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Autore: Aretusa    22/05/2014    5 recensioni
Jonathan Christopher Morgenstern, ha deciso di consegnarsi al Conclave e chiedere di essere perdonato per le colpe commesse da suo padre. Sa di non avere alcuna possibilità, ma che importa quando sei solo al mondo e ciò che ti resta non è altro che te stesso?
Il rituale di legame con il suo fratellastro Jace sembra averlo cambiato definitivamente, al punto che forse... forse, potrebbe anche arrivare ad innamorarsi.
Ma chi mai potrebbe ricambiarlo?
Chi amerebbe mai, una bestia?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Izzy Lightwood, Jonathan
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8

IL GRIDO DELLA BESTIA


 
 
«Altro sangue di fata!», ordinò Isabelle sbattendo il bicchiere di vetro smerigliato, ormai vuoto, sul liscio bancone di marmo grigio del locale.
«Non credi di averne bevuto già abbastanza, bellezza?», chiese il barista, rivolgendole un’occhiata ammonitrice da dietro il bancone.
L’uomo, se così poteva definirsi, aveva la pelle color cioccolato su cui rilucevano due occhi di un verde tanto intenso da far quasi male a guardarli. Sembrava piuttosto giovane, sui 25 anni al massimo, e se non fosse stato per le pupille strettissime e allungate e per la lunga e sottile lingua biforcuta che schizzava fuori dalla bocca ogni volta che pronunciava una qualche parola che comprendesse la lettera esse, sarebbe potuto benissimo passare per un normalissimo ragazzo di Brooklyn che si pagava gli studi universitari facendo il barista.
Isabelle sollevò lo sguardo dal suo bicchiere, lentamente, lasciando che i lunghi capelli scuri gli ricadessero davanti al viso, nel tentativo di nascondere gli occhi lucidi e arrossati, poi posò lo sguardo su di lui, lasciando che un sorriso languido e seducente le si disegnasse sulle labbra umide di alcool.
«Tu mi trovi bella?», chiese, cercando di mettere meglio a fuoco il viso del giovane uomo che la stava guardando.
Quello sorrise in modo complice, lasciando intravedere i denti bianchi e perfetti dietro le labbra piene. «Ti trovo bellissima, e anche parecchio sbronza a dire il vero, ma credo tu sappia bene entrambe le cose, no? Qualcuno ha forse cercato di convincerti del contrario?», chiese poi.
Isabelle fece una smorfia e si scostò i capelli dalla fronte, con aria infelice, poi tornò a guardarlo con gli occhi stretti. «Dammene un altro e basta!», borbottò, dando un leggero colpetto di unghie al bicchiere.
«Non credo sia una buona idea», disse, notando per la prima volta l’intreccio di linee scure che faceva capolino da sotto il polsino del cardigan, decorandole le braccia come un arazzo damascato. «Almeno ce l’hai l’età per bere,Cacciatrice?».
«Beh», fece Isabelle, scoppiando improvvisamente a ridere, «forse avresti dovuto chiedermelo prima, non credi?». Allargò le braccia, lasciando aprire la giacca sul davanti così da mostrare i marchi che le ricoprivano la bianca pelle del petto e del collo, sotto al pesante rubino rosso che risplendeva sul petto.
Un paio di Nascosti seduti nelle immediate vicinanze dal bancone si voltarono verso di lei, sussurrando parole che Isabelle non si preoccupò di ascoltare, qualcuno si alzò dal proprio posto e uscì dal locale, mentre qualcun altro si avvicinò al bancone per osservarla meglio.
«Forse è il caso che te vai, tesoro. Non vogliamo guai, qui dentro». Il barista si era fatto improvvisamente serio e aveva cancellato dal proprio viso l’espressione complice e vagamente amichevole di un momento prima.
«Dammene un altro e falla finita», bisbigliò la ragazza a denti stretti, sporgendosi appena verso di lui, in modo che il proprio respiro solleticasse il viso dell’uomo serpente.
In quel momento, un leggero odore di rose e sangue s’insinuò nelle sue narici e la costrinse a voltarsi nella direzione da cui proveniva. Un ragazzo dalla pelle molto abbronzata e i capelli scuri e ricci che gli incorniciavano i bei lineamenti latino americani stava in piedi di fianco a lei, con il sorriso a trentadue denti in bella vista e il mento sollevato che lasciava intravedere la cicatrice traslucida a forma di croce che gli decorava la pelle del petto, pochi centimetri sopra il cuore.
«Guarda un po’ chi abbiamo qui», disse il vampiro, ammiccando verso di lei mentre faceva scendere dalle gengive i canini appuntiti.
«Lasciami in pace, Raphael». Isabelle ringhiò, socchiudendo gli occhi per scrutarlo oltre la vista offuscata dall’alcool.
Quello scoppiò in una risata fragorosa che fece tintinnare i bicchieri e le bottiglie di vetro allineati in una fila ordinata dietro il barista, poi si appoggiò con i gomiti al bancone, sfiorandole deliberatamente il braccio con il proprio gomito e si rivolse al barista. «Dagliene un altro, Sirius. Garantisco io per lei».
