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Autore: Ari Youngstairs    19/05/2014    4 recensioni
Raccolta di one shot su Jace ed Alec, piccoli Missing Moments, Slice of Lives, che trattano di momenti della loro infanzia. Abbiamo già trovato un'Isabelle molto tosta, un talentuoso Jace e un Alec innamorato del proprio Parabatai. Ma vi siete mai chiesti...come sia successo? Come hanno fatto due anime così diverse, a volersi unire indissolubilmente per tutta la vita?
[Ogni OS racconta un avvenimento accaduto in ordine cronologico, dalla cerimonia Parabatai fino a quella fatidica notte al Pandemonium | Accenni Jalec ]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Izzy Lightwood, Jace Lightwood
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yes, It's a Good Thing 

~ 2 anni prima del Pandemonium ~


 

Alec affondò il viso nel cuscino morbido, chiaro quasi quanto la sua pelle. 
Sapeva di vaniglia, come il sapone che sua madre usava per lavare praticamente qualsiasi cosa.
Era l'alba, ed un caldo raggio di sole si era infiltrato nella sua camera, infastidendolo. 
Quel giorno sarebbe arrivato suo padre, ed al solo pensiero lo stomaco gli si stringeva in una dolorosa morsa di nervosismo.
Da quanto tempo non lo vedeva più? Neppure se lo ricordava.
Il giorno prima era tornata Maryse, con in mano una lettera venuta direttamente da Idris, e questa diceva che Robert e Max sarebbero arrivati in meno di ventiquattr'ore.
Ma non era quello a spaventarlo di più. Ciò che che davvero lo terrorizzava era quel maledetto “P.s” finale: sono curioso di vedere i progressi dei miei figli, per vedere come se la cavano.
Progressi
Isabelle aveva stoffa, Jace era formidabile, ma lui...lui era una frana con ogni arma, a meno che non si trattasse di arco e frecce. 
Per non parlare dei tre mesi di completa immobilità nel letto, che gli avevano impedito ogni allenamento. 
Alcune lacrime cominciarono a premere contro le sue palpebre, desiderose di scappare alle iridi color cielo.
Le lasciò andare, inumidendo lentamente il cuscino e le proprie guance.
Che aveva fatto per meritarsi tutto ciò? 
Non solo era un pessimo Cacciatore, era anche gay ed era innamorato del proprio Parabatai. Ci aveva provato, ci aveva provato chissà quante volte ad interessarsi alle ragazze: nulla. Inoltre, era lui il fratello maggiore dei quattro, e le responsabilità cadevano pesanti come macigni sulle sue spalle. 
«Raziel...perché a me?» Sussurrò piano contro il cuscino, con voce ovattata.
Rimase a letto ancora qualche ora, facendo finta di dormire: sarebbe stata una lunga giornata.



