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Autore: ellephedre    19/05/2014    12 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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alexander_malattia

Note: questa è la raccolta post Verso l'alba che dedico alla coppia Ami-Alexander. Ogni capitolo avrà un titolo semplice, che per chiarezza indicherà la data o il periodo dell'evento che sto per raccontare, e un brevissimo riassunto dell'accadimento principale

Per istinto e pensiero

di ellephedre

1 gennaio 1997 - Alexander si ammala

Cominciò alle nove del mattino, nel primo giorno del nuovo anno.

Alexander si svegliò nel proprio letto con Ami abbracciata alla sua spalla e una sensazione di malessere che avrebbe definito mal di testa se non fosse stata tanto vaga. Provò a scacciarla aspettando che passasse, poi dovette portare una mano alla tempia. Massaggiò una linea dolorante - forse un nervo, un vaso sanguigno... O un punto di incontro tra aree cerebrali?

Ami rabbrividì, un pulcino che arruffava le penne nel rivedere il giorno. Si accucciò contro di lui e sollevò pigra le palpebre. «... buongiorno.»

Inspirando Alexander si sentì meglio. «Buongiorno.»

Il sorriso di lei fu radioso e tranquillo, poi sparì nel nulla. Allarmata, Ami si sollevò sulle braccia. «Che ore sono?»

«Le nove e venti.» Forse i loro corpi si attendevano ancora un nemico da combattere, perché quando lui era stanco era capace di dormire anche fino alle undici del mattino.

Ami era preoccupata. «Mia madre voleva vederci alle dieci.»

Per quale motivo?

«Me n'ero dimenticata. Ha detto che potevo passare la notte qui se stamattina andavamo presto da lei. Per il discorso che...»

«Ah.» Per la lezione sul sesso che Saeko-san intendeva dare a lui e ad Ami.

Avrebbe quasi preferito farsi castrare. Quasi.

Lo colpì una fitta alla nuca.

«Che cos'hai?» Ami cercò di aiutarlo nel massaggio alla testa.

«Non lo so.» Ma di solito si sentiva in quel modo quando... «Forse sto prendendo un raffreddore.» Dopo l'influenza del mese precedente. Che fortuna.

Ami cominciò ad accarezzargli la fronte, scostando i capelli all'indietro. Il tocco dei suoi polpastrelli era studiato e rilassante.

«Senti male alla gola? Al petto?»

Non gli sembrava.

«In America ti sei scoperto molto?»

Non si era curato della mancanza di una sciarpa in quei frangenti, con la preoccupazione di lei che combatteva una guerra contro gli alieni e un amico con una sorella morta.

Ami comprese che il suo silenzio era frutto della stanchezza, nonché delle meravigliose dita con cui stava lenendo i suoi fastidi.

«Potremmo dire alla mamma che non ti senti bene.»

L'idea era allettante, ma posticipare avrebbe solo rimandato l'inevitabile. «No.» Per non ripensarci si tirò su, sedendosi. «Mi preparo e andiamo. Tanto vale farla finita.» Si spogliò del pigiama e cominciò a cercare dei vestiti. Ami lo guardava.

«Che cosa possiamo dirle?»

«Lasciamo parlare lei.»

«Sì, ma ad un certo punto vorrà una spiegazione precisa su come è potuto... succedere. Non si accontenterà di una scena muta. Non ammetterà imbarazzi.»

Lui lo aveva immaginato. Ami aveva ereditato la sua determinazione dalla madre, ma Saeko Mizuno era meno docile di sua figlia. Per questo, nel trattare con lei, Alexander non si era mai trattenuto nell'esprimerle qualunque briciolo di ammirazione sincera provasse nei suoi confronti, mostrandosi in qualunque momento come il bravo ragazzo che - per natura - era.

Si era conquistato la benevolenza di Saeko-san, ma poteva averla persa tutta per un'incomprensione che non aveva speranza di chiarire.

Non sarebbe stato più sufficiente sorridere e scusarsi. «Vorrà che ci prendiamo le nostre responsabilità. Le dirò che... non mi sono ritratto in tempo.»

Ami arrossì. «No. Per lei non usare protezioni è il massimo dell'idiozia.»

«Non è quello che le hai detto?»

«Sono stata vaga.»

Meglio. «Allora diremo che... ci eravamo preoccupati per non aver capito come usare il preservativo. Dopo aver finito bisogna ritrarsi tenendolo alla base con le dita, altrimenti si rischia la fuoriuscita di-»

«Okay» lo fermò lei, a disagio.

Alexander si divertì. A quanto pareva, durante quella conversazione Ami sarebbe stata la prima a vergognarsi.

«È una spiegazione valida» le fece notare. «Non le sembreremo nemmeno degli incoscienti. Penserà che tu ti sia preoccupata troppo, ma non si stupirà. Sei meticolosa.»

Parlarne di nuovo lo aiutò a mettere in prospettiva il loro comportamento dell'ultimo mese. Erano stati davvero folli. Lo spavento che ne era conseguito e l'essersi preparati a tutti gli effetti a diventare genitori forse li redimeva. Lui ed Ami si erano dimostrati adulti, nessuno dei due si era tirato indietro.

Ami sospirò, tormentata. «Allora è questa la nostra versione?»

«Se ti sembra che tua madre sia sospettosa, aggiungi che è successo più volte. E che almeno una volta hai proprio sentito che era uscito-»

Lei fece una smorfia. «Non voglio dare tutta la colpa a te.»

«Dille che mi hai trattenuto tu. Trovavi così bello stare abbracciati stretti stretti, dopo.»

Ami lo fulminò con gli occhi. «Ti stai divertendo.»

Cercava solo di vedere il lato comico della tragedia. «Non possiamo sfuggirle, tanto vale riderci sopra. E poi non è forse vero, Ami love?» Si chinò su di lei e strofinò il naso contro il suo. «Tu adori stare stretta stretta a me, dopo.»

Lei cercò di abbassare la testa, ma lui la inseguì fino a trovare un bacio sulla guancia. La fece ridere.

