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Autore: Buggyjo    20/05/2014    7 recensioni
A volta basta anche solo uno sguardo per farti ricominciare.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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So che mancavo da un sacco di tempo e visto che ancora non so se il tecnico è riuscito a recuperare W.A.L.L. - We Are Like Lines ho deciso di buttare giù un racconto tutto per voi, per non farvi dimenticare completamente di me. Pensavo di scriverlo moolto più breve.. ma direi che è venuto un poco più lungo di quanto pensassi! ** Bhe, spero di vedervi ancora numerose e che vi piaccia davvero! 

Buona lettura!


mrshoranpayne - 






 
Hope, Love and Live 



Non sapevo davvero come avevo fatto, anche oggi - qualcosa mi aveva spinta ad tirarmi su - a fare una doccia e vestirmi, con una semplice canottiera e un paio di jeans usurati dagli anni.
Non ricordavo nemmeno quando era stata l'ultima volta che ero uscita insieme a qualcuno a comprare qualche nuovo abito. 
Forse mesi, o anni, la mia percezione del tempo si era fatta decisamente confusa da quando Lui mi aveva lasciata. 
Prima di lui avevo passato una di quelle vite che volevi solo cominciare a dimenticare, un padre disattento e che non faceva che sbagliare, ingannarti e mentirti, una madre che per quanto lavorava per te, per quanto volesse compensare le mancanze di tuo padre, non vedevi quasi mai. 
Poi avevo incontrato lui, Max che poi mi aveva lasciata in maniera "normale", come la maggior parte degli uomini falsi lasciava la donna con cui stava. 
    -"Non è colpa tua bellissima, è solo che io non.." fece una pausa. "non mi sento più in sintonia con te, ho bisogno di spazio." disse e subito dopo aggiunse:"ma io ti amo. Lo sai"-
Balle, come puoi lasciare la tua donna se la ami, sarebbe un comportamento stupido e masochista.
Ma lo aveva fatto, e aveva avuto anche il coraggio di dirmi che mi amava, come se fossi abbastanza idiota da cascarci.
Quel giorno avevo anche dedicato qualche attenzione nel tirare su una coda e intrecciarla, misi un leggero giacchetto di jeans e uscii di casa, non sentendo niente, nemmeno il mio respiro leggero e regolare. Sin troppo aggiungerei.
Mi diressi lentamente nella libreria dove lavoravo e mi sedetti, dopo aver ordinato quello che avevano appena scaricato, dietro il bancone, leggendo uno dei miei romanzi ottocenteschi preferiti. 
Mi distraevano dal "non pensare", da quando lui mi aveva mollata non riuscivo più a farlo, a mettere in moto il cervello, sembrava che avessi la testa vuota. 
Non veniva mai nessuno, e la cosa non mi dispiaceva, anche se percepivo uno stipendio misero. 
Solitamente nulla riusciva a distrarmi dalla mia lettura ma quel giorno qualcosa era cambiato, soprattutto da quando mi ero svegliata. 
Mi ero svegliata scattando, sedendomi, con uno strano senso di leggerezza, vaga, nell'animo, inconscia; madida di sudore, con gli occhi sgranati, ma non impauriti. 
Delle voci, attutite dal vetro della porta d'ingresso, erano arrivate fino a me, e mi fecero girare. Erano quattro ragazze, tre intente a discutere vivacemente di un libro in vetrina, uno di quelle nuove autrici inglesi che scrivono di grandi amori e di grandi felicità dopo la tragedia, mentre una ragazza mi stava osservando attentamente, mi scrutava minuziosamente per quel che vedeva. 
Non so perché non distolsi lo sguardo dai suoi occhi scuri, erano qualcosa che mi stava scaldando sin dentro il cuore, sentivo la pelle riscaldarsi leggermente come non credevo potesse ancora accadermi. 
Mi stava leggendo dentro. 
Poi se ne andarono, e lei venne trascinata via dalle sue amiche. 
In quel momento capii di essere sola da mesi, che non avevo nessuno, non parlavo più se non forzata. Non avevo più amiche, le uniche che avevo non so da quando non le sentivo più. Ma scoprirlo di certo non era difficile. 
Tutto mi era sfuggito dalle mani, lui era riuscito a distruggermi, a farmi morire dentro, perché io ci credevo, credevo nel nostro "amore", o almeno credevo che lo fosse. Avevo donato lui il possibile, lo avevo assecondato in ogni sua scelta, in ogni suo pensiero. Gli avevo sempre detto tutto ciò che lui voleva farsi sentirsi dire. 
Ma tutto ciò non aveva avuto alcun effetto, mi aveva lasciata, e una settimana dopo postò su Facebook la sua nuova foto con la sua nuova fidanzata nella sua nuova casa londinese.
Crollai a terra singhiozzando, mi strinsi le braccia attorno al busto. 
Ero stata il suo zerbino, la sua serva, la sua schiava, e quando non aveva più avuto bisogno di me e dei miei servigi mi ha buttata via. E ora mi sentivo maledettamente usata, un involucro vuoto ed inutile che si usa e poi si butta via. 
Mi rannicchiai a terra e iniziai a tremare, non ce la facevo. Il dolore mi stava invadendo, la consapevolezza di essere sola e non farcela mi stava distruggendo da dentro. Non sapevo più dove finivo io e dove finiva l'abisso di sofferenza in cui stavo sprofondando di più. 
Era insopportabile, la testa pulsava senza darmi tregua e sentivo i miei singhiozzi mozzati vibrare nel mio corpo.  
Sembrava avessi le convulzioni e non riuscivo a fermarmi in nessun modo, avrei voluto solamente addormentarmi e sentire di nuovo quella voce. 
    "Ehi, ehi calmati, calmati. Respira. Respira." disse la voce dolce. Forse mi ero addormentata come desideravo, anche se continuavo a tremare. 
Era preoccupata e io non volevo far preoccupare quell'angelo sceso in terra per calmare una povera deficiente che non ero altro.
Respirai a fondo, godendomi quel piccolo spiraglio di luce che mi stava invadendo. 
    "Mi senti??" mi scosse leggermente per le spalle stringendomi poi in un abbraccio, tenendomi tra le sue braccia piccole, ma forti. Forti abbastanza. E mi sembrava così reale che sgranai gli occhi, di nuovo quel giorno. 
    "Sei reale?" scrutai i capelli neri che avevo vicino al viso, non potendo vedere il suo viso poggiato tra i miei di capelli. 
La sentii ridere leggermente e stringermi di più. 
    "Certo che sono reale, stupida." rise. Si sedette di fronte a me e mi sorrise, un sorriso limpido, che mostrava i denti bianchi. Aveva le guance leggermente rosse che apparivano sulla pelle bianca, gli occhi scuri e caldi come mi erano parsi attraverso quel vetro, e i capelli ricci neri che le cadevano sulle spalle. 
Ma era il sorriso quello che veramente mi stava rimanendo lì, impresso nella mia mente. Sorridendomi lei mi stava donando parte della sua leggerezza, parte della sua spensieratezza. Stava dividendo con me, una perfetta sconosciuta, una depressa di 19 anni qualunque, quello che di più prezioso aveva: la felicità. 
    "Allora" iniziò la ragazza che prima mi stava osservando dalla vetrinetta. "Vuoi raccontarmi cosa è successo da ridurti ad uno straccio da cucina buttato via?" disse ridacchiando.
Beh, stranamente, mi sentii talmente libera da raccontarle tutto, anche ciò che non era attinente alla vera ragione che mi aveva quasi fatta impazzire quella mattina.
E da lì, da quando conobbi Jade, tutto era cambiato nella mia vita, anche quello che pensavo di non poter mai cambiare.

