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Autore: almanoera    19/05/2014    1 recensioni
Harry/Louis | Hybrid!AU | Conteggio: ~3.6k
Louis detesta il sapore del latte, ma purtroppo è costretto a comprarne bottiglie su bottiglie per soddisfare i languori del suo gatto. Non pensava potesse ricredersi addirittura su ciò.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Your hypnotic compassion always grabs my attention,
those lines are persuasions just give it a rest.
I sure know your biggest weakness, you'll accept my sweet politeness,
and obey my words of kindness, I won't let you go. 

 )



I

 
La ‘letterina a Babbo Natale’ firmata da Louis Tomlinson recita esplicitamente la parola ‘gatto’ in ogni riga ( una sì, e l’altra no ) macchiata dall’inchiostro della sua biro nera, tralasciando volutamente il fatto che la parola ‘per favore’ non sia nemmeno lontanamente presente nella frase che declama quasi prepotentemente ‘voglio un gatto’. Forse l’unica nota dolce presente nella lettera è la sua calligrafia vergognosamente femminile con dovuti riccioli ai piedi delle ‘g’ in corsivo e con altrettanto dovuti cuoricini ( per non dire anche colorati di un rosa acceso ) al posto dei puntini sulle ‘i’. Diciamo che Louis ha una personalità molto, moltomoltomolto, femminile nella sua gestualità, nel suo modo di esprimersi e soprattutto nel modo in cui si attorciglia le ciocche lisce quando qualcosa lo mette in soggezione e lo agita. Louis è strano. Strano come, a ventidue anni suonati e da un lato buttati al vento, si metta a scrivere una letterina nei momenti di pigrizia dicembrina, e la metta sotto l’albero addobbato da lui stesso, nonostante egli viva da solo. Così, quando si alza in piedi – o meglio in punta di piedi - e si stiracchia con voce pigra e sottile, sulle sue labbra compare un sorriso sornione e tutto zigomi alti che rimpiccioliscono ed arcuano i suoi occhi celesti e vispamente accesi. Dopo qualche minuto perso a fissare quella ‘letterina’, sorride ancora, ma questa volta spegne le luci del salotto e si avvia fuori casa.
 
II
 
Esamina con il suo sguardo curioso, ma attento, tutte le gabbiette con i mici. Alcuni gli sembrano molto calmi, altri gli passano il mento soffice sull’indice in segno di puro affetto, altri gli sbraitano letteralmente contro, con i loro miagolii rauchi e, secondo lui, molto fastidiosi e scortesi. Ma ce n’è uno che attira la complicata attenzione di Louis. Se n’è sta lì, in fondo alla gabbietta, raggomitolato e tremolante su se stesso, la coda macchiata di gocce caffellatte aggrovigliata attorno al suo esile corpo. Ha il pelo lucido e scuro con qualche macchia qui e lì di un marroncino vago, e da non tralasciare, una simpatica coda arricciata; la riesce a scorgere nonostante questa sia avvolta attorno a lui quasi come uno scudo. A Louis fa tenerezza e se potesse urlare un “ohmiodiochecarino!” con la sua voce sottile ed a tratti isterica, lo farebbe eccome. Magari non in un negozio, non in un luogo pubblico con quattrocchi di commessi che sicuramente lo stanno fissando alle sue spalle; una molto cattiva idea, sicuramente. Poi, proprio mentre sta per spiccar parola e le sue labbra si schiudono di pochi millimetri, delle ciocche rossicce ricascano al fianco del suo viso. Un sorriso impaziente è disegnato sulle labbra di una commessa: “Ha scelto, scusi?”. Un miglior tempismo Louis non riesce a ricordarlo.
 