Ami lo guardò, più serena. «Ti senti meglio?»

In piedi, lui valutò il proprio stato. La sensazione vaga di fastidio non era ancora sparita. «Magari basta non pensarci.» Almeno, lo sperava.

Lei non insistette, un segno che - per muta promessa - lo avrebbe tenuto d'occhio finché non fosse stata convinta al cento per cento della sua buona salute.

Lui non l'aveva ancora sperimentata in versione infermiera. Da una malattia poteva aspettarsi quel vantaggio. L'ultima volta aveva tenuto Ami lontano perché gli esami di ammissione alla Todai erano stati alle porte e lei non si era potuta permettere di stare male.

«Se finisco K.O.» le disse, «mi curerai con tanto amore?»

«Con pastiglie e impacchi freddi» sorrise Ami. Avvicinandosi, lo baciò su una spalla. «E con tanto amore. Ora mi vesto e andiamo.»

 

«... perciò è così che sono andate le cose.»

Al termine della spiegazione il silenzio a tavola si protrasse per lunghi secondi. Saeko Mizuno continuava a studiare le loro parole come se tentasse di ricostruire la scena nella propria mente.

Era come trovarsi al centro del suo tavolo operatorio, le interiora strette nelle sue mani ansiose di dissezionare la carne.

«Perché non avete letto bene le istruzioni sulla scatola?»

Alexander non ebbe il tempo di rispondere.

«Mamma... puoi immaginare la ragione.»

Saeko-san non disse che era da lui che voleva una risposta, si limitò a guardarlo.

«È stata colpa mia» la accontentò Alexander. «Erano le prime volte e io ero... impaziente. Confuso.» Non era una bugia.

«Le prime volte?»

La domanda era chiara. «Abbiamo cominciato solo di recente.»

Ami si fece udire mentre prendeva aria, accumulando pazienza. «No, mamma. Io non ti chiedo delle tue abitudini sessuali.»

Alexander boccheggiò come un pesce: non avrebbe mai immaginato Ami che parlava in quel modo a sua madre.

Ma lei non era sorpresa. «Hai ragione. Cercavo di capire se mi stavate mentendo.»

«Non abbiamo motivo di mentire. Siamo qui a parlarne con te.»

«Eppure siete riusciti a omettere la verità per settimane.»

Alexander si intromise. «Solo perché prima dovevamo essere sicuri che ci fossero state conseguenze.» Non si pentì di non aver lasciato parlare Ami: la signora si era di nuovo attesa di sentire lui, non sua figlia. «Per quanto lei avesse diritto di sapere, Saeko-san... Era una faccenda che riguardava innanzitutto me ed Ami. Dovevamo essere prima noi a gestirla.»

«Sei solo un ragazzo, Alexander.»

Nella sua testa l'accusa ebbe la voce dura di suo padre. «So quanti anni ho. So che cosa ho fatto.» Smise di stringere i denti, perché la tensione peggiorava la pressione sulle tempie, che avevano ricominciato a pulsare.

Lasciò che la rabbia si trasformasse in decisione. «Non sono un bambino. Ho la possibilità di dare un tetto a una mia famiglia, se voglio.» Vendendo la faccia, ma il mezzo non aveva importanza. «Non ci sarebbe mancato niente. A parte la questione del denaro, per me non era sbagliato che fosse successo con Ami. Col passare dei giorni non ero più pentito, ero più sicuro.» Perché poi doveva spiegazioni a una donna che aveva commesso lo stesso errore per cui lo biasimava, senza nemmeno tentare di costruire qualcosa col padre di sua figlia? Saeko Mizuno si era arresa subito, per questo Ami non aveva mai avuto una vera famiglia.

Si massaggiò la fronte.

Maledetto raffreddore, stava arrivando. Si sentiva sempre più debole e, quando era debilitato, era collerico.

Ami gli tenne stretto il polso, un tocco pensato per dargli conforto. «Alexander non sta molto bene. Per oggi basta, per favore. Ti avevo già detto che stavamo gestendo la situazione. Io ero spaventata, ma le cose stavano... funzionando. Avevamo trovato una nostra strada.»

Non vi furono reazioni immediate e Alexander non ne cercò con gli occhi. Passato qualche momento, udì il suono di una sedia che strisciava sul pavimento. Dei passi si avvicinarono a lui.

«Va' a prendermi lo stetoscopio, Ami.»

Dopo una breve esitazione, Ami andò. Saeko-san prese il posto che aveva occupato sua figlia, spostando la sedia per mettersi di fronte a lui.

Alexander non sollevò lo sguardo, lo tenne fermo sulla ginocchia. I pensieri che aveva avuto sulla signora lo fecero sentire in colpa.

Saeko-san non approfittò del momento di solitudine per parlargli. Un attimo prima che Ami arrivasse, si limitò a un unico segnale: mise una mano sulla sua, stringendola, poi lo lasciò andare con una piccola pacca sulla dita.

Ami rientrò nella stanza. «Ecco lo stetoscopio.»

«Grazie. Togliti la felpa, Alexander. Sentiamo se ti stai per beccare l'ultima influenza.» 

Contro il parere medico della sua futura suocera, quel pomeriggio Alexander visitò il tempio Hikawa con Ami. Saeko-san non aveva trovato niente di anomalo in lui, si era limitata a fargli ingerire una pillola contro il mal di testa e un intruglio vitaminico.

«Ma se tu riconosci i segnali che il tuo corpo ti dà quando sta per cedere... Riposa.»

Si erano trovati sulla strada di casa sua quando la medicina aveva cominciato ad avere effetto sul mal di testa.

«È il primo dell'anno» aveva detto ad Ami. «Andiamo a festeggiare.» Voleva anche andare a trovare Nanny Shoko quella sera; si rifiutava di stare male.

Ami alla fine aveva ceduto. Si era ritrovata con le sue amiche il giorno precedente, ma aveva ancora voglia di vederle.

