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Autore: sonsimo    30/07/2008    7 recensioni
Quando Harry Potter ha soltanto cinque anni, Albus Silente chiede a Piton di andare a vedere come vanno le cose a Privet Drive. Come reagirà Severus di fronte al figlio di James e Lily?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Dursley, Harry Potter, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che gli occhi vogliono vedere

Quello che gli occhi vogliono vedere

 

Severus Piton odiava profondamente le città babbane. Odiava le automobili puzzolenti e rumorose, il ciarlare delle donne -non che quello delle streghe fosse meno fastidioso- gli uomini che si avviavano impettiti al loro posto di lavoro. Nonostante quella in cui si trovava fosse soltanto una piccola cittadina, con le villette tutte uguali che si susseguivano incorniciando la strada e non una caotica e affollata metropoli, non riusciva comunque a reprimere il proprio disgusto. Era più forte di lui, avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi, in quel momento, nel suo tranquillo e soprattutto deserto laboratorio di Pozioni, sprofondato nei sotterranei del castello di Hogwarts. Ma naturalmente non era possibile, il desiderio che lui si recasse lì era stato espresso nientemeno che da Albus Silente in persona, e Severus Piton non era così sciocco da non assecondare il vecchio mago. Almeno per il momento. Dopotutto, la sua posizione era ancora troppo precaria, non poteva permettersi di venir meno a un ordine, erano trascorsi solamente quattro anni dalla notte in cui…

Severus  si costrinse a concentrare la propria attenzione sulla strada che doveva percorrere. Aveva ormai dolorosamente imparato a non far volgere i propri pensieri in una certa direzione. Tutto quello che ne avrebbe ricavato sarebbe stato sofferenza, e quel genere di sofferenza era inutile. Fine a se stessa. E poi, gli piaceva illudersi di riuscire a non pensarci. Così come gli piaceva illudersi che la sua obbedienza a Silente fosse dovuta esclusivamente al bisogno di mantenere salda la propria posizione, al proprio tornaconto. Non al senso di ammirazione e gratitudine che tentava con tutte le forze di reprimere, ma che era sempre lì, appena sotto la superficie, non visibile ma impossibile da cancellare.

Ma tutto ciò non aveva importanza. Qualunque fosse il motivo che lo spingesse a rispettare il volere di Albus Silente, quello che contava era che adesso Severus Piton si trovava a Little Whinging, nel Surrey, ed era davvero l’ultimo posto nel quale avrebbe voluto trascorrere uno dei suoi pomeriggi estivi. Digrignò i denti al ricordo delle parole di Albus e allo scintillio divertito dei suoi occhi azzurri.

Mi farebbe piacere che tu andassi a vedere come sta il nostro caro ragazzo, Severus. Vorrei avere sue notizie.

Di certo, Albus sapeva bene come impartire un ordine senza farlo sembrare tale.

Il nostro caro ragazzo.

E come vuoi che stia, Albus? Come un caro, piccolo principe, amato e vezzeggiato fino alla nausea.

Con una smorfia, Severus scorse finalmente la sua meta, il numero 4 di Privet Drive. Una villetta esattamente identica alle altre, col suo giardinetto ben tenuto e l’auto posteggiata nel vialetto.

Mi viene da vomitare.

Ovviamente, non aveva alcuna intenzione di rivelare la sua presenza, né ai babbani che abitavano quella casa né tantomeno al piccolo principino Potter. No, avrebbe dato soltanto un’occhiata veloce, giusto per poter riferire ad Albus che il suo piccolo eroe non poteva stare meglio, e avrebbe immediatamente levato le tende per far ritorno al suo laboratorio solitario.

Con cautela, estrasse la bacchetta e utilizzò un incantesimo di disillusione su se stesso. Quindi si avvicinò ulteriormente alla casa.

Come mi sono ridotto. Sbirciare dalla finestra le case babbane.

Anche l’interno della casa era assolutamente ordinario, ogni oggetto sembrava urlare babbano, agli occhi di Severus. Sul tappeto del salotto, seduto sulle gambe tozze e grassocce, un bambino giocava rumorosamente con strani aggeggi elettronici, facendo un chiasso infernale. Eppure, l’uomo spaparanzato sul divano davanti alla tv, altrettanto grasso, non sembrava infastidito, anzi di tanto in tanto spostava gli occhietti dallo schermo per lanciare un’occhiata affettuosa a quel mocciosetto.