III
 
Louis, per davvero, dei miagolii arrochiti e cupi di quel micio – che adesso sgattaiola prendendo la rincorsa da un angolo della cucina fino a buttarsi letteralmente nella cuccetta - non ne può già più. Sono le tre e forse e un quarto del mattino quando è costretto ad alzarsi dal suo caldo ed accogliente letto che lo sta pregando di rimanere con sé, che non vale la pena alzarsi a quest’ora per un cucciolo irrequieto, che gli passerà. Il micio lo precede lungo le scale – come diamine ha fatto a giungere sin lì nel giro di pochi secondi? - gli salta in collo e con artigli più affilati di lame gli graffia la canotta bianca con cui solitamente dorme, o forse dormiva, ora come ora. Addosso gli resta giusto qualche brandello di stoffa, nulla di importante.
“Va bene, teppista.” E davvero, è come se si stesse rivolgendo ad un bambino, e poi ancora “Cosa diamine ti serve?” Ed il micio, ancora senza un nomesi volta verso di lui, forse se ne prende anche un po’ gioco, e lo guarda con due occhi che, che. Louis solo in quel momento si accorge che sono così verdi, così profondamente verdi seppur sia costretto a lottare con la penombra. Anch’ellaa è avversa a lui durante quella notte complicata. Tuttavia Louis si riprende e si ricompone, prima di seguire quel teppista che lo porta di fronte al fatto compiuto: la ciotola del latte del tutto ribaltata, liquido candido e denso versato sul parquet, alcune macchie già asciutte che formano aloni orrendi. Chiude gli occhi, sente la coda morbida del micio avvolgersi attorno alla sua caviglia come se davvero volesse scusarsi. Louis sta pensando ed immaginando troppo, trattiene la calma. Ad ogni modo sa che se la riempirà adesso, tra due ore - e forse anche meno, se si vuol essere eccessivamente pessimisti - si dovrà alzare per la seconda volta con suo immenso dispiacere.
Alla fine la ciotola è nuovamente piena, senzanome beve e, rammaricato forse, guarda Louis trascinarsi stanco scalino dopo scalino.
 
IV
 
Il cielo è nuvoloso. Piccole gocce vanno a sbattere flebilmente contro la finestra della camera da letto. Il suono è quasi rilassante, Louis si abitua a quella ninna nanna che inconsciamente si perde ad ascoltare.
Quella notte Louis crede di percepire, oltre che il sottile suono di quella pioggerella, due mani che giocano con i suoi capelli color del caramello fresco. Sono affusolate le dita, sorride sereno nel mentre di chissà quanti sogni. Si convince, quindi, di star solo sognando una volta aperti gli occhi pigramente non essendo davvero sveglio. Si riaddormenta non voltandosi, però, dalla parte opposta. La mattina dopo quel ricordo è svanito dalla sua mente indaffarata.

Quella stessa mattina le sue orecchie giurano di sentire una voce proveniente dal salotto. Inoltre può giurare anche di aver trovato un paio dei suoi boxer sgualciti ai piedi del letto, avvolti scompostamente attorno ad un pomello di esso. Quando scende in cucina la ciotola è ancora piena di latte, ma non può far altro che notare l’assenza del micio dalla sua cuccia nella quale è solito rintanarsi dopo una marachella o quando, semplicemente, il sonno lo accalappia. Si convince di star pensando troppo, per la seconda volta nell’arco di quei giorni, ma dopo qualche minuto è quasi felice di non doversi più alzare nel cuore della notte per riempire il latte a quel guastafeste.
Qualche ora dopo Louis esce di casa, è in ritardo, chissà dove diamine si è nascosto quel teppista. La porta si chiude, dei riccioli color del cioccolato spuntano da dietro la ringhiera che incornicia le scale. Tira un sospiro di sollievo, una sua mano si appoggia proprio all’altezza del cuore. Non capisce se quest’ultimo stia battendo per il timore d’esser visto, o.
 
