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Autore: Artemisia_Amore    22/05/2014    5 recensioni
Mentre camminava, lenta e decisa, pareva una sonnambula. La luce della luna accarezzava le sue guance e, dal modo in cui Sharon inclinava la testa, di tanto in tanto, sembrava quasi che le sussurrasse il da farsi. Ma in fondo, si disse, non aveva bisogno del consiglio della luna. Sapeva perfettamente quali passi compiere – li aveva recitati nella propria mente milioni e milioni di volte.
[Break, Reim e Sharon, 100 anni dopo] - [Spoilers Retrace 92 e seguenti]
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Reim Lunettes, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo I,

nel quale le Stelle appaiono all'orizzonte

 
Lo chiffon azzurro frusciò leggero sulle sue caviglie.
 
Mentre camminava, lenta e decisa, pareva una sonnambula. La luce della luna accarezzava le sue guance e, dal modo in cui Sharon inclinava la testa, di tanto in tanto, sembrava quasi che le sussurrasse il da farsi. Ma in fondo, si disse, non aveva bisogno del consiglio della luna. Sapeva perfettamente quali passi compiere – li aveva recitati nella propria mente milioni e milioni di volte. I piedi nudi affondarono l’uno dopo l’altro sul terreno freddo e umido, incontrando a volte l’erba, più raramente qualche sassolino. Poi, d’improvviso, l’acqua.
 
Gelida. Penetrante.
 
Sarebbe stata come una lama, si ritrovò a pensare, reclinando la testa all’indietro, le labbra dischiuse in un sospiro di dolore mentre lentamente si immergeva.
 
Sarebbe stato veloce. Dapprima il panico, poi la pace. Le sarebbe parso che il cuore esplodesse – e in fondo, se anche fosse stato?
 
Mentre avanzava nel lago, attendendo con paura e sollievo il momento in cui i suoi piedi avrebbero mancato il terreno, cadendo nel vuoto, facendola precipitare nell’abisso, le mani di lui comparvero in un ricordo, dietro i suoi occhi.
 
Lo aveva stretto tra le braccia.
 
Ricordava distintamente la sensazione del calore del suo corpo che si affievoliva a ogni respiro, fino a concentrarsi unicamente sul cuore e poi, d’un soffio, svanire. Ricordava distintamente il dolore dilaniante e straziante con cui si sentì trafiggere il petto quando le sue dita ricaddero a terra, prive di vita, abbandonate.
 
Il silenzio.
 
Oh, se ricordava il silenzio. Intorno a lei, forse, qualcuno aveva persino parlato. Reim? Una donna? Che senso aveva? Che le importava? Lei ricordava il silenzio. Quel silenzio ovattato che allora le penetrò le orecchie, il cervello, gli occhi, come schegge di ghiaccio che miravano a uccidere.
 
Morì con lui. Morì lì. Glielo aveva detto il silenzio. Glielo avevano confermato quelle dita fredde, abbandonate, prive di vita sul pavimento.
 
L’acqua gelida del lago le baciò le labbra. Dapprima le sfiorò soltanto. Poi si fece più esigente, più prepotente, più asfissiante. Chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel bacio di morte che, pensò, doveva avere lo stesso sapore di qualsiasi altro bacio da parte di qualsiasi altro uomo. Le lacrime si sciolsero nell’acqua. L’unico bacio che avrebbe davvero voluto assaggiare riposava ormai da mesi sulle labbra congelate del suo primo amore.
 
L’acqua invase le sue narici. Sentì il proprio corpo lottare per sopravvivere. Ma si abbracciò. Si strinse tra le sue stesse braccia. Si costrinse ad addormentarsi.
 
A morire.
 
Sognando…
 
Una fioca luce lontana…

 
***
 
Non era insolito che durante simili giornate di sole gli studenti del college si radunassero nei giardini. A dire il vero, non si radunavano: piuttosto, si dividevano in gruppetti estremamente elitari, l’ammissione ai quali dipendeva molto raramente dalla sincera simpatia reciproca, elemento di poca importanza quando a un cognome rinomato corrispondeva un cospicuo conto in banca. Era principalmente questo il motivo per cui rifiutava di unirsi a quelle comitive. Preferiva di gran lunga la compagnia dei suoi libri. I libri, pensò, non badano a dettagli come la famiglia di origine di una persona. Essi amano indiscriminatamente chiunque abbia il desiderio, la curiosità e la pazienza di starli ad ascoltare. E per lei, che nella sua vita non aveva mai avuto un pasto gratis, che aveva dovuto faticare enormemente per essere ammessa in un college che le avrebbe garantito un passaporto per un futuro più brillante, l’amicizia di un libro aveva un valore inestimabile.
 