L’uomo serpente spostò lo sguardo da Isabelle a Raphael con aria sospetta, poi si girò, prese alcune bottiglie di liquore e ne mischiò il contenuto in due bicchieri, spingendoli verso di loro. Raphael prese il suo cocktail e lo sollevò davanti alla ragazza, come se volesse brindare, ma lei si versò il contenuto del bicchiere direttamente in gola, senza degnarlo del minimo sguardo. Non aveva voglia di fraternizzare con altri vampiri. Non adesso e non con lui… beh, in realtà non voleva aver niente a che fare con nessuno di loro.
Mai più.
Barcollando leggermente all’indietro, fece per alzarsi dallo sgabello, e si rese conto che forse, aveva davvero bevuto troppo, soprattutto per i suoi standard solitamente bassi, ma le dita gelide e scure di Raphael si chiusero rapide attorno al suo polso, bloccandola sul posto, seppur fosse chiaro che non stesse usando pienamente la forza che apparteneva ai Figli della Notte.
«Non così in fretta», mormorò il vampiro, facendosi più vicino e sorridendo flebilmente per scoprire la bianca dentatura dai canini acuminati. «Prima ci sono alcune cose di cui mi piacerebbe discutere con te, mia piccola Nephilim».
Isabelle gettò la testa indietro e scoppiò a ridere. «Ah, ma davvero? E sentiamo, cosa ti fa pensare che io abbia voglia di ascoltarti, vampiro?». Pronunciò quell’ultima parola a denti stretti, come una parolaccia o un insulto, tanto che, tutti i Figli della Notte presenti nel locale – e solo allora la ragazza si rese conto di quanti fossero – si voltarono verso di lei. Ricacciò il brivido che le percorse la schiena da dov’era venuto e rivolse uno sguardo ostile al capo dei vampiri di New York.
«Beh, chica, non credo tu abbia molta scelta. Ti pare?». E così dicendo, Raphael fece un cenno del capo ai membri del suo clan, che sembravano tutti aspettando un suo ordine per iniziare a divertirsi. «E poi», riprese, «è proprio una bella coincidenza, il fatto che tu sia venuta tutta sola in un posto frequentato per la maggior parte da vampiri. Sembra quasi che mi stessi cercando».
«Ti sbagli! Perché cavolo avrei dovuto cercarti?».
«Perché, se non ricordo male, tu sei la fidanzatina del Diurno, e visto che, da quel che si dice, sembrano piacerti molto i nascosti, forse, avevi voglia di divertirti un po’ anche con me». Sollevò le sopracciglia, in attesa che lei capisse che la stava prendendo in giro, ma non smise di sorridere.
«Mi dispiace deluderti, ma mi diverto molto di più da sola. E Simon non è il mio fidanzato».
«Ti sei già stancata di lui? Non sembra un tipo gran che interessante, in effetti, e ripensando al modo in cui è stato vampirizzato, non deve essere neanche molto intelligente».
«Grandioso», bofonchiò Isabelle, strattonando il polso in modo che il vampiro la lasciasse andare. «Almeno su questo siamo d’accordo».
«Oh, è per questo che sei venuta qui a bere? Avete litigato?».
Isabelle non rispose, fece una smorfia e incrociò le braccia. «Si può sapere che problemi hai, Raphael? Non hai nient’altro da fare che impicciarti della mia vita privata? Oppure ti piace Simon?», chiese, con scherno. «Se ci tieni tanto posso organizzarti un appuntamento. E’ tutto tuo!».
Raphael socchiuse gli occhi e strinse le labbra, poi, prima che Isabelle potesse prevedere quello che lui stava per fare, si mosse fulmineo vicino a lei e la prese per le spalle, mettendole una mano intorno al collo. La ragazza rimase immobile e trattenne il respiro, sorpresa per quello scatto improvviso e per l’eccessiva vicinanza con quel corpo freddo e senza vita. La sua pelle era così diversa, da quella di Simon, che pur nel suo stato di morte sembrava continuasse ad emanare una debole scintilla di calore umano che l’aveva sempre fatta sentire a suo agio vicino a lui.
«L’unico motivo per cui mi interessa Simon, tesoro, è la sua straordinaria capacità di esporsi alla luce del giorno, ma questo probabilmente già lo sai», sussurrò il vampiro vicino al suo collo. Il suo respiro era freddo e le solleticava la morbida pelle del collo che lui le aveva piegato di lato, esponendole completamente la gola su cui aveva avvicinato i canini. «Ora, Cacciatrice, tu mi dirai per filo e per segno come diavolo ha fatto il vostro amico a sconfiggere la maledizione della notte, oppure, temo che non vivrai abbastanza a lungo da rimpiangerlo».
