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Autore: The Sorrow    20/05/2014    2 recensioni
Non posso fare niente, loro mi stanno guardando, stanno ridendo, mi stanno facendo diventare pazzo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli Osservatori

Eccoli lì, come tutti i giorni. Entro in classe e me li ritrovo davanti, pronti a fare quello che sanno fare meglio; guardarmi. Mi siedo e mi sento costantemente osservato. Questa situazione va avanti da quando sono in questa scuola.
Non ho mai parlato molto e non ho nessuna persona che posso chiamare amico. Tuttavia mi sento continuamente osservato; tutta la classe mi guarda. Io so che cosa vogliono, so che cosa aspettano. Un mio errore, loro aspettano solo un mio errore. Perchè? Ma per ridermi dietro, ovviamente. 
La lezione comincia e la professoressa di francese inizia a spiegare, ma io non la sento. Io devo stare attento a tutto il resto, devo sentire tutto quello che loro dicono. Senza distrazioni, senza altri pensieri. Devo concentrarmi solo su quello.
Ad un certo punto sento due ragazze che ridacchiano; lo sapevo! Lo sapevo! Stanno ridendo di me, ne sono certo. Non riesco a sentire quello che dicono, ma stanno ridendo di me! Tutti quelli che ridono in questa classe ridono di me; io sono lo sfigato, l'asociale, Mister "Guarda-quello-quanto-è-brutto". Già, questa è la frase più comune che loro dicono, ma sono furbi; non me la dicono in faccia, fanno tutto alle mie spalle. Mi guardano, mi osservano, aspettano il momento giusto; il momento in cui io commetto un errore, il momento in cui io faccio o dico qualcosa, qualunque cosa. Tutte le mie azioni. le mie parole, i miei gesti sono per loro un pretesto per insultarmi. Il mio carattere è un pretesto per insultarmi. Il mio aspetto è un pretesto per insultarmi. Io sono un pretesto per insultarmi. Non penso che lo facciano per farmi star male; questo è un aspetto secondario, di poco conto. Lo fanno per loro stessi, penso che li faccia star bene prendermi in giro.
Oramai è da tre mesi che sono in questa scuola e mi sono sempre sentito osservato. Loro non mi mollano nemmeno per un secondo, si organizzano, si mettono d'accordo. Sono come tanti lupi che si riuniscono in un branco per aspettare la pecora e divorarla al suo primo errore. 
Ho provato a parlarne ai miei genitori, ma loro dicono che sono troppo paranoico e che dovrei rilassarmi. Ma come faccio a rilassarmi se ho sempre un paio di occhi puntati addosso?
Adesso mi stanno mandando da uno psicologo; questo tizio non capisce niente. Dice che, secondo lui, quella di venire giudicato è la mia paura più grande, quindi io proietto questa paura sulle persone che mi stanno intorno fino ad arrivare a percepire ogni singolo gesto come se fosse rivolto a me, come se ogni parola, ogni risata e ogni sguardo fossero rivolti a me. Lui la chiama proiezione. Io la chiamo cavolata. Loro mi guardano sul serio, ridono sul serio, non mi sto immaginando tutto. 
Una volta lo psicologo mi ha chiesto come facevo a sapere che loro, quando ridevano, ridevano proprio di me. Io sono rimasto in silenzio per qualche secondo; già...... Come facevo a saperlo? Gli risposi che lo sapevo e basta. Io so che è così.
"Martini, alla lavagna". Il richiamo della professoressa di francese mi distoglie dai miei pensieri e mi fa precipitare in un incubo. Io alla lavagna? Sotto lo sguardo di tutti? E adesso come faccio. Mi alzo lentamente e mi dirigo verso la lavagna. Sento già qualcuno ridacchiare, ma la cosa strana è che lo sento nella mia testa. "Allora Martini, scrivi la coniugazione al futuro prossimo del verbo faire. Ti ricordi il significato in italiano di faire, vero?". Accidenti, ora dovevo anche parlare. "S-significa f-fare" balbettai; balbetto sempre quando sono nervoso. Intanto mi sento osservato più che mai e vedo qualche sorrisino che appare sulla faccia di alcuni miei compagni. Loro aspettavano solo questo.
La professoressa mi dice di prendere il gesso e di scrivere la coniugazione. Devo fare una premessa, ho una calligrafia orribile e sono sicuro che questo è uno dei pretesti maggiori per prendermi in giro. Comincio lentamente a scrivere, ho il cuore che mi batte a mille per l'ansia e ho le mani sudate. Mi scivola il gesso, sento delle risate, lo raccolgo. Ricomincio a scrivere, una coniugazione dopo l'altra. Sento le risate; sono sempre più forti. Mi scivola nuovamente il gesso, le risate aumentano, lo raccolgo. La mano è sempre più sudata, le gambe hanno incominciato a tremare, il cuore mi batte così forte che sembra voglia uscire dal petto. Le risate oramai mi rimbombano in testa. Non ce la posso fare, so di non poterlo gestire, lo so. Io non ce la faccio più, voglio che smettano, voglio che smettano, VOGLIO CHE SMETTANO!
Non vedo niente, non sento niente, non provo niente. Urlo, prendo una sedia e la scaravento sulla testa della professoressa, fracassandole il cranio. Il mio corpo si muove da solo, io non posso fare niente. Posso solo assistere. Sento dei suoni, ma non sono esattamente suoni. Sono brandelli di voci, urla, grida di dolore. Percepisco che ho in mano qualcosa e che sto usando quel qualcosa per uccidere. Una sensazione si è liberata, una sensazione che avevo represso per tanto, troppo tempo. Rabbia.
Dopo qualche minuto(non ho la concezione del tempo) sento solo silenzio. Un tranquillo e pacifico silenzio. Tutta quella pace si scontra con l'orrore che ho di fronte ai miei occhi. Non è sopravvissuto nessuno.
Sono stato io, lo so. L'ho fatto perchè loro mi guardavano, mi guardavano e ridevano.
Un pensiero mi affiora in testa; ma lo facevano veramente?
Io so la risposta.
Ma l'ho trovata solo ora.

 
  
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