Quando finalmente riuscì a domare i propri capelli, si diresse alla Sala degli Allenamenti, dove la sua intera famiglia lo stava aspettando.
Non appena vi mise piede, la scena che trovò gli fece provare un insolito calore al cuore: c'erano i suoi genitori che parlavano amorevolmente, le mani di Maryse strette in quelle di Robert, mentre i suoi fratelli facevano divertire il piccolo Max rincorrendosi a vicenda, ridendo e scherzando.
La felicità che stava provando si smorzò, lasciando posto al gelo: tutta quell'allegria era a dir poco incantevole, ma lui non c'era in quell'allegria, in quell'amore.
"Sei solo un'ancora pesante, che trattiene la barca facendo in modo che non possa partire a gonfie vele." Pensò tristemente.
«Alec, eccoti finalmente!» La sorella smise di giocare per correre ad abbracciarlo, gettandogli le braccia al collo. Chissà, forse aveva notato il suo muso lungo.
«Alexander, come sta il mio primogenito?» Chiese Robert lasciando le mani della moglie, che sorrise con dolcezza al figlio.
Jace si mise in braccio il fratellino, che lo salutò con un cenno della manina candida come un fiocco di neve. Con quegli occhialoni, aveva un'aria davvero buffa.
«Alexander, Jace, vi va di far vedere a Max come combattete con la spada?» Domandò Robert, curioso di veder combattere i propri figli.
I diretti interessati si scambiarono una lunga occhiata: non ci voleva un genio per capire che Jace lo avrebbe disarmato in pochissimo tempo. E l'Istituto, in teoria, sarebbe dovuto passare ad Alec, e farsi vedere più forte del proprio fratello minore era essenziale.
«Jace ed Alexander Lightwood, che state aspettando?» La voce di Robert aveva una nota adirata. 
Il biondo lasciò andare Max, e avvicinandosi ad Alec gli porse una lama angelica scintillante come una stella. Era visibilmente nuova, probabilmente fabbricata da poco dalle stesse Sorelle di Ferro.
«Alec, vuoi che...faccia finta di perdere?» sussurrò piano al suo orecchio, per non far sentire ai genitori. Era incredibile come Jace lo capisse al volo, con uno sguardo.
«Io...»Una volta, Hodge gli disse che dire la verità era sinonimo di fiducia. Però il giudizio dei suoi genitori era decisamente più importante, per lui. «...grazie.»  
La mano di Jace toccò fugacemente la sua spalla, in un muto “figurati”. 
Il quindicenne sussurrò qualcosa a pochi centimetri dalla lama tagliente,  che assunse una luce simile a quella di una stella. Il bagliore si rifletteva nelle sue ididi dorate, facendole sembrare due dischi di sole.
«Jeliel» Alec si maledisse mentalmente, per aver scelto proprio il nome dell'Angelo dell'amore. Si diceva che chi si affidasse a lui sarebbe stato capace di amare, e sarebbe stato amato a sua volta. Sarebbe stato ricambiato.
La spada che teneva in mano s'illuminò, ed entrambe le lame esplosero di luce quando si scontrarono l'una contro l'altra con un clangore metallico.
Jace fece perno sul tallone destro e tentò di colpire Alec ad un fianco, lasciando però scoperto a colpi sia il viso che l'addome: un errore incredibilmente grossolano, che permise al moro non solo di parare l'attacco, ma di rispondere con un affondo che ferì superficialmente Jace ad un fianco. Lo sentì soffocare un gemito di dolore.
Intanto gli altri Lightwood guardavano in silenzio il combattimento, ed Isabelle tratteneva a stento lo stupore che le stava deformando il viso in una smorfia. 
Sentiva che c'era qualcosa sotto, probabilmente si erano messi d'accordo. Jace non avrebbe mai, MAI, fatto degli errori come quelli, neppure in punto di morte.
Le spade si scontrarono di nuovo, in una nuvola di scintille bianche. 
«Ricordate, non avrete vinto finché il vostro nemico non sarà disarmato e bloccato da voi!» Disse Robert, che osservava attentamente ogni singola mossa dei figli.
Jace si avventò sul Parabatai, tentando goffamente di disarmarlo di farlo cadere a terra: non solo era un fenomeno a combattere, lo era anche nel recitare.
Con un piccolo movimento della spada Alec fece cadde a terra la lama angelica del biondo, e questa si spense come una candela al vento.
"Battere Jace fa quasi strano" pensò il moro tra sé, cercando di nascondere un mezzo sorriso.
«Basta così!» Robert mise fine al combattimento. Intanto, Jace si premeva la mano sul fianco, che aveva cominciato a sanguinare. 
L'uomo si avvicinò lentamente al maggiore, stirando le labbra in un sorriso un po' forzato: incredibile, quella sceneggiata aveva funzionato!
Ma era presto per gioire.



In due falcate Robert fu dal biondo, con il volto che trapelava rabbia, molta rabbia.
«Jace Wayland, forse non ricorderai molto di tuo padre» La sua voce sembrava una tempesta di schegge ghiacciate, taglienti come rasoi «Ma era un grande guerriero, sai?» Jace digrignò le labbra, ma rimase in silenzio. «Sembra che in tutta la vita tu non abbia mai combattuto! Scommetto che Isabelle ed Alec stanno sempre dietro a te per non farti ammazzare.» 
Ad Alec venne un brivido, un brivido gelido che gli fece venire la pelle d'oca: quello era lui, che si era quasi fatto uccidere, che non era abile come i fratelli minori.
«È questo che succede quando non ci sono?» Continuò, ma Jace rimase muto con le labbra strette in una riga decisa. «Hai bisogno di una punizione esemplare, per caso?»
Alzò lo sguardo, con un sorriso beffardo. 
«In effetti mi servirebbe proprio una pausa.» Sarcasmo: una delle tante armi letali di quel biondo scapestrato. 
Robert, in tutta risposta, gli diede uno schiaffo in pieno volto che riecheggiò in tutta la stanza. 
«Robert!» Urlò Maryse accigliata.
«No cara, c'è bisogno di disciplina qui» Constatò, guardando Jace di traverso.
Ma perché, perché non diceva la verità? 
"Perché tiene a te". La risposta arrivò chiara e cristallina, ed un improvviso moto di gioia gli fece scalpitare il cuore. Doveva fare qualcosa, per Jace.
«Padre, non è colpa sua!» S'intromise Alec, beccandosi un'occhiata perplessa da tutti. Apparte da Jace, che lo guardava quasi scandalizzato.
«Alexander, che stai dicendo?»
«Era una farsa» ammise, deglutendo. «Io e Jace...abbiamo fatto finta che vincessi. Non è lui quello che non sa usare la spada...» Si fece forza. Ormai aveva iniziato. «Sono io la frana che si fa aiutare. Jace mi ha fatto questo favore, ha fatto finta di non saper combattere»
Maryse era sconcertata a dir poco, così come Isabelle, nonostante avesse già capito cosa ci fosse sotto. Da quando Alec mentiva? 
«Jonathan, è vero?» Stavolta Robert era incredibilmente serio.
Fece cenno di sì con la testa, quasi impercettibilmente. 
«Alexander, vieni qui» Gli ordinò, facendo segno di avvicinarsi con un dito.
Il moro sapeva benissimo cosa sarebbe successo: non appena raggiunse il padre a passi lenti e pesanti, ricevette anche lui uno schiaffo, in pieno volto. 
La guancia gli faceva male, ma in confronto a come si sentiva dentro, era un pizzicore più che sopportabile. 
«Filate in camera, tutti e due. Riflettete su ciò che avete fatto» 
«Isabelle, Max, perché non andate a giocare di fuori?» Chiese Maryse con dolcezza ai più piccoli, che annuirono in silenzio avviandosi verso il giardino. Avevano già visto abbastanza.