V
 
Le settimane procedono tranquillamente – cosa che Louis mai si sarebbe potuto aspettare - e passano addirittura due buoni mesi. L’inverno incomincia a sfoltire il suo freddo.  Lavora un giorno si ed uno no in un bar che riesce a pagarlo non come lui vorrebbe, ma ci si accontenta. Serve ai tavoli fino a tarda sera, gli è concessa una sola pausa all’ora di pranzo, guai ad arrivare in ritardo, dato che le occhiate poco gradevoli del personale non gliele risparmia nessuno. Riceve complimenti ed, ahia, ne riceve molti da uomini trovatisi lì per bere due, tre birre, anche quattro fino allo sfinimento. Non fanno altro che apprezzare il suo sedere di cui anche lui va molto fiero. Non gli dispiacciono i complimenti maschili, ciò che più gli dispiace sono le bocche perverse e decrepite dalle quali escono fuori; ci si accontenta anche di questo, e son due.
Una sera di metà Febbraio torna a casa di fretta, stringendosi nelle spalle e stringendo esse nella sua felpa grigiastra. Trova la porta aperta, l’aveva chiusa a chiave ed anche quella volta si costringe a non pensare troppo, a non pensare affatto. Supera la soglia di casa, le chiavi, emettendo un tonfo sordo, finiscono tra i cuscini del sofà. Quando arriva in cucina, al frigo vi è appiccicato un post-it con delle scritte non ben definite e comprensibili; degli scarabocchi segnano i bordi. Tra le tante lettere e frasi mal riuscite si riesce a scorgere un ‘Har’ ed ancora tanti altri scarabocchi annessi. Non è nemmeno sicuro d’aver letto correttamente, avvicina l’indice sinistro alle labbra e da esso strappa nervosamente una pellicina. Il micio, acciambellato nella sua cuccia in pile, lo guarda con due occhi molto assonnati e forse curiosi. Louis strappa il post-it e lo butta tra l’immondizia, non segue le norme del riciclabile.
“Harry! Ti chiamerò Harry.” L’unica ed ultima cosa che sente prima di salire le scale che portano alla sua camera da letto è un miagolio roco.

Gli occhi smeraldini e stanchi del cucciolo si chiudono con la consapevolezza che Louis è nuovamente a casa; è sereno.
 
V ½
 
Quella notte di metà Febbraio, ai piedi del letto non giace un gatto. Le mani di Harry percorrono delicate un polpaccio di Louis lasciato scoperto dal lenzuolo ormai scomposto e disordinato. Le sue labbra si schiudono di fronte alla vista del suo padrone a petto nudo e con il respiro appesantito dal sonno. “Chissà cosa sogni..” - si chiede Harry tra sé e sé, con occhi verdissimi e sognanti. Il verde di quegli occhi è ancor più vivo se illuminato dal candore bruciante della luna che s’infiltra flebile dalle tende. Gli piace di più senza niente addosso, ci pensa, forse è proprio quello il motivo per cui con i suoi artigli gli abbia martoriato tutte le canotte da notte.
Quando Harry scende dal letto, le sue zampe nuovamente ricoperte da folti e soffici peli camminano felpate lungo le scale. E’ pronto ad addormentarsi nuovamente.

 
VI
 
Sera dopo sera un post-it viene lasciato appeso al frigo, contro la superficie lucida del forno, ad uno spigolo del tavolo da pranzo. Ogni sera su quei pezzetti di carta volanti vi sono scritte delle parole, col tempo che passa sempre meno disordinate. ‘Inaspettato’ c’è scritto su quel foglietto a forma quadrata, verdastro, quel primo Marzo, e Louis forse inizia ad avvertire uno strano senso d’inquietudine attraversargli la pelle, ma finge noncuranza a se stesso e dopo aver preso il suo cucciolo tra le braccia, si trascina stancamente sul divano. I suoi piedi strisciano letteralmente.
“Ho chiuso a chiave, lo sai?” E gli occhi verdi del micio slittano innocentemente nei suoi azzurrissimi ed indagatori. Il viso del castano è corrucciato in un’espressione pensante. Riprende fiato e “Tu non parli, altrimenti sapresti dirmi chi è che appiccica la carta al frigo.” Lo dice quasi spazientito, un po’ impaurito, non può nasconderlo. Deglutisce, chi può avere una copia delle sue chiavi? Magari qualcuno che non sia necessariamente un ladro oppure un gruppo di questi ultimi. Harry, davvero, non vorrebbe mai farlo preoccupare, così con le zampe – tentando di cacciar all’interno gli artigli – s’arrampica fino al suo collo, contro il quale deposita qualche breve leccata. Inutile dire che quest’ultimo perde l’equilibrio ed irrimediabilmente si ritrova ad ancorarsi alla stoffa della felpa del suo padrone; gli martoria anche questa, Louis non se la prende ormai più.