Evidentemente non è lui il nostro piccolo prezioso eroe. Non è assolutamente un Potter.

 Severus si guardò attorno, ma non c’era traccia di altri bambini. Magari si trovava nella sua cameretta, sommerso di giocattoli.

Non sembra proprio che a questi babbani manchi il denaro.

Mentre l’umore del giovane insegnante precipitava sempre di più, un’altra persona entrò nel salotto di quella casa. Una persona che Severus sapeva avrebbe rischiato di vedere, fin dal momento in cui aveva accettato di malavoglia di recarsi a Privet Drive, ma che assieme al bambino Potter era l’ultima persona che avrebbe desiderato trovarsi davanti. Senza nemmeno rendersene conto, dimentico dell’incantesimo di disillusione e colto dall’irrazionale paura di essere visto, Severus si allontanò di qualche passo dalla finestra che lo separava solo di qualche metro da Petunia Evans.

Dursley. Petunia Dursley. Quel cognome non esiste più. Non lo porta più nessuno.

Deglutire era diventato improvvisamente faticoso. Aveva creduto, dopo tutto quel tempo, di aver rimosso l’immagine della sorella di… lei, dalla propria mente. Invece era esattamente come la ricordava. Magra, il volto cavallino, la puzza sotto il naso, lo sguardo antipatico. Sempre pronta a giudicare, a condannare.

Giudicare un bambino per i suoi vestiti malandati.

Condannare una sorella per la sua stupida invidia.

Fece ancora un passo indietro. La proverbiale freddezza di Severus rischiava di vacillare di fronte a quella donna, che rappresentava tutto un mondo di ricordi contro cui il giovane uomo lottava giorno dopo giorno, perché non lo sopraffacessero facendogli perdere per sempre quella parvenza di vita normale che faticosamente Albus Silente aveva costruito per lui.

Rischiava che la collera prendesse il sopravvento.

Quella donna… ha fatto soffrire così tanto la mia… lei.

Non devo pensare il suo nome. Non devo farlo. Fa soltanto male.

Strinse i pugni, mentre un’altra consapevolezza, ancora più dolorosa, si faceva strada dentro di lui.

Posso davvero biasimare Petunia? Che diritto ho di giudicarla, io che ho fatto soffrire così tanto sua sorella? L’ho messa in secondo piano, ho ignorato i suoi consigli e le sue preghiere. L’ho insultata, l’ho perduta. E l’ho uccisa.

Non direttamente. Ma le mie mani sono macchiate del suo sangue. Irrimediabilmente.

Non aveva alcun diritto di provare rabbia nei confronti di Petunia per il comportamento che aveva avuto da bambina. Lui aveva colpe ben più gravi, dalle conseguenze disastrose, e delle quali si era macchiato in un tempo in cui l’età non poteva più essere considerata una giustificazione sufficiente.

Petunia era stata una sorella degenere. Lui era un assassino.

E poi, la donna stava facendo ammenda. Aveva accolto nella sua casa tutto quello che rimaneva della sorella perduta. Allevava il suo bambino, come un figlio. O perlomeno, così immaginava Severus. O così gli piaceva credere.

La voce della donna, più matura e adulta rispetto all’ultima volta che aveva avuto la possibilità di udirla, arrivò alle sue orecchie solo parzialmente attutita dal vetro della finestra.

“Dobbiamo andare, o faremo tardi, Vernon.”

“Certo, tesoro.”

L’uomo si alzò, tentò di lisciarsi addosso, con scarsi risultati, la camicia, prese per mano il bambino che era balzato in piedi e si avviò verso la porta. Petunia li seguì dopo pochi istanti, giusto il tempo di mettere in ordine i cuscini sul divano.

Stanno uscendo. Ora verrà fuori Potter.

Eppure, dell’altro bambino che abitava in quella casa ancora nessuna traccia. La famiglia Dursley aprì la porta e, quando i tre si trovavano già sul vialetto, Petunia disse, voltandosi verso l’ingresso dell’abitazione, con la voce che vibrava di irritazione:

“Cerca di non mandare a fuoco la casa, mentre siamo via!”

Severus rimase interdetto per qualche secondo, mentre i tre Dursley chiudevano le portiere dell’auto ed essa usciva in retromarcia dal vialetto del numero quattro. Ma recuperò immediatamente il proprio contegno.