I due Parabatai salirono velocemente le scale, senza proferire parola. L'unico rumore che infrangeva quel silenzio era quello dei loro passi, e un gemito dolorante di Jace. Non avrebbe voluto fargli male, soprattutto dopo quello che aveva fatto per lui. Gli era debitore, ancora una volta.
In teoria, ognuno sarebbe dovuto andare nella propria stanza e restarci, ma entrambi andarono in camera di Jace -infondo, loro condividevano tutto, dalle più piccole cose allo spazio personale- e si sedettero sul bordo del letto, senza guardarsi
«Perché l'hai fatto? Eravamo d'accordo mi pare.» Alec percepì una leggera rabbia nei suoi confronti. Faceva dannatamente male, con un ago che perforava sempre più in profondità il suo cuore. Ma...se si era beccato la sua stessa punizione, perché sembrava furioso?
«Era ingiusto. Ti ho persino ferito, scusami...non volevo.» Indicò il fianco sanguinante, prima che una goccia scarlatta sporcasse le coperte bianche e perfettamente ordinate. Cominciò a frugare nelle tasche alla ricerca del proprio stilo.
«Questo è un graffietto...»
«Non mi pare che i graffietti sanguinino così. Avanti, ti tatuo un Iratze...» Quando vide che Jace aveva aperto la bocca per controbattere, gliela chiuse appoggiandovi il palmo della mano aperta. Il suo respiro caldo sulle dita lo fece rabbrividire e arrossire simultaneamente. «Senza tante storie.»
Jace alzò il lembo insanguinato della maglia nera, mostrando un taglio scarlatto contornato da un'alone violaceo.
"Alexander Gideon Lightwood, sei un disastro senza speranze".
Infondo, cos'altro poteva pensare qualcuno che ferisce chi non dovrebbe, e non uccide chi se lo merita?
Jace avvertì lo stilo bruciante sulla propria pelle, leggero e delicato come poteva esserlo un bacio. Era una caratteristica di Alec, quell'incredibile cautela e dolcezza che metteva in ogni cosa. Assomigliava un po' a Max, in effetti.
«Ho finito.» Annunciò passando i polpastrelli sull'Iratze brillante, in contrasto con la pelle ambrata di Jace. «Come fai ad esser così?» Farfugliò, pentendosene amaramente. Ma perché, perché non stava mai zitto?
«Come? Non ho capito.» 
«Ehm...nulla...di importante» Si voltò di scatto per nascondere le guance color pomodoro.
«Mmm...» Il sopracciglio destro di Jace si inarcò, seguito da un sorriso malizioso «Sicuro?»
Alec era sul punto di svenire, con lo stomaco stretto in una morsa d'imbarazzo, che gli fece mancare il respiro quando Jace gli si piazzò davanti. 
Era poco più basso di lui, con i capelli scompigliati perfettamente abbinati agli occhi, ed un fascio di muscoli lo avvolgeva completamente: nonostante ciò aveva comunque una figura più esile rispetto alla sua, con le spalle e la vita più strette. 
Alec si era sempre chiesto cosa pensassero di lui quando gli stava vicino. Probabilmente erano come un girasole e un'erbaccia.
«S-sì. Sicuro.» Rispose tentando si darsi un tono autoritario, ma ciò che ne uscì fu solo un goffo balbettio seguito da un broncio.
Il Parabatai sghignazzò, soffocando le risate con la mano.
«Sei buffo, lo sai?» 
«È...una cosa buona?» Chiese ingenuamente, provocando ancora di più le risate del biondo. 
In quel momento la porta si aprì, rivelando il volto di Isabelle incorniciato dai lunghi capelli corvini.
«Jace, papà ha detto che vorrebbe vederti combattere.» Disse, sentendosi improvvisamente una “terza incomoda”. Non si aspettava che Alec fosse lì con lui, ma non poté che sorridere al maggiore, ricevendo in risposta uno sguardo omicida. «Per davvero, però.» Aggiunse.
L'interessato uscì silenziosamente dalla stanza, facendo solo un lieve cenno con la mano al Parabatai.