Era giusto che festeggiassero e continuassero ad esser felici della loro vittoria, insieme. Lui sospettava anche che Ami volesse saperne di più su Usagi Tsukino e il suo nuovo anello di fidanzamento. Tra discorsi di guerra, alieni e misteriose entità sovrannaturali, il giorno precedente non c'era stato tempo per le ragazze di spettegolare sulla proposta. Lui immaginava che Mamoru l'avesse buttata giù in modo semplice.

'Usagi. Siamo quasi morti, stiamo insieme da quattro anni. Ecco l'anello, sposiamoci.'

Chiba gli sembrava proprio un tipo così concreto.

D'altronde, erano sempre le donne a ingigantire la portata di un evento che avrebbe dovuto essere il più semplice e genuino possibile.

Quando fosse toccato a lui chiederlo ad Ami... No, non ci voleva pensare.

Era stato costretto a considerare l'idea qualche settimana prima e si era sentito a disagio: gli piacevano l'ordine e la chiarezza, li aveva sempre voluti nel suo rapporto con Ami. Farle una proposta di matrimonio dopo aver scoperto che lei era incinta era una situazione che straripava di possibili malintesi per il futuro.

Ami un giorno avrebbe potuto rinfacciarglielo, o semplicemente convincersi che in altre circostanze lui avrebbe scelto di non impegnarsi con lei in quel modo.

Nemmeno a lui sarebbe piaciuto: associare l'idea di costrizione, di fretta, a una decisione che avrebbe dovuto essere presa nella più totale libertà...

Dove sarebbe finito il romanticismo? Come avrebbe fatto capire ad Ami che nel momento in cui le avesse chiesto di stare con lui per tutti i giorni della loro esistenza, ci sarebbero stati solo loro due nella sua mente, e nessun altro? Come avrebbe potuto dimenticare davvero quel qualcun altro, se l'idea del suo arrivo fosse stata tanto presente tra di loro, a renderli al contempo ansiosi e più uniti che in passato, diversi?

Meglio che non fosse successo, già.

... Ma poteva capitare di nuovo.

Forse uno di quei giorni Ami ci avrebbe ripensato e avrebbe deciso che voleva un bambino subito. Era stato lui a dirle che poteva cambiare idea in qualunque momento, ma... era stato avventato?

Nei mesi a venire aveva già tante cose da fare, proprio in previsione del futuro che progettavano insieme. Doveva trovarsi una casa nuova, mettersi a lavorare per mantenersi, finire la tesi di laurea prima di non avere più pomeriggi liberi, cominciare a risparmiare a fondo perché comunque poi aveva... quanto tempo? Poco più di due anni, se i suoi calcoli erano esatti.

Se aspettavano oltre, lui ed Ami non avrebbero mai avuto un bambino loro, una specie di pupazzo piccolo come Arimi Yamato, che profumava di buono.

Il problema era che lui aveva preso in braccio quella bambina e si era sentito incompetente, totalmente impreparato. Se avesse potuto sarebbe scappato a gambe levate, ancora di più quando l'aveva sentita strillare e si era scoperto incapace di aiutarla. Le aveva dato un bacio sulla testa - perché lei gli aveva fatto tenerezza, una reazione umana - ma aveva scalpitato nell'attesa che Shun tornasse a prenderla.

Si sarebbe comportato così anche con Ami? Le avrebbe scaricato il bambino appena avesse potuto?

Oppure, sarebbe stato diverso se si fosse trattato di un figlio suo?

Non voleva ancora scoprirlo.

Voleva solo riprendere ad andare all'università, uscire con Ami la sera, pensare ai prossimi esami e... vivere la loro vita di prima. Almeno per qualche altra settimana.

«Sei distratto.»

Nel retro della stanza adibita alla vendita dei talismani, assaltata da clienti, passò a Yuichiro Kumada una nuova scatola di talismani portafortuna. «È il tuo lavoro, non il mio.»

«Non dicevo per questo. Comunque, Mamoru sta già lavorando per tre.»

Mamoru Chiba si era offerto di aiutare Kumada al negozio, in sostituzione di Rei Hino che era andata a prendersi una pausa. Chiba aveva indossato una tunica templare e si era messo tranquillo dietro lo stand, a chiedere ai clienti in fila cosa desiderassero quel giorno. Augurava a tutti buon anno nuovo e sorrideva cortese, quasi irriconoscibile.

Alexander lo osservò. «Non ho ancora perso la testa fino a quel punto.»

Kumada si caricò in braccio altri due scatoloni chiusi. «Non devi farlo.»

«Non posso ridere a comando.»

Ma lo stava facendo Kumada, comprensivo. «Infatti ti ho messo nelle retrovie.»

E anche lì, si rese conto Alexander, stava causando dei problemi.

Dannazione, aveva ricominciato a sentirsi poco bene. Gli facevano male le spalle e la schiena. Tenere la testa dritta era uno sforzo.

Prima di tornare dai clienti, Kumada si girò. «Hai un'aria strana. Vai a fare un giro per il bosco, c'è meno caos.»

Alexander seguì il consiglio e uscì dal gazebo scansando la folla, cercando pace nel profondo del boschetto che circondava il santuario. Camminò senza meta e finì nell'angolo più nascosto del luogo, dove trovò... Gen Masashi. Lui era seduto sul parapetto in pietra che delimitava l'area.

Alexander provò a deviare per evitare l'incontro, ma Masashi lo notò. Allontanarsi non fu più un'opzione.

Avvicinandosi, Alexander concretizzò la vista di quello che Masashi teneva tra le dita della mano destra.

«Fumi.» Espresse abbastanza disgusto in due sole sillabe.

«Si muore di freddo.»

«Hanno inventato la lana. E le bibite calde.»

«Non ti ho offerto di farti un tiro, Golden Boy. Tieni per te i tuoi giudizi.»

Alexander aprì la bocca per rispondere, ma la sua testa non formulò una sola battuta intelligente.

Si adeguò al silenzio e, scostandosi di lato, si limitò a rimanere lontano dal fumo della sigaretta.

Guardando l'orizzonte provò a concentrarsi sulla calma del cielo, ma il suo cervello martellava incessante contro la calotta cranica.