Quella sera porta il micio con sé in quell’ampio e solitario letto. Louis lo coccola e le sue mani accarezzano la sua testa soffice. Harry, per ricambiare, s’articola in fusa rumorose contro quella stessa mano non potendo fare altro, ma è felice, nonostante tutto.

Prima d’addormentarsi Louis ci pensa ancora una volta; solo sua madre e di conseguenza le sue sorelle hanno una copia delle sue chiavi.

Il sonno di Louis è profondo, talmente profondo che non s’accorge che alle sue spalle giace una figura forse umana raggomitolata contro la sua schiena. Le guance di Harry scottano contro la pelle fresca di Louis, un po’ sudaticcia. Qualche riccio s’arriccia contro quella stessa, le sue labbra si appoggiano contro essa lasciandovi un bacio composto da sola innocenza. Si addormenta pochi minuti dopo, cullato da quella così preziosa vicinanza.
 
VII
 
Louis si affeziona ogni giorno di più al suo piccolo micio ed a volte, durante quel medio tempo libero che il suo lavoro può permettergli, lo porta in giro con sé – in braccio, in trasportino, ha provato addirittura a fargli indossare una pettorina ma non ha voluto saperne - e lo lascia scorrazzare tra l’erba corta del parco, a volte inciampando tra le varie pietruzze sparse in esso, senza alcuna paura che quest’ultimo possa fuggir via; Harry torna sempre da lui, per Louis è una bella ed al contempo bizzarra abitudine.

La sera del venticinque Maggio, quando torna a casa, non c’è alcun post-it – o pezzo di carta volante, come lui preferisce - appiccicato al frigo o a nessun altro elettrodomestico presente in cucina. Louis sorride tranquillamente, finalmente si sono decisi a lasciarlo in pace. Con quell’idea, lanciando un’occhiata alla cuccia stranamente vuota, si dirige verso la sua stanza da letto. E’ esausto fino alle punte dei suoi capelli già rovinate di loro; sicuramente Harry sarà raggomitolato tra le sue lenzuola, ammesso e concesso che non gli abbia martoriato anche quelle.