«Allora...» Isabelle si chiuse la porta alle spalle, cominciando a dondolarsi sui propri talloni. «Come...va con Jace?»
Alec la guardò con fare esasperato, gli occhi azzurri annebbiati dalle lacrime.
«Non ne ho idea. Gli faccio pena, credo.»
«Come fai a dirlo?» 
Il moro sbuffò, buttandosi all'indietro nel letto con le braccia spalancate: sembrava un'angelo, con i capelli che formavano un'aureola scura intorno al viso etereo.
«Io...lo faccio ridere...mi becca sempre quando sono imbarazzato...o...»
«E dovresti fargli pena per questo?» Chiese lei, incrociando le braccia al petto. «Ti vuole bene, è stato lui a chiederti di diventare il suo Parabatai.»
Alec si portò le mani al volto.
«Già, peccato che io non gli voglio solo bene.» Stava piangendo, Isabelle lo capì dai suo singhiozzi leggeri. 
«Ma...se ti fa così male, perché non provi a svagarti un po'? Magari conoscere gente diversa...non puoi continuare a soffrire così!»
«Dubito che funzionerà.» Constatò lui. «È difficile rimanere ad aspettare qualcosa che potrebbe non arrivare mai. Ma è ancora più difficile quando sai che è l'unica cosa che vuoi.» Pronunciò quelle parole con fare poetico, e la sorella si chiese se l'avesse letto in qualche libro. «Me la sono deciso io questa vita...perciò...sì, preferisco soffrire in silenzio. Per te, per Jace...per tutta la famiglia.»
Isabelle gli scostò una mano dal viso, scoprendo un'occhio azzurro affogato nel rosso del pianto. 
«Tu non fai pena proprio a nessuno. Hai un animo nobile e altruista, e questo è molto più importante del tuo orientamento sessuale, qualsiasi esso sia.» 
Alec l'afferrò di scatto, per poterla far cadere sopra di sé e stritolarla fra le braccia pallide, segnate da rune nere e sinuose.
«Per l'Angelo, non so come farei senza di te.» 
In quel momento entrambi udirono uno sbattere scocciato di piedi: sulla soglia della porta c'era Jace, con un broncio esagerato in volto. Accanto a lui, Max stringeva quello che a prima vista sembrava un fumetto giapponese coloratissimo. Era alto poco più delle ginocchia del fratellastro.
«Ma come, non ci invitate agli abbracci di gruppo? Che persone spregevoli...» Disse  quest'ultimo rivolgendo una linguaccia a tutti e due.
A quel punto -con le guance imporporate dall'imbarazzo- il moro si alzò trascinando con sé la sorella, per poi stringere tutti i fratelli minori a sé. 
«Ehi, io non ci arrivo!» Si lamentava Max tentando di alzarsi sulle punte dei piedi per raggiungerli, senza molto successo.
In quel momento Alec capì che non c'era tempo per piangersi addosso: l'unica cosa che in quel momento contava davvero erano i suoi fratelli. Gay o no, bravo Cacciatore o meno, li avrebbe protetti con tutto ciò che aveva. 
«Alec...» il Nephilim biondo sollevò lo sguardo per incontrare gli occhi cerulei del fratello, che lo guardava incuriosito. «...sì, è una cosa buona.»






Angolo Autrice
Ok, sono una persona spregevole. Vi ho fatto aspettare tanto per questa cosa terrificante. Perdonatemi! Ma tra impegni, gite, ed il grande evento del 16 Maggio il tempo libro si è ridotto al minimo. Vi starete chiedendo: che è successo il 16 Maggio di così importante? Il mio tredicesimo compleanno, ovviamente XD !
Ok, tornando a noi. Ripeto che la storia è agli sgoccioli, e in teoria ci saranno solo altri 2 capitoli. Peccato, mi ci sono affezionata da morire a questa raccolta. 
Non so quando aggiornerò, ma se il signore vuole per la fine della scuola questa obriosità che chiamo fan fiction sarà finita. Ringrazio con tutto il cuore tutte coloro che hanno recensito, letto o messa questa storia nelle seguite/ricordate/preferite. A proposito: mi farebbe piacere sentire il parere di qualche lettore silenzioso. Davvero, anche una recensione piccina picciò va benissimo, tanto per sapere che ne pensate. I vostri complimenti, consigli e critiche sono essenziali per me ♥️. 
Che dire, grazie ancora di tutto, siete dolcissime.
   
 
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