Nonostante la vista offuscata e la testa leggera per via del Sangue di Fata, la Cacciatrice si impose di rimanere immobile e di controllare i battiti del proprio cuore, regolarizzandoli con qualche esercizio di respirazione. Sapeva di essere in pericolo, eppure non aveva paura. Se anche fosse morta in quel momento, per mano di un gruppo di vampiri ubriachi, l’avrebbe fatto combattendo. Era abituata a quel genere di sensazione, alla morsa che le stringeva lo stomaco nelle situazioni di pericolo, alla possibilità neanche tanto remota di morire in battaglia, alla consapevolezza che ogni qualvolta uscivano per andare a caccia, qualcosa poteva andare storto e che le rune avrebbero potuto rivelarsi totalmente inutili, come quella volta in cui Alec aveva rischiato di morire per mano del Demone Superiore che si era impossessato del corpo della vicina di casa di Clary.
Cicatrici e morte. 
Era quella la vita di ogni Cacciatore. Era quella, la sua vita. Lo sapeva, lo aveva accettato molto tempo fa, ed era sempre stata pronta. L’unica cosa per cui aveva mai avuto davvero paura in tutta la sua vita, era quella di perdere in battaglia le persone che amava. Ma adesso era sola, poteva permettersi di mantenere la calma, di essere tranquilla, di non dover pensare a nessun’altro, mentre la frusta dorata che teneva sempre attorcigliata al braccio destro, sotto la manica della giacca, scivolava piano verso il suo polso.
Nel silenzio della taverna gremita di Nascosti, Isabelle si rese conto di più cose contemporaneamente. Dei vampiri che, disponendosi in cerchio l’avevano circondata, del barista che guardava la scena con gli occhi sgranati e immobili e nel frattempo, armeggiava con qualcosa sotto al bancone, dell’odore di alcool mischiato a sangue che caratterizzava l’alito di Raphael, e dei suoi denti freddi e caldi insieme che scendevano sul suo collo, conficcandosi in modo lento e atroce dentro la sua carne.
Con calma inumana, fece scattare il polso all’indietro e con un colpo secco lasciò che la frusta si attorcigliasse attorno alla gamba di Raphael che, sorpreso, si allontanò funesto da lei, strappandole la carne su cui aveva conficcato i denti.
Incurante del dolore, Isabelle tirò la frusta con forza, mandando il capo dei vampiri di New York a gambe all’aria mentre, tutto il suo clan le si riversava addosso con gli occhi rossi e allucinati per l’odore del suo stesso sangue.

 
 
***
 
 
Sebastian era corso fuori dal portone dell’Istituto senza neanche pensare di passare prima dall’armeria per portarsi dietro almeno qualche spada angelica o un pugnale, così adesso si ritrovava a correre per i quartieri più squallidi di Brooklyn senza nient’altro che il suo stilo infilato nella tasca interna della giacca di pelle nera. Non che la cosa lo preoccupasse, ovvio, se qualche malcapitato dei bassifondi avesse avuto la brillante idea di aggredirlo per derubarlo, si sarebbe presto reso conto che a pagarne le conseguenze, sarebbe stato lui stesso.
Fin dalla più tenera età, Valentine lo aveva costretto ad impiegare il suo tempo esercitandosi tanto con il combattimento corpo a corpo, quanto con le armi da Cacciatore, sebbene il suo destino non prevedesse di combattere contro i demoni, come tutti i Nephilim avrebbero dovuto fare.
Tuttavia, quando l’uomo al telefono lo aveva informato della rissa all’interno del locale frequentato da Nascosti sulla trentaduesima strada, nei pressi dell’Holy Cross Cemetery, Sebastian non immaginava di certo la scena che si sarebbe ritrovato davanti.
L’intero posto era sottosopra, come se qualcuno avesse improvvisamente deciso di rovesciare per terra ogni singolo oggetto contenuto in quella stanza. C’erano bicchieri di vetro frantumati e bottiglie di liquore riverse sul pavimento e sul bancone che inzuppavano di alcool qualsiasi cosa si trovasse li vicino. Sedie di legno fracassate su tavoli capovolti sopra persone - Nascosti- che le usavano come scudo, o sotto i quali alcuni sembravano essersi spiegabilmente addormentati, una bottiglia di vodka stretta tra le braccia come il biberon di un bambino e l’aria beata di chi non si rende conto di ciò che gli accade intorno.
Sebastian, scavalcò i corpi di alcuni vampiri che erano finiti sul pavimento e ne colpì uno sul naso mentre quello cercava di rialzarsi, poi individuò Isabelle, in piedi in un angolo del locale mentre cercava di tenere a bada quattro vampiri che le si erano parati davanti, la frusta dorata stretta in pugno e l’eccitazione della battaglia stampata sul viso pallido e bellissimo, su cui non c’era la minima traccia di paura. Sferzò un paio di colpi, colpendo in pieno viso quello che le era più vicino, che lanciò un urlo inumano, rannicchiandosi su se stesso con le mani davanti alla faccia, mentre un altro vampiro dalla pelle pallida ma abbronzata la afferrò prima per i capelli e poi per un braccio, torcendolo dietro la schiena e costringendola a voltarsi di lato.