... avrebbe preso un'altra pillola. Le medicine non gli piacevano, ma il dolore alla testa era l'unica cosa che non poteva sopportare.

Udì un fruscìo. Masashi aveva spento la sigaretta schiacciandola contro il muretto. Fu rispettoso: non abbandonò il mozzicone sul posto, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca interna della giacca e avvolse il rifiuto là dentro, stringendo forte. Espirò con un ultimo lungo soffio. «Sai se Makoto ha mai fumato?»

«Compra verdure biologiche.» Gli sembrò sufficiente come spiegazione.

«Già.»

Alexander lo studiò. «Stai pensando di smettere?»

«Non è mai stata un'abitudine. Era solo qualcosa che facevo ogni tanto.»

Non indagò. Ma Masashi aveva qualcosa da dire ed era strano sentirsi il ricevente di una confessione da parte sua.

Era la giornata a essere strana? Il primo giorno dell'anno, di un nuovo anno e di una nuova vita che diventava reale nella sua stranezza, ora che sapevano tutta la verità.

«È il primo dell'anno» confermò Masashi. Mettendosi in piedi, osservò il pugno che stringeva il mozzicone spento. «Questa era l'ultima sigaretta che fumavo.»

«Un proposito?»

«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono più single.»

Se ne accorgeva in quel momento?

«Mi sono reso conto che non voglio più essere single.» Masashi aggrottò la fronte e scosse la testa, guardando il mozzicone come se fosse la sua libertà perduta, una cosa che aveva già lasciato andare e che non rimpiangeva, ma a cui era ancora difficile credere.

C'era una domanda inespressa nell'aria.

Ti sei sentito così anche tu?

Alexander rispose. «Io non ho i tuoi blocchi emotivi.»

«Dovevo immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea della favola eterna.»

«Con più palle di te, senza lamentarmi.»

Fu la cosa sbagliata da dire. Con un grugnito Masashi si voltò e cominciò ad andare via.

Alexander si pentì. «Ehi.»

Masashi si fermò, solo per quel bisogno che avevano entrambi di trovare una stabilità in una situazione assurda, in cui di giusto tutti e due avevano solo una ragazza.

Nell'intero pianeta erano stati solo in tre a sperimentare quella condizione e ora che Yuichiro Kumada si era rivelato diverso, erano rimasti in due. Si dovevano qualcosa a vicenda.

«La tua vita non è un vizio che devi abbandonare. Non ti sembrerà così in futuro.»

Masashi rifletté sulle sue parole. Annuì. «Ci si vede, Golden Boy.»

Alexander rimase solo nel boschetto, a massaggiarsi la tempia.

 

La sera, dopo un'altra pastiglia, andò a letto alle sei, un orario indegno per qualunque adulto che non fosse malato.

In pigiama, si sentiva uno straccio.

Ami era sdraiata accanto a lui, vestita e preoccupata. Continuava a passargli la mano sulla fronte, cercando di scorgere segni di febbre.

«Non ti lascio solo, okay? Rimango qui.»

Ad Alexander piaceva vederla mentre si prendeva cura di lui, almeno quando non c'erano di mezzo alieni assassini pronti a uccidere entrambi. Così materna lei era ancora più dolce.

«In questi giorni ti è successo di tutto...» stava dicendo Ami.

«L'ho sopportato.»

Lei sorrise piano. «Non hai mangiato bene, hai visitato posti con umidità molto differenti nel giro di poche ore... Ti sei indebolito.»

«Continua ad accarezzarmi la testa e passerà.»

La pillola stava ricominciando a fare il suo effetto, portandosi dietro una scia di stanchezza.

Gli venne sonno.

Ami lo baciò sulla fronte. «Riposa.»

Lui le ubbidì.

 


 

Occhi aperti, accecati.

Giorno, in un luogo da incubo. Arco d'India, posto di morte, Ami al centro del piazzale.

Correre da lei, urlare.

Esplosione nucleare.

 

Colpo al cuore, di nuovo sveglio.

In casa sua, in camera. Notte fuori dalle finestre.

Buio senza luce, pericolo. Capelli azzurri, aliena.

Scappare, sparire!

C'era energia?

Sì, dentro di lui.

Assassino, mani di morte e crac al collo per lei.

Fallimento, pugni e dolore alla faccia.

Gettato fuori dalla finestra.

Cadere nel vuoto, non fermarsi. Perduto!

Gridare, gola rotta.

 

Di nuovo luce, vivo.

Sveglio, dentro una bolla. In trappola.

Ami catturata, alieno la porta via.

No nooo!

Dimenarsi, distruggersi le mani.

Tirare la moquette, prendere il comunicatore!

Aliena con occhi grigi, ride.

Ti odio.

Arriva qualcuno, un Re.

Petto squartato, agonia.

Poi lasciato solo con morte, sentire che giunge.

Non importa. Uccide l'impotenza, la debolezza.

Ami lontana, loro bambino muore.

Sangue sulle lenzuola, no noo!

 

Soffocare, occhi di nuovo aperti.

Bambino vivo, in braccio. Piccolo, si rompe.

No! Stringerlo piano, attento.

Bambino piange, piange. Non smette!

Orecchie fanno male, tutto fa male.

A casa, indietro, via! Senza bambino!

Lo prende Ami. Se ne va.

Delusione, amore finito.

Lasciato solo.

 


Si svegliò in un inferno di calore, le ossa doloranti e lo stomaco che saliva di prepotenza al petto. Scostò le coperte e si gettò su un fianco, per vomitare tutto quello che aveva sul pavimento.

Fuck!

Con un braccio cercò di issarsi sul comodino, ancora più lontano dal materasso, mentre dalla bocca gli colavano saliva e cibo dissolto, tanto maleodoranti da causargli altri conati.

Qualcuno lo stava massaggiando sulla schiena.

«Va tutto bene, sono qui!»

Cazzo, era Ami.

Lei lo stava vedendo vomitare, e lui non riusciva a smettere!

Provò a tenere su la testa, uno sforzo mastodontico. Tutti i suoi muscoli ardevano.