Ormai erano nove mesi che vivevo di nuovo. Mi ero trasferita in centro, in un appartamentino, con Jade, vivemo assieme, e non c'era cosa migliore. 
Ero felice, avevamo arredato la casa come più ci piaceva, piena di colori, ma mancava qualcosa nella mia stanza, non so cosa, mancava qualcosa che la finisse di riempire. 
E che finisse di riempire anche me.
Avevo un nuovo lavoro, un lavoro in cui avevo un vero e proprio contatto frequente con le persone, Jade invece aveva deciso di proseguire con il master in matematica e veniva tutti i giorni nella grande libreria del centro dove io lavoravo.
Si sedeva ad uno dei tavoli e studiava, oppure chiacchierava con qualche ragazzo che si trovava nel raggio di due metri da lei, bello o brutto che fosse. 
A lei importava realmente la sostanza, amava gli uomini che sapevano parlare, e che parlavano tanto quanto lei. Mi faceva sorridere quando la guardavo.
Uscivamo spesso, quasi 4 sere su 7 in tutta la settimana, anche se la maggior parte delle volte di andavamo a rinchiudere in uno di quei pub irlandesi aperti in giro per Londra. Oppure passavamo la sera buttate sul letto, o sul divano, a scambiarci pizzichi e bacini o a farci il solletico per ripicca di qualcosa.
Una sera aprì un discorso che solitamente non toccava, non riguardava, me. 
    "Anne, ti giuro, l'ho visto che ti squadrava dalla testa ai piedi, non smetteva di seguire ogni tuo movimento" rise.
A me non veniva da sorridere, non mi sentivo pronta a sentire di nuovo le attenzioni di un uomo su di me, non ero pronta per rigettarmi in una relazione del genere.
E solo nel momento in cui ci pensai sentii il cuore sussultare, e sentirmi di nuovo pesante. Lui era stato quello che più di importante avevo al mondo, e mi aveva abbandonata.
    "Non cominciare." ribattei irritata. 
Mi girai e spensi la luce rannicchiandomi, mentre sentii lei alzarsi e andare in camera, dandomi la buonanotte sulla porta. 
Guardai le pareti bianche e spoglie e sentii una parte del mio cuore proprio allo stesso modo e sapevo che forse sarebbero sempre rimaste così, spoglie, inutili. 
Lasciai nuove lacrime rigare il mio volto, silenziose, a cercare di farmi compagnia, ma avevo solo bisogno di avere un altro importante tassello oltre all'amore di una sorella, di una migliore amica, di una compagna di vita importante. 
Avevo bisogno di quello che avevo perso, ma non proprio di quello. Non so se mi spiego. 
Avevo semplicemente bisogno di qualcosa di vero, e non di falso, di qualcosa che anche se se ne andasse, tornasse. Di qualcosa che mi tenesse per la mano libera, quella non occupata da Jade, qualcuno che potesse finalmente completarmi.
Sentii il letto abbassarsi quando lei si mise in mezzo al letto con me e mi strinse forte, passando le dita piccole e docili tra i miei capelli annodati, mentre le inzuppavo la maglietta con le mie lacrime.
    "Sai che ho ragione. Sai che hai bisogno di qualcuno che ti completi.." sussurrò mentre mi cullava.
E non potei far altro che lasciarmi avvolgere da lei e dal suo calore.