Mentre percorreva il sentiero di ciottoli, intenta a riflettere sul bizzarro abbigliamento che il professor Higgings aveva sfoggiato durante la lezione di recupero di Storia Naturale, adocchiò un platano non molto lontano. Inclinò la testa, la treccia di capelli ramati oscillò sulle sue spalle, e con un sorriso decretò che l’albero sarebbe stato suo. O almeno, impossessarsi di un comodo, fresco posto all’ombra sarebbe stata la sua intenzione se qualcosa non l’avesse urtata d’improvviso, facendole perdere l’equilibrio. Cadde a terra, e così fecero i libri che si era stretta al petto fino a quel momento: si sparpagliarono sul prato, e il romanzo si aprì, sporcandosi di terra.
 
“Ehi! Stai bene?”
 
Che domanda sciocca. No, sarebbe stata bene. Sarebbe stata bene se la gente avesse imparato un po’ di educazione e – magari – sempre che non fosse chiedere troppo – avesse fatto propria anche l’utile abitudine di guardare dove metteva i piedi. Ma si tenne per sé quei pensieri, e si limitò ad imbronciarsi, sdegnata.
 
“Dai, ti do una mano a rialzarti…”

Di nuovo quella voce, baritonale e disinvolta. Era ancora lì?
 
“Ho imparato a camminare a otto mesi. Direi che dopo diciassette anni dovrei essere in grado di  rimettermi in piedi da sola senza troppi problemi.”
 
Ignorando la mano tesa del ragazzo di fronte a lei, gli diede le spalle per occuparsi di una questione ben più importante: i suoi libri. Dannazione. Era riuscito a farli cadere tutti. Persino il…
 
“…Romanzo? Oh-oh, 'La fortezza di cristallo'. Sembra interessante… Vediamo un po’… ‘La fanciulla dalla diafana pelle un candido piedino scoprì, e ivi Balderu un soffice bacio a suggellare il giuramento depose: «Sarò per sempre il vostro devoto servo, ojou-sama»’. A qualcuno, qui, piacciono le storie d’amore, eh?”
 
Infastidita, si sporse verso il ragazzo, tirandogli via il libro dalle mani, e si strinse il romanzo al petto, proteggendo il suo segreto. Segreto, tuttavia, prontamente tradito dall’intenso rossore delle sue guance.
 
“Non ti hanno insegnato l’educazione? Chi ti ha dato il permesso di aprirlo?”, borbottò, indolente, lanciando a quello che doveva essere evidentemente uno studente dell’ultimo anno uno sguardo velenoso.
 
“Che cos’è ‘ojou-sama’?”, domandò il ragazzo, inclinando la testa, curioso. Ma un istante dopo fece schioccare le dita e schiuse le labbra in un sorriso obliquo di sfida: “Vuol dire forse ‘ragazza scontrosa che preferirebbe morire piuttosto che accettare la cortesia di un galantuomo che si era offerto di aiutarla a rialzarsi?’”
 
Phebe strinse i denti e le dita sui libri, finché le nocche non diventarono bianche. Rimase in silenzio per un breve istante, prima di imbronciarsi e socchiudere gli occhi.
 
“Galantuomo? Spero che l’uso improprio di quest’iperbole non fosse un tuo tentativo grossolano di autodefinirti come tale – non dopo che mi hai spinta a terra, quantomeno!”
 
Il ragazzo sbatté le palpebre, sorpreso. Per qualche istante sembrò non vederla più, assorto nei propri pensieri, la bocca intenta a masticare un chewing-gum alla menta dal profumo fresco. Mentre recuperava le dispense di Storia Naturale, Phebe si ritrovò a notare un dettaglio sciocco come quello. Sollevò la mano. Si allontanò una ciocca ramata dal viso, fermandola dietro l’orecchio. Poi si decise a fronteggiare di nuovo il ragazzo.
 
“Ti serve qualcosa?”, domandò, irritata e perplessa da quel silenzio. Visto che non avevano altro da dirsi, perché accidenti se ne stava lì impalato? Il ragazzo passò la palla da baseball dalla mano destra alla sinistra coperta dal guantone, e si passò le dita tra i capelli corvino, scoprendosi il viso e gli occhi di un luminoso azzurro ghiaccio. Schiuse le labbra per rispondere, ma…
 
“Lloyd! Datti una mossa! Stiamo aspettando te, amico!”
 
