutare equipaggio, qualche anima impavida o soltanto disperata avrebbe tentato di salire a bordo. E lui rientrava assolutamente in almeno una delle due categorie. Non appena aveva udito quel boato ed avvertito la terra scuotersi sotto le suole, aveva compreso che si trattava proprio della colossale nave di classe Death Shadow. Perciò si era lanciato insieme ad altri fuori da quel locale, rincorrendo il mito di un fuorilegge, un ricercato che solcava i mari spaziali da più di cento anni.

Adesso, fermo su quell'asse, si era già dato per spacciato. Si era preparato, addestrato fino allo sfinimento per niente. E avrebbe deluso suo fratello. 

Poi lo vide.

In alto, sul ponte, stazionava eretto, imperioso e fiero, l'uomo che suo fratello più bramava di annientare. 

Il motivo della sua presenza su quella nave: Capitan Harlock, il ricercato numero S-00999. Quell'uomo che critico osservava la scena, un'espressione severa sul volto, celato in parte dai capelli, una benda a coprigli l'occhio destro e una grossa cicatrice ad attraversargli la guancia sinistra. Sembrava più giovane di quanto non gli avessero detto, ma anche da lontano la sua figura pretendeva rispetto. Si rese conto d'averlo fissato un attimo di troppo, quando quello che doveva essere uno dei suo primi ufficiali, celato dall'armatura meccanica, gli si era avvicinato in attesa di una risposta. Cosa li aveva spinti a salire su quella nave? 

Avrebbe avuto il tempo per scandire una sola parola. Cos'avrebbe potuto rispondere? Di certo non il nome del suo capitano. 

Fu un attimo e l'asse di metallo scomparve da sotto i piedi. E proprio in quel momento, mentre la sensazione di vuoto lo colpiva forte allo stomaco, una parola si affacciò nella sua mente. Non si rese quasi conto di pronunciarla ad alta voce.

"LIBERTÁ".

Ciò a cui aveva deliberatamente rinunciato o quello che in realtà stava davvero cercando?

Così alla fine si era ritrovato imbarcato come infiltrato su quella nave, salvato da una giovane ed avvenente pirata che l'aveva afferrato al volo un attimo prima che fosse troppo tardi, sebbene avesse ancora nella mente e nel cuore la speranza di compiacere suo fratello. Di certo non avrebbe potuto restituirgli quello che gli aveva tolto, ma almeno avrebbe potuto tentare di assecondare quella sua sete di successo, di rivalsa nei confronti del mondo e di quel destino avverso che aveva le sembianze di un membro della sua famiglia.

Si ritrovò anche a pensare a lei. Di regola preferiva non farlo, se non per ricordarla com'era. Se non per rivederla sorridere, come nella serra di sua madre, quando parlavano dei fiori e del futuro. Con l'ingenuità e la purezza che solo i bambini hanno, prima che la realtà e la vita li investano di responsabilità, di conseguenze sbagliate per le scelte fatte.

Fissò nuovamente Harlock. Ancora immobile. 

Si ritrovò a pensare che anche lui probabilmente stesse facendo lo stesso, che lo stesse osservando, che lo stesse valutando; poi lo vide voltarsi, il nero mantello frusciò elegantemente e quell'uomo, la cui storia era avvolta dal mistero, scomparve alla sua vista.


Quando aveva scorto il braccio meccanico non aveva esitato un secondo, l'aveva guardata e aveva fatto l'unica cosa possibile.

Poco prima avevano parlato e l'aveva scorta nei suoi occhi, quella luce che solo la speranza accende nell'anima delle persone.

Un nuovo inizio, per tutti.

Come avrebbe voluto che fosse possibile anche per lui, per loro. Poter sperare di ricominciare tutto da capo, pensare di poter cambiare il proprio destino, compiendo scelte diverse. Comprendeva cosa provasse e sebbene inizialmente fosse stato tentato di procedere all’arresto della giovane pirata, alla fine aveva deciso diversamente. Aveva agito d’istinto e aveva voluto salvarla, così come lei aveva fatto in precedenza con lui. Non solo per gratitudine o per riconoscenza. Qualcosa nel suo sguardo gli aveva detto che fosse giusto così.

Mentre precipitava, continuava a ripetersi che se la sarebbe cavata anche da solo, in un modo o nell’altro. Era un ufficiale addestrato adesso, dopo tutto. E comunque le cose andavano così da anni e questa volta non sarebbe stato diverso, doveva solo continuare ad andare avanti, come sempre, senza aspettarsi niente.