Si buttò sulla schiena e si coprì la bocca sporca con una manica del pigiama.

Ami saltò via dal materasso. «Torno subito!»

Alexander tremò da capo a piedi. Provava un freddo cane, ma il suo corpo era caldo come lava.

Si rannicchiò, provò a coprirsi. Aveva la schiena rigida come un palo e il sapore sulla lingua era orribile. La sua testa pulsava come se stesse per scoppiare.

What the hell? Non era mai stato tanto male.

«Ecco.»

Sulle labbra ebbe un panno bagnato. Sentì le braccia di Ami attorno al collo, che gli sollevavano la nuca.

«Questa è acqua, bevi un pochino.» Lei gli mise sulla bocca un bicchiere. «Vuoi sputare? Qui c'è il panno.»

Senza alternative, lo fece.

Lei cominciò ad allontanarsi e lui si aggrappò al suo braccio.

«Va tutto bene.» Ami cominciò a slacciargli i bottoni del pigiama. «Vuoi che prima ti cambi? Lo faccio.»

«Ami...»

«Shh. Hai la febbre molto alta. Ti ho dato una medicina, ma ora si trova sul pavimento.»

God, tremava anche lei. Era nervosa e preoccupata.

«Che diavolo...?» Come aveva fatto lui a ridursi così?

Si tenne la testa con una mano mentre Ami gli toglieva l'altro braccio dalla manica sporca.

Tutto il suo pigiama era madido di sudore.

«Resisti. Pulisco il pavimento, poi vado a chiamare Mamoru. Ti curerà lui.»

«Cosa...?» Le tempie stavano per esplodergli, tremava sempre di più. «No, per favore...»

«Sì, invece. Vedrai che guarirai subito.»

«Dammi un'altra medicina...» Dio, perché aveva tanto male agli occhi? «Spegni la luce!»

Ami si mise davanti alla lampada. «Devo chiamare Mamoru, adesso.» Si chinò su di lui fino ad abbracciarlo con tutto il corpo. Lo baciò forte sulla fronte.

Alexander rantolò. «Resta...»

«No. Ti metto un altro pigiama e vado.»

... lei stava piangendo?

«Ami...»

La sentì singhiozzare. «Riesci a tirare su la testa? Così, ecco il pigiama nuovo.»

Una felpa gli coprì tutta la faccia, poi finì arrotolata attorno al suo collo. «Cosa c'è...? Ami...»

Lei era metodica e svelta: gli stava infilando a forza un braccio piegato dentro una manica. «Ho quasi fatto. Ora mi trasformo e vado da Mamoru. Torno subito!»

«No, cosa...?»

Ami era già scesa dal letto. «Rimani sdraiato!»

Lui si girò dalla parte in cui non poteva colpirlo la luce.

Si sentiva una carcassa senza forze. Faticava a pensare.

Udì dei suoni, di Ami che si muoveva per la stanza. Lei aveva preso qualcosa, forse un lenzuolo. Lo gettò sul pavimento.

I suoi passi sparirono nel corridoio.

No, torna qui.

Ma Ami non si rifece viva.

«Mercury Crystal Power...»

Lei si stava trasformando. Per andare da Chiba, per trasportarsi col pensiero...

Dio, la testa! Gliela stavano schiacciando dall'interno, faceva male!

Nel silenzio assoluto della casa si permise un lamento patetico.

Non c'era più nessuno con lui. Era solo con quella tortura senza senso.

Che malattia aveva preso? Perché stava così male?

Provò inutilmente a rilassare la fronte, boccheggiando.

Udì il proprio respiro che usciva veloce e rauco, come quello di un animale morente.

Cercò di eclissarsi sotto le coperte.

«È lì.»

Ami. E dei passi, che non erano di lei.

«Okay, ora vediamo.»

Chiba.

God, no no! Non poteva farsi vedere da qualcun altro in quello stato!

Chiba tirò via le coperte, a forza. «Tranquillo. Concentrati sulla mia mano.»

Il tocco delle sue dita fu come ghiaccio sulla pelle. Alexander cercò di allontanarsene, ma venne tenuto fermo.

Ami era nella stanza da qualche parte, lontana dal letto. «Puoi fare qualcosa? Altrimenti dobbiamo portarlo in ospedale

«Devo concentrarmi.»

Lei si zittì e Alexander riuscì ad aprire gli occhi. Nella penombra della stanza vide Ami china sul pavimento, la schiena che si sollevava e scendeva. Lei stava pulendo quello che lui aveva rimesso. «Ami, no...»

Lei alzò la testa, il diadema di Mercurio sulla fronte. «Shh.» Aveva gli occhi umidi mentre lo guardava.

«Non piangere...»

Lei non disse niente e osservò Mamoru. Lui gli teneva una mano sulla testa. Alexander non ebbe il tempo per prepararsi, fu trafitto alle tempie da una lancia, poi...

Sollievo.

La pressione sparì dal suo cranio e in un istante lui si riappropriò di tutti i propri sensi.

«Ami.» Quasi senza sforzo, si spostò sul materasso.

Estatica, lei si arrampicò sul letto. «Stai meglio?»

«Sì. Che cosa...?»

Chiba gli aveva lasciato la testa, ma ora gli stringeva il polso. «Non agitarti. Devo finire.»

Alexander guardò Ami, in cerca di risposte.

«Forse avevi... un'infezione.»

Eh?

«Dimmi i sintomi.» Era stato Chiba a parlare, ma non si era rivolto a lui.

«Aveva la febbre da due ore, ma era bassa.» Ami era ancora in apprensione. «Non gli ho dato qualcosa perché aveva preso un'altra medicina e non sapevo se... La temperatura è salita all'improvviso, fino a trentanove gradi. A quel punto gli ho fatto inghiottire un antipiretico e ho abbassato la febbre con impacchi freddi. Sembrava che gli stesse passando... sudava. Ma nel giro di dieci minuti il computer mi ha segnalato che aveva toccato i quaranta. Lui si copriva gli occhi, il suo collo era diventato rigido... È in quel momento che ho pensato a...» Deglutì. «Si è svegliato quasi subito e ha vomitato tutto. Mi ha confermato a voce che non sopportava la luce.»