Non molto lontano dal platano adocchiato pochi minuti prima, Phebe scorse un gruppetto di studenti dell’ultimo anno. Ne conosceva un paio di nome. Daniel Archery, per esempio, tre volte vincitore della borsa di studio riservata alle eccellenze del college. Perché mai si accompagnava con un tipo come… Quello?
 
Lloyd recuperò la palla da baseball dal guantone e ve la lanciò di nuovo, inclinando la testa per cercare i suoi occhi verde menta.
 
“Ehilà? Mi stai ascoltando?”
 
La ragazza sbatté le palpebre. Che cosa…? Aveva forse parlato? Perché mai si era distratta, pensò. Si rialzò in piedi, i libri di nuovo stretti al petto, e rivolse al ragazzo un’occhiata veloce, squadrandolo, prima di spostare lo sguardo verso un punto indefinito, nel cielo.
 
“E comunque, 'galantuomo'… Che fine ha fatto la giacca della tua divisa?”, commentò, decisa a mostrare tutto il suo più enfatico disinteresse nei confronti delle persone che non rispettano le regole. Persone come lui, come quello. Come un ragazzo col colletto della camicia non abbottonato, che mastica un chewing-gum alla menta, e gioca a baseball nel cortile del college anziché sfruttare la pausa per avvantaggiarsi con gli elaborati scritti, e che – oh! Solo il cielo sa che brutta reputazione può avere.
 
In tutta risposta, Lloyd ghignò.
 
“Mh? Non pensavo ti dispiacesse vedermi svestito…”, mormorò, modulando la voce in un sussurro suadente.
 
Phebe avvampò, gli occhi sgranati per l’indignazione di fronte a tanta sfacciataggine.
 
“Oh, ma smettila! Non ti conosco neanche!”, replicò, e il timbro della sua voce si fece più acuto, sulla difensiva. Lloyd rise tra sé, soddisfatto e vittorioso.
 
“Il che rende il tutto molto più interessante, non trovi?”
 
Gli lanciò un’occhiata truce. Ma lo sguardo di Lloyd, inaspettato, parve attraversarle le iridi, penetrante come ghiaccio. Per un attimo, tutto ciò che vide fu rosso. Rosso, scarlatto, cremisi, un cuore che perde un battito, un sorriso – come quello di una bambola?, una risata. Sentì caldo, sentì freddo. In un attimo venne travolta dalla voglia di piangere e quella di ridere, mentre un centinaio di fiori di loto parvero schiudersi dentro al suo ventre. Una frizzante sensazione di dejà vu le diede le vertigini.
 
“Amico?! Ti serve una mappa per riportare qua la palla?”, gridarono dei ragazzi lontani.
 
Lloyd fece un cenno verso i suoi compagni, poi tornò a guardare Phebe. Si piegò leggermente per intercettare il suo sguardo, in fretta distolto e posato sull’erba. Quando lo incontrò, finalmente, sorrise.
 
“Beh, allora ci si becca in giro… Ojou-sama…”.



 
Nota dell'Autore.
Se il mondo de
Il Lento Danzare delle Stelle Infinite vi incuriosisce, venite a trovarci nel blog ufficiale della storia (his-soul-has-returned.tumblr.com), dove abbiamo ricreato l'ambientazione dell'Atleas College!
Indossate la divisa e diventate studenti della prestigiosa scuola, o fate domanda per essere scelti come chef o professori! Cerchiamo volontari  e illustratori che vogliano aiutarci a dipingere questo mondo di fantasia!

 
Dedica
Grazie con tutto il mio cuore per aver letto questa storia. La scintilla di questo racconto ha preso vita un mese fa e, animata dalla gioia di esistere, ha bruciato intensamente fino a poche righe dal finale, quando nuvole oscure si sono posate sulla mia voglia di continuare a scrivere, dando il via a una lunga pausa.
Tuttavia, sono finalmente riuscita a completare le poche venti frasi che mi separavano dalla parola "fine". E spero che ciò che ho raccontato possa avervi raggiunto e fatto sognare.
Fatemi sapere la vostra opinione. Lo adorerei.

Dedicata a mia sorella, modella di questa storia.

Dedicata a Serena, vivida luce.
Dedicata a thyandra, compagna tessitrice di parole. A te il mio tributo, tra le righe.
   
 
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