Evidentemente il moccioso è in punizione. Di certo avrà ereditato l’indole ribelle e il disprezzo delle regole dal padre, e questi inutili babbani non hanno il polso sufficientemente fermo per inculcare un po’ di disciplina a un piccolo arrogante Potter.

Sventato il pericolo Dursley, Severus decise che dopotutto poteva anche concedersi di entrare in quella casa. Del resto non aveva alcuna intenzione di trascorrere il resto del pomeriggio a sbirciare dalla finestra nell’attesa che il moccioso si degnasse di farsi vedere, meglio fare un piccolo sforzo, trovarlo e farla finita. Un semplice Alohomora gli permise di entrare, ma si fermò udendo un cigolio improvviso. Guardò in direzione del rumore e vide aprirsi, dall’interno, la piccola porta del ripostiglio sotto le scale, da dove fece capolino una testa nera e spettinata.

Potter. Che stupido posto per giocare a nascondino.

Il bambino, completamente ignaro della presenza del mago che era ancora avvolto dall’incantesimo di disillusione, dandogli le spalle si avviò verso il salotto, dove si lasciò cadere sul divano, distruggendo in un secondo l’ordine che la zia aveva imposto tra i cuscini. Cautamente, Severus lo seguì, osservando incuriosito i vestiti deformi che indossava.

Ecco perché non voleva farsi vedere. Deve aver preso i vestiti dello zio di nascosto. Razza di bambino ingrato. Identico a suo padre, già a cinque anni.

Ormai semidisteso sul divano, il bambino sembrava completamente assorbito nella contemplazione dei giocattoli sparsi sul pavimento ai suoi piedi, ma Severus notò che non allungò nemmeno una mano per prenderli. Avrebbe potuto sembrare un comportamento strano, se non fosse che il cinico insegnante di Pozioni riuscì a trovare una spiegazione plausibile, dal suo punto di vista, anche per quello.

Non vuole mettere in ordine. Probabilmente spera che il cugino venga rimproverato dai genitori.

Improvvisamente Severus cambiò idea rispetto a quello che era il suo piano iniziale. Fin da quando aveva accettato di venire a Privet Drive aveva deciso che non si sarebbe fatto vedere, men che meno dal bambino, ma adesso… perché non prendersi un po’ di divertimento? Era suo diritto, si trovava in quel luogo contro la sua volontà, e quel bambino, di cui ancora non era riuscito a scorgere bene il volto, dalla posizione in cui si trovava, somigliava così tanto a James Potter…

Sì, meritava di divertirsi un po’ con lui.

Senza pensarci due volte estrasse nuovamente la bacchetta, rimosse l’incantesimo di Disillusione e si portò di fronte al bambino, che sollevò il volto spaventato e lo guardò dritto negli occhi.

E com’era prevedibile, per Severus il mondo smise di girare mentre il sole si oscurava e l’aria attorno a lui e al bambino diveniva immobile e irrespirabile. E il nome che non aveva nemmeno voluto pensare durante quegli anni esplodeva nella sua mente con la potenza di un urlo lacerante, l’urlo di una bestia agonizzante che invocava pietà, che invocava il colpo di grazia e l’oblio dal dolore che soltanto la morte poteva concedere.

Lily.

Era lì. Dopo tanti anni era di nuovo lì, davanti a lui, i suoi intensi occhi verdi lo fissavano, ed erano esattamente come li ricordava. Meravigliosi. Profondi. Ma… spaventati. Sgranati fino all’inverosimile.

L’urlo di paura infantile del piccolo Harry riportò Severus alla realtà, strappandolo a quell’istante così doloroso, angosciante e glorioso al tempo stesso, mentre il bambino scattava in piedi e correva, malfermo sulle gambe, lontano da quella improvvisa e minacciosa apparizione.

Severus , recuperato il proprio sangue freddo, afferrò il bambino per le braccia e sollevandolo senza sforzo lo rimise a sedere sul divano, tenendolo fermo mentre il piccolo si contorceva e gli occhi verdi si riempivano di lacrime.

“Chi- chi sei? Sei un ladro, sei un mostro? Vattene via!”