Tuttavia, quando si era ritrovato in mezzo ai vapori del vulcano, sull'orlo del baratro, appeso a quelle lamiere, aveva cominciato ad accarezzare l'idea dell'oblio eterno ed i ricordi della colpa erano tornati prepotenti, immagini marchiate a fuoco nella mente. Prima che potessero avvolgerlo completamente e prima che potesse arrendersi loro, in mezzo alle esalazioni ed alle scintille, col nero mantello ad incorniciarne la figura, vide il Capitano ergersi statuario dinnanzi a lui. Era arrivato per salvarlo dunque. Lo vide chinarsi e porgergli una mano. L'afferrò, prima di perdere completamente i sensi.

Era la prima volta che si ritrovava da solo con lui. Un'occasione più unica che rara. Doveva sbrigarsi e compiere il proprio dovere. Mise mano alla pistola e gliela puntò contro. Harlock gli dava le spalle, cercava di far ripartire la navetta e quasi sembrò ignorarlo, seppure si fosse fermato un istante, una volta percepito il lieve rumore provocato dall'arma. Segno inequivocabile che avesse capito. Ma allora perché? Doveva saperlo. 

Doveva capire

Per quale motivo l'aveva preso a bordo, se davvero aveva il più che fondato sospetto che fosse una spia inviata dalla Gaia Fleet? Così glielo chiese, in un moto di rabbia. Non poteva starsene lì come se niente fosse ad azionare pulsanti, continuando a dargli le spalle, come se non fosse stato un pericolo reale per lui.

Le parole che ricevette in risposta però lo sorpresero.

"Dal momento che sei salito sull'Arcadia, sei un mio sottoposto" le aveva pronunciate con calma serafica, continuando nelle operazioni di distacco della bomba.

Quell'atteggiamento l'aveva reso irrequieto, non ne capiva razionalmente il motivo e rispose con rabbia e frustrazione che aveva una missione da compiere, che doveva recuperare le bombe e che il suo obiettivo era proprio lui. Doveva mettere fine alla sua vita.

"E ' davvero questo quello che vuoi?" 

Fu allora che Harlock si voltò, finalmente pareva averlo preso sul serio, come se soltanto in quell’istante avesse davvero compreso che non si trattava di un gioco, ma che fosse tutto terribilmente reale. Lo stava fissando, l'unico occhio puntato come un faro sulla sua anima.

"Non hai nessuna possibilità di tornare vivo da questa missione e anche se ci riuscissi, non ci sarebbe nessuno a congratularsi con te. Nessuno ti ha ordinato di salire a bordo della mia nave. Sei venuto di tua spontanea volontà."

Quell'ultima frase lo colpì come uno schiaffo in pieno viso.

Era vero.

Era tutto vero.

Era sempre stato solo per una sua decisione, giusta o sbagliata che fosse. Anche il peso di quella colpa era dovuto ad una sua scelta.

Come avrebbe dovuto agire, dipendeva soltanto da lui. Non c’era nessuno che avrebbe potuto dirgli cosa fare o farlo al suo posto. E quale scelta sarebbe stata quella corretta?

Quell'uomo si era precipitato a salvarlo e lui voleva togliergli la vita? Come avrebbe potuto, dopo che gli aveva detto che era parte del suo equipaggio, che lo considerava uno di loro, nonostante sapesse? E lo aveva fatto con una naturalezza ed una calma disarmanti, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.

Quasi nemmeno registrò che Harlock si fosse nuovamente voltato. Non stava dando le spalle ad un nemico, ma con quel gesto gli stava chiaramente dimostrando che si fidava di lui. Della sua decisione.

Dovevano uscire da quell'inferno, altrimenti tutte le parole e i pensieri spesi non sarebbero valsi a niente.

Inspirò profondamente e fece la sua scelta.


Una volta fuori pericolo, Harlock gli si rivolse di nuovo.

"Hai detto che sei salito sull'Arcadia in cerca di libertà."

Aveva provato a ribattere, ma lo vide di nuovo ergersi di fronte a lui. Quel senso di riverenza nei suoi confronti tornò prepotente a farsi sentire e non riuscì ad andare oltre. Perciò tacque.

"Se questo è vero, devi combattere contro ciò che ti lega. Se allora vorrai ancora uccidermi, spara." Gli porse la pistola, tenendola per la canna. Così come gli antichi samurai solevano fare con le loro spade, porgendole a colui che avevano davanti, con il filo della lama rivolto verso loro stessi. Un altro segno di rispetto e di fiducia. 

"Tu forse potresti riuscire ad uccidermi". Era malinconia e tristezza quella che aveva letto nel suo sguardo ed udito nella sua voce?  



Come fossero arrivati a quel punto, non avrebbe saputo spiegarselo.

Suo fratello dapprima imprigionato che gli buttava in faccia la verità sulla grave colpa di Harlock, sul suo grande misfatto, sul suo tradimento verso la Gaia Sanction e verso tutti i terrestri.