«Allora...» rifletté Chiba. «Sì. Può essere.»

Tra lui ed Ami ci fu uno scambio silenzioso, da cui lo lasciarono fuori.

«Può essere, cosa?» chiese Alexander.

Chiba lo fissava. «Oggi sei stato al tempio, in mezzo alla gente. Ma tu... stavi sul retro. Sono stato a contatto con molte più persone di te.»

Parlavano di un contagio.

Pensieroso, Chiba scosse la testa. «Potresti averla presa da chiunque. Anche diversi giorni fa.»

«Che cosa

Chiba guardò Ami.

Fu lei a rispondere. «Un'infezione al cervello. Procede molto rapidamente quando si attiva.»

Cioè... meningite? Era impossibile. «È rara.» Con tutte le cose assurde che gli erano capitate in quell'ultimo periodo, era statisticamente fuori dal mondo che si fosse beccato anche una malattia come quella.

Chiba non lo escludeva. «Terrò d'occhio gli ospedali. Per caso sei stato a contatto con qualche bambino di recente?»

No, che c'entravano i bambi-...? Capì e si allarmò. «La nipote di Shun!»

Ami sussultò. «Calma. La bambina avrebbe manifestato i sintomi prima di te. Se fosse stata male, Yamato avrebbe avvisato chiunque avesse avuto a che fare con lei.»

Sempre che Shun non fosse stato troppo devastato dalle conseguenze della malattia per fare qualcosa. «Passami il telefono.» Non era tranquillo.

Ami si alzò. «Lo chiamo io, tu resta con Mamoru.» Prese il cordless dall'alloggiamento e uscì in corridoio.

Chiba gli strinse un'ultima volta il polso, poi la sua mano smise di bruciargli sulla pelle.

Poiché non lo lasciava andare, Alexander si voltò. «Non stavo per morire.»

«Ora non lo sapremo mai.» Chiba si allontanò e scese dal letto. «Ho infuso il mio potere in ogni parte del tuo corpo. Non può essere rimasto segno di ciò che ti ha causato quei sintomi.»

Era un bene che lui non avesse più in sé una sola molecola di quella roba, ma ignorare cosa gli era successo era destabilizzante. Fino a poco prima si era sentito come se qualcosa lo stesse mangiando vivo dall'interno. «Grazie per aver risolto.»

Chiba scosse la testa e prese la strada della porta. Scansò coi piedi la massa di lenzuola gettata a terra.

Alexander digrignò i denti. «Shit.»

«Non è stata colpa tua. Buonanotte.»

Il pavimento era un disastro. «Buonanotte.»

Ami rientrò nella stanza. «La bambina sta bene, Yamato dice che non ha mai avuto la febbre. Gli ho detto che tu eri a letto con qualcosa di contagioso, ma non ho voluto allarmarlo, perciò gli ho raccontato che non sapevamo ancora che cosa avevi.»

Era quello il problema.

Come leggendogli nel pensiero, Ami annuì. «Ci chiamerà lui nei prossimi giorni, per sapere di te. Ora che lo abbiamo avvertito, sa che deve stare attento.»

Questo lo faceva stare più tranquillo.

Chiba si era fermato sulla soglia e guardava Ami. «Se parliamo di contagio... Tu sei una persona a rischio, Ami. Sei stata a stretto contatto con lui in queste ore, proprio mentre manifestava i sintomi.»

Invece di allarmarsi, Ami si mise a riflettere. «Se io cominciassi a stare male, potremmo verificare che cosa ha avuto Alex.»

«Ami

Chiba gli venne in aiuto, mostrandosi più perplesso di lui. «Ha importanza? L'ho guarito, non dovrebbe ripresentarsi.»

«È stato a contatto con altre persone. Mia madre, per esempio.»

Chiba aggrottò la fronte. «Controllala, e se pensi che sia il caso, agirò su di lei. Nel frattempo è inutile che non agisca su di te. Potresti persino essere contagiosa durante l'incubazione, sempre che si tratti di quello che pensiamo.» Vedendo che l'aveva convinta, Chiba le indicò il salotto con un cenno. «Andiamo. Riportami a casa.»

In silenzio, Alexander gli fu grato una seconda volta. Coprendosi il naso per evitare l'odore che aleggiava nell'aria, uscì dalla stanza e si diresse in bagno. Sciacquò la bocca con acqua e colluttorio e si guardò intorno. Gli servivano disinfettante e strofinacci.

Provò a captare rumori in lontananza, ma non ne sentì alcuno. Ami si era già teletrasportata con Chiba.

Recuperò un secchio dallo stanzino delle pulizie e cominciò a riempirlo d'acqua.

... possibile che si fosse davvero beccato un'infezione al cervello? 

Se non avesse avuto accanto persone con poteri, sarebbe morto nel giro di poche ore.

Represse il brivido e tornò in camera sua, a mettersi all'opera sul pavimento.

Dopo un paio di minuti, mentre era in bagno, udì un fruscio in salotto. Passò una seconda volta il getto della doccia sulle lenzuola che aveva gettato nella vasca, cercando di pulirle più in fretta.

Ami apparve alle sue spalle. Aveva perso la trasformazione ed era inquieta, immobile.

«Sto bene» le disse lui.

«Lo so.» Lei prese in mano una confezione di detersivo. «Fai la lavatrice stasera?»

«Sì, solo il programma rapido.»

«Non è tanto tardi. Sono solo le nove.»

Forse, ma lei gli sembrava stanca come se non avesse dormito da una notte intera. «È stata una buona idea quella di chiamare Chiba.»

«Avrei dovuto pensarci prima. Se era davvero meningite batterica, arriva un momento in cui insorgono danni cerebrali permanenti. È capitato a un mio compagno di classe, alle elementari. Per questo ho sospettato che anche tu... Lui è guarito, ma il suo udito non è mai più stato quello di prima. Nonostante questo, è stato fortunato.»