I segni rossi e violacei sul suo collo bianco gli balzarono davanti agli occhi come spie luminose e mentre Sebastian si faceva largo verso di lei sgomitando e fracassando costole a colpi di pugni, fu sorpreso da una rabbia omicida che gli squassò il corpo.
Il mondo si colorò improvvisamente di rosso e il mostro che albergava dentro il suo corpo cominciò a ringhiare.  

 
***
 
«Lasciala andare!», ringhiò Sebastian a denti stretti, stringendo le dita della mano attorno al collo freddo del vampiro.
Isabelle aveva quasi pensato che sarebbe morta li, in quello squallido bar, divorata dai figli della Notte. Si era immaginata a terra, pallida e bianca, con i lunghi capelli neri riversi in una pozza di sangue, il suo. Si era persino immaginata il suo funerale, lei vestita con un bellissimo abito bianco e sigillata in una bara di cristallo trasparente, proprio come la principessa della fiaba che sua madre le leggeva da bambina, per farla addormentare.
Ma quando aveva visto Sebastian entrare dalla porta, i capelli di un biondo tanto luminoso da riflettere una luce accecante, come quella di un angelo vendicatore e gli occhi, neri e terribili, di un principe dell’inferno, allora aveva saputo di essere salva.
Salva.
Salvata dal suo peggior nemico. Una contraddizione vivente che non smetteva mai di sorprenderla.
Neanche nelle sue fantasie più assurde, avrebbe potuto immaginare che potesse essere proprio Sebastian, a sottrarla dalla morte. Lui che, solitamente, della morte ne era causa, adesso sembrava voler giocare a fare l’eroe. Isabelle non si era mai fidata di lui, non dopo quello che era successo con Max, almeno. Eppure era lui, quello con le mani strette saldamente intorno alla gola di Raphael e un’espressione feroce sul viso pallido che sembrava perfettamente scolpito nel marmo. Con  un guizzò veloce degli occhi le rivolse una muta domanda, quasi a volersi assicurare che lei stesse bene, e nonostante in quel momento sarebbe voluta scoppiare in singhiozzi, Isabelle annuì impercettibilmente e distolse lo sguardo da lui. Non sopportava di guardarlo negli occhi, non sopportava quella ruga di apprensione tra le sopracciglia di un viso che solitamente non lasciava trapelare alcuna emozione.
Sapeva di non poter fare alcun affidamento su Sebastian, di non potersi fidare di lui.
Era un mostro.
Un esperimento mal riuscito nato dalla mente contorta e malata di Valentine; per quanto potesse fingere bene, non sarebbe mai stato come tutti loro, eppure…
Non c’erano Alec, ne Jace a salvarla. Non era stato Simon, a trovarla, ne sua madre o tantomeno suo padre, che al momento era chissà dove, impegnato in qualcosa che forse nemmeno l’Angelo sapeva, pur di stare lontano dai ricordi.
C’era  Sebastian.
«Lasciala andare, ho detto», scandì nuovamente Sebastian, stavolta più lentamente. «Adesso!», disse stringendo più forte le dita intorno al suo collo.
Raphael allentò la presa sul braccio fino a lasciarla andare e lei fece qualche passo indietro per mettere distanza tra loro. «E tu chi diavolo saresti?», provò a dire, nonostante la voce strozzata.
Naturalmente, entrambi sapevano che era impossibile soffocare un vampiro, dal momento che, tecnicamente, non avevano bisogno di respirare, ma le mani di Sebastian, sembravano perfettamente capaci di spezzargli il collo con un colpo solo, e Raphael sembrava abbastanza intelligente da capire che il suo aguzzino faceva sul serio, per cui il terrore negli occhi del vampiro, era più che giustificato.
Nonostante la tensione, Izzy non potè fare a meno di constatare la comicità di quella domanda.
Chi diavolo saresti? 
La risposta era tanto semplice quanto scontata: nessun demone dell’inferno avrebbe potuto competere con Sebastian. Lui era peggio del diavolo stesso.
«Chi sono io?», fece Sebastian, con un sibilo a metà tra una bassa risata e un latrato. «chi sei tu, piuttosto, e che vuoi da lei?». Il cenno del mento verso Isabelle non era necessario, ma Sebastian ne approfittò per concedersi una rapida occhiata alle sue condizioni.
«Oh», sorrise Raphael, divertito, «sei suo amico? Sei uno dei tirapiedi del Conclave?».
«Solitamente ci chiamano Nephilim, ma in effetti ho sentito di peggio», ribatté Sebastian, guardando per un attimo la ragazza, che si era quasi rannicchiata contro una parete. Le rivolse un rapido sorriso, come se invece del ragazzo che teneva quasi appeso per il collo, fosse lei quella che cercasse di stuzzicare, poi tornò immediatamente a Raphael, e Isabelle percepì tutta la rabbia trattenuta nei muscoli della mascella in tensione, nelle vene che dal collo gli scendevano giù fino alle braccia e alle mani, azzurre ed in rilievo sotto la sua pelle candida. Il ragazzo strinse un po’ di più le mani e sollevò il vampiro da terra, lasciando che i suoi piedi dondolassero a pochi centimetri dal pavimento, poi lo scaraventò dritto contro il muro, lasciandolo per un paio di secondi senza fiato, ad ansimare contro la parete in cerca dell’aria che non aveva bisogno di inspirare.