    "Anne, ti sta guardando." disse Jade, tenendo la testa sulla sua mano e guardando in direzione degli scaffali dedicati ai classici ottocenteschi che mi piacevano tanto.
Era almeno la quinta volta che me lo diceva, ma non osavo minimamente guardare nella direzione in cui le stava guardando. Ci stavo mettendo tutta la buona volontà che avevo in corpo. 
Ma la sua affermazione successiva mi fece voltare istintivamente.
    "Si sta avvicinando Anne!! Si sta avvicinando!" lei mi sorrise e si allontanò mentre la intimavo di rimanere ferma dov'era. Ma non mi diede ascolto.
Chinai la testa sui fogli che stavo compilando quando notai due mani affusolate, da uomo, grandi e non troppo scure con due libri, uno in una mano e uno in un altra. Sentii il mio viso avvampare mentre salivo con lo sguardo il suo corpo. 
Aveva l'avambraccio sinistro tatuato, mentre l'altro era pulito e sul quale i muscoli si intravedevano di più sotto la pelle.
Le braccia erano coperte da una camicia bianca, con le maniche arrotolate al gomito, e notai il petto magro, tonico, e largo, che mi fece sentire, solo a guardarlo, le guance in fiamme. 
La mia mente aveva lavorato da sola, facendo sbocciare un insolito bisogno. Il bisogno di sentire quel petto forte a contatto con il mio, di sentire quelle braccia tanto forti attorno al mio corpo piccolo. 
Battei le palpebre e passai gli occhi sul suo viso. 
Era qualcosa di spettacolare ai miei occhi, aveva i lineamenti perfetti, la mascella regolare, la bocca non troppo carnosa ma nemmeno troppo fine, le guance incavate, di un uomo, e gli occhi, erano di un caldo nocciola tendente al verde. 
Aveva le ciglie lunghe e scure che non facevano altro che risaltare la sua iride.
    "Ti senti bene?" disse lui aprendosi in un leggero sorriso e lasciando che il suo volto si colorasse di un leggero rossore.
Aveva la voce roca, e calda, dolce e sensuale, mi fece vibrare nel profondo. Sentivo il cuore in gola e sentivo il suo battito propagarsi fino alla punta delle dita dei miei piedi. 
    "S-Si.." balbettai.
Dio, che idiota. Solamente un'idiota come me poteva balbettare facendo una figura di merda degna di essere annotata su ogni calendario, evidenziata in rosso addirrittura.
    "Cosa desideri?" mormorai troppo sommessamente. Dubitai addittura del fatto che mi avesse sentita. E nel frattempo nella mia mente si susseguirono un infinita varietà di scenari degni di un regista.
    "Volevo solamente pagare questi due." rise leggermente porgendomi i due libri, e dandomeli sfiorò le mie mani con le sue dita, facendo attraversare il mio corpo da un intensa scossa elettrica che mi fece sentire in paradiso. 
Pagò e mi sorrise, rimanendo ancora in piedi davanti al bancone. 
Continuai a guardarlo negli occhi, ma più sicura di prima, e la mia bocca si aprii prima che il cervello riuscisse a far ragionare il mio cuore impazzito.
    "Ti va di bere qualcosa con me stasera?" sputai fuori senza pensare.
Lo vidi illuminarsi e di conseguenza mi illuminai anche io.