A quelle parole, incredulo e sconvolto, in un primo momento non aveva saputo cosa ribattere ma alla fine gli aveva creduto, l’aveva liberato e si era diretto deluso, indignato, di nuovo arrabbiato, in plancia a ritrattare la propria scelta, ritenendo di nuovo di aver fatto un errore. Si sentiva in qualche modo tradito, aveva riposto la sua fiducia in quel pirata, in quel fantasma centenario che da subito gli aveva ispirato rispetto, perché ai suoi occhi era sembrato un uomo retto, votato ai propri ideali di libertà ed integrità. Non gli era sembrato un terrorista, ma un essere umano che avrebbe soltanto voluto dare a tutti una seconda possibilità. E invece si era fatto beffe di lui, di tutti loro.

La giovane pirata, non appena l'aveva visto gli si era fatta subito incontro, lo sguardo colmo di collera e forse delusione. Ma la squadra della Gaia Fleet le aveva impedito di avvicinarsi di più a lui, che continuava a fissare Harlock, la pistola di nuovo stretta in una mano.

"Quindi è questa? Hai finalmente preso la tua decisione?"

"Sei immortale?" gli chiese, non sapeva neppure se più per curiosità o per sprezzo.

"No... Posso essere ucciso, ma sono intrappolato, prigioniero del mio corpo".

Non avrebbe saputo dire se l'avessero colpito di più il suo sguardo amareggiato e triste o le parole appena pronunciate. Prima che potesse anche solo assimilare quello che stava succedendo, suo fratello si mostrò con tutta l'autorità che la Coalizione gli aveva conferito, apprestandosi ad arrestare il Capitano dell'Arcadia e tutto il suo equipaggio.


Il giorno prima dell'esecuzione suo fratello gli si presentò davanti, porgendogli un proiettore di messaggi olografici. Lo guardò senza capire. Soltanto dopo che gli ebbe riferito che era un suo regalo e gli raccontò cosa fosse successo, realizzò.

L'aveva persa

Di nuovo e stavolta per sempre. 

Si lanciò disperato, urlando contro suo fratello. 

Sapeva che mentiva. Ma voleva sentirlo dalla sua voce, voleva che gli dicesse la verità. 

Le guardie lo afferrarono prima che potesse raggiungerlo.

Il proiettore cadde.

Lei.

La sua immagine era apparsa contornata da fiori. Il suo viso. L'espressione dolce che la contraddistingueva. I suoi occhi, con quella luce particolare che li accendeva ogni volta che sorrideva, come in quel momento.

Gli chiedeva di osservare quei fiori, perchè erano quelli di sua madre. Così forti e rigogliosi. Erano sbocciati fieri ed impavidi.

Allungò una mano. Avrebbe davvero voluto poterla anche solo toccare, ma fu solo una carezza lieve, lasciata cadere nel vuoto.

Si accasciò sul pavimento.

Non voleva vederla, non voleva ascoltarla, se non era reale. E non lo sarebbe mai più stata.

Tutto per colpa sua.

Il suo errore più grande, la decisione per cui si malediceva ogni giorno. Era un peso sul cuore davvero gravoso da portare. Le catene che si era autoimposto, troppo strette.

Nonostante tutto, non poté fare a meno di lasciare che la sua voce gli carezzasse l'anima e così, immerso in un dolore privato e profondo, l'ascoltò. Ascoltò cose che già sapeva da tempo, ma che in verità aveva sempre volutamente ignorato. 

Lei aveva preferito suo fratello. E l'aveva fatto anche stavolta.


Al termine del messaggio, si era diretto come un automa verso uno degli aerei navalizzati parcheggiati nell'hangar, vi era salito e aveva fatto rotta verso l'inviolabile dominio, ricordando le sue parole.

In quel luogo devastato dalla materia oscura, avvolto dal nero manto della conseguenza errata di una giusta intenzione, al colmo del dolore e della disperazione, aveva scoperto l'impensabile.


La Speranza.



La sua scelta definitiva finalmente. Non aveva esitato un attimo.

Aveva liberato il Capitano ed il suo equipaggio. E non soltanto in senso fisico. L'aveva capito quando aveva visto Harlock fissare quel fiore che stringeva tra le dita, con una luce diversa nello sguardo. L'espressione non era più così triste e consumata, ma piuttosto distesa, stupita in un primo momento e sollevata subito dopo.

Si era commosso. Un'unica lacrima a testimoniare quanto fossero profondi ed intensi i suoi sentimenti, quanto fosse umana la sua anima. 

Era riuscito a dargli speranza ed insieme a restituirgli la libertà.