«Per quanto riguarda il Conclave», disse lentamente Sebastian, «in effetti ho la netta sensazione di non godere della loro simpatia. Ma chissà, magari è per via di quelle piccole incomprensioni con mio padre, che ha praticamente cercato di sterminare la sua stessa razza, o forse ce l’hanno con la mia cara mammina per quella storia della dannazione eterna. Sai, Lilith non è molto ben vista ai piani alti».
Tutto intorno a loro si alzò un brusio di sottofondo che iniziò a ripetere il nome di Lilith come una litania, fino a quando qualcuno in fondo domandò a voce più alta: «Lilith? La regina dei demoni?».
«Io preferisco chiamarla Madre, ma se preferisci Regina… beh immagino sia lo stesso».
La gola del vampiro vibrò sotto i palmi delle sue mani, mentre Raphael veniva scosso da una violenta risata.
«Stai dicendo che tu saresti tipo… uno stregone? Un figlio di Lilith?», chiese con scherno, divertito come se fosse appena riuscito a smascherare un inganno. «E con tutti quei Marchi addosso ti aspetti davvero che qualcuno ci creda?».
Sebastian alzò impercettibilmente le spalle, senza mollare la presa. «No. Non sono semplicemente un figlio di Lilith». La sua voce era spaventosamente calma, ma in un modo inquietante. «Io sono il figlio di Lilith». Improvvisamente strinse con forza le unghie attorno al collo di Raphael, lasciando sulla sua pelle delle mezzelune insanguinate, e lo schiantò violentemente contro il muro di mattoni ruvidi. «L’unico!».
Isabelle sussultò, emettendo un gemito, e si appiattì contro la parete come un gattino. Gli occhi scuri spalancati erano fissi su Sebastian mentre si portava la mano alla bocca per impedirsi di cacciare fuori un urlo. I mormorii di sottofondo si zittirono di colpo, come se tutti i suoni fossero stati risucchiati dalle pareti. La tensione nell’aria era palpabile. Il cerchio di Figli della Notte stretto intorno ai tre si allentò visibilmente, mentre i vampiri arretravano lentamente, esitando.
Raphael raschiò con la gola nel tentativo di parlare, ma Sebastian strinse ancora più forte. «Mi prendi in giro, per caso? Lo sanno tutti che quella non ha figli. Non la chiamano forse “la signora dei bambini morti”?».
Il ragazzo parlò piano, tra i denti. «Se vuoi sapere se sono uscito dal suo ventre, sporca sanguisuga, la risposta èno, naturalmente. Ma quello che scorre nelle mie vene è senza dubbio il suo sangue».
Gli occhi di Raphael si spalancarono percettibilmente, le pupille si dilatarono fino ad assorbire quasi completamente l’iride.
«Tu sei… quello che ha infranto le difese della Città di Vetro? Sei l’esperimento di quello psicopatico di Valentine?», mormorò, tra i colpi di tosse.
«A quanto pare, la fama di mio padre mi precede», commentò Sebastian. La voce piatta, gelida quasi come il buio impenetrabile in cui affogavano i suoi occhi e un’espressione mista tra sarcasmo, sdegno e rabbia celata dietro quella maschera di perenne indifferenza. Isabelle guardò il suo viso mutare, mentre cercava di reprimere la voglia di sfogare quella rabbia contro Raphael, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli del ragazzo, lui accennò un impercettibile sorriso.
Un sorriso di scherno, ovviamente, poiché doveva leggerle negli occhi la paura, e la muta richiesta di lasciare il collo del vampiro e di andarsene al più presto da li, ma pur sempre un sorriso. «Ora che ci siamo presentati», disse, mollando definitivamente la prese e lasciandolo cadere sul pavimento sporco come la carta spiegazzata e inutile di un cioccolatino, «ordina ai tuoi scagnozzi di ripulire questo casino e poi porta il tuo schifoso culo da parassita fuori di qui». Si allontanò di un passo e fece schioccare le dita in aria, mentre si voltava piano. «Forza!».
Isabelle si staccò lentamente dal muro, e fece per seguirlo fuori dal locale, ma non appena gli fu accanto, una risata gracchiante li bloccò sulla porta, costringendo entrambi a voltarsi indietro.
Raphael, rideva convulsamente, appoggiandosi con una mano al bancone mentre con l’altra si massaggiava la gola dolorante, sporcandosi le dita con il sangue che stillava in piccoli rivoli lungo il petto e la croce che portava al collo, dove il Cacciatore aveva affondato le sue unghie.
«Si può sapere che cosa hai ancora da ridere?», chiese Isabelle, con voce stridula, stanca ed esasperata da tutto quello che era successo. «Non ne hai ancora avuto abbastanza, forse?».