C'era qualcosa che Alexander non capiva della reazione di lei. «Perché ti incolpi? Cos'altro avresti potuto fare per me?»

«Avrei dovuto rivolgermi a Mamoru prima. Ma non volevo disturbarlo per una febbre.»

«Infatti.»

Ami si adirò. «Avrei potuto chiamare mia madre, per chiederle se potevo mischiare l'antipiretico con l'altra medicina.»

«Non era al lavoro questa sera?»

«Sì, ma se ti avessi dato qualcosa contro la febbre, avrei attenuato un po' i sintomi e forse evitato che-»

«Che succedesse qualcosa che non è successo? Non ho danni, Ami.» Non sapeva nemmeno lui perché stava discutendo con lei, ma quando la vide inspirare profondamente, si ruppe. «Sto bene, love.»

Ami lo abbracciò con tutta la propria forza. «Sembra... Sembra che non abbia mai fine. Pensavo di poter stare tranquilla ora che c'è pace, ma...»

«È stato un caso. Possiamo stare tranquilli.»

Lei annuì contro il suo petto. Si staccò piano, ricomponendosi e stringendogli la mano.

«Mamoru ti ha passato la sua energia?» le domandò Alexander.

«Sì. Per precauzione.»

«Ha fatto bene.» Cercò di mandar via il senso di oppressione e provò a sorridere. «La mia stanza è inutilizzabile stanotte.» Per l'odore, nonché per le lenzuola ancora umide di sudore che nessuna magia aveva asciugato e pulito. «Dovrebbero esserci ancora le coperte nel letto dei miei genitori. Se non trovo un'altra stanza, ci sistemiamo lì.»

«Sì. A mia madre dirò che stanotte sei stato male. Se fa delle domande, ma non mi importa.»

Lo aveva immaginato. «Sorry per quello che hai visto. Non è stato il lato migliore di me.»

«Non scherzare.»

Ne aveva bisogno. «È passata, Ami.»

Lei sollevò gli occhi. Lo guardò, poi fece quel mezzo sorriso mogio di quando si rassegnava a qualcosa di inevitabile. «Vado a controllare le stanze del piano inferiore.» Se ne andò, senza lasciargli il tempo di domandare altro.

 

«Mia madre ha lasciato un messaggio in segreteria.»

Con quelle parole attirò l'attenzione di Ami.

«Per augurarmi buon anno nuovo» le disse Alexander. «Ha detto che domani verrà una squadra di operai per montare la nuova scala tra i due piani.»

«Andrò via presto allora.»

Non era per questo che lui l'aveva informata. Era stato solo un tentativo di fare conversazione. «Sei ancora spaventata?»

«... Sì.»

«Stanotte dormiremo abbracciati, hm?» Cercò di guardarla negli occhi, ma nell'osservarlo lei diventò ancora più esitante.

«Mentre avevi la febbre... Hai avuto degli incubi.»

Ah sì? Non lo ricordava. «Deliri. Con quella temperatura...»

Ami non fu completamente d'accordo. «Mormoravi qualcosa. Forse stavi sognando quello che ci è capitato coi nemici, ma...»

Lui rimase ad attendere una conclusione. «Ma?»

Ami terminò di lisciare l'angolo delle coperte sul proprio lato e passò a sistemare i cuscini sul letto che avevano scelto, in una camera per gli ospiti. «Hai parlato di un bambino.»

Alexander sentì il cuore in gola. «Sì?»

«Sì.»

Capì dal tono di lei che non vi aveva associato parole piacevoli. «Avevo la febbre.»

«Lo so.»

«Certo, ma non mi sei ancora stata vicina mentre sto male. Voglio dire... Prendi oggi: ero irritato e di cattivo umore. Non gestisco bene le situazioni complicate quando sono malato.» Forse si stava affossando da solo, perché Ami si era impietosita.

Non poté accettarlo. «I sogni non sono lo specchio della verità. Tirano fuori le sensazioni più istintive, è vero, ma le acuiscono. Le peggiorano.»

Ami si sedette sul bordo del letto, la mano che non smetteva di sistemare la superficie della trapunta. «Anche io ero spaventata per il bambino. Va bene esserlo o... essere sollevati che non ci sia.»

Lui le aveva fatto dei discorsi nelle ultime settimane, fino alla fine di quella loro vicenda. Aveva detto e provato cose che non erano false. «La bambina di Yamato.»

Ami si voltò a guardarlo.

«Me l'ha fatta tenere in braccio. Lei piangeva così disperatamente... Non ero capace di calmarla. Soffriva e io non riuscivo a fare niente. Non capivo. Non avevo tempo di prendere un libro e informarmi, ma il fatto è che... Non penso che avrei trovato la risposta giusta da nessuna parte. Shun ha detto che piangono così, finché non gli dai quello che vogliono. Non mi è piaciuto sentirmi impotente.»

Ami era rimasta in silenzio.

«Questa è la sensazione che hai sentito nel mio sogno, qualunque cosa io abbia detto. Non ho mentito su quello che provavo quando pensavamo ancora che ci sarebbe stato un bambino nostro. È diventata un'idea più concreta ora che ho visto un neonato da vicino. Non è un compito facile crescerne uno, ma lo sapevo già.» In teoria. La pratica lo aveva messo davanti ai problemi della realtà, ma ora che stava di nuovo bene - ora che era di nuovo in forze - era pronto ad affrontarla, se necessario.

Non si era mai detto che sarebbe stato un compito semplice, e anche se lui non fosse sempre stato in buona salute, avrebbe inghiottito il caratteraccio con una dose di digestivo industriale e se la sarebbe fatta passare. Con un loro bambino sarebbe stato diverso.

«Non ti avrei lasciato se me lo avessi detto.»

Attonito, guardò Ami.

«Nel sogno ti lamentavi per essere rimasto solo, dopo che io avevo capito cosa pensavi della situazione.» Sospirò, addolorata. «Non devi essere sempre gentile o accomodante. Non devi sempre farti forza da solo. Se qualcosa è difficile, puoi dirmelo. Non ti amerò di meno se non ti comporti in maniera perfetta.»