Il suo sorriso si spegne solo quando una volta giunto nella sua camera immersa nella fioca luce dell’abat-jour trova qualcuno nel suo letto. Questo qualcuno è comodamente appisolato tra le varie pieghe morbide delle lenzuola con, mio dio, con due orecchie feline che di tanto in tanto oscillano nella più estrema delle normalità, oserebbe addirittura dire. Non vorrebbe ammettere di star guardando quella figura con due occhi letteralmente persi ed inteneriti. Non vorrebbe, non lo fa; inconsciamente sente camminar qualche brivido lungo la pelle delle sue braccia. Riccioli sparsi sul cuscino – il suo - di un colore simile al cioccolato, magari con qualche sfumatura nocciola; Louis vorrebbe accarezzarli, giocarci, arricciarli, Louis vorrebbe non pensarci o semplicemente non essere lì ed essere a casa di sua madre, a giocare con le sue sorelle controvoglia, in qualche buio vicolo Londinese a fumare qualcosa d’indefinita consistenza e provenienza assieme a Zayn. 
Non urlare, cerca di dire a se stesso con una mano premuta contro le labbra già schiuse e che, inoltre, stanno rilasciando brevi ed increduli ansiti.
“Chi dannazione sei?” Il forte di Louis è sempre stato quello di fallire le missioni impostesi. La sua voce stridula, irata, alta, e chi più ne ha più ne metta, sveglia quella creatura che adesso lo sta guardando con due occhi assonnati, forse un po’ chiusi e dalle ciglia esageratamente lunge, e … verdi. 
“Harry è … spaventato? Credo si dica così?” Ed a Louis viene un vero e proprio colpo al petto, sente la sua gabbia toracica star per cedere e, davvero, se ciò accadesse lui ne sarebbe felice. Sicuramente per la sua risposta, ma soprattutto per il fatto che quella strana creatura è nuda, senza alcun velo addosso che non siano le lenzuola che lasciano poco spazio alla vasta immaginazione del castano, e le sue gambe chilometriche a dir poco, sono distese femminilmente lungo le lenzuola che pendono ai bordi del letto e toccano quasi il pavimento. Louis è troppo preso da quelle gambe e dal suo petto pallido, quasi diafano che si alza e si abbassa a seconda del suo respiro impaurito, che addirittura si zittisce e non è certamente cosa da lui. Louis parla molto, le parole non scarseggiano. Forse lo appunterà sul calendario.
“Harry può davvero spiegarti tutto, ogni cosa!” Balbetta, attorciglia le cuciture delle lenzuola tra le sue dita agili - le unghie sono lievemente più lunghe del normale, Louis osa addirittura vedere una forma appuntita a terminarle - e poi quelle simpatiche orecchie si muovono ancora una volta.
“Harry scriveva quelle cose. Harry, cioè io. Non ho fatto niente, sono sempre rimasto in casa, a volte mi annoiavo un po’. Le scrivevo solo quando tu mancavi per lavoro. Harry te lo giura.” E nel mentre sussurra quelle parole, i suoi piedi avanzano timidamente, finché la sua figura slanciata non si ritrova di fronte a quella un po’ più bassa ed un po’ … un po’ tanto allibita di Louis. E’ molto strano il fatto che quest’ultimo non sia sulla difensiva, che non si ritragga nemmeno quando le mani ampie ed affusolate del, diciamocelo, suo cucciolo, iniziano ad accarezzarlo da sopra la maglietta – gli martorierà anche questa? – disegnandovi sopra il tessuto di essa delle forme non ben definite. Louis può giurare di avvertire le unghie di Harry disegnare di continuo l’iniziale del suo nome oltre ai così tanti cerchietti. Gliela sfila, non gli chiede il permesso, non ce ne sarebbe stato ugualmente bisogno.
“Mi piaceva quando mi accarezzavi, ed Harr-.. cioè io non potevo fare altro che quello che mi riesce meglio. Vibravo contro le tue mani ringraziarti, per farti capire quanto piacesse.” Le parole mancano ancora alle labbra di Louis schiuse ed incapaci di emettere un sibilo. Quello che stava riempiendolo di attenzioni era il suo gatto, quella palla di pelo raggomitolata nella sua cuccia, qualche notte nel suo letto. Tutto torna: la carta, i suoi occhi verdi. Louis non crede alle fiabe, però si sta ricredendo. I suoi occhi sono smeraldini ed ipnotici, Louis non sta davvero a sentire quel che sta dicendo. Guarda le sue labbra muoversi in quella maniera così languida e dolce ed attorno a lui vi è solo un rumore assordante che s’affretta a ricondurre alla confusione, al credere o no, all’attrazione che gli scatena che quel corpo candido ed asciutto.
“Forse non avresti dovuto comprarmi, quel giorno. Adesso sarebbe tutto più facile e tu non staresti ad ascoltare uno stupido quasi gatt-..” Quelle che si posano sulle labbra di Harry, rosse e carnose, sono quelle fini e rosa di Louis. Quella notte decide di non pensare così come fa di solito. Non se lo ripete nemmeno, la sua mente è acconsenziente. Louis ha compreso – o forse sta ancora cercando di concedersi qualche minuto per convincersi di ciò che sta davvero accadendo - che nella cuccetta non c’è più il suo gatto perché, semplicemente, adesso è tra le sue braccia, e diciamo che è strano anche aver appoggiato le sue labbra un minimo più esperte di quelle di Harry ancor serrate, incapaci di schiudersi. Louis le schiude contro le sue semplicemente per depositarci un altro bacio, forse un tantino più umido, ma chi se ne importa dato che Harry acconsente e schiude le labbra a propria volta. La bocca di Harry è calda, le sue labbra sanno di latte. Louis pensa d’amare il latte, nonostante a colazione beva solo tè schifando quella sostanza biancastra e parzialmente scremata. Si convince anche di ciò – negando addirittura i suoi stessi gusti - mentre la lingua timida di Harry sfiora la sua e si ritrae dopo nemmeno uno sfioro. Decide di separarsi sordamente dopo giusto qualche secondo di toccate e fughe.
 “Dimmi che non sono pazzo, manca solo che io vanga a sapere questo.” Le labbra del felino si arcuano in una mezza luna. I suoi canini candidi vanno a premere nella polpa morbida di quel sorriso tutto fossette e color rosso ciliegia. Quando Harry china il volto – e forse piega anche un po’ le ginocchia, Louis non immaginava potesse essere così dannatamente alto. Anche un gatto si prende gioco della sua altezza - quest’ultimo è ancora convinto, se non di più, d’essere totalmente bisognoso di una stanza in un qualsiasi centro d’igiene mentale, ma quando Harry schiude le sue labbra - che la sua mente riconduce al il colore dei più fiammeggianti ibischi - e tra quest’ultime cattura con bramosia qualche suo lembo di pelle olivastra, Louis è convinto dell’esatto opposto. Finalmente si lascia andare a quelle attenzioni.
 