Continuando a sogghignare, il vampiro si sforzò di parlare. «Mi dispiace tesoro, ma trovo davvero divertente il fatto che voi Cacciatori vi affanniate tanto nel tentativo di affermare la vostra superiorità sociale e poi non vi facciate problemi a trastullarvi con la peggiore feccia dell’universo. Non c’è che dire comunque, hai fatto un bel salto di qualità: dalla ragazza di uno sporco Nascosto alla puttana di un demone bastardo! Devo farti i complim…».
Isabelle scoprì che, senza che se ne fosse resa conto, la sua mano destra si trovava già sulla frusta che portava al fianco, ma prima ancora che Raphael potesse finire il suo stupido teatrino, si ritrovò nuovamente inchiodato al muro dal pugno di Sebastian. La voglia che aveva di stenderlo fuori e farlo friggere per bene alla luce del sole si estinse quando si accorse del fiume di sangue che scivolava sulla parete contro cui Sebastian lo aveva appeso e scivolava piano dietro di lui fino a formare una piccola pozza sulle piastrelle a terra. Il braccio del Cacciatore, conficcato fino all’avambraccio dentro il petto del vampiro era completamente inzuppato e stillava gocce vermiglio dal gomito come una tubatura rotta.
Per un attimo la ragazza rimase immobile a guardare l’espressione stupefatta di Raphael, che fissava il punto in cui l’arto di Sebastian spariva dentro il suo torace con gli occhi spalancati. Si muoveva convulsamente, contorcendosi per il dolore ad ogni piccolo respiro del suo aguzzino e muoveva le labbra cercando di articolare qualche suono.
«Ho il tuo cuore stretto nel mio pugno», mormorò piano Sebastian avvicinandosi all’orecchio di Raphael, «lo senti, come le mie dita vi si stringono intorno? Quello che rimane della tua patetica non vita è letteralmente nelle mie mani. Quindi dimmi, Sporco Nascosto, quanto trovi divertente tutto questo».
«Sebastian!», chiamò Isabelle scioccata.
Quello si che era un bel guaio. Anche se era stato Raphael il primo ad attaccare, e lei e Sebastian si erano solo difesi, non avevano nessun mandato di esecuzione da parte del Conclave. Inoltre, lui era ancora sotto stretta sorveglianza dell’istituto di New York e quindi di Maryse. Se questa cosa fosse saltata fuori, tutti loro sarebbero stato puniti e sua madre avrebbe potuto perdere il ruolo di direttrice. Inoltre, Sebastian sarebbe stato condannato in modo definitivo.
Isabelle fu presa dal panico. Lo chiamò di nuovo, urlando, ma lui non diede segno di averla sentita e continuò la tua vendetta. La ragazza vide gli occhi del vampiro stringersi in una smorfia di dolore e la vena sulla sua fronte gonfiarsi.
«Dillo!», urlò Sebastian con rabbia attirandolo verso di lui per poi sbatterlo nuovamente contro il muro. Raphael emise un rantolo di puro dolore e il suo viso si deformò mentre i canini scendevano dalle gengive.
«Sebastian, ti prego…», implorò Isabelle disperata, «lascialo andare!».
Il suono rotto della sua voce fece infuriare ancora di più il Cacciatore. La sua mente era devastata dalla rabbia, che gli impediva di pensare lucidamente. Anche i suoni erano attutiti,  l’unica cosa chiara era la voce del mostro dentro di lui che continuava a urlare: Uccidilo, uccidilo, uccidilo…
Non sapeva se la sua collera fosse stata provocata dalle parole di Raphael, dal fatto che avesse offeso Isabelle, che al momento tentava ugualmente di risparmiargli la vita, o che l’avesse chiamato Demone Bastardo, che in realtà era l’abbinamento giusto di parole per spiegare al meglio ciò che lui era. L’unica cosa che sapeva, chesentiva, era l’istinto viscerale di mettere fine alla sua inutile vita. Non voleva più lottare per essere migliore di quello che era. Sapeva di essere un mostro, che l’oscurità dentro di lui sarebbe sempre stata maggiore del briciolo di luce che aveva assorbito da Jace attraverso il legamento. Sapeva anche che per quanto potesse provare a cambiare, ad essere diverso, più compassionevole, gentile, buono… niente di tutto questo sarebbe bastato.
Poteva anche continuare a fingere di essere Sebastian, ma in realtà sarebbe stato per sempre Jonathan.
«Jonathan Christopher Morgenstern!». La voce di Isabelle tuonò dentro di lui con la forza di un terremoto, scuotendolo dall’interno e costringendolo a voltarsi verso di lei, che adesso era al suo fianco, con la mano dalle dita sottili e pallide che stringevano il suo braccio insanguinato, nel doppio tentativo di non tremare e di fargli lasciare la presa dal cuore immobile del vampiro.
Sebastian la guardò, gli occhi umidi e le guance rigate di lacrime. Era sconvolta, ma il suo sguardo era fermo e risoluto e sosteneva il suo senza vacillare.