"Un momento che si ripete nel tempo... "

Era giunta l'ora che tutti sapessero la verità. Tutti, in ogni parte dell'universo, avrebbero conosciuto il vero volto della Terra e sarebbero stati loro a mostrarglielo.



Mai avrebbe immaginato quello che sarebbe accaduto. Mai si sarebbe aspettato un'aggressione così feroce da parte di quel fratello che aveva sempre cercato di compiacere. Per affetto e per senso di colpa. Quella di diventare l'Agente F111 era stata la sua punizione e la sua forma di redenzione, questo gl'aveva detto. Ma non l'avrebbe mai perdonato, né per quello che aveva fatto a lui, né tantomeno per quello che aveva fatto a lei. Quello che non sapeva suo fratello, era che nemmeno lui avrebbe fatto lo stesso.

Avevano cominciato a recriminarsi fatti, azioni ed emozioni a vicenda. Nella concitazione dello scontro, suo fratello finì a terra. Adesso torreggiava su di lui, fronteggiandolo e puntandogli contro un'arma. 

Esitò. 

Come avrebbe potuto sparare? 

Quell'attimo di incertezza fu abbastanza perché la disperazione dell’uomo di fronte a lui, ormai privo di ciò che aveva di più caro e incapace di sopportare la propria colpa, gli permettesse di premere il grilletto. Lo colpì ad un occhio. 

Adesso era ferito, sia nel corpo che nel cuore e forse sarebbe morto, per mano di suo fratello, se Harlock non fosse arrivato in tempo. 

Se non gli avesse sparato.

Cercò di sostenerlo, nonostante tutto. E le parole pronunciate dal pirata, espressero chiaramente quello che era anche il suo di pensiero. Ezra aveva sempre cercato di proteggere la Terra e l'aveva fatto anche stavolta. A dispetto del suo odio per lui e per se stesso.

La verità gliela rivelò mentre l'Arcadia quasi precipitava verso la Terra. Aveva speronato volontariamente la nave di Harlock, non soltanto per salvare il loro pianeta ma perché voleva vedere i fiori di Nami

Poi si spense. 

Aveva perso anche lui.

Cos'avrebbe fatto adesso?



Fissava l'esterno, dalle enormi vetrate in plancia. Da lì non avrebbe potuto scorgere il proprio riflesso. Che tipo di uomo sarebbe diventato, adesso?

Immagini e pensieri gli arrivarono di nuovo tutti insieme, mescolati alle emozioni. Lo stavano investendo come un'onda e lui lasciò che fluissero, che lo avvolgessero senza sopraffarlo. 

Quasi gli mancò il respiro.

Sentì dei passi alle proprie spalle, il lento e cadenzato incedere di un uomo. Un uomo che ben sapeva cosa volesse dire la solitudine, perché solcava lo spazio da più di un secolo e da solo recava con sé una colpa forse più pesante della sua.

L'avevano chiamato in molti modi. Fuorilegge. Ricercato. Terrorista. Ma cos'era in realtà?

Lui pensava di averlo capito.

"La Terra sta per risorgere e la razza umana sarà di nuovo attratta da questo pianeta..." le sue parole riecheggiarono nel silenzio, sebbene fossero state poco più che sussurrate.

Lo udì distintamente sfoderare il Gravity Saber. Non si mosse. Lasciò che continuasse.

"Ma prima che scoppi un'altra guerra di Come Home, forse dovrei sciogliere i Nodi Temporali"

Si era già voltato, la pistola di nuovo stretta in pugno a fronteggiare l'arma che il Capitano gli stava puntando contro.

"Tutta la Dark Matter è stata gettata all'esterno. Potresti... riuscire ad uccidermi. Spara."

"Se necessario. Questo è il mondo che ci hanno lasciato Nami ed Ezra." Non oserai.

Non gli avrebbe permesso di distruggerlo.

Né ad Harlock, né a nessun altro.


Non avrebbe esitato un solo istante a proteggerlo, così come non stava esitando di fronte al Capitano dell'Arcadia, le cui gesta riecheggiavano come leggende nello spazio.

Harlock abbozzò un sorriso ed abbassò l'arma.

Che l'avesse messo alla prova con le sue parole? Gli lanciò il detonatore, prima di rinfoderare la spada. Le parole che gli disse poco dopo, non se le sarebbe più dimenticate.

"Anche le paure ancestrali sono attimi che si ripetono nel tempo e finchè esisterà la razza umana sarà necessario un simbolo di Libertà, perciò Capitan Harlock dovrà continuare a vivere. Per l'eternità."

Adesso sapeva che tipo di uomo sarebbe stato.

L'avrebbero chiamato fuorilegge.

 Ricercato.

Terrorista.


  
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