VII ½
 
Harry ha freddo, Louis lo accompagna premurosamente – inciampando tra le sue gambe e quelle del riccio – fino a lasciarlo stendere tra le lenzuola. Il caso vuole che anche lui avverta del freddo – si volta verso la finestra, è chiusa – ed inoltre vuole anche che si stenda sopra quel corpo esile unicamente per riscaldarsi.

Quella notte fanno l’amore, precisamente Harry vuole sperare che anche per Louis sia stato amore, soprattutto quando sentiva la sua voce infrangersi contro le sue orecchie villose e soffici, sussurrare ed ansimare il suo nome ed ancora il suo nome, ed assieme ad esso gli chiedeva rassicurazioni impaurendosi di star facendogli avvertire del dolore. Chissà quante volte, durante la nottata, Harry ha sentito la frase se vuoi ci fermiamo e se le prime volte ha trovato il tempo di rispondere, dopo qualche minuto le sue gambe erano già incastrate dietro la schiena, stringendosi sul fondo d’essa, di Louis e sinceramente non riusciva a mettere in ordine una frase che avesse almeno un soggetto e verbo. Tutto ciò a non finire, flemmaticamente ma pur sempre a non finire. Harry si era sentito pieno fino all’orlo quando Louis si era unito a lui ed aveva iniziato a violare dolcemente il suo corpo tutto fremiti e felicità. La sua condizione animalesca non gli aveva permesso, inizialmente, di poter venir allo scoperto. In quel momento l’inaspettato di cui parlava su quei tanti e di vari colori post-it stava avvenendo anche per lui. Louis non stava provando ribrezzo, non stava allontanandosi da lui o altro, anzi, se possibile gli era ancor più vicino ed Harry lo sentiva in qualsiasi senso e modo possibile. Ci pensa soprattutto il mattino seguente, il riccio, mentre sospira contro il petto di Louis, a cui è stretto quasi disperatamente. Quest’ultimo sorride dipingendo quel sorriso di una lieve stanchezza mattutina, e chinando il viso, incontra quello sguardo smeraldo che lo scruta speranzoso. Non immaginava fosse sveglio, ed infatti gli occhi di Harry slittano – nonostante il vago approccio iniziale – verso il basso, catturando l’immagine delle loro gambe avvolte ed intrecciate tra loro come se, davvero, fossero state create apposta per essere combinate assieme. Un ricordo della notte appena trascorsa attraversa la mente di Harry, un brivido gli percorre la schiena, Louis se ne accorge e l'altro spera che non si sia accorto anche di quel rossore che sta tinteggiandogli le guance piene.
“Giù credo d’avere delle scorte di latte per un gatto che non riesco più a trovare. A te va?” Ed all’unisono con Louis, Harry sorride raggiante e forse gli scappa anche una risata che gli fa dondolare le orecchie appuntite, e mentre annuisce tra quei tanti e vari sorrisi è sicuro di non poter essere davvero più felice di così.
  
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