Ero maledettamente agitata, continuavo a torturarmi le labbra mentre lo aspettavo di fronte la caffetteria anonima che avevo scelto per prenderci qualcosa da bere insieme.
E poi lo vidi arrivare con una felpa blu che gli cadeva sulla vita e i jeans chiari che gli si poggiavano delicati sui fianchi. 
    "Ciao.." mi sorrise imbarazzato, e mi prese per mano tirandomi dentro. 
Passammo una di quelle sere come non passavo da tanto, come se ci conoscessimo da una vita. Mi sentivo al posto giusto, finalmente completa.
Mi sentivo esattamente dove volevo stare, talmente tanto che non mi accorsi che quando mi riaccompagnò a casa erano le undici della sera. 
    "Bene, allora, direi che vado." si passò una mano tra i capelli come se fosse combattuto tra qualcosa che comporta la vita o la sua morte.
Fu come un lampo nella mia testa, sapevo esattamente quel'era il suo dilemma, sapevo esattamente quello che voleva fare e prima che lui potesse arrovellarsi il cervello lo afferrai per la nuca, infilando le dita tremanti tra i suoi capelli scuri, tirati su, e spinsi la bocca sulla sua. Morbida, calda. Le sue labbra si muovevano sinuose sulle mie. Sentivo il cuore martellarmi nel petto mentre lui cercava la mia lingua con una passione che non credevo di porter risentire.
Mi staccai e lasciai che lui si allontanasse con un sorriso beato stampato sul volto. Si voltò vicino al mio cancelletto e agitò la mano.
    "Buonanotte piccola!!" urlò lui.
Risi sommessamente.
    "Sst! Non urlare Rob!!" rise e corse via.
Rientrai e mi poggiai alla porta.
Mi sentivo di nuovo... Giusta.

... 

Mi ritrovai a torturarmi le mani o a passarle freneticamente sui calzoncini sporchi che indossavo, di fronte alle pareti della mia stanza, con delle ciocche di capelli a sferzarmi in volto a causa del vento che entrava dalla finestra ora aperta. 
Sentivo il leggero tepore dell'aria sfiorarmi le gambe scoperte.
Adesso potevo sentire tutto quello che mi circondava, dal vento, al rumore delle auto e delle persone che passavano sotto la finestra, ignare di quello che stava accadendo dentro quella stanza; dal rumore del rubinetto della cucina al vento sul mio corpo.
Adesso potevo vedere tutto quello che mi si presentava davanti agli occhi, senza che passasse inosservato come 3 anni addietro quando uscivo di casa e passavo la mia giornata senza nemmeno accorgermi di ciò che succedeva.
E adesso potevo sentire le sue braccia che mi avvolgevano da dietro, la sua testa poggiarsi sulla mia spalla e il suo respiro solleticarmi piano il collo. 
    "Ti piace? Era questo che volevi" disse lui. Sentivo il sorriso aprirsi sul suo volto mentre anche lui contemplava con me, dal centro della mia stanza, tra il mobilio coperto dai teli, l'opera che insieme avevamo completato.
Sentii la mano, sporca di verde, di Jade, stringersi saldamente alla mia, sporca di un blu acceso e sorrisi istintivamente osservando il capolavoro a cui avevamo dato vita tutti e tre insieme. 
Pensavo di non poter mai riuscire a farlo, ma avevo torto. Io sapevo di non poterlo fare da sola, di non poter riuscire in questo da sola.
Avevo bisogno di una sorella che dipingesse quelle mura di un verde, il verde della speranza che mi aveva donato trovandomi, grazie a chissà quale bontà divina. 
Avevo bisogno di me stessa in un blu che descrivesse, sulle mie pareti spoglie e asettiche, la libertà, la leggerezza, la vita.
E sicuramente avevo bisogno di quel rosso, il rosso della passione, che solamente lui poteva donarmi con le sue grandi mani chiare, che mi davano sicurezza. 
Avevo bisogno del rosso del vero amore a sostenermi. E lui, dopo quel caffé mi aveva donato anche la sua anima.
Guardai ancora una volta quelle pareti dipinte di ogni colore, erano vive. 
Sorrisi, con tutta me stessa e rimasi a guardare la mia vita su una parete. 
    "Si, è quello che volevo" risposi contemplando la strana sensazione che mi stava accarezzando.
Basta solo volere intensamente qualcosa, combattere per qualcosa che per te era tutto, per averla davvero. E non avevo solamente una parete dipinta in quel momento. Ero riuscita, con tutta la mia forza di volontà e con persone che davvero amavo, a tirarmi su. 
Ma ero soprattutto riuscita ad avere ciò che più di ogni altra cosa desideravo: dipingere le pareti bianche che avevo dentro di me.
Avevo imparato a vivere.
   
 
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