Disperato, non avendo idea di cosa fare e rimproverandosi mentalmente per il suo comportamento sconsiderato, Severus diede uno scossone al piccolo e gli si rivolse con tono autoritario:

“Calmati, calmati Potter. Non sono un ladro.”

Un mostro sì, quello non posso negarlo. Né a te, figlio di… Lily, né a me stesso.

Ormai in collera con se stesso per la propria debolezza, Severus proseguì, mentre il bambino aveva smesso di agitarsi e adesso lo fissava stupefatto:

“Non sono qui per farti del male. Sono soltanto passato per vederti, e adesso sto andando via.”

Harry spalancò la bocca, la richiuse e poi finalmente riuscì a parlare:

“Come… come fai a sapere che mi chiamo Potter? E perché sei venuto a vedermi? Che cosa vuoi da me?”

Bella domanda. Ma è solo un bambino di cinque anni. Dimenticherà presto di avermi visto.

“Questi non sono affari tuoi, Potter. Non devi dire ai tuoi zii che sono stato qui, chiaro? Io adesso me ne vado, e non tornerò mai più”.

Come spiegazione non sta proprio in piedi. Non se la berrà mai. Non costringermi ad Obliviarti, moccioso.

“Non dirò niente. Se la prenderebbero con me, direbbero che ho immaginato tutto.”

Stavolta fu Severus a spalancare la bocca, sicuramente non si aspettava una risposta del genere.

Ma che significa?

Di sicuro non era niente di cui preoccuparsi. Ai bambini piaceva inventarsi delle strane storie, e certo questo bambino, il figlio di James Potter, doveva provare un piacere particolare nel trovarsi al centro dell’attenzione. Se anche avesse parlato, i suoi zii avrebbero probabilmente ignorato le sue fantasie infantili, ricoprendolo di attenzioni perché forse si comportava in quel modo perché si sentiva trascurato.

Disgustoso.

Severus lasciò andare la presa sulle braccia di Potter e si rimise in piedi, pronto a lasciare quella casa, quando la manina del bambino si aggrappò alla sua veste e, irritato, si voltò nella sua direzione. Gli occhi di Lily lo fissavano esprimendo un desiderio, una speranza, talmente potente da essere straziante, ma che Severus non poteva scorgere, troppo distratto dalla vista per lui sconcertante di quegli occhi, proprio quegli occhi, sul volto di un piccolo James Potter in miniatura. La vocina del bimbo era debole e incerta.

“Ti hanno mandato loro?”.

“Loro chi?” il tono di Severus lasciava trapelare chiaramente la sua impazienza di allontanarsi da quel luogo.

Un debolissimo sussurro.

“Mamma e papà”.

Mamma e papà.

Severus fece un passo indietro, costringendo Harry a lasciare la presa, mentre una smorfia contorceva il suo volto e invano cercava le parole per rispondere. Trovando quelle meno appropriate.

“Che cosa dici, moccioso? Loro sono morti.”

Harry abbassò lo sguardo, mentre gli occhi si riempivano nuovamente di lacrime. Severus, con passo spedito, si avviò verso la porta d’ingresso e lasciò quella casa il più velocemente possibile, come se ciò potesse essere sufficiente a lasciarsi alle spalle anche la morsa che gli serrava il petto.

Quella sera, con tono annoiato, riferì a un Albus Silente stranamente serio che tutto andava per il meglio e che il suo adorato Bambino Sopravvissuto non avrebbe potuto essere più fortunato di quanto già non fosse. Albus lo fissò solo per qualche istante, prima di distogliere lo sguardo e congedarlo con una freddezza che poco gli si addiceva, senza offrirgli nemmeno uno dei suoi proverbiali dolciumi.

 

FINE

 

Nota dell’autrice: spero vi sia piaciuta questa semplice one-shot! Avevo in mente di scriverla già da un po’ (adoro scrivere di Harry e Severus) e finalmente ho trovato il tempo per farlo. Se lascerete un cenno del vostro passaggio nello spazio recensioni, tra qualche giorno troverete risposte/ringraziamenti sul forum, sul mio topic autore, a questo link: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=1286045

Nel frattempo, per chi non le conoscesse e se vi piacciono le storie angst che trattano di Harry e Severus, date un’occhiata alle mie long-fic “Sono qui con te” (completa) e “Il Debito di un Mago” (ancora in corso). E grazie per essere arrivati fin qui! Alla prossima. Sonsimo.

  
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