Per la prima volta, il suo nome non suonò poi così terribile.
«Adesso basta», ribadì lei, lentamente. «Ti ho detto di lasciarlo andare».
Per un attimo rimasero a fissarsi, immobili, occhi dentro occhi. Entrambi fermi e risoluti nella loro posizione. La mano di Sebastian pulsava ancora al ritmo del cuore di Raphael, che teneva stretto in pugno, ma lui non osava muoversi, incatenato dalla consapevolezza degli occhi neri della ragazza su di lui. Fu Isabelle a muoversi per prima, azzardando un passo avanti fino quasi a frapporsi tra lui e la sua vittima.
«Sebastian», sussurrò dolcemente. Avvicinò in modo cauto la mano al suo viso, prendendoglielo tra le dita come per costringerlo a guardarla, nonostante lui non riuscisse a fare nient’altro da molto, moltissimo tempo.
Forse, più di quanto desiderasse ammettere. 
Il suo palmo era caldo e liscio, nonostante la ruvidezza in alcuni punti per gli anni passati ad usare la sua arma preferita, e a contatto con la sua pelle sembrava quasi sul punto di prendere fuoco.
«Lascialo andare e andiamo via, non ne vale la pena». La sua voce era appena udibile, come se stesse pronunciando una preghiera. «Puoi essere molto meglio di così», disse. E in quel preciso instante, Sebastian riuscì a crederle. Senza che il suo cervello avesse inviato alcun impulso al braccio, le dita del ragazzo allentarono la presa intorno al cuore pulsante di Raphael e lui tirò via il braccio insanguinato dal suo petto, lasciandolo scivolare lentamente dal muro al pavimento.

 
***
 
Isabelle camminava lungo un vicolo stretto e maleodorante trascinandosi a stento dietro i passi di Sebastian. La luci dei lampioni traballanti che illuminavano a stento la strada davanti a loro le facevano girare la testa come una giostra e le gambe sembravano fare di tutto per ribellarsi ai suoi tentativi di continuare a mettere un piede davanti all’altro. Ad un certo punto, la ragazza fu costretta a sorreggersi poggiando una mano sui mattoni freddi e umidi del muro che costeggiava la stradina, mentre veniva assalita da un conato di vomito. Davanti a lei, Sebastian percepì che si era fermata e fece lo stesso, voltandosi indietro.
«E tutto okay?», chiese, mentre si avvicinava.
«Si», bofonchiò lei, respirando piano per impedirsi di vomitare. Ci vedeva doppio e faticava a capire bene dove puntare lo sguardo.
«A guardarti non si direbbe proprio», ribatté Sebastian, con una punta di sarcasmo. «Hai un aspetto orribile».
«Sto bene», ringhiò lei, rifiutando di darsi per vinta davanti a lui. La propria voce le arrivò lontana e distorta. Sollevò la testa dal muro e lo guardò in cagnesco, mentre faceva appello a tutte le sue forze di Cacciatrice per non crollare per terra. Si sentiva debole come non mai, e iniziava ad avere la vista appannata. Tutto quel cavolo di sangue di fata che si era scolata iniziava a fare effetto. In più aveva perso troppo sangue e si reggeva a stento in piedi, ma non aveva intenzione di rimanere li un secondo di più.
«Sei pallida e stai sudando freddo, Belle», disse Sebastian, pazientemente. «Hai perso un bel po’ di sangue e sembri a malapena in grado di camminare». Si avvicinò di un altro passo e le sfiorò appena il collo con le dita, allontanandole i capelli dalla clavicola. Isabelle si accucciò contro il muro, soffiando come una gatta e mettendo più distanza possibile tra i loro corpi.
«Non ti azzardare a toccarmi!». Mise le mani avanti, come per respingerlo. «E smettila di chiamarmi con quello stupido nomignolo, noi non siamo amici!».
Sebastian sgranò gli occhi e strinse impercettibilmente la mascella. Una contrazione talmente lieve e repentina che, se gli occhi di Isabelle non fossero stati quelli di una Cacciatrice, probabilmente non vi avrebbe fatto caso, visto lo stato in cui si trovava al momento. Facendo un passo indietro, lui si allontanò e sollevò le mani in segno di resa. Dopotutto su quello aveva ragione.
«Sei stata morsa da un vampiro», spiegò, con calma forzata, «la ferita è ancora aperta e sgorga come una fontanella, dobbiamo fermare l’emorragia se non vuoi morire dissanguata nel giro di un paio di minuti».
La ragazza si portò lentamente una mano al collo, tastando con le dita i vestiti inzuppati di sangue e se la mise davanti al viso, osservandola con gli occhi appannati. Fece un respiro profondo, affaticandosi per parlare, ma persino articolare la più semplice della frasi sembrava un’impresa da Titani.  «E’ solo un po’ di sangue», mentì.