... ma era difficile, pensò lui. «Non stavo cercando di assecondarti. Era importante anche per me.»

«Va bene. Però...» Ami sorrise piano. «Mi piacerebbe conoscere anche i lati peggiori del tuo carattere. Non cambierà quello che provo per te. Sarà solo... un buon esercizio per entrambi. Mi farò conoscere meglio anche io, così, quando litigheremo, non ci sembrerà di avere a che fare con qualcuno che non conosciamo.»

Era una cosa saggia. «Quindi da adesso in poi... ci alleneremo a litigare?»

Ami era felice. «Se capita. Procediamo passo per passo, ora che siamo solo noi due. Senza fretta, okay?»

Certo. Però lei lo capiva così bene che su quelle basi non c'era molto spunto per discutere di qualcosa.

Ami abbandonò le pantofole sul pavimento e si infilò sotto le coperte. Spense la luce sul soffitto. Rimasero solo con il lume della lampada. «Nello spirito dell'esercizio... Quando sono in ansia, non mi piace che usi la logica contro di me. Non serve a calmarmi.»

Okay, l'avrebbe presa alla lettera. «Quando sei in ansia, mi metti in ansia. Uso la logica per calmare me stesso. Con te funzionano altri mezzi.»

«Altri mezzi?»

Si infilò anche lui sotto le coperte. «Sì. Abbracci, baci...»

Ami riuscì a non sorridere e strinse gli occhi. «A volte, quando sono seria, usi il senso dell'umorismo per depistarmi. Sa un po' di presa in giro.»

«Ora stai mentendo. Per te sa soprattutto di imbarazzo, no?»

«A prescindere, tu evadi comunque il discorso.»

«Significa che non sono d'accordo sulla tempistica, non che ho intenzione di saltarlo.»

Si sporse a spegnere l'ultima luce. Tra loro vi fu il buio.

«Quindi torneremo a parlare di come reagiamo quando discutiamo?» domandò Ami.

«Sì.»

«Quando?»

«Non ne ho idea. Quando ne avremo voglia.»

«Era questo che intendevo. Lasciati a noi stessi, tendiamo ad andare d'accordo per abitudine.»

«Che reato.»

«Alex...»

«Sul serio, Ami.» Si divertì troppo per non ridere. «Ci serve andare d'accordo. Così potremo discutere meglio.»

Neppure lei riuscì ad obiettare a quella logica.

«Questa sera ho solo voglia di fare questo.» Lui si spostò dal suo lato del letto e la abbracciò forte, inspirando l'odore dei suoi capelli, il profumo della sua pelle. La baciò dietro l'orecchio e continuò in una scia, lungo il collo. Giunto alla clavicola, mise più attenzione nel bacio.

Lei non stava rispondendo. «Sei impazzito?»

Eh? Si staccò.

Ami sorrideva, incredula. «Non questa notte. No.» Fu lei a stringerlo, affondando con la faccia nella sua spalla. «Questa notte ce ne staremo tranquilli, e io ti ascolterò dormire. Ne ho bisogno. Ero immensamente spaventata.» Inspirò contro il suo petto. «Temevo di averti fatto del male.»

Lui cambiò umore. «Certo che no.»

«Pensavo di nuovo di perderti.»

«Mi dispiace.» Per il fatto di averla fatta sentire il quel modo, e per non avere idea di come fosse potuto accadere.

Sapeva solo che adesso stava bene, forse meglio di quanto fosse mai stato in passato. Dopo essere stato moribondo e oppresso dal dolore, si sentiva... in equilibrio. Rigenerato.

Lo doveva a Mamoru Chiba.

Ami gli accarezzò la schiena. «A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, di sentirti.»

Con parole come quelle, o solo esistendo, lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.

Ami si ritrasse un poco. «Invece, tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»

... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era un quesito a trabocchetto?

«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»

«Be', ma queste sono le mie strategie. Hanno una loro utilità, vedi? Ti divertono.»

Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»

«Sì.»

«... anche se non vuoi?»

«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»

Non ebbe bisogno di vederla sorridere, seppe che lei lo stava facendo contro il suo collo e le sistemò meglio il braccio sotto la testa.

«Buonanotte» le disse. «Domattina mi troverai ancora qui. Sano e in forma.»

Ami strofinò la guancia contro il suo petto. «Buonanotte. Tu mi troverai qui qualunque cosa tu faccia. Qualunque cosa tu dica. Finché vorrai.»

«Forever, then?»

«Sì.»

«... Ho una lamentela.»

«Hm?»

«Mi scioglierò nella melassa se divento ancora più sappy mentre sono con te. Sono troppo sdolcinato, devi fermarmi.»

Risero abbracciandosi, quasi togliendosi il respiro.

Nella calma terminarono le risate, i pensieri.

Giunse il sonno.

  

FINE - 1 gennaio 1997

 


NdA: C'è un motivo dietro la 'malattia' di Alexander. Cioè il fatto che non è una malattia. Lo fanno intuire un poco i suoi sogni, in cui in particolare ricorda cose che non avrebbe dovuto avere ancora in testa, in quanto cancellate dalla sua mente da Euthasia. Ma alla fine, da sveglio, Alexander in effetti non ricorda nulla. Altrimenti forse avrebbe capito che gli è successo un po' quello che è successo a Yuichiro durante gli ultimi capitoli di Verso l'alba, poco dopo aver liberato la sua energia. Nel caso di Alexander la cosa è stata più violenta perché non ha avuto nessuno a curarlo subito. Poteva morire? Sì. Perché non è ancora pronto a subire questo passaggio. Forse non lo sarebbe stato mai, ma la vicinanza continua con Ami, che per via dell'ykeòs ha posato su di lui il suo potere - che lo racchiude - di fatto continua a chiamare l'energia che dorme dentro di lui, chiedendole di uscire. Sarebbe meglio che non lo facesse, ma entrambi sono inconsapevoli in merito. E lo resteranno per un bel po' di tempo.

Fa tutto parte dei miei deliri :)

 

Grazie di aver letto!

 

ellephedre

 

   
 
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