«Certo, e io sono Jonathan Shadowhunters in persona», ribatté lui, stanco. «Senti, forse sei abituata a prestare il tuo collo per cena a quell’idiota del tuo fidanzato, ma non credo che lui ti abbia mai prosciugata fino a questo punto, o dubito sarebbe ancora vivo e vegeto, no? Anche se questa non è esattamente la definizione ideale per un non morto».
Il volto di Isabelle sbiancò ulteriormente, conferendole un aspetto ancora più malaticcio. Scosse la testa con violenza. «Lui non è… non ha mai … ti sbagli», mentì, di nuovo.
«Non importa», la interruppe Sebastian, brusco. «Ora se vuoi puoi chiudere gli occhi e contare le pecore, oppure pensare ai numeri primi e a qualsiasi altra cosa che ti impedisca di focalizzarti sul fatto che le mie mani impregnate del sangue di quel verme stiano per toccarti…», la avvertì avanzando nuovamente verso di lei mentre infilava la mano dentro alla sua giacca di pelle.
«Che stai facendo?», mormorò Isabelle, spaventata, appiattendosi contro il muro. Lui estrasse il cilindretto argentato da una tasca interna e lo impugnò, posizionandolo con la punta accanto alla faccia della ragazza.
«Ti faccio un Iratze». La sua voce era calma, ma tradiva impazienza.
«Cosa? No!», si ribellò lei, fiaccamente. Le sembrava di muoversi e parlare a rallentatore. «Non mi fido di te, non ti permetto di marchiarmi. Dammelo, faccio da sola».
Sebastian sbuffò, osservò prima lo stilo e poi la ragazza e infine allungò la mano, porgendoglielo mentre alzava gli occhi al cielo. Isabelle strinse le pallide dita tremanti intorno al freddo materiale di cui ero composto lo stilo di Sebastian e sentì l’intricato motivo di stelle in rilievo che decoravano l’oggetto sotto i polpastrelli.
Le stelle dei Morgenstern.
Per un attimo il pensiero che quei simboli potessero scottare, le attraversò la mente, veloce come un fulmine che squarcia l’azzurro di un cielo sereno. Con le mani sudate strinse il sottile cilindro più forte e se lo portò al collo, poggiandolo piano contro la pelle. Il freddo metallico dell’adamas si confuse con il calore scottante emanato dallo stilo a contatto con la pelle, mentre una scia nera e luminosa si formava sotto di esso.
Era come essere marchiata a sangue con un tizzone ardente.
 Il dolore acuto si diffuse dal suo collo fino alle membra, paralizzandola, e prima che potesse completare la runa guaritrice, le sue mani si aprirono lasciando la presa sullo stilo, che cadde a terra tintinnando come una campanella. Isabelle si accasciò sull’asfalto, tramortita, graffiandosi i le mani mentre scivolava contro il muro di mattoni ruvidi.
Sebastian scattò fulmineo, sorreggendola con le sue braccia. «Sei proprio stupida», la sgridò, mormorando tra i denti. La sollevò da terra con la stessa facilità con cui chiunque altro avrebbe spostato un giocattolo e si mise le sue braccia esanimi attorno al collo mentre la prendeva in braccio. «Se avessi voluto farti del male, perché accidenti mi sarei preso tutto il disturbo di venire qui a toglierti dalle grinfie di un intero clan di stupidi vampiri?», sbottò, ormai esasperato.
Lei si lasciò andare contro il suo petto, inerme, gli occhi scuri nascosti dietro la pelle sottile e azzurrina delle palpebre completamente immobili.
Non respirava.
Sebastian sentì il proprio cuore mancare un battito e, per la prima volta in vita sua, si rese conto di cosa fosse la vera paura.


***NOTE DELL'AUTRICE***

Ciao fanciulli :) Sono finalmente resuscitata da un lungo, lunghissimo periodo di blocco narrativo. Purtroppo ogni tanto (ogni poco in realta XD), mi capita. In tutto ciò, stavo persino pensando di cambiare Nick Name e anche Titolo alla storia, perchè tutti questi nomi in latino sono eccessivamente altisonanti, perchè, obiettivamente di latino non ci capisco una cippa (provate a tradurre i nomi dei capitoli con Google Translate e vedrete che uscirà fuori), e infine perchè, fin dall'inizio la storia è nata come una specie di rivisitazione in stile Nephilim della favola de "La Bella e la Bestia", a cui spesso faccio riferimento per denominare e identificare Isabelle e Sebastian. Quindi, conclusione di tutto questo noiosissimo monologo, vorrei chiamare la storia "Belle & The Beast". Uahahahahah XD Sono rincoglionita vero? Si si, lo so. Se avete altre idee scrivetemele nelle recensioni, mi farà un sacco piacere.
Nel frattempo, continuate a tenere d'occhio la storia perchè potrebbe cambiare nome da un momento all'altro e non vorrei rischiaste di perderla (sono terribilmente egoista, si!), e poi perchè prima o poi...più prima che poi si spera, sti due poveri disgraziati, finalmente si decideranno a CONSUMARE!!! Ebbene si, con questa bomba, vi lascio ^-^
Baci Baci :* :*
 